LA CANOA DI
GIRO-BATOL
La capanna di
Giro-Batol sorgeva proprio nel mezzo di quel fittissimo macchione, fra due
colossali pombo i quali, coll'enorme massa delle loro fronde, la
riparavano completamente dai raggi del sole.
Era una
catapecchia più che una abitazione, appena capace di ricoverare qualche coppia
di selvaggi, bassa, stretta, col tetto formato di foglie di banano, sovrapposte
a strati e le pareti di rami intrecciati grossolanamente. L'unica apertura era
la porta, di finestre nessuna traccia. L'interno non valeva certo di più! Non
vi si trovavano che un letto di foglie secche, due rozze pentole d'argilla male
cotta e due sassi che dovevano servire da focolare.
V'erano però
dei viveri in abbondanza, delle frutta di ogni specie e anche un mezzo
babirussa di pochi mesi, sospeso al tetto per le gambe posteriori.
- La mia
capanna non vale gran cosa, capitano - disse Giro-Batol. - Qui però potete
riposarvi a vostro agio senza tema di venire disturbato.
«Perfino gli
indigeni dei dintorni ignorano che qui si trova un rifugio. Se volete dormire
posso offrirvi questo letto di fresche foglie tagliate questa mattina; se avete
sete ho una pentola ripiena di acqua fresca e se avete fame delle frutta e
delle deliziose costolette.»
- Non domando
di più, mio bravo Giro-Batol - rispose Sandokan. - Non speravo di trovare
tanto.
- Concedetemi
una mezz'ora per arrostirvi un pezzo di babirussa. Intanto potrete saccheggiare
la mia dispensa.
«Ecco qui
degli ananassi eccellenti, delle banane profumate, dei pombo succulenti
come ne avete mai gustati a Mompracem, delle frutta d'artocarpo d'inverosimile
grossezza e dei durion che sono migliori della crema. Tutto è a vostra
disposizione.»
- Grazie,
Giro-Batol. Ne approfitterò perché sono affamato come una tigre a digiuno da
una settimana.
- Intanto
accenderò il fuoco.
- Non si
scorgerà il fumo?
- Oh!... non
temete, mio capitano. Gli alberi sono così alti, e così fitti che non lo
permetteranno.
Sandokan, che
era assai affamato in causa di quelle lunghe marce attraverso la foresta,
assalì un cavolo palmista che non pesava meno di venti libre e si mise a
sgretolare quella sostanza bianca e dolce che gli rammentava il sapore delle
mandorle.
Intanto il
malese, accumulato sul focolare dei rami secchi, li accendeva servendosi per
fare ciò di due pezzetti di bambù spaccati per metà. È assai curioso il sistema
usato dai malesi per procurarsi il fuoco senza aver bisogno di zolfanelli.
Prendono due
bambù spaccati e sulla superficie convessa di uno fanno una intaccatura.
Coll'altra si
comincia a fregare su quel taglio, adoperando la costa, dapprima lentamente poi
sempre più in fretta. Il pulviscolo generato da quello sfregamento a poco a
poco si incendia e cade sopra un po' di esca di fibra di gomut. L'operazione
è assai facile e rapida e non richiede una speciale abilità.
Giro-Batol
mise ad arrostire un bel pezzo di babirussa infilato in una bacchetta verde,
sostenuta da due rami forcuti infissi al suolo, poi andò a frugare sotto un
mucchio di foglie verdi traendo un vaso il quale esalava un profumo poco
promettente, ma che faceva dilatare le narici al selvaggio figlio della foresta
malese.
- Cosa mi
offri, Giro-Batol? - chiese Sandokan.
- Un piatto
delizioso, mio capitano. Sandokan guardò entro il vaso e fece una smorfia.
- Preferisco
le costolette di babirussa, amico mio. Il blaciang non è fatto per me.
Grazie egualmente della tua buona intenzione.
- L'avevo
serbato per le straordinarie occasioni, mio capitano - disse il malese
mortificato.
- Sai bene
che io non sono un malese. Finché io saccheggio le tue frutta, manda giù il tuo
famoso piatto. In mare si guasterebbe.
Il malese non
se lo fece dire due volte e assalì ingordamente la pentola manifestando un
grande piacere.
Il blaciang
è avidamente ricercato dai malesi i quali, in fatto di alimenti, possono
dare dei punti ai cinesi, i meno schizzinosi di tutti i popoli. Non sdegnano i
serpenti, non le bestie già in putrefazione, i vermi in salsa e nemmeno le
larve delle termiti, per le quali anzi fanno delle vere pazzie.
Il blaciang
passa però ogni immaginazione. È un miscuglio di gamberetti e di piccoli
pesci tritati insieme, lasciati marcire al sole e poi salati. L'odore che esala
da quell'impasto è tale da non poter reggere, anzi fa venir male. I malesi ed
anche i giavanesi sono tuttavia ghiottissimi per quel piatto immondo e lo
preferiscono ai polli e alle costolette succolenti dei babirussa. Mentre
attendevano l'arrosto avevano ripresa la conversazione.
- Partiremo
questa notte, è vero mio capitano? - chiese Giro-Batol.
- Sì, appena
la luna sarà tramontata - rispose Sandokan.
- Sarà libera
la via?
- Lo spero.
- Temo sempre
un altro cattivo incontro, mio capitano.
- Non
preoccuparti, Giro-Batol. Non si possono avere dei sospetti su di un sergente.
- E se
qualcuno vi riconoscesse anche sotto quelle vesti?
- Non vi sono
che pochissime persone che mi conoscono e sono certo che quelle non le
ritroverò sui miei passi.
- Avete fatto
delle relazioni adunque?
- E con delle
persone importanti, con baroni e conti - disse Sandokan.
- Voi la
Tigre della Malesia? - esclamò Giro-Batol, stupito.
Poi guardando
Sandokan con un certo imbarazzo, gli chiese esitando:
- E la
fanciulla bianca?
- La Tigre
della Malesia rialzò bruscamente il capo, fissò sul malese uno sguardo che
mandava cupi bagliori, poi con un sospiro profondo, disse:
- Taci,
Giro-Batol. Taci! Non risvegliare in me terribili ricordi!...
Stette alcuni
istanti silenzioso, tenendosi il capo stretto fra le mani e gli occhi fissi nel
vuoto poi parlando come fra sé, riprese:
- Ritorneremo
presto, qui, su quest'isola. Il destino sarà più potente della mia volontà e
poi... anche a Mompracem, fra i miei valorosi, come dimenticarla? La sconfitta
non bastava adunque? Dovevo lasciare anche il cuore su quest'isola
maledetta!...
- Di chi
parlate, mio capitano? - chiese Giro-Batol, al colmo della sorpresa. Sandokan
si passò una mano sugli occhi come se volesse cancellare una visione, poi
scuotendosi, disse:
- Non
chiedermi nulla, Giro-Batol.
- Ma
ritorneremo qui, è vero?
- Sì.
- E
vendicheremo i nostri compagni morti combattendo sulle spiagge di questa terra
esecrata.
- Sì, ma
forse sarebbe meglio per me di non riveder più mai questa isola.
- Cosa dite
capitano?
- Dico che
quest'isola potrà dare un colpo mortale alla potenza di Mompracem e forse
incatenare per sempre la Tigre della Malesia.
- Voi, così
forte e così tremendo? Oh! voi non potete avere paura dei leopardi
dell'Inghilterra.
- No, di loro
no, ma... chi potrà leggere nel destino? Le mie braccia sono ancora formidabili
ed il cuore lo sarà?
- Il cuore!
Non vi comprendo mio capitano.
- Meglio
così. A tavola Giro-Batol. Non pensiamo al passato.
- Voi mi fate
paura, capitano.
- Taci
Giro-Batol - disse Sandokan con accento imperioso.
Il malese non
osò continuare. Levò l'arrosto che mandava un profumo appetitoso, lo depose su
di una larga foglia di banano e lo offrì a Sandokan, poi andò a frugare in un
angolo della catapecchia e da un buco levò una bottiglia semispezzata, ma
accuratamente coperta con un cartoccio formato con una delle fibre di rotang
abilmente intrecciata.
- Del gin,
mio capitano - disse guardando quella bottiglia con due occhi ardenti. - Ho
dovuto lavorare non poco per carpirla agl'indigeni e la serbavo per
rinvigorirmi in mare. Potete vuotarla fino all'ultima goccia.
- Grazie,
Giro-Batol - rispose Sandokan con un mesto sorriso. - La divideremo
fraternamente.
Sandokan
mangiò in silenzio facendo minore onore al pasto di quanto aveva creduto il
bravo malese, bevette qualche sorso di gin poi si stese sulle fresche foglie,
dicendo:
- Riposiamo
alcune ore. Intanto calerà la sera e poi dovremo aspettare che la luna
tramonti.
Il malese
chiuse accuratamente la capanna, spense il fuoco e vuotata la bottiglia si
aggomitolò in un angolo sognando già di trovarsi a Mompracem. Sandokan invece,
quantunque fosse stanchissimo avendo camminato l'intera notte precedente, non
fu capace di chiudere gli occhi.
Non era già
per la tema di venire, da un istante all'altro sorpreso dai nemici, non essendo
possibile che essi potessero trovare quella capanna così ben celata agli
sguardi di tutti. Era il pensiero della giovane inglese che lo teneva desto.
Cos'era accaduto di Marianna dopo gli avvenimenti successi? Cos'era avvenuto
fra lei e lord James?... E quali accordi erano passati fra il vecchio lupo di
mare ed il baronetto William Rosenthal? L'avrebbe ritrovata ancora a Labuan ed
ancora libera al suo ritorno? Quale tremenda gelosia ardeva nel cuore del
formidabile pirata! E nulla poter fare per quella donna amata! Nulla, fuorché
fuggire per non cadere sotto i colpi degli odiati avversari!...
- Ah! -
esclamava Sandokan, dimenandosi sul letto di foglie, - darei mezzo del mio
sangue per trovarmi ancora presso quella fanciulla che ha saputo far palpitare
il cuore della Tigre della Malesia!...
«Povera
Marianna! Chi sa quali angosce la tormenteranno. Forse mi crederà vinto,
ferito, fors'anche morto!...
«I miei
tesori, i miei vascelli, la mia isola per poterle dire che la Tigre della
Malesia è ancora viva e che la ricorderà sempre...!
«Orsù,
coraggio!... Questa notte lascerò quest'isola maledetta portando con me la sua
promessa, ma ritornerò dovessi trascinare con me fino l'ultimo mio uomo;
dovessi impegnare una lotta disperata contro tutte le forze di Labuan; dovessi
subire un'altra sconfitta e venire nuovamente ferito.»
Sandokan,
così pensando, attese che il sole fosse tramontato, poi, quando le tenebre
ebbero invasa la capanna e la macchia, svegliò Giro-Batol il quale russava come
un tapiro.
- Andiamo,
malese - gli disse. - Il cielo s'è coperto di nubi, quindi è inutile aspettare
che la luna tramonti. Vieni subito perché sento che se io dovessi rimanere qui
ancora qualche ora di più, rifiuterei di seguirti.
- E voi
lascereste Mompracem per quest'isola maledetta?
- Taci
Giro-Batol - disse Sandokan quasi con ira. - Dove si trova la tua canoa?...
- A dieci
minuti di strada.
- È così
vicino adunque il mare?
- Sì, Tigre
della Malesia.
- Vi hai
messo dei viveri dentro?
- Ho pensato
a tutto, capitano. Non mancano né frutta, né acqua, né i remi e nemmeno la
vela.
- Partiamo,
Giro-Batol.
Il malese
prese un pezzo d'arrosto che aveva messo da parte, s'armò d'un nodoso bastone e
seguì Sandokan.
- La notte
non poteva essere più propizia - disse, guardando il cielo che erasi coperto di
nuvoloni. - Prenderemo il largo senza venire scorti.
Attraversata
la macchia, Giro-Batol, sostò un momento per ascoltare, poi rassicurato dal
profondo silenzio che regnava nella foresta, riprese la marcia piegando verso
l'ovest.
L'oscurità
era fittissima sotto quei grandi alberi, ma il malese ci vedeva anche di notte
forse meglio dei gatti e poi era pratico dei luoghi. Ora strisciando fra le
centomila radici che ingombravano il suolo, ora issandosi fra le fitte reti
intrecciate dai lunghissimi calamus e dai nepentes ed ora
superando dei tronchi colossali caduti forse per decrepitezza, Giro-Batol
s'avanzava sempre più nella tenebrosa foresta senza mai deviare. Sandokan cupo,
taciturno, lo seguiva da vicino, imitando tutte quelle manovre.
Se un raggio
di luna avesse illuminato il volto del fiero pirata, lo avrebbe mostrato
alterato da un intenso dolore.
A quell'uomo
che venti giorni prima avrebbe dato la metà del suo sangue per potersi trovare
a Mompracem, ora riusciva immensamente penoso l'abbandonare quell'isola sulla
quale lasciava sola, ed indifesa, la donna che amava alla follia.
Ogni passo
che l'avvicinava al mare si ripercuoteva nel suo petto come un colpo di
pugnale, e parevagli che la distanza, che lo separava dalla «Perla di Labuan»,
crescesse di minuto in minuto enormemente.
Certi momenti
egli si arrestava indeciso se dovesse tornare o andare innanzi, ma il malese
che si sentiva scottare il terreno sotto i piedi e che sospirava l'istante di
imbarcarsi lo decideva a continuare la via facendogli osservare quanto fosse
pericoloso il minimo ritardo.
Camminavano
da un mezz'ora, quando Giro-Batol si arrestò improvvisamente, tendendo gli
orecchie.
- Udite
questo fragore? - chiese.
- L'odo: è il
mare - rispose Sandokan. - Dov'è la canoa?
- Qui presso.
Il malese guidò
Sandokan attraverso una fitta cortina di fogliame e passata questa gli mostrò
il mare che brontolava, infrangendosi sui banchi dell'isola.
- Vedete
nulla? - chiese.
- Nulla -
rispose Sandokan i cui occhi percorsero rapidamente l'orizzonte.
- La fortuna
è con noi: gli incrociatori dormono ancora.
Scese la
sponda, rimosse i rami di un albero e mostrò un'imbarcazione che si cullava nel
fondo di un piccolo seno.
Era una
barcaccia scavata nel tronco di un grosso albero, col fuoco e con la scure,
somigliante a quelle che adoperano gli indiani del fiume Amazzoni e i
polinesiani del Pacifico.
Sfidare il
mare con simile barca di forme barocche era una temerità senza pari, poiché
sarebbero bastate poche onde per rovesciarla, ma i due pirati non erano persone
da spaventarsi.
Giro-Batol fu
il primo a balzarvi dentro ed alzare un alberetto a cui aveva adattata una
piccola vela di fibre vegetali accuratamente intrecciate.
- Venite
capitano - diss'egli disponendosi a prendere i remi. - Fra pochi minuti la via
potrebbe esserci tagliata.
Sandokan,
cupo, colla testa china e le braccia sul petto, stava ancora a terra guardando
verso l'est, come se cercasse di discernere, fra la profonda oscurità ed i
grandi alberi, l'abitazione della «Perla di Labuan». Pareva che ignorasse che
il momento della fuga era giunto e che un piccolo ritardo poteva riuscirgli
fatale.
- Capitano -
ripetè il malese. - Volete farvi prendere dagli incrociatori? Venite, venite, o
sarà troppo tardi.
- Ti seguo -
rispose Sandokan con voce triste. Balzò nella canoa, chiudendo gli occhi e
mandando un profondo sospiro.
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