6 - LE
IMPRESE DEL GUASCONE
L'abitazione affittata da Wandoe, perché i suoi amici in caso
di pericolo fossero piú pronti ad imbarcarsi, come abbiamo detto, era una modestissima
casetta ad un solo piano, composta di tre sole stanze e di un porticato
necessario a stendervi le reti.
L'interno era illuminato, la
porta aperta, sicché Wandoe, il guascone ed il basco non ebbero da aspettare
per entrare.
Un ruvido tipo d'uomo di mare,
piuttosto attempato, li aspettava in una stanza che doveva servire ad un tempo
da cucina e da tinello. Vedendoli entrare, si tolse dalla bocca la pipa, poi il
berretto, dicendo:
– Buena noche, caballeros:
siete in casa vostra.
Strinse la mano a Wandoe e se ne
andò senz'altro aggiungere, come per far meglio comprendere loro che erano
realmente in casa propria.
Mendoza diede uno sguardo
all'intorno, visitò le altre due stanze occupate da quattro amache e da molti
arnesi da pesca, e tornò verso i compagni, dicendo:
– Ci staremo benissimo qui,
finché le spie del marchese non verranno a scovarci. Quel gentiluomo tiene
sotto di sé degli uomini che devono possedere un fiuto straordinario.
«Lesti, amici, portiamo dentro il
ferito ed il fiammingo. La botte la getteremo piú tardi in mare, perché non
possa servire come di traccia.»
Tornarono nel porticato portando
un lume, levarono il coperchio e tirarono fuori, con precauzione, il Pfiffero
ed il preteso figlio del grande di Spagna, mettendoli su due amache che
occupavano la stanza vicina.
In quel momento Rios e Buttafuoco
entrarono, l'uno armato del suo formidabile bastone e l'altro sempre impugnando
la spada.
– Sono scappati? – chiese
Mendoza.
– Io credo che corrano ancora, –
rispose Buttafuoco. – La lezione è stata dura, ma l'hanno cercata loro.
«Mio caro don Barrejo, le vostre
botti sono troppo pericolose, siano piene di buon vino o vuote.»
– Sono stregate, signor
Buttafuoco, – rispose il guascone, ridendo, – e tali sono rimaste anche dopo
tutte le benedizioni dei frati.
– Come stanno i nostri
prigionieri?
– Russano come canne d'organo, –
rispose il basco.
– Sarà meglio rimandare a domani
l'interrogatorio. Lasciamoli riposare e cerchiamo anche noi di schiacciare alla
meglio un sonnellino.
«Ne abbiamo bisogno.»
Chiusero e sprangarono la porta,
fecero una nuova visita alla casetta, poi Buttafuoco e Wandoe si gettarono
sulle due altre amache, mentre Mendoza, il guascone e Rios si sdraiavano su un
mucchio di vecchie reti.
Al di fuori intanto l'uragano
continuava ad infuriare ed il Pacifico scaraventava, dentro il porto di Panama,
le sue formidabili ondate, mettendo a dura prova le âncore e le catene dei
numerosi velieri che lo ingombravano.
Per Buttafuoco ed il basco fu
forse quella la prima notte veramente tranquilla che trascorsero da quando
erano giunti nella grande città spagnuola, che allora godeva la fama, come oggi
S. Francisco di California, di essere la regina del Pacifico.
Il guascone, abituato ad alzarsi
molto per tempo nella sua qualità di taverniere, fu il primo ad aprire gli
occhi.
Suo primo pensiero fu quello di
fare una visita ai due prigionieri.
Il preteso figlio del grande di
Spagna russava ancora; il fiammingo invece si dibatteva come un disperato dentro
l'amaca che gli era stata chiusa addosso perché non scappasse, brontolando e
facendo delle smorfie cosí ridicole da far scoppiare dalle risa il feroce
guascone.
– Compare Arnoldo, mi sembrate un
bel pesce dentro la rete, – disse don Barrejo, allentando subito le corde. –
Come va dunque la salute, dopo una cosí lunga dormita? Che pessimo soldato
sareste voi in guerra!...
– Da pere, – chiese il
disgraziato, dopo d'aver dimenata dieci volte la lingua, che doveva essere
stata arrostita da quell'abbondante bevuta d'aguardiente.
– Pere qui non ne abbiamo,
compare Arnoldo, però vi darò qualche cosa di meglio.
Prese una ciotola di terra, della
capacità di un litro, la riempí in un grande vaso poroso che si trovava in un
angolo e la porse al povero diavolo, il quale la vuotò senza staccarla un solo
istante dalle labbra.
– La va un po' meglio ora,
compare Arnoldo? – Chiese ironicamente il feroce guascone.
– Testa malata, – rispose il
fiammingo.
– Bevete e dormite troppo voi,
mio caro. Avete delle pessime abitudini e io, se fossi il marchese di
Montelimar, non vi perdonerei.
– Montelimar... – borbottò il
fiammingo, passandosi una mano sulla fronte.
In quel momento, svegliati da
quel chiacchierio, entrarono Mendoza, Buttafuoco, Wandoe e Rios.
– L'avete spedita al Perú la
sbornia, signor Arnoldo Pfiffer ecc.? – Chiese Mendoza. – Sono ben lieto
di vedervi finalmente in ottima salute.
Il fiammingo, vedendo tutte
quelle persone, aggrottò la fronte e divenne pallidissimo.
– Svegliate l'altro, don Barrejo,
– disse Buttafuoco.
– Perché? – chiese sotto voce
Mendoza.
– Per accertarmi se si conoscono.
– Lo sospettate?
– Scommetterei il mio vecchio e
fedele archibugio, che mi ha salvato cento volte la vita, contro una navaja
da due piastre.
– Lasciate fare a me, allora,
signor Buttafuoco.
Si avvicinò al ferito e cominciò
a fargli il solletico sotto la gola, provocandogli subito il singhiozzo.
Il preteso figlio del grande di
Spagna era stato un po' ubbriacato, affinché si mantenesse tranquillo dentro la
botte, però non aveva preso la solenne sbornia del fiammingo, sicché dopo tre o
quattro sbadigli e molti singhiozzi, si decise finalmente ad aprire gli occhi.
Mendoza, che lo spiava
attentamente, lo sollevò, perché potesse vedere il fiammingo che stava seduto
nell'amaca vicina.
I due spioni del marchese di
Montelimar si guardarono un momento, stupiti di trovarsi insieme; poi dopo
d'aver fatta una brutta smorfia, non poterono frenare due imprudenti
esclamazioni:
– Aramejo!...
– Stiffel!...
– Datevi il buon giorno, dunque,
– disse Buttafuoco. – Siete vecchie conoscenze, a quanto pare.
Il fiammingo e il preteso figlio
del grande di Spagna masticarono fra le labbra qualche cosa. Certo non dovevano
essere contenti di essere caduti nella trappola cosí abilmente tesa da
Buttafuoco.
– Chi è che si chiama Aramejo? –
chiese il bucaniere, ridendo.
Il ferito si guardò bene dal
rispondere e fissò gli sguardi sul soffitto, per contare forse le ragnatele che
vi si trovarono.
Il fiammingo invece preferí
sbadigliare, mostrando certi denti degni di non sfigurare in bocca ad un
giovane squalo.
– Orsú, – disse Buttafuoco,
ironicamente. – Vedo che vi siete riconosciuti. Sarebbe ormai troppo tardi per
negarlo.
«Mastro Arnoldo, date dunque la mano
a questo figlio d'un grande di Spagna. Sono ben lieto che voi abbiate delle
buone relazioni fra l'alta società panamese.»
Il fiammingo sgranò gli occhi,
guardando due o tre volte il suo compagno di sventura, poi proruppe in una
fragorosa risata.
– Un crande di Spagna!... –
esclamò.
– Ohé, mastro Pfiffero, siete
allegro stamane, – disse il guascone. – Vi preferisco però cosí. Il mio vecchio
aguardiente fa talvolta di questi miracoli.
Il ferito aveva guardato il
fiammingo ferocemente, seccato di essere stato tradito cosí presto, però non
pronunciò alcuna parola.
– Signori, – disse Buttafuoco,
rivolgendosi verso i due prigionieri, – vi avverto che il Consiglio si raduna e
che sarà per voi un terribile Consiglio di guerra, perché noi siamo uomini
risoluti ad affogarvi in mare con una pietra al collo se vi ostinerete a non
parlare.
«La parola a voi, innanzi tutto,
don Aramejo, siate o no il figlio d'un crande di Spagna, come ha detto mastro
Arnoldo.
«Non dimenticate che giuocate la
vostra pelle.
«Che cosa avete fatto della señorita
che siete andato a prendere alla posada del Rio Verde adoperando un
biglietto che portava la mia firma?»
– Señor... – balbettò il
ferito, – che cosa dite voi? Io non so di quale señorita intendete
parlare.
– Ehi, furfante, – disse Wandoe,
facendosi innanzi. – Vorresti negare di riconoscermi? Guardami bene in viso!
– Mio pofero crande di Spagna,
siamo presi, – disse mastro Arnoldo, rivolgendosi al ferito. – Gettate fuori
tutto o perdere tutta la pelle, amico.
Il ferito masticò a mezza voce
una bestemmia, poi, rivolgendosi risolutamente verso Buttafuoco, gli chiese:
– Che cosa volete sapere, voi?
– Voglio sapere, mio caro ladro
di signorine, dove avete condotto la señorita che siete andato a
prendere a nome mio, capite bene, alla posada del Rio Verde, – rispose
il bucaniere piccato dall'insolenza del prigioniero.
– E quando vi avrò detto che l'ho
condotta dal marchese di Montelimar, il quale vantava su di lei dei diritti,
avendola allevata, che cosa vorreste concludere?
– Che tu sei il piú grande
furfante che io abbia incontrato fino ad oggi, e che io sono un uomo da non
lasciarmi intimorire da te, spavaldo.
– Volete ammazzarmi? Fatelo pure!
– La morte talvolta è troppo
dolce, – rispose Buttafuoco, con voce minacciosa. – Qui siamo isolati e potrei
farti subire tali tormenti, da rimpiangere il giorno che sei nato.
«Sai già di che cosa sono capaci
i bucanieri ed i filibustieri, e noi tutti apparteniamo ai terribili Fratelli
della Costa, che tanto male hanno fatto ai tuoi compatrioti al di qua e al di
là dell'istmo.
«Se vuoi provare la nostra
ferocia, noi siamo pronti.»
Il ferito, udendo quelle parole,
aveva provato un sussulto ed era diventato livido. Solamente il nome dei
filibustieri provocava su tutti gli spagnuoli per quanto coraggiosi fossero, un
disastroso scoraggiamento.
– Mi hai capito? – chiese
Buttafuoco, dopo qualche istante di silenzio.
– Sí, señor, – rispose il
prigioniero, con meno superbia.
– Allora risponderai alle domande
che ti farò. Chi ti ha dato il mio nome?
– Il marchese di Montelimar.
– Da chi aveva saputo che io ero
giunto a Panama colla contessina di Ventimiglia?
– Questo potreste domandarlo a
Stiffel.
– Ah!... Io non so nulla affatto,
– si affretto a dire il fiammingo.
– Il silenzio è d'oro, – sentenziò
gravemente Mendoza.
– Compare Pfiffero è prudente, –
aggiunse don Barrejo.
Il fiammingo approvò con un
grazioso sorriso che aveva però molta ironia insieme.
– Voi, bricconi, non direte mai
nulla, o per lo meno direte soltanto ciò che vi potremo strappare dalle labbra,
– disse Buttafuoco. – Non giuocate a scarica-barile, perché
la pazienza non è mai stata il forte dei bucanieri.
– Lo sappiamo, – disse il
fiammingo.
– Allora parlate, prima di farvi
gettare in mare dopo d'avervi arrostite le piante dei piedi.
– Aramejo, siamo presi, – ripeté
il Pfiffero. – Canta!... Canta!...
Il preteso figlio del Grande di
Spagna assunse un'aria da bravaccio, non ostante la sua ferita che gli doveva
dare non pochi dolori, poi, dopo essersi alzati i baffi, chiese:
– Ebbene, che cosa volete sapere
ancora da me? Non ve l'ho già detto che la señorita l'ho condotta dal
marchese di Montelimar? Mi pare che basti.
– E dove? – chiese Buttafuoco.
– Diavolo!... Nel suo palazzo!...
– A quale scopo?
– Ah!... Io non posso conoscere i
segreti del mio padrone, – rispose Aramejo. – Mi si danno degli ordini ed io
obbedisco senza discuterli.
«Potrà saperne di piú il mio
compagno.»
– Verrà la sua volta. Dammi ora
un'altra spiegazione.
– Non ne ho altre.
– Perché ci hai provocati ed
assaliti presso la posada del Rio Verde?
– Perché avevo ricevuto l'ordine
di tentare di stoccarvi.
– Ci conoscevi dunque?
– Vi avevo seguiti dopo la vostra
uscita dalla taverna d'El Moro – rispose lo spadaccino.
– E tu ti credevi tanto forte da
spedirci all'altro mondo, senza lasciarci il tempo di farci firmare il
passaporto da compare Belzebú? – disse Mendoza.
– Speravo e, come avete veduto,
mi sono ingannato, perché mi sono presa una magnifica stoccata che per un pelo
non ha mandato invece me all'altro mondo.
– Passiamo ad interrogare messer
Pfiffero, – disse il guascone. – Quell'uomo lí deve sapere qualche cosa di piú
di questo imprudente bravaccio.
Il fiammingo sorrise
ironicamente, senza darsi la cura di dissimularlo.
Il terribile guascone, che lo
teneva d'occhio, scoppiò come una granata.
– Ehi, compare Pfiffero! – gridò.
– Non ridete sotto i baffi in presenza nostra, corpo di tutti i tuoni della
Francia e della Spagna!... Se credete di preparavi a prenderci a gabbo, vi dico
subito che il vostro giuoco potrebbe finire malissimo.
«Rios, accendi il fuoco e scalda
un pentolone d'acqua e bada che sia ben calda. Giacché questo Pfiffero m'ha
bevuto, senza pagare una piastra, Xeres, Alicante e aguardiente finissimo,
se non parlerà chiaro, gli faremo ora trangugiare una bottiglia piena d'acqua
bollente e gli cucineremo gl'intestini.»
– Misericordia!... – mormorò
Mendoza, frenando a stento uno scoppio di risa. – Questo don Barrejo è
diventato piú feroce d'un cannibale!...
– Va', Rios! – comandò il
guascone, con un gesto tragico. – Ed ora, signor Buttafuoco, interrogate pure.
«Lo sorveglio io questo Pfiffero,
e guai se s'imbroglia.»
Il viso del fiammingo era diventato
oscuro. Gettò su Buttafuoco una sguardo inquieto, chiedendogli con voce
tremolante:
– Che cos'è dunque che si vuol
sapere ora da me? Io non ho avuto alcuna parte nel rapimento della señorita.
«Prendetevela con Aramejo.»
– Tu devi saperla piú lunga del
tuo compagno, – disse Buttafuoco, – e spero strapparti delle informazioni che
ci saranno preziosissime.
«Il marchese di Montelimar era
stato avvertito del nostro arrivo a Panama?»
– Sí, – rispose il fiammingo,
terrorizzato dagli occhi terribili del guascone fissi su di lui.
– E come?
– Voi non avevate un compagno?
– Sí, un uomo che era stato molti
anni ai servigi del Gran Cacico del Darien, e che ci lasciò prima di sbarcare
sul continente.
– Per andare dove? – chiese il
fiammingo, un po' ironicamente.
– Per recarsi al Darien ad
avvertire quelle tribú dell'imminente arrivo della señorita.
– O per venire invece di nascosto
a Panama per tradirvi?
– Che cosa dici tu? – chiesero,
ad una voce, Buttafuoco e Mendoza, colpiti in pieno petto da quell'inattesa rivelazione.
– La verità, – rispose mastro
Arnoldo, con voce grave. – Quell'uomo doveva aver saputo che il marchese di
Montelimar da anni mirava ad impadronirsi del tesoro del Gran Cacico e vi ha
traditi, dietro la promessa di avere un terzo del tesoro.
– Ah!... Cane dannato!... –
esclamò Mendoza, furibondo. – Ed io l'avevo creduto un onesto bucaniere!... Ora
comprendo tutto.
– Ed io comprendo che l'eredità
del Cacico è in pericolo, – aggiunse don Barrejo. – Ah!... Quel Montelimar sa
condurre a meraviglia i suoi affari!
– Non mi aspettavo un colpo
simile, – disse Buttafuoco, Il quale pareva scombussolato, – e non avrei mai
supposto che un vecchio bucaniere fosse capace di compiere un simile
tradimento. È vero che la canaglia abbonda fra le nostre file!...
– Che cosa faremo ora, signor
Buttafuoco? – chiese il basco.
– Non perdiamo la testa per cosí
poco, – rispose il bucaniere. – Quell'uomo può essere pericolosissimo, però io
credo che non sia ancora giunto al Darien. E poi, senza la contessina di
Ventimiglia non si potrà far nulla da parte di chicchessia.
– L'ha in mano il marchese,
signor Buttafuoco, – disse il guascone.
– Non sono però ancora partiti.
– Chi lo sa?
– Oh!... Signor Arnoldo, – disse
Buttafuoco, con feroce cipiglio, – avete da narrarci delle altre cose molto
interessanti. Don Barrejo, tenete pronta qualche bottiglia d'acqua bollente.
– Ve ne sono dieci in cucina, –
rispose il guascone. – Rios non perde il suo tempo.
– Allora a noi due, messer
Arnoldo.
Il disgraziato fiammingo era
diventato terreo, mentre invece il suo compagno sogghignava sotto i baffi.
– In che cosa posso esservi
ancora utile? – balbettò.
– Il marchese quando partirà pel
Darien? Voi dovete saperlo.
– Appena le truppe spagnuole si saranno
ammassate in buon numero attraverso l'istmo, – rispose il fiammingo. – Il
Darien deve finire la sua indipendenza.
– E la contessina?
– So che il signor marchese ha
dato gli ordini opportuni perché un galeone la trasporti, fra qualche
settimana, alla baia di David, per risparmiarle un lungo e faticoso viaggio in
terra.
– Il nome di quel galeone? Tu
devi certamente saperlo, se sei dentro gli affari del tuo padrone.
– Il San Juan.
– È giunto già in porto?
– Non ancora; si aspetta dal Perú
con un carico di verghe d'oro.
– Buonissime per i filibustieri
di Raveneau, – borbottò Mendoza. – Ah!... Se potessero metterci sopra le mani,
che magnifico colpetto! Terremo nota di questo affare.
– Don Barrejo, – disse
Buttafuoco, – tenete a mente il nome di quel galeone.
– Me lo pianto nel cervello con
un chiodo lungo quanto la mia draghinassa, – rispose il guascone.
– Ora lasciamo in pace questi
uomini, pel momento, – riprese il bucaniere. – Ne sappiamo piú di quanto
speravo.
«Venite, amici.»
Si erano radunati in cucina, dove
il bravo Rios, credendo in buona fede che il suo terribile cognato volesse
cucinare le budella dei due prigionieri, si affannava a soffiare sul fuoco per
far bollire un pentolone monumentale pieno d'acqua.
– Il Consiglio di guerra apre
l'udienza, – disse don Barrejo, con quel suo fare fra il comico ed il serio. –
Il signor Buttafuoco, nominato ad unanimità presidente, ha la parola.
– Sarò breve, – rispose il
bucaniere. – Qui si tratta di non perdere tempo e di raggiungere a Taroga
Raveneau de Lussan ed i suoi filibustieri, per arrestare la nave che dovrà
portare la contessina di Ventimiglia alla baia di David.
«Senza la señorita noi non
potremmo fare assolutamente nulla e tanto varrebbe allora rinunciare alla
spedizione.»
– Noi siamo tutti pronti a
partire, – disse Mendoza. – Verrai anche tu, è vero, don Barrejo?
– Dove ci sono da menare colpi di
draghinassa accorro sempre, – rispose il terribile guascone.
– E Panchita?
– Mi aspetterà sotto la
sorveglianza di mio cognato Rios.
«Sono o non sono padrone della
mia libertà, io, tonnerre!...»
– Bisognerebbe però trovare il
modo di avvertire la señorita, – disse Buttafuoco.
– Oh!... Me ne incarico io, –
disse don Barrejo.
– Cosí presto? – chiese Mendoza.
– Tu sai, basco, che io ho una
fantasia fervidissima.
– Bada di non farti prendere.
– Colle mie gambe!... Sfido tutte
quelle degli armigeri del marchese. Lasciate fare a me e vi garantisco che
prima di questa sera la contessina avrà nostre notizie e che noi avremo anche
le sua.
«Signor Buttafuoco, volete prepararmi
qualche bigliettino? Ho una matita a vostra disposizione.»
– Ed io non manco di carta, –
rispose il bucaniere. – Mi aspetto però da voi un vero colpo di testa, degno di
un guascone.
– Quando ci va di mezzo l'onore della
grande Guascogna si possono affrontare mille pericoli e compiere mille
miracoli.
– Noi intanto ci occuperemo per
noleggiare qualche caravella per raggiungere i filibustieri di Taroga. Tu,
Wandoe, conosci molti marinai.
– L'affare non sarà difficile, –
rispose il padrone della posada, – non so però come farete a lasciare il
porto. Gli spagnuoli sono diventati eccessivamente curiosi, dopo che Raveneau
de Lussan li guarda dal Pacifico, e nessun veliero può uscire senza uno
speciale permesso od un'alta raccomandazione.
– Tonnerre!... – esclamò
il guascone. – Non abbiamo forse con noi il Pfiffero ed il figlio del grande di
Spagna? Avranno delle carte, suppongo, che accorderanno loro ampia libertà di
agire in nome del marchese di Montelimar.
«Assoldiamo quelle due canaglie
promettendo loro una parte dell'eredità del Grande Cacico del Darien. Piú tardi
penseremo noi a gettarli in bocca ai pesci-cani del
Pacifico.»
– Decisamente questo guascone è
diventato un antropofago, – disse Mendoza. – Ed io che avevo creduto che dopo
il suo matrimonio fosse diventato uno zuccherino candito!
– Approvate le mie idee? – chiese
don Barrejo, il quale non aveva fatto attenzione alle parole del basco.
– Pienamente, – rispose
Buttafuoco, il quale aveva scritto rapidamente alcune righe su un pezzo di
carta strappato da un libriccino. – Contiamo di lasciare Panama questa sera:
pensateci voi a cavarvela come meglio potrete.
– Ed io vi prometto di darvi una
prova di quanto sanno fare i guasconi, quando vogliono, – rispose don Barrejo.
– Rios, attaccati al carretto e riconduci la botte alla taverna.
«Ora è giorno e non avremo piú da
fare con degli ubriachi insolenti. Amici, a questa sera, prima del tramonto.»
Si gettò sopra la corazza il
mantellone di panno oscuro, si fissò bene al fianco la draghinassa, e lasciò la
catapecchia, insieme al robusto castigliano, il quale non si era dimenticato di
armarsi del suo formidabile randello. Il meraviglioso porto di Panama, il piú
bello ed il piú ampio che gli spagnuoli possedessero nell'America centrale, e
centro d'un attivissimo commercio col Messico, col Perú e col Chilí, i quali
inviavano al Presidente dell'Udienza Reale i loro galeoni carichi di verghe
d'oro, era tutto in movimento.
I velieri, sempre numerosissimi,
non ostante la vicinanza dei filibustieri, spiegavano le loro ampie vele per
asciugarle al sole o per prendere il largo, mentre sulle comode calate, turbe
di meticci e d'indiani s'affaccendavano intorno a vere montagne di merci pronte
ad essere imbarcate pei porti del Perú.
Sull'avamporto, due grosse
fregate, armate di una quarantina di cannoni ciascuna, bordeggiavano, facendo
di quando in quando, delle punte al largo, per prevenire una qualche non
improbabile sorpresa da parte dei filibustieri annidati solidamente a Taroga,
ma sempre pronti a piombare sui velieri isolati ed espugnarli colla loro solita
bravura.
La filibusteria, che tanti mali
aveva recato agli spagnuoli, si spengeva lentamente, però i suoi ultimi
campioni non valevano meno di Montbars, di Pietro l'Olandese, di terribile
fama, di Wan Horn, di Laurent e di Morgan, che per circa un secolo avevano
fatto tremare e piangere l'orgogliosa Spagna.
Rios ed il guascone, dopo essersi
aperto un varco fra la folla dei mercanti e degli armatori che affluiva verso il
porto, risalirono verso il centro della città, dove sorgevano i piú grandiosi
palazzi dei signori di Panama, fra cui quello del marchese di Montelimar, che
don Barrejo conosceva benissimo.
Giunti a questo punto si
separarono.
– Dirai a tua sorella che questa
sera ci rivedremo e che si prepari per un po' di tempo a non vedermi piú, –
aveva detto il guascone. – Bisogna curarli i propri affari, tonnerre!...
– Va bene – aveva risposto
semplicemente il robusto castigliano, e se n'era andato col suo carretto e colla
sua botte monumentale, la quale non mancava, per la sua mole, di attirare gli
sguardi di tutti i passanti.
Don Barrejo percorse diverse vie,
finché sbucò su una vasta piazza, fiancheggiata da bellissimi palazzi.
Da tutte le porte uscivano, in
gran numero, cuochi, domestici, garzoni, e delle belle meticce per fare le
spese mattutine.
Don Barrejo si rialzò i baffi un
po' grigiastri, si mise il feltro piumato sulle ventiquattro, aprí il
mantellone per mettere ben in vista la sua corazza, diventata press'a poco
lucente, e l'impugnatura della sua formidabile draghinassa, e si mise a
passeggiare, con sussiego, dinanzi ad un palazzone sul cui frontone campeggiava
lo stemma dei marchesi di Montelimar, formato da un monte verde come un
ramarro, sorgente da un mare bluastro su fondo dorato.
– Aspettiamo qualche gallinella,
– disse. – Tonnerre!... Sono ancora un bell'uomo!... Se ho guadagnato il
cuore della piú splendida taverniera di Panama, potrò fare ancora una breccia
nel cuore di qualche cuoca o di qualche servetta.
Passeggiava da un quarto d'ora
dinanzi al palazzo, sbirciando un po' insolentemente gli alabardieri che
vegliavano dinanzi alla grandiosa gradinata di marmo, quando vide uscire, agile
come un uccello, una bellissima mulatta, dagli occhi ardenti ed i capelli
crespi e nerissimi, portando infilato in un braccio nudo e rotondo un grosso
paniere.
– Ecco l'affar mio, – disse il
guascone. – Ora pesco il mio pesciolino.
|