GUARIGIONE ED AMORE
Lady Marianna
Guillonk era nata sotto il bel cielo d'Italia, sulle rive dello splendido golfo
di Napoli, da madre italiana e da padre inglese. Rimasta orfana a undici anni
ed erede di una cospicua sostanza, era stata raccolta da suo zio James, l'unico
parente che allora si trovasse in Europa.
In quei tempi
James Guillonk era uno dei più intrepidi lupi di mare dei due mondi,
proprietario di una nave armata ed equipaggiata da guerra, onde cooperare con
James Brooke, diventato più tardi rajah di Sarawack, all'esterminio dei
pirati malesi, terribili nemici del commercio inglese in quei lontani mari.
Quantunque lord James, ruvido come tutti i marinai, incapace di nutrire
un'affezione qualsiasi, non provasse tenerezze soverchie per la giovane nipote,
piuttosto di affidarla a mani straniere, l'aveva imbarcata sul proprio legno conducendola
al Borneo ed esponendola ai gravi pericoli di quelle dure crociere. Per tre
anni la ragazzina era stata testimone di quelle sanguinose battaglie, nelle
quali perivano migliaia di pirati e che diedero al futuro rajah Brooke
quella triste celebrità che commosse profondamente e indegnò i suoi stessi
compatrioti.
Un giorno
però lord James, stanco di carneficine e di pericoli, forse ricordandosi di
avere una nipote, aveva abbandonato il mare e si era stabilito a Labuan,
seppellendosi sotto i grandi boschi del centro.
Lady
Marianna, che toccava allora il quattordicesimo anno, e che in quella vita
perigliosa aveva acquistata un fierezza ed energia unica, quantunque sembrasse
un'esile bambina, aveva cercato di ribellarsi ai voleri dello zio, credendo di
non potersi abituare a quell'isolamento e a quella vita quasi selvaggia, ma il
lupo di mare, che pareva non nutrisse molta affezione per lei, era rimasto
inflessibile.
Costretta a
subire quella strana prigionia, si era interamente data a completare la propria
educazione, che fino allora non aveva avuto tempo di curare. Dotata di una
tenace volontà, a poco a poco aveva modificato gl'impeti feroci, contratti in
quelle aspre e sanguinose battaglie, e quella ruvidità contratta nel continuo
contatto colla gente di mare. Era così diventata una appassionata cultrice
della musica, dei fiori, delle arti belle, mercé le istruzioni di un'antica
confidente di sua madre, spenta più tardi dall'ardente clima tropicale. Col
progredire dell'educazione, pur conservando in fondo all'anima qualche cosa
dell'antica fierezza, era diventata buona, generosa, caritatevole.
Non aveva
abbandonata la passione per le armi e gli esercizi violenti, e ben spesso,
indomita amazzone, percorreva i grandi boschi, inseguendo perfino le tigri, o
pari ad una najade si tuffava intrepidamente nelle azzurre onde del mar
Malese; ma più sovente si trovava là ove la miseria o la sventura infieriva,
recando soccorsi a tutti gli indigeni dei dintorni, a quegli indigeni che lord
James odiava a morte, come discendenti di antichi pirati.
E così quella
fanciulla, colla sua intrepidezza e la sua bontà e per la sua bellezza, si era
meritata quel soprannome di «Perla di Labuan», soprannome volato così lontano e
che aveva fatto battere il cuore della formidabile Tigre della Malesia. Ma
sotto quei boschi, quasi lontana da ogni creatura civile, la bambina, diventata
ragazza, non si era mai accorta di essere donna; ma quando ebbe veduto quel
fiero pirata, senza sapere il perché, ella aveva provato uno strano turbamento.
Cos'era? Ella lo ignorava, ma si vedeva sempre dinanzi agli occhi, e alla notte
le appariva in sogno, quell'uomo dalla figura così fiera, che aveva la nobiltà
di un sultano e che possedeva la galanteria d'un cavaliere europeo, quell'uomo
dagli occhi scintillanti, dai lunghi capelli neri e quel viso su cui leggevasi
a chiare parole un coraggio più che indomito e un'energia più unica che rara.
Dopo d'averlo affascinato coi suoi occhi, colla sua voce, colla sua bellezza,
era rimasta a sua volta affascinata e vinta.
Aveva
dapprima cercato di reagire contro quel battito del cuore, che per lei era
nuovo, come era nuovo per Sandokan, ma invano. Sentiva sempre che una forza irresistibile
la spingeva a rivedere quell'uomo e che non ritrovava la calma di prima che
presso di lui; si sentiva solamente felice quando si trovava al letto di lui e
quando gli leniva gli acuti dolori della ferita col suo chiacchierìo, coi suoi
sorrisi, colla sua impareggiabile voce e colla sua mandola. E bisognava vederlo
in quei momenti, Sandokan, quando ella cantava le dolci canzoni del lontano
paese natìo, accompagnandole coi delicati suoni del melodioso istrumento.
Allora non
era più la Tigre della Malesia, non era più il sanguinario pirata. Muto,
anelante, madido di sudore, rattenendo il respiro, per non turbare coll'alito
quella voce argentina e melodiosa, ascoltava come un uomo che sogna, come se
avesse voluto imprimersi nella mente quella lingua sconosciuta che lo
inebriava, che gli soffocava le torture della ferita, e quando la voce, dopo
aver vibrato un'ultima volta, moriva coll'ultima nota della mandola, lo si
vedeva rimanere a lungo in quella posa, colle braccia tese come se volesse
attirare a sé la fanciulla, collo sguardo fiammeggiante fisso in quello umido
di lei, col cuore sospeso e gli orecchie tesi come se ascoltasse ancora.
In quei
momenti egli non si ricordava più di essere la Tigre, dimenticava la sua
Mompracem, i suoi prahos, i suoi tigrotti e il portoghese, che forse in
quell'ora, credendolo per sempre spento, vendicava la sua morte chissà con
quali sanguinose rappresaglie.
I giorni così
volavano rapidi e la guarigione, potentemente aiutata dalla passione che gli
divorava il sangue, procedeva rapida.
Nel
pomeriggio del quindicesimo giorno il lord, entrato improvvisamente,
trovò il pirata in piedi, pronto ad uscire.
- Oh! mio
degno amico! - esclamò allegramente. - Sono ben contento di vedervi in piedi!
- Non mi era
più possibile rimanere a letto, milord - rispose Sandokan. - D'altronde mi
sento tanto forte da lottare con una tigre.
- Benissimo,
allora vi metterò presto alla prova!
- In qual
modo?
- Ho invitato
alcuni buoni amici alla caccia d'una tigre che viene sovente a ronzare presso
le mura del mio parco. Giacché vi vedo guarito, stasera andrò ad avvertirli che
domani mattina cacciamo la belva.
- Sarò della
partita, milord.
- Lo
credo, ma ditemi ora, spero che rimarrete qualche tempo mio ospite.
- Milord,
gravi affari mi chiamano altrove e bisogna che mi affretti a lasciarvi.
- Lasciarmi!
Non pensatelo, per gli affari vi è sempre tempo e vi avverto che io non vi
lascerò partire prima di qualche mese; orsù promettetemi di restare.
Sandokan lo
guardò con due occhi che mandavano lampi. Per lui, rimanere in quella villa,
presso la giovanetta che lo aveva affascinato, era la vita, era tutto. Non
chiedeva di più per il momento.
Che importava
a lui che i pirati di Mompracem lo piangessero come morto, quando poteva
rivedere per molti giorni ancora quella divina fanciulla? Che importava a lui
del suo fedele Yanez, che forse lo cercava ansiosamente sulle sponde
dell'isola, giuocando la propria esistenza, quando Marianna cominciava ad
amarlo? E che importava a lui se non udiva più il tuonare delle fumanti
artiglierie, quando poteva ancora udire la voce deliziosa della donna amata, o
provare le terribili emozioni delle battaglie, quando lei gli faceva provare
delle emozioni più sublimi? E che importava infine a lui se correva il pericolo
di venire scoperto, forse preso, forse ucciso, quando poteva ancora respirare
la medesima aria che alimentava la sua Marianna, vivere in mezzo ai grandi
boschi dove viveva lei?
Tutto avrebbe
dimenticato per continuare ancora così per cento anni, la sua Mompracem, i suoi
tigrotti, i suoi legni e perfino le sue sanguinose vendette.
- Sì, milord,
io rimarrò finché vorrete - disse egli, con impeto. - Accetto l'ospitalità
che voi cordialmente mi offrite e se mai un giorno, non dimenticate queste
parole, milord, noi dovremmo incontrarci non più amici, ma fieri nemici,
colle armi in pugno, saprò allora ricordarmi la riconoscenza che vi devo.
L'inglese lo
guardò stupefatto.
- Perché mi
parlate così? - chiese.
- Forse un
giorno lo saprete - rispose Sandokan, con voce grave.
- Non voglio
indagare per ora i vostri segreti - disse il lord, sorridendo. -
Aspetterò quel giorno.
Trasse
l'orologio e guardò.
- Bisogna che
parta subito, se devo avvisare gli amici della caccia che intraprenderemo.
Addio, mio caro principe - disse.
Stava per
uscire, quando si fermò, dicendo:
- Se vorrete
scendere nel parco, troverete mia nipote, che spero vi terrà buona compagnia.
- Grazie, milord.
Era quello
che Sandokan desiderava; di potersi trovare, anche per pochi minuti, solo con
la giovanetta, forse per svelare la gigantesca passione che divoravagli il
cuore.
Appena si
vide solo, si avvicinò rapidamente ad una finestra che guardava su di un immenso
parco.
Là, all'ombra
di una magnolia di Cina tempestata di fiori dall'acuto profumo, seduta sul
tronco rovesciato di una arenga, stava la giovane lady. Era sola,
in atteggiamento pensoso, colla mandola sulle ginocchia. A Sandokan parve una
celeste visione. Tutto il sangue gli affluì al capo, e il cuore si mise a
battergli con veemenza indescrivibile.
Egli rimase
lì, cogli occhi ardentemente fissi sulla giovanetta, rattenendo perfino il
respiro, come se avesse paura di turbarla.
Ad un tratto
però diede indietro, mandando un grido soffocato, che parve un lontano ruggito.
La faccia si alterò spaventosamente, prendendo una feroce espressione.
La Tigre
della Malesia, fino allora affascinata, stregata, ora che si sentiva guarita,
improvvisamente si risvegliava. Tornava l'uomo feroce, spietato, sanguinario,
dal cuore inaccessibile ad ogni passione.
- Che cosa
sto per fare io? - esclamò, con voce rauca, passandosi le mani sull'ardente
fronte. - Ma che sia proprio vero che io amo quella fanciulla? È stato un sogno
od una inesplicabile pazzia? Che io non sia più il pirata di Mompracem, per
sentirmi attratto da una forza irresistibile verso quella figlia di una razza,
alla quale io ho giurato odio eterno?
«Io amare!...
Io che non ho provato altro che impeti di odio e che porto il nome di una belva
sanguinaria!... Dimenticherei io forse la mia selvaggia Mompracem, i miei
fedeli tigrotti, il mio Yanez, che mi aspettano chissà mai in quali ansie?
Dimentico io forse che i compatrioti di quella fanciulla, non aspettano che il
momento propizio per distruggere la mia potenza?
«Via questa
visione che mi ha perseguitato per tante notti, via questi fremiti che sono
indegni della Tigre della Malesia! Spegniamo questo vulcano che mi arde il
cuore e facciamo invece sorgere mille abissi fra me e quella sirena
incantatrice!...
«Su, Tigre,
fa' udire il tuo ruggito, seppellisci la riconoscenza che devi a queste persone
che ti hanno curato, va', fuggi lontano da questi luoghi ritorna a quel mare
che senza volerlo ti spinse su queste spiagge, ritorna il temuto pirata della
formidabile Mompracem!»
Sandokan così
parlando si era rizzato dinanzi alla finestra coi pugni chiusi e i denti
stretti, tutto fremente di collera.
Gli parve di
essere diventato un gigante e di udire in lontananza le urla dei suoi tigrotti
che lo chiamavano alla pugna e il rombare delle artiglierie.
Tuttavia egli
rimase là, come inchiodato dinanzi alla finestra, trattenuto da una forza
superiore al suo furore, cogli occhi sempre ardentemente fissi sulla giovane lady.
- Marianna! -
esclamò ad un tratto. - Marianna!
A quel nome
adorato, quel trabocco d'ira e d'odio sfumò come nebbia al sole. La Tigre
tornava uomo e per di più amante!...
Le sue mani
corsero involontariamente al gancio e con un rapido gesto aprì la finestra.
Un buffo
d'aria tiepida, carico del profumo di mille fiori, entrò nella stanza. Nel
respirare quei profumi balsamici, il pirata si sentì inebriare e ridestarsi nel
cuore, più forte che mai, quella passione che un momento prima aveva cercato di
soffocare.
Si curvò sul
davanzale ed ammirò in silenzio, fremente, delirante, la vaga lady. Una
febbre intensa lo divorava, il fuoco gli guizzava per le vene riversandosi nel
cuore, nubi rosse gli correvano dinanzi agli occhi, ma anche in mezzo a queste
vedeva sempre colei che l'aveva stregato.
Quanto rimase
là? Molto tempo senza dubbio, poiché quando si scosse, la giovane lady non
era più nel parco, il sole era tramontato, le tenebre erano calate e in cielo
scintillavano miriadi di stelle.
Si mise a
passeggiare per la stanza, colle mani incrociate sul petto e la testa china,
assorto in cupi pensieri.
- Guarda! -
esclamò, ritornando verso la finestra ed esponendo la fronte ardente alla
fresca aria della notte. - Qui la felicità, qui una nuova vita, qui una nuova
ebbrezza, dolce, tranquilla; laggiù Mompracem, una vita tempestosa, uragani di
ferro, tuonar di artiglierie, carneficine sanguinose, i miei rapidi prahos, i
miei tigrotti, il mio buon Yanez!.. Quale di queste due vite?
«Eppure tutto
il mio sangue arde, quando io penso a questi fanciulla che mi ha fatto battere
il cuore ancora prima che la vedessi, e nelle vene mi sento correre del bronzo
fuso, quando io penso a lei! Si direbbe che io l'antepongo ai miei tigrotti e
alle mie vendette! Eppur sento vergogne di me, pensando che ella è figlia di
quella razza che io odio così profondamente! Se la dimenticassi?
«Ah! tu
sanguini mio povero cuore, tu non lo vuoi adunque?
«Prima ero il
terrore di questi mari, prima non avevo mai saputo cosa fosse affetto, prima
non avevo gustato che l'ebbrezza delle battaglie e del sangue... ed or sento
che non potrei gustare più nulla lontano da lei!...»
Si tacque
porgendo ascolto allo stormire delle fronde e al sibilo del suo sangue.
- E se
frapponessi fra me e quella donna divina la foresta, poi il mare, poi
dell'odio?... - riprese egli. - Dell'odio! E potrei io odiare costei? Eppure
bisogna che io fugga, che ritorni alla mia Mompracem, fra i miei tigrotti!...
Se io rimanessi qui la febbre finirebbe per divorare tutta la mia energia, sento
che spegnerei per sempre la mia potenza, che non sarei più la Tigre della
Malesia... Orsù, partiamo!
Guardò giù:
tre soli metri lo dividevano dal suolo. Tese gli orecchie non udì rumore
alcuno.
Scavalcò il
davanzale, e saltò leggermente fra le aiuole e si diresse verso l'albero, sul
quale poche ore prima erasi assisa Marianna.
- Era qui che
ella riposava - mormorò egli con voce triste. - Oh! quanto eri bella o
Marianna!... Ed io non ti rivedrò più mai!... E non udrò più mai la tua voce,
più... più!...
Si curvò
sull'albero e raccolse un fiore, una rosa dei boschi, che la giovane lady aveva
lasciata cadere. L'ammirò a lungo, la fiutò più volte, e appassionatamente se
la nascose in petto, quindi mosse rapidamente verso la cinta del parco
mormorando:
- Andiamo
Sandokan; tutto è finito!...
Era giunto
sotto a palizzata e stava per prendere lo slancio, quando retrocesse vivamente,
colle mani nei capelli, lo sguardo torvo, emettendo una specie di singhiozzo.
- No!...
No!... - esclamò egli, con accento disperato. - Non posso, non posso!... Che si
inabissi Mompracem, che si uccidano i miei tigrotti, che si disperda la mia
potenza, io rimango!...
Si mise a
correre nel parco come se avesse paura di ritrovarsi sotto le palizzate
della cinta, e non si arrestò che sotto le finestre della sua stanza. Esitò
un'altra volta, poi con un salto si aggrappò al ramo di un albero e raggiunse
il davanzale.
Quando si
ritrovò in quella casa che aveva lasciata colla ferma decisione di mai più
ritornarvi, un secondo singhiozzo gli rumoreggiò in fondo alla gola.
- Ah!... -
esclamò egli. - La Tigre della Malesia sta per tramontare!...
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