L'ASSALTO DELLA
PANTERA
Due
formidabili nemici stavano di fronte ai due pirati; l'uno non meno pericoloso
dell'altro, ma pareva pel momento non avessero alcuna intenzione di occuparsi
dei due uomini poiché, invece di scendere lungo il torrente, si muovevano
rapidamente incontro come se avessero avuto intenzione di misurare le loro
forze. L'animale che Sandokan aveva chiamato hariman-bintang era una
splendida pantera della Sonda; l'altro invece era uno di quei grandi scimmioni,
un urang-outan, che sono ancora così numerosi nel Borneo e nelle isole
vicine e che sono sì tanto temuti per la loro forza prodigiosa e anche per la
loro ferocia.
La pantera
forse affamata, vedendo l'uomo dei boschi passare sulla riva opposta, s'era
prontamente slanciata su di un grosso ramo che si curvava quasi orizzontalmente
sulla corrente, formando una specie di ponte
Come si
disse, era una fiera bellissima e altrettanto pericolosa anche.
Aveva la
taglia e un po' anche l'aspetto di una piccola tigre, colla testa invece più
rotonda e poco sviluppata, gambe corte e robuste ed il pelame giallo oscuro a
macchie ed a rosette più fosche.
Doveva
misurare almeno un metro e mezzo di lunghezza, quindi doveva essere una delle
più grosse della famiglia.
Il suo
avversario era un brutto scimmione, alto circa un metro e quaranta centimetri,
ma con delle braccia così smisurate da toccare i due metri e mezzo
complessivamente.
La sua
faccia, assai larga e rugosa, aveva un aspetto ferocissimo, specialmente con
quegli occhietti infossati e mobilissimi e quel pelame rossastro che la
incorniciava.
Il petto di
quel quadrumane aveva uno sviluppo veramente enorme ed i muscoli delle braccia
e delle gambe formavano delle vere nodosità, indizio di una forza prodigiosa.
Questi
scimmioni, che gl'indigeni chiamano meias, miass e anche maias, abitano
nel più folto dei boschi e preferiscono le regioni piuttosto basse e umide.
Si
costruiscono dei nidi assai spaziosi sulle cime degli alberi, adoperando dei
rami grossissimi che sanno disporre abilmente in forma di croce. Sono di umore
piuttosto triste e non amano la compagnia. Ordinariamente evitano l'uomo e
anche gli altri animali; minacciati però o irritati, diventano tremendi e quasi
sempre la loro forza straordinaria trionfa sugli avversari.
Il maias, udendo
il rauco brontolìo della pantera, si era arrestato di colpo. Egli si trovava
sulla riva opposta del piccolo corso d'acqua, dinanzi ad un gigantesco durion,
il quale lanciava il suo splendido ombrello di foglie a sessanta metri dal
suolo.
Probabilmente
era stato sorpreso nel momento in cui stava per dare la scalata all'albero onde
saccheggiarlo delle sue numerose frutta.
Vedendo
quella pericolosa vicina, dapprima si era accontentato di guardarla più con
stupore che con ira, poi tutto d'un tratto aveva mandato due o tre fischi
gutturali, indizio d'un prossimo scoppio di collera.
- Io credo
che noi assisteremo ad una terribile lotta fra quei due animalacci - disse
Yanez che s'era ben guardato dal muoversi.
- Non l'hanno
con noi, finora - rispose Sandokan. - Temevo che ci volessero attaccare.
- Anch'io,
fratellino mio. Vuoi che cambiamo rotta?
Sandokan
guardò le due rive e vide che in quel luogo era impossibile dare la scalata e
cacciarsi nella foresta.
Due vere
muraglie di tronchi, di foglie, di spine, di radici e di liane, rinchiudevano
il corso d'acqua. Per aprirsi il passo avrebbero dovuto mettere mano ai kriss e
lavorare per bene.
- Non
possiamo salire - disse. - Al primo colpo di coltello, maias e pantera
si getterebbero contro di noi di comune accordo. Restiamo qui e cerchiamo di
non farci scorgere. La lotta non sarà lunga.
- Dovremo poi
affrontare il vincitore.
-
Probabilmente si troverà in così cattive condizioni da non contrastarci il
passo.
- Ci
siamo!... La pantera s'impazienta.
- Ed il maias
non ne può più dal desiderio di fracassare le costole alla vicina.
- Arma il
fucile, Sandokan. Non si sa mai quello che può accadere.
- Sono pronto
a fucilare l'una e l'altro e...
Un ululato
spaventoso somigliante un po' al muggito di un toro in furore gli troncò la
parola.
L'urang'outan
aveva raggiunto il colmo della rabbia.
Vedendo che
la pantera non si decideva ad abbandonare il ramo e scendere verso la riva, l'urang-outan
si fece minacciosamente innanzi, mandando un secondo ululato e
percuotendosi fortemente il petto il quale risuonava come un tamburone.
Quello
scimmione faceva paura. Il suo pelame rossastro era diventato irto, il suo
volto aveva assunto un'espressione d'inaudita ferocia ed i suoi lunghi denti,
che sono così solidi da schiacciare la canna d'un fucile come un semplice
bastoncino, stridevano.
La pantera,
vedendolo accostarsi, si era rannicchiata su se stessa come se si preparasse a
slanciarsi, però non pareva che avesse fretta ad abbandonare il ramo. L'urang-outan
con un piede si aggrappò ad una grossa radice serpeggiante al suolo, poi
sporgendosi sul fiume prese con ambo le mani il ramo su cui tenevasi
l'avversario e lo scosse con forza erculea facendolo scricchiolare. La scossa
fu così potente che la pantera, non ostante avesse piantati nel legno i suoi
acuti artigli, non potè reggere e cadde nel fiume.
Fu però un
lampo. Aveva appena toccata l'acqua che si era già slanciata nuovamente sul
ramo.
Sostò un
momento, quindi si avventò a corpo perduto sulla scimmia gigante, piantandogli
le unghie sulle spalle e nelle cosce.
Il quadrumane
aveva mandato un ululato di dolore. Il sangue era subito sgorgato e scorreva
fra i peli gocciolando nel fiumicello.
Soddisfatta
del felice risultato di quel fulmineo attacco, la fiera cercò di staccarsi per
riguadagnare il ramo prima che l'avversario tornasse alla riscossa.
Con un
capitombolo magistrale volteggiò su se stessa, servendosi del largo petto della
scimmia come un punto d'appoggio e scattò indietro.
Le due zampe
s'aggrapparono al ramo cacciando le unghie nella corteccia, ma non potè però
spingersi più innanzi, come ne avrebbe avuta l'intenzione.
L'urang'outan,
malgrado le spaventevoli lacerazioni, aveva allungate rapidamente le
braccia e aveva afferrata la coda dell'avversaria.
Quelle mani,
dotate d'una forza terribile, non dovevano più lasciare quell'appendice. Esse
si strinsero come due morse, strappando alla fiera un mugolìo di dolore.
- Povera
pantera - disse Yanez, che seguiva con vivo interesse le diverse fasi di quella
lotta selvaggia.
- È perduta -
disse Sandokan. - Se la coda non si strappa, cosa impossibile, non sfuggirà più
alle strette del maias.
Il pirata non
doveva ingannarsi. L'urang-outan, sentendosi fra le mani la coda, era
balzato innanzi salendo sul ramo.
Radunando le
sue forze, sollevò di peso la fiera, la fece volteggiare in aria come se fosse
un topo, poi la scagliò con impeto irresistibile contro l'enorme tronco del durion.
Si udì un
colpo secco, come d'una scatola ossea che s'infrange; indi la povera bestia,
abbandonata dal suo nemico, rotolò inanimata al suolo, scivolando poi fra le
nere acque del fiumicello.
Il cranio,
spaccato di colpo, aveva lasciato sul tronco dell'albero una grande chiazza
sanguigna mista a brani di materia cerebrale.
- Per
Giove!... che colpo maestro!... - mormorò Yanez. - Non credevo che quello
scimmione potesse sbarazzarsi così presto della pantera.
- Vince tutti
gli animali della foresta, perfino i serpenti pitoni - rispose Sandokan.
- C'è
pericolo che se la prenda anche con noi?...
- È tanto
irritato da non risparmiarci se ci vede.
- Mi pare
però che sia in ben cattive condizioni. Gronda sangue da tutte le parti.
- Sono però
animalacci i maias da sopravvivere anche dopo d'aver ricevuto parecchie
palle nel corpo.
- Vuoi che
attendiamo la sua partenza?
- Temo che la
cosa vada troppo per le lunghe.
- Non ha più
nulla da fare qui.
- Io ritengo
invece che abbia il suo nido su quel durion. Mi pare di scorgere fra il
fogliame una massa oscura e delle travi gettate trasversalmente fra i rami.
- Allora
bisogna tornare.
- Nemmeno a
questo ci penso. Dovremmo fare un giro immenso, Yanez.
- Fuciliamo
quello scimmione e andiamo innanzi seguendo questo ruscello.
- Era quello
che volevo proporti - disse Sandokan. - Siamo abili tiratori e sappiamo
lavorare di kriss meglio dei malesi. Avviciniamoci un po' onde non mancare ai
nostri colpi. Ci sono tanti rami qui da far deviare facilmente le nostre palle.
Mentre si preparavano
ad assalire l'urang-outan, questo si era accovacciato sulla riva del
fiumicello e si gettava colle mani dell'acqua sulle ferite.
La pantera
l'aveva conciato orribilmente. Le sue potenti unghie avevano lacerato le spalle
del povero scimmione e così profondamente da mettere a nudo le clavicole. Anche
le cosce erano state atrocemente dilaniate ed il sangue sgorgava copiosamente
formando al suolo una vera pozza. Dei gemiti, che avevano qualche cosa di
umano, uscivano di quando in quando dalle labbra del ferito, seguiti da ululati
feroci. Il bestione non si era ancora calmato e, anche in mezzo agli spasmi,
tradiva il suo selvaggio furore.
Sandokan e
Yanez si erano accostati alla riva opposta onde potersi cacciare prontamente
nella foresta, nel caso che avessero mancato ai loro colpi e che l'urang-outan
non fosse caduto sotto la doppia scarica.
Già si erano
arrestati dietro ad un grosso ramo che si slanciava sopra il fiumicello ed
avevano appoggiati su quello i loro fucili per meglio mirare, quando videro l'urang-outan
balzare improvvisamente in piedi percuotendosi furiosamente il petto e
digrignando i denti.
- Cos'ha? -
chiese Yanez. - Che ci abbia già scorti?
- No - disse
Sandokan. - Non è con noi che sta per prendersela.
- Che qualche
altro animale cerchi di sorprenderlo?
- Sta' zitto:
vedo dei rami e delle foglie a muoversi.
- Per
Giove!... Che siano gl'inglesi?
- Taci,
Yanez.
Sandokan si
issò silenziosamente sul ramo e, tenendosi nascosto dietro un cespo di rotang
scendente dall'alto, guardò verso la riva opposta, là dove si trovava l'urang-outan.
Qualcuno
s'avvicinava, muovendo con precauzione le foglie. Ignaro forse del grave
pericolo che l'attendeva, pareva che si dirigesse precisamente là dove s'alzava
il colossale durion.
Il gigantesco
quadrumane l'aveva già sentito e si era gettato dietro il tronco dell'albero,
pronto a piombare su quel nuovo avversario ed a metterlo a pezzi. Non gemeva né
urlava più; solamente un rauco respiro poteva tradire ancora la sua presenza.
- Dunque,
cosa succede? - chiese Yanez a Sandokan.
- Qualcuno si
avvicina incautamente al maias.
- Un uomo od
un animale?
- Non riesco
ancora a scorgere l'imprudente.
- Se fosse
qualche povero indigeno?
- Siamo qui
noi e non lasceremo tempo al quadrumane di massacrarlo. Eh!... Me l'ero immaginato.
Ho scorto una mano.
- Bianca o
nera?
- Nera,
Yanez. Mira l'urang-outan.
- Sono
pronto.
In
quell'istante si vide la scimmia gigante a precipitarsi in mezzo ad una fitta
macchia, mandando un ululato spaventevole.
I rami e le
foglie, strappate di colpo dalle possenti mani del bestione, caddero lasciando
vedere un uomo.
Si udì un
urlo di spavento seguito subito da due colpi di fucile. Sandokan e Yanez
avevano fatto fuoco.
Il
quadrumane, colpito in pieno dorso, si volse ululando e vedendo i due pirati,
senza più occuparsi dell'incauto che gli si era avvicinato, con un salto
immenso, balzò nel fiume.
Sandokan
aveva abbandonato il fucile e impugnato il kriss, risoluto ad impegnare una
lotta corpo a corpo. Yanez invece, balzato sul ramo, cercava di ricaricare
precipitosamente l'arma.
L'urang-outan,
quantunque nuovamente ferito, s'era scagliato addosso a Sandokan. Già stava
per allungare le villose zampe, quando si udì, sulla riva opposta un grido:
- Il
capitano.
Poi uno sparo
rintronò.
L'urang-outan
si era arrestato portandosi le mani al capo. Rimase un istante ritto,
dardeggiando su Sandokan un ultimo sguardo ripieno di rabbia feroce, poi
stramazzò in acqua, sollevando un gigantesco spruzzo.
Nel medesimo
istante l'uomo, che per poco non era caduto nelle mani dello scimmione, s'era
pure slanciato nel fiumicello gridando:
- Il
capitano!... Il signor Yanez!... Son ben lieto di aver cacciata una palla nel
cranio di quel maias.
Yanez e
Sandokan erano balzati rapidamente sul ramo.
- Paranoa!...
- esclamò, allegramente.
- In persona,
mio capitano - rispose il malese.
- Che fai in
questa foresta? - chiese Sandokan.
- Vi cercavo,
capitano.
- E come
sapevi tu che noi ci trovavamo qui?
- Girando sui
margini di questa selva avevo scorto degli inglesi ronzare accompagnati da
parecchi cani e mi ero immaginato che cercassero voi.
- E hai osato
cacciarti solo qui dentro? - chiese Yanez.
- Delle belve
non ho paura.
- Però per
poco l'urang-outan ti faceva a pezzi.
- Non mi
aveva ancora preso, signor Yanez, e come avete veduto, gli ho piantata una
palla nella sua testaccia.
- Ed i prahos
sono giunti tutti? - chiese Sandokan.
- Quando sono
partito per mettermi in cerca di voi, nessun altro legno era giunto oltre il
mio.
- Nessun
altro? - esclamò Sandokan, con ansietà
- No, mio
capitano.
- Quando hai
lasciato la foce del fiumicello?
- Ieri
mattina.
- Che agli
altri legni sia accaduta qualche disgrazia? - si chiese Yanez, guardando
Sandokan con angoscia.
- Forse la
tempesta li avrà trasportati molto al nord - rispose la Tigre.
- Può essere
avvenuto questo, mio capitano - disse Paranoa. - Il vento del sud soffiava
tremendamente e non era possibile resistergli in modo alcuno.
«Io ho avuto
la fortuna di cacciarmi entro una piccola baia, bene riparata però, situata a
sessanta miglia da qui, perciò ho potuto ridiscendere presto e trovarmi prima
di tutti all'appuntamento.
«D'altronde,
come vi dissi, sono sbarcato ieri mattina ed in questo frattempo anche gli
altri legni potrebbero essere giunti.»
- Tuttavia
sono molto inquieto, Paranoa - disse Sandokan. - Vorrei già essere alla foce
del fiumicello per levarmi queste inquietudini. Hai perduto nessun uomo durante
la burrasca?
- Nemmeno
uno, mio capitano.
- Ed il legno
ha sofferto?
- Ha avuto
pochissimi guasti che sono già stati riparati.
- Si trova
nascosto nella baia?
- L'ho
lasciato al largo per tema di qualche sorpresa.
- Sei
sbarcato solo?
- Solo, mio
capitano.
- Hai veduto
nessun inglese ronzare nei pressi della baia?
- No, però,
come vi dissi, ne ho veduto alcuni battere i margini di questa foresta.
- Quando?
- Questa
mattina.
- Da quale
parte?
- Verso
l'est.
- Venivano
dalla palazzina di lord James - disse Sandokan, guardando Yanez. Poi,
volgendosi verso Paranoa, gli chiese:
- Siamo molto
lontani dalla baia?
- Non vi
giungeremo prima del tramonto.
- Tanto ci
siamo allontanati! - esclamò Yanez. - Non sono che le due pomeridiane!...
Abbiamo un bel tratto di via da superare.
- Questa foresta
è molto vasta, signor Yanez, e anche assai difficile da attraversare. Ci
vorranno almeno quattro ore prima di raggiungere le ultime macchie.
- Partiamo -
disse Sandokan, che pareva fosse in preda ad una viva agitazione.
- Hai fretta
di giungere alla baia, è vero, fratellino?...
- Sì, Yanez.
Io temo una sventura e forse non m'inganno.
- Temi che i
due prahos si siano perduti?
- Pur troppo,
Yanez. Se noi non li troviamo alla baia, non li rivedremo mai più.
- Per
Giove!... Quale disastro per noi!...
- Una vera
rovina, Yanez - disse Sandokan con un sospiro. - Io non so, si direbbe che la
fatalità comincia a pesare su di noi, come se fosse ansiosa di dare un colpo
mortale ai tigrotti di Mompracem.
- E se la
disgrazia si avverasse?... Cosa faremo noi, Sandokan.
- Cosa
faremo?... E tu me lo chiedi, Yanez?... Forse la Tigre della Malesia è un uomo
da spaventarsi o da piegare dinanzi al destino?... Noi continueremo la lotta,
al ferro del nemico opporremo il ferro, al fuoco il fuoco.
- Pensa che a
bordo del nostro praho non vi sono che quaranta uomini.
- Sono
quaranta tigri, Yanez. Guidati da noi faranno miracoli e nessuno saprà
arrestarli.
- Vuoi
scagliarli contro la villa?...
- Questo lo
si vedrà. Ti giuro però che io non abbandonerò quest'isola senza condurre con
me Marianna Guillonk, fossi certo di dover lottare contro l'intera guarnigione
di Vittoria.
«Chissà,
forse dalla fanciulla dipende la salvezza o la caduta di Mompracem. La nostra
stella sta per ispegnersi perché la vedo sempre più impallidire, ma non dispero
ancora e forse io la vedrò risplendere più viva che mai.
«Ah!... se
quella fanciulla lo volesse!... Il destino di Mompracem sta nelle sue mani,
Yanez.»
- E nelle tue
- rispose il portoghese con un sospiro. - Orsù è inutile parlarne per ora.
Cerchiamo di giungere al fiumicello per accertarci se gli altri due prahos sono
tornati.
- Sì, andiamo
- disse Sandokan. - Con un simile rinforzo mi sentirei capace di tentare anche
la conquista dell'intera Labuan.
Guidati da
Paranoa, risalirono la riva del fiumicello e si cacciarono su di un vecchio
sentiero che il malese aveva scoperto qualche ora prima.
Le piante, e
specialmente le radici, lo avevano invaso, però rimaneva ancora uno spazio
sufficiente per permettere ai pirati di inoltrarsi senza troppe fatiche. Per
cinque ore continue s'avanzarono attraverso la grande foresta facendo di quando
in quando una breve fermata per riposarsi, e al tramonto giungevano presso le
rive del fiumicello sboccante nella baia.
Non scorgendo
alcun nemico, scesero verso l'ovest, attraversando una piccola palude che
andava a terminare verso il mare.
Quando
giunsero sulle rive della piccola baia, le tenebre erano di già scese da
qualche ora.
Paranoa e
Sandokan si spinsero verso le ultime scogliere e scrutarono attentamente il
fosco orizzonte.
- Guardate,
mio capitano - disse Paranoa, indicando alla Tigre un punto luminoso, appena
distinto, che si poteva scambiare anche con una stella.
- Il fanale
del nostro praho? - chiese Sandokan.
- Sì, mio
capitano. Non lo vedete scivolare verso il sud?
- Qual
segnale devi fare perché il legno si avvicini?
- Accendere
sulla spiaggia due fuochi - rispose Paranoa.
- Andiamo
verso la punta estrema della piccola penisola - disse Yanez. - Segnaleremo al praho
la rotta esatta.
Si cacciarono
in mezzo a un vero caos di scoglietti cosparsi di gusci di conchiglie, d'avanzi
di crostacei e di ammassi di alghe e giunsero verso la punta estrema d'un
isolotto boscoso.
- Accendendo
qui i fuochi, il praho potrà imboccare la baia senza correre il pericolo
d'arenarsi - disse Yanez.
- Lo faremo
però risalire verso il fiumicello - disse Sandokan. - Mi preme nasconderlo agli
sguardi degli inglesi.
- M'incarico
io di questo - rispose Yanez. - Noi lo nasconderemo nella palude in mezzo alle
canne, coprendolo interamente con rami e con foglie, dopo d'averlo privato
degli alberi e di tutte le manovre. Ehi, Paranoa, fa' il segnale.
Il malese non
perdette tempo. Sul margine d'un boschetto fece raccolta di legna secca, formò
due castelli e, collocatili ad una certa distanza l'uno dall'altro, li accese.
Un momento
dopo, i tre pirati videro il fanale bianco del praho scomparire e
brillare in sua vece un punto rosso.
- Ci hanno
veduti - disse Paranoa. - Possiamo spegnere i fuochi.
- No - disse
Sandokan. - Serviranno a indicare ai tuoi uomini la vera direzione. Nessuno
conosce la baia, è vero?
- No,
capitano.
- Guidiamoli,
adunque.
I tre pirati
si sedettero sulla spiaggia, tenendo gli occhi fìssi sul fanale rosso il quale
aveva cambiata direzione. Dieci minuti dopo il praho era visibile.
Le sue
immense vele erano spiegate e si udiva l'acqua a gorgogliare dinanzi alla
prora. Visto fra l'oscurità, sembrava un uccello gigantesco scivolare sul mare.
Con due
bordate giunse dinanzi alla baia ed imboccò il canale, inoltrandosi verso la
foce del fiumicello.
Yanez,
Sandokan e Paranoa avevano abbandonato l'isolotto ed erano retrocessi
rapidamente fino sulle rive della piccola palude.
Appena videro
il praho gettare l'ancora presso i canneti fittissimi della riva, si
recarono a bordo.
Sandokan con
un gesto intimò il silenzio all'equipaggio, il quale stava per salutare i due
capi della pirateria con un intempestivo scoppio di gioia.
- I nemici
non sono forse lontani - disse egli. - Vi ordino quindi il più assoluto
silenzio onde non farci sorprendere prima del compimento dei miei progetti.
Poi
volgendosi verso un sottocapo gli chiese, con una emozione così viva da
rendergli la voce quasi tremula:
- Non sono giunti
gli altri due prahos?.
- No,
Tigre della Malesia - rispose il pirata. - Durante l'assenza di Paranoa ho
visto tutte le coste vicine, spingendomi anche verso quelle del Borneo, ma
nessuna delle nostre navi fu veduta in alcuna direzione.
- E tu
credi?...
Il pirata non
rispose: esitava.
- Parla -
disse Sandokan.
- Io credo,
Tigre della Malesia, che i nostri due legni si siano fracassati sulle coste
settentrionali del Borneo.
Sandokan si
cacciò le unghie nel petto, mentre un sospiro sibilante gli irrompeva dalle
labbra.
-
Fatalità!... Fatalità! - mormorò con voce sorda. - La fanciulla dai capelli
d'oro porterà sventura alle tigri di Mompracem.
- Coraggio,
fratellino mio - gli disse Yanez, posandogli una mano sulle spalle.
- Non
disperiamo ancora. Forse i nostri prahos sono stati spinti molto lontani
e così gravemente danneggiati da non poter riprendere subito il mare.
«Finché non
si troveranno i rottami non possiamo credere che si siano sommersi.»
- Ma noi non
possiamo aspettare, Yanez. Chi mi dice che il lord si fermerà ancora
molto nella sua villa?...
- Anzi, non
lo desidererei, amico.
- Cosa vuoi
dire, Yanez?
- Che noi
abbiamo uomini sufficienti per assalirlo se dovesse abbandonare la sua villa
per rapirgli la graziosa nipote.
- Vorresti tentare
un simile colpo?...
- E perché
no?... I nostri tigrotti sono tutti valorosi e se anche il lord avesse
con sé un numero doppio di soldati, non esiterebbero di certo ad impegnare la
lotta. Sto maturando un bel piano e spero che avrà una splendida riuscita.
«Lasciami
riposare questa notte e domani noi cominceremo ad agire.»
- Confido in te, Yanez.
- Non
dubitare, Sandokan.
- Il praho
però non possiamo lasciarlo qui. Può venire scoperto da qualche legno che
si spinga nella baia o da qualche cacciatore che scenda il fiumicello per
venire qui a fucilare gli uccelli acquatici.
- Ho pensato
a tutto, Sandokan. Paranoa ha ricevuto delle istruzioni in proposito. Vieni,
Sandokan. Andiamo a mangiare un boccone poi gettiamoci sui nostri lettucci. Io,
ti confesso, non ne posso più.
Mentre i
pirati, sotto la direzione di Paranoa, smontavano tutte le manovre del legno,
Yanez e Sandokan scesero nel piccolo quadro di poppa e diedero il sacco alle
provviste.
Calmata la
fame che da tante ore li tormentava, si gettarono, vestiti come erano, sui
lettucci.
Il
portoghese, che non si reggeva più, si addormentò subito profondamente;
Sandokan invece penò assai a chiudere gli occhi.
Tetri
pensieri e sinistre inquietudini lo tennero sveglio parecchie ore. Fu solamente
verso l'alba che potè prendere un po' di riposo, ma anche questo fu brevissimo.
Quando risalì in coperta, i pirati avevano ultimati i loro lavori per rendere
il praho invisibile agli incrociatori che potevano passare dinanzi alla
baia od agli uomini che potevano scendere lungo il fiume. Il legno era stato
spinto verso il margine della palude, in mezzo ad un canneto foltissimo. Gli
alberi colle manovre fisse e correnti erano stati abbassati ed al di sopra
della tolda erano stati gettati ammassi di canne, di rami e di foglie disposti
così abilmente da coprire l'intero legno. Un uomo, che fosse passato in quei
dintorni, lo avrebbe potuto scambiare per qualche macchione di piante
disseccate o per un enorme ammasso di erbe e di radici colà arenatosi.
- Cosa ne
dici, Sandokan? - chiese Yanez, il quale si trovava già sul ponte, sotto una
piccola tettoia di canne innalzata a poppa.
- L'idea è
stata buona - rispose Sandokan.
- Ora vieni
con me.
- Dove?...
- A terra. Ci
sono già uomini che ci aspettano.
- Cosa vuoi
fare, Yanez?
- Lo saprai
poi. Ohe!... In acqua la scialuppa e fate buona guardia.
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