3 - LA
CACCIA AI FANTASMI
I quattro uomini, ben decisi a liberare la cantina della
taverna d'El Moro dall'anima dell'uomo biondo e scialbo, poiché ormai
anche nell'animo delle guardie era nato il convincimento che fosse qualche
demonio, s'impegnarono nella lunghissima scala, la quale contava non meno di
una cinquantina di giardini.
Scesi però i dieci primi gradini,
don Barrejo credette opportuno di fare una breve sosta e di trinciare, colla
sua draghinassa, una gran croce.
Come se i fantasmi si fossero
subito accorti di quel segno cristiano, ripresero a martellare ferramenta ed a
trascinare catene, sbattendole contro le botti, e producendo cosí un fracasso
veramente infernale.
L'ufficiale e le due guardie
avevano rimontato sollecitamente qualche gradino, urtando la bella castigliana,
la quale teneva ben alto lo spiedo.
– Signor ufficiale, – disse il
guascone, simulando un grande spavento. – Volete lasciarmi solo alle prese
coll'anima di quell'uomo misterioso?
– No, no, prendo solamente un po'
di fiato, – rispose l'altro, il quale era pallidissimo.
– Dovevate bere qualche gocciolo
ancora, prima di avventurarvi in queste catacombe.
– È vasta dunque la vostra
cantina?
– Io non sono mai riuscito a
percorrerla tutta. Si dice che finisca nell'ossario del cimitero di città.
– Brrr!... – fece l'ufficiale. –
Non potevate trovare di peggio.
– Si dice, però io non ho mai
potuto verificare questo.
– Io non vorrei possedere una
simile cantina, mio caro taverniere, rispose l'ufficiale.
Le guardie doppiamente
impressionate da quella rivelazione che non s'aspettavano, esitarono un poco
prima di riprendere la discesa.
Se si fosse trattato di misurarsi
con degli indios bravos o con dei filibustieri, senza dubbio avrebbero
fatto bravamente il loro dovere, senza farsi pregare, ma quella storia di
spettri che già si facevano udire e di ossari, metteva nel loro animo uno
sgomento d'altronde perdonabile in quei tempi.
– Andiamo, dunque? – Chiese don
Barrejo, il quale faceva tremolare la lampada per simulare un crescente
spavento. – Qui bisogna prendere il coraggio a due mani, caramba.
– Fate lume, – rispose
l'ufficiale. – Mi pare che la vostra mano oscilli troppo.
– Canarios!... Sono
dinanzi a tutti e sarò il primo a venire acciuffato e portato all'inferno o
nell'ossario. Pensate che io ho una moglie e bellina per di piú.
– Mostrate dunque il vostro
coraggio dinanzi a lei.
– Se è per Panchita, scendo
subito ed accoppo tutti gli spiriti che infestano la mia cantina, – rispose il
guascone, il quale frenava a gran pena le risa.
Rialzò la lampada, tracciò in
aria un altro segno della croce e, quantunque nella cantina si udissero sempre
sbatacchiare catene contro le botti e di quando in quando degli ululati che
parevano uscire dalle gole di lupi arrabbiati, riprese animosamente la discesa,
non senza biascicare delle ave marie. Giunto al venticinquesimo gradino, ossia
quasi alla metà, il guascone tornò a fermarsi.
– Signor ufficiale, – disse con voce
alterata. – Le mie gambe non mi reggono piú.
– Non vi mostrate un poltrone
dinanzi a vostra moglie, – rispose il capo della ronda. – Qualcuno bisogna bene
che vada innanzi e voi solo siete pratico di questa cantina.
«E poi non siamo noi qui, pronti
ad appoggiarvi?»
– E non udite questi rumori?
– Non sono sordo.
– Da che cosa credete che
provengano?
– Lo sapremo quando saremo giunti
abbasso. Orsú, taverniere, un po' di coraggio ed impugna ben salda la tua
draghinassa.
– E se ci fossero veramente dei
fantasmi? – disse una delle due guardie, con un certo tremolío nella voce. –
Sapete bene, capo, che non si uccidono.
– E che le alabarde passerebbero
attraverso ai loro corpi, come in mezzo ad una nube di fumo, – aggiunse
l'altra.
– Noi non li abbiamo ancora veduti,
– rispose l'ufficiale. – Se compariranno davvero... vedremo che cosa converrà
fare.
– Sí darcela a gambe al piú
presto, – disse don Barrejo.
L'ufficiale non rispose. Si
trovava troppo imbarazzato a dare una risposta contraria.
Tirato il fiato, il guascone si
decise finalmente a scendere gli altri venti o venticinque gradini ed a
raggiungere il fondo.
La cantina s'apriva dinanzi a
loro, ampia, altissima e, come abbiamo detto, ben fornita di botti piú o meno
piene.
Uno spettacolo terrificante, tale
da far gelare il sangue anche ad un filibustiere s'offerse allora agli occhi
delle tre guardie e del cantiniere.
I gemiti, le urla, i fragori di
ferramenta erano cessati ed invece erano comparsi improvvisamente due spettri,
i quali erano saltati giú dalle ultime botti delle due file, mettendosi subito
a girare su se stessi e facendo vivamente agitare i loro drappi bianchi.
Don Barrejo aveva cacciato un
urlo ed aveva subito lasciata cadere a terra la lampada.
– Scappiamo!...Scappiamo!... –
aveva gridato con voce strozzata.
Le tre guardie avevano già
voltate le spalle e stavano arrampicandosi affannosamente su per la scala,
spingendosi innanzi Panchita la quale strillava come se la scorticassero.
In pochi istanti si trovarono
tutti nella taverna. Le guardie erano pallide ed affannate e pareva che non
avessero piú voce.
Fortunatamente vi era ancora del
vino sul tavolo ed un paio di bicchieri di vecchio Xeres, cacciati un
dietro all'altro, diedero un po' di animo ai disgraziati.
– La tua cantina è maledetta, –
disse l'ufficiale, appena poté tirare il fiato. – Erano ben dei fantasmi
quelli?
– Se lo erano!... – esclamò Don
Barrejo. – Chiedetelo alle vostre guardie ed a mia moglie.
– Sí, sí, capo, – si affrettarono
a confermare i due alabardieri.
– Erano dei veri spettri.
– Allora mio caro, cavatela come
puoi, – disse l'ufficiale. – Io non mi occupo di questi affari.
«Aprici.»
– Come!... Ve ne andate, signore
ufficiale? – strillò Panchita, la quale si era abbandonata su una sedia,
simulando uno spavento impossibile a descriversi.
– I soldati non hanno mai
battagliato contro le ombre, bella mia, – rispose il capo della ronda, il quale
non vedeva il momento di trovarsi all'aperto. – Le nostre spade e le nostre
alabarde non ci servirebbero a nulla.
– E dove volete che andiamo a
dormire? Sotto la pioggia? – disse don Barrejo, il quale fingeva di strapparsi
i capelli.
– Andate a bussare alla porta di
qualche vicino.
– Dovrò allora raccontargli il
motivo per cui io e mia moglie siamo fuggiti e domani tutto il quartiere saprà
che la mia cantina è frequentata dagli spiriti dell'ossario.
– E saremo completamente
rovinati, – sospirò la bella castigliana.
– Io non so che cosa farvi, miei
cari, – rispose l'ufficiale, il quale fissava la porta della cantina rimasta
aperta, come se temesse di veder comparire, da un momento all'altro, uno di
quei due spettri giganti. – Io non posso darvi che un consiglio.
– Dite su, signor ufficiale, –
piagnucolò don Barrejo.
– Di recarvi domani mattina dal
Padre Superiore del convento piú vicino e di pregarlo di mandarvi una mezza
dozzina di frati con delle croci e con molta acqua santa.
– Rimanete qui fino a domani?
– No, mio caro taverniere, ne
abbiamo abbastanza dei misteri che si succedono qui. Domani in pieno giorno,
verremo forse a ritrovarvi per sapere qualche cosa. Aprite ora e lasciateci
andare.
– Piove ancora al di fuori.
– Preferisco prendermi
dell'acqua, piuttosto di scendere ancora nella tua cantina. Andiamo camerati.
Don Barrejo, fingendosi
disperato, aprí la porta della taverna e tutti, compresa Panchita, uscirono
sulla via.
– In quel momento passavano
alcuni nottambuli, non curanti della pioggia che continuava a cadere a
catinelle.
Vedendo aprirsi la taverna ed
uscire delle persone che subito non avevano potuto scorgere, poiché le guardie
si erano bene avviluppate nei loro ampi mantelli, si accostarono, ed uno della
comitiva, quantunque sembrasse abbastanza alticcio, chiese:
– Si può bere una bottiglia?
– Eccovi in buona compagnia, –
disse l'ufficiale a Don Barrejo. – Queste brave persone non se ne andranno
finché offrirete da bere.
– E chi è che andrà in cantina a
prendere le bottiglie se vi sono i fantasmi?
– Come, vi sono i fantasmi nella
vostra casa? – chiese un altro della comitiva, facendosi precipitosamente il segno
della croce.
– Si caballeros, e cosí
terribili che hanno fatto scappare perfino le signore guardie.
I nottambuli non ne vollero
sapere di piú s'allontanarono correndo, mentre le guardie se ne andavano pure
dall'altra parte rasentando i muri delle case.
Don Barrejo attese che il rumore
dei passi fosse completamente cessato, poi rientrò nella taverna e, mentre sua
moglie si affrettava a chiudere, si gettò su una sedia ridendo a crepapelle e
con tale fragore da attirare perfino l'attenzione dei due fantasmi, i quali non
tardarono a comparire sulla porta della cantina, facendo svolazzare le candide
tovaglie che li coprivano.
– Vade retro Satana!... –
gridò il guascone, impugnando una bottiglia. – Tu puzzi troppo di zolfo.
Mendoza che era dinanzi, si
sbarazzò delle tovaglie e si precipitò verso il tavolino, seguito da
Buttafuoco, il quale, forse per la prima volta dopo tanti anni, si permetteva
pure di ridere allegramente.
– Rajo de Sol!... –
esclamò il basco, afferrando pure lui una bottiglia che non era stata ancora
interamente vuotata. – Ti proclamo, don Barrejo, il piú grande ed il piú furbo
guascone che la terra degli spadaccini e degli avventurieri abbia allattato.
– Sí, un brav'uomo, – confermò
Buttafuoco, il quale cercava pure di bagnarsi la gola.
– Sono scappati come lepri, –
rispose don Barrejo. – Ah!... Che commedia, amici!... Io non so come abbia
fatto a trattenere fino a questo momento le risa. Non ne potevo proprio piú.
– Che ritornino? – chiese
Mendoza.
– Ecco quello che temo. Sono
capaci di venire ancora qui accompagnati forse da una mezza dozzina di frati.
Ecco quello che io temo, amici.
«L'avventura non finirà
certamente qui, anche perché il marchese di Montelimar vorrà sapere che cosa è
successo del corpo o dell'anima di compare Pfiffero.
«Questo fiammingo comincia a
diventare pericolosissimo, anche se è ubbriaco morto. Vi pare signor
Buttafuoco?»
– Purtroppo prevedo dei grossi
guai ora che il marchese ha dei sospetti su di noi e che ci fa pedinare
dovunque dalle sue spie, – rispose il bucaniere.
– Allora io ritorno sulla mia
prima idea, disse il guascone. – Scendo in cantina, scoperchio la botte e ve lo
getto dentro.
«Per un ubbriaco deve essere una
morte dolcissima quella di finire affogato dentro dieci ettolitri di Xeres.»
Che poi dovresti gettar via, –
disse Mendoza.
– Ma che!... Domani lo ripesco,
scavo una buca e lo seppellisco in qualche angolo della cantina. In quanto al
vino vedrai che saprò venderlo egualmente, anche se ha conservato un morto per
dodici ore.
– Ah!... Canaglia!...
– Oh!... I meticci e gl'indiani
non hanno il palato raffinato.
– No, – ripeté per la seconda
volta Buttafuoco. – Io penso che quell'uomo potrebbe diventare per noi
preziosissimo.
«Se è, come sembra, il confidente
del marchese di Montelimar, noi potremo sapere da lui molte cose
preziosissime.»
– E se domani il marchese manda
altre persone a cercarlo? Se lo scoprono, mi appiccano, signor Buttafuoco.
– Che non vi sia qualche
nascondiglio nella tua cantina? – chiese Mendoza. – In casa non hai qualche
granaio?
Don Barrejo stette un momento
silenzioso, poi picchiò un pugno sulla tavola, esclamando:
– Ho trovato!... Anch'io ho
scoperto l'America!...
– Ehi, guascone, hai il cervello
guasto? – chiese Mendoza. – Che i fantasmi abbiano fatta anche a te troppa
impressione?
– I cervelli dei guasconi sono
chiusi dentro il cranio con due file di viti, amico, e non si rovinano cosí
facilmente. Io ti dico che ho trovato un magnifico nascondiglio.
– Udiamo, disse Buttafuoco.
– Giorni fa ho acquistata una
botte nuovissima, cosí ampia da contenerci tutti insieme e che io contavo di
empire di mezcal. Prendo compare Pfiffero e lo caccio là dentro, cosí
almeno non correrà piú il pericolo di morire gonfio di Xeres come un
otre.
– L'hai proprio colle botti tu! –
esclamò Mendoza.
– Non sono forse diventato un
taverniere?
– E se le guardie tornano non vi
sarà pericolo che compare Pfiffero, come lo chiami tu, si metta ad urlare anche
dentro la sua botte e ti tradisca?
– Mai piú!...
– E perché?
– Perché appena mi accorgo che si
sveglia, invece di dargli un bicchiere d'acqua zuccherata gli vuoto in gola una
bottiglia intera di aguardiente e torno ad ubbriacarlo.
Tu sei diventato piú feroce d'un
caimano, dopo il tuo matrimonio, – disse Mendoza.
– Ma no, signor mio, – protestò
la bella castigliana, – anzi è diventato piú mansueto d'un agnello, il mio
Pepito, dopo che si è sposato.
– Lasciamo stare Pepito, che qui
non c'entra affatto, ed occupiamoci subito di quel Pfiffero.
«Approvate la mia idea?»
– Se non c'è di meglio,
cacciamolo pur dentro la botte per ora, – disse Buttafuoco. – Ve lo faremo
rimanere d'altronde il meno che sarà possibile, poiché avremo noleggiata una
scialuppa e fileremo in cerca di Raveneau de Lussan.
– Bada di non ubbriacarlo troppo,
quel povero diavolo, desse Mendoza. – Non vogliamo che muoia.
– Per chi mi prendi? – rispose il
guascone, – per l'ultimo taverniere che esiste in tutte e due le Americhe? Gli
darò da bere solamente dell'aguardiente finissimo, che costa a me non
meno di quattro piastre la bottiglia.
– Sbrighiamo allora questo affare
e poi andiamocene, – disse Buttafuoco. – La señorita Ines di Ventimiglia
sarà molto inquieta e non si sarà certamente ancora coricata.
– Come!... Vi riceve di notte? –
chiese don Barrejo.
– Non osiamo farci vedere di
giorno. Le precauzioni non sono mai troppe quando si è impegnata una partita
con un Montelimar.
Presero i lumi e scesero nella
cantina, giungendo ben presto all'estremità delle due file di botti.
Colà si trovava un enorme
recipiente che pareva una piccola torre messa a guardia dei Xeres, degli
Alicanti e dei Malaga, capace di contenere nel suo interno, e
senza alcuna difficoltà, almeno quattro uomini.
– Come vedete la botte è proprio
nuova, – disse don Barrejo, – quindi il Pfiffero non correrà alcun pericolo di
asfissiarsi.
Prese un martello e assalí i
cerchi superiori, per smuovere le doghe e levare il coperchio. Mendoza e
Buttafuoco lo aiutavano alla meglio, non essendo pratici in quel mestiere che
il guascone invece conosceva ormai a fondo, forse meglio d'un bottaio.
– Il nido è pronto a ricevere il
merlotto, – disse don Barrejo, dopo alcuni minuti. – Andatemi a cercare il
Pfiffero mentre levo il coperchio.
Il disgraziato fiammingo russava
beatamente sotto le botti come se si trovasse nel suo letto.
Buttafuoco e Mendoza presero quel
corpo inerte e lo passarono al guascone, il quale lo lasciò cadere, senza
troppi riguardi, in fondo al monumentale recipiente, mettendo poi subito a
posto il coperchio in modo però che non combaciasse perfettamente, onde l'aria
potesse liberamente circolare.
– Sfido chiunque ad andarlo a
scovare, – disse don Barrejo, quand'ebbe finito.
– Si ode però che qualche cosa
respira o russa li dentro, – disse Mendoza, il quale aveva appoggiato un
orecchio alle doghe.
– T'inganni, amico, – rispose il
guascone. – È il vino buono che bolle. Forse che non borbotta quando comincia a
fermentare?
– Sei meraviglioso, don Barrejo,
– disse Buttafuoco. – Io sono certo che con l'aiuto di voi due non sarà cosa
difficile a me di condurre la señorita di Ventimiglia nel paese di sua
madre a raccogliere l'eredità lasciatale dal Gran Cacico.
– Volete dire, signor Buttafuoco,
che voi contate fin d'ora sulla mia draghinassa, – disse don Barrejo.
– Siamo venuti qui per portarvi
via con noi. Non ne avete abbastanza di fare il taverniere, voi che siete un
gentiluomo piú atto a maneggiare le armi che le bottiglie?
– Cominciavo infatti ad annoiarmi
mortalmente ed a rimpiangere i bei tempi passati, quando sotto il figlio del
Corsaro Rosso si montava all'assalto di qualche nave o di qualche casa almeno
una volta alla settimana.
«E mia moglie?»
– Lasciala qui a condurre la
taverna, – disse Mendoza. – Quando noi torneremo non avrai piú bisogno di
vendere vino e Panchita potrà sfoggiare gioielli e bei vestiti finché vorrà.
«Signor Buttafuoco, andiamo.»
Risalirono in fretta, si
gettarono addosso i loro mantelloni, provarono a far scorrere le spade ed i
pugnali, e dopo d'aver accarezzato il mento alla bella castigliana senza che
don Barrejo trovasse di che dire, il filibustiere ed il bucaniere uscirono
cautamente in istrada.
Pioveva sempre a dirotto ed un
ventaccio impetuoso e quasi freddo sbatacchiava le finestre delle case e le
monumentali insegne dei negozi.
In lontananza si udiva l'oceano
Pacifico muggire sinistramente e rompersi contro le calate del porto.
– Quando ci rivedremo? – chiese
don Barrejo.
– Se domani avremo bisogno di te,
segui il ragazzetto indiano che ti ha portata la nostra lettera, – rispose
Buttafuoco. – Intanto noi cercheremo il modo di sbarazzarti al piú presto del
fiammingo per non comprometterti e...
Il bucaniere si era bruscamente
interrotto, mettendo mano alla spada.
– Chi si avanza? – si chiese con
inquietudine.
Degli uomini, cinque o sei, tutti
chiusi in cappe grigie e che tenevano in mano delle lanterne, s'avanzavano
verso la taverna, borbottando delle preghiere.
– Un funerale a quest'ora? – si
domandò Mendoza.
Subito però ruppe in uno scroscio
di risa. Aveva capito di che cosa si trattava.
– La polizia ha avvertito il
Padre Superiore del vicino convento che la tua cantina è infestata dagli
spiriti ed ecco i frati che giungono solleciti per benedire le tue botti
d'acqua santa.
«Fa' loro buona accoglienza e
cavatela come puoi. Signor Buttafuoco, filiamo!...»
I due avventurieri si
allontanarono velocemente, mentre i sei frati, preceduti da un sagrestano
zoppo, che reggeva un grosso recipiente di acqua santa, si fermavano dinanzi
alla taverna.
Avevano appena svoltato l'angolo
della via, quando un uomo, che fino allora era rimasto confuso colla fitta
ombra proiettata da un vecchio porticato, si slanciò sulle loro tracce.
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