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SULL'OCEANO PACIFICO
Don Barrejo ai suoi tempi, malgrado le sue lunghissime gambe,
era stato, nella sua qualità di armigero, un gran conquistatore di donne,
quindi non disperava affatto di condurre a buon porto i suoi disegni.
Adocchiata la bella mulatta,
allungò il passo ed in pochi momenti le fu alle spalle, dicendole:
– Eh!... Eh!... Dove correte, mia
bella?
La mulatta si voltò, guardò il
guascone, poi, come affascinata dall'aria marziale di lui o dallo splendore
della corazza, gli rispose:
– Al mercato, caballero.
– Chiamatemi conte, perché mio
padre è un grande di Spagna.
– Sí, signor conte.
– Sei ai servigi del marchese di
Montelimar? – le chiese don Barrejo, mettendosele a fianco.
– Sí, signor conte.
– Posso offrirti qualche cosa? La
mattina è fresca, e un buon bicchiere di mezcal non farà male né a me,
né a te.
– Oh!... Signor conte!... –
esclamò la mulatta.
– Insieme ad un gruzzolo di
piastre luccicanti, – proseguí il furbo guascone.
– Che cosa volete da me, signor
conte? – chiese la mulatta, stupita di trovarsi a fianco d'un cosí grande
gentiluomo.
– Signor conte, – disse poi, – io
non sono che una povera serva mulatta, che non ha mai avvicinato persone di
cosí alto grado.
– Ebbene sono io che ti avvicino
a me, – rispose don Barrejo, posando fieramente la sinistra sull'impugnatura della
draghinassa, perché gli era parso che qualche passante lo avesse guardato
sorridendo ironicamente. – Pelli bianche dal sangue azzurro o pelli dorate dal
sangue multicolore, per me fanno lo stesso, perché nelle mie vene non ho una
goccia di sangue castigliano.
«Come ti chiami?»
– Carmencita.
– Bel nome, tonnerre!...
Passavano in quel momento dinanzi
ad un negozio mezzo albergo e mezzo bottiglieria. Il guascone prese per una
spalla la bella mulatta e, senza tanti complimenti, la cacciò dentro,
comandando un boccale di mezcal e delle focacce dolci.
– Signor conte, – si provò a dire
la cuciniera del marchese.
– Qui dentro chiamami
semplicemente Diego, – rispose don Barrejo. – I figli dei grandi di Spagna
bisogna che qualche volta conservino l'incognito.
Prese il boccale colmo di quel
vino dolciastro e piccante, ricavato dall'alcool, empí le tazze, poi offrí
galantemente alla mulatta i pasticcini inzuccherati.
– Odimi mia cara, – disse poi,
abbassando la voce. – vuoi guadagnare dieci piastre?
– Non ne prendo tante in un mese
di lavoro, signor...
– Diego, ti ho detto. Allora ne
aggiungeremo altre dieci cosí faranno venti. Spero che saprai contare.
– Voi gettate i denari dalla
finestra, signor... Diego.
– Che cosa sono venti piastre pel
il figlio d'un grande di Spagna? Mio padre deve possederne un numero sterminato
che un giorno passeranno attraverso le mie mani.
– Che cosa devo fare per
guadagnare la somma che mi promettete, mio gentiluomo? – chiese la mulatta, la
quale, pur chiacchierando, sgretolava coi suoi magnifici denti i pasticcini
zuccherati, innaffiandoli con dei buoni bicchieri di mezcal.
– Rispondere semplicemente alle
mie domande, – rispose il guascone.
– Allora potete interrogarmi
anche fino a questa sera.
– Non voglio privare il marchese
delle sue belle cuoche. Stammi bene attenta ora, Carmencita.
– Parlate, signor Diego.
– Sai tu che sia stata condotta
al palazzo, due giorni or sono, una bellissima señorita che ha la pelle
leggermente abbronzata?
– Sí, signor Diego. Sono io che
le fornisco i pasti.
– Tonnerre!... Questo si
chiama aver fortuna!... È ben guardata?
– Ha sempre due alabardieri
dinanzi alla sua porta.
– Tu però puoi entrare
liberamente quando vuoi?
– Sí, signor Diego.
– Vedi, mia cara Carmencita, io
sono pazzamente innamorato di quella señorita e anche lei mi vuole un
gran bene, ma mio padre si è messo di mezzo e me l'ha fatta portar via dal
Marchese di Montelimar.
– Oh!...
– Non la vedi mai piangere il suo
perduto amore?
– Veramente no, – rispose la
mulatta.
– È orgogliosa la señorita,
e non vorrà farsi vedere dinanzi agli altri.
– Sarà come dite voi, signor
Diego.
– Ho da darti un incarico che
costerà a me le venti piastre ed a te nessuna fatica, – disse il guascone,
levando da un tasca il biglietto datogli da Buttafuoco. – Non hai da fare altro
che consegnarglielo, senza che nessuno ti veda.
– È una cosa semplicissima.
– La señorita ti darà un
altro biglietto che tu mi porterai qui prima che il sole tramonti. Ora eccoti
le prime dieci piastre; le altre ad affare finito.
«Sei contenta, mia bella
Carmencita?»
– Siete generoso, signor conte.
– Eh!... Come un conte, – rispose
il guascone, sorridendo. – Suvvia, da' un ultimo colpo di denti a questi
pasticcini che fanno piú bene a te che a me, poi vattene subito perché il
marchese non sospetti qualche cosa.
– Non si occupa delle sue serve.
– Non si sa mai!
La bella mulatta diede fondo ai
dolci, bevette qualche altro bicchiere di mezcal, poi, dopo aver
promesso di trovarsi all'appuntamento, se ne andò col suo gran paniere infilato
nel braccio.
– Tonnerre!... – mormorò
il guascone, quando fu solo, stropicciandosi allegramente le mani. – Anche fra
le serve si trovano delle brave persone.
«Orsú, andiamo a passare la mia
ultima giornata insieme a Panchita, poiché domani noi non saremo piú certamente
a Panama.
«Tonnerre!... Era tempo
che don Barrejo si svegliasse dal suo lungo sonno matrimoniale, e che
riprendesse la sua vita di avventuriero.
«Non ero già nato per fare il
cantiniere.»
Gettò sul tavolo una piastra ed uscí
senza attendere il cambio, fra gli inchini dei garzoni, stupiti di tanta
generosità. Già, si capisce, essi ignoravano la storia dell'eredità del Gran
Cacico del Darien sulla quale il guascone contava di rifarsi ampiamente.
Soltanto verso il mezzodí don
Barrejo fece la sua entrata nella sua taverna, proprio nel momento in cui
Panchita e Rios stavano per mettersi a tavola.
– Salute e buon appetito alla
compagnia, – disse, sbarazzandosi del ferraiolo. – Com'è che non vi è alcun
bevitore, moglie?
– Ah!... Sei tu, finalmente!...
– Credevi che fossi un altro,
moglie? Vanno male gli affari? La mia taverna è diventata un deserto.
– Quella maledetta botte ha
spaventato tutti, – rispose Panchita. – L'hanno veduta uscire ieri sera e
rientrare stamane e nel quartiere si sussurra che tu alla notte vai ad affogar
gli spettri che accalappi nella cantina.
Il guascone proruppe in una
risata.
– Non mi ero mai creduto capace
di tanto, – disse. – Vuoi un consiglio, Rios? Va' a gettare in mare quella
dannata botte che minaccia di diventare la nostra rovina.
«Quando non la vedranno piú
ritornare si persuaderanno che i satanelli, i diavoletti, i fantasmi ed i
folletti se ne sono andati e verranno ancora a bere il buon Xeres d'El
Moro.
«Orsú, facciamo il nostro ultimo
pranzo in compagnia, moglie.»
– Come, parti?
– Sono tre giorni che continuo a
dirtelo. Siete un po' duri d'orecchio, voialtri castigliani?
– E dove vai?
– Fra gl'indiani, a raccogliere
l'eredità del Gran Cacico del Darien. Mia cara, ritornerò con una montagna
d'oro ed apriremo un magnifico albergo come non se ne sono mai veduti in
Panama.
– E se ti uccidono?
– Chi? Uccidere don Barrejo? I
guasconi non si lasciano ammazzare come polli, mia cara, ricordatelo. E poi
quando ci sono con me Mendoza e Buttafuoco si può star tranquilli.
«Scommetto che verrebbe
volentieri con me anche Rios.»
– Certo, se si trattasse di
combattere solamente contro gli indiani, – rispose l'ercole castigliano.
– Ah!... Questo non si sa, e
perciò ti lascio a far la guardia a mia moglie. Bevi, mangia ed intasca, senza
contare, ché l'eredità del Cacico pagherà tutto.
«Pranziamo e basta colle
chiacchiere, per ora. Ho la lingua quasi secca.»
Pranzò allegramente, senza piú
accennare alle sue future conquiste, occupò il pomeriggio a rimettere in ordine
la cantina insieme a Rios, poi verso il tramonto prese le sue pistole e disse a
Panchita che lo guardava con sorpresa:
– Addio, mogliettina: ritorno il
guascone dei bei tempi.
– E quando rimarrai assente?
– Chi lo sa? Potrebbe dirtelo
solamente l'anima del Gran Cacicco del Darien.
– E se tu non ritornassi piú?
– Ti rimariterai, – rispose
semplicemente don Barrejo.
L'abbracciò affettuosamente,
strinse la mano al cognato e se ne andò tranquillamente, canticchiando fra i
denti:
Las doncellas son de oro
Las casadas son de plata
Y las viudad son de cobre
Y las viejas de hora de lata.
(Le donzelle sono d'oro
Le donne maritate d'argento
Le vedove son di rame
E le vecchie di latta)
Affrettò il passo e giunse ben
presto nella posada dove l'aspettava la mulatta.
La giovane vi era di già e stava
sgretolando altri pasticcini e bevendo dell'altro mezcal, certo che il
suo generoso amico non si sarebbe fatto pregare per pagare il conto.
– Dunque, Carmencita? – chiese il
guascone, abbracciandola.
– Tutto fatto, signor conte.
– Corpo di Giove Pluvio!... Tu
sei una perla!... Il biglietto?
– Consegnato alla señorita.
– E non ti ha dato nulla per me?
– Un altro biglietto, – rispose
la mulatta, levandosi dal corsetto di percallo variegato un piccolo piego.
Il guascone l'afferrò, l'aprí, vi
gettò sopra gli occhi, borbottò delle parole incomprensibili, per non farsi
credere un ignorante, poi se lo mise in tasca, mormorando:
– Qui ci vogliono gli occhi di
Buttafuoco o quelli del curato del mio villaggio, se risplenderanno ancora,
cosa di cui dubito assai, poiché il sant'uomo era già vecchio ed anche in
Guascogna purtroppo si prendono dei passaporti per l'altro mondo.
Mise dinanzi alla mulatta le
altre dieci piastre, vuotò un paio di bicchieri di mezcal, pagò il conto
e si alzò, dicendo:
– Noi ci rivedremo ancora, mia
bella. Dirai alla señorita che tutto va bene.
«Addio, e non commettere
imprudenze.»
E, come aveva lasciato sua
moglie, piantò in asso la mulatta e se ne andò sempre canticchiando fra i
denti:
Las doncellas son de oro...
Quando giunse al porto la notte
era già calata ed il cannone aveva tuonato per segnalare la sospensione delle
partenze.
Trovò Buttafuoco e Mendoza in
grandi faccende. Avevano fatto acquisto di archibugi, di pistole e di munizioni
e stavano impaccandole.
– Ecco la risposta della señorita,
signor Buttafuoco, – disse il guascone, piombando nella casetta come una bomba.
– Come vedete, io ho mantenuta la mia promessa.
– Comincio a sospettare che siate
parente del diavolo, – rispose il bucaniere.
– Un po' piú, un po' meno tutti i
guasconi sono imparentati con compare Berlicche, – rispose don Barrejo. – È una
cosa che si sa anche in Biscaglia, è vero, Mendoza?
Buttafuoco aveva aperto
rapidamente il biglietto della contessina di Ventimiglia, e d'un colpo d'occhio
l'aveva scorso.
– I nostri prigionieri hanno
detto la verità, – disse. – Fra otto o dieci giorni il marchese la farà
imbarcare sul San Juan per condurla alla baia di David insieme
all'avanguardia della spedizione.
– Fulmini di Biscaglia!... –
esclamò Mendoza. – Abbiamo appena il tempo di raccogliere i filibustieri di
Raveneau de Lussan.
– Non ci manca che d'imbarcarci
poiché tutto è pronto, – rispose Buttafuoco. – Domani mattina saremo ben
lontani da Panama.
– Si parte? – esclamò il guascone.
– Wandoe insieme al fiammingo
hanno noleggiato oggi una piccola caravella che si dice dovrà trasportarci in
California, mentre quando saremo in mare andremo dove vorremo, se l'equipaggio
non vorrà servire da colazione o da cena ai pesci-cani.
– Quanti sono a bordo?
– In sei, compreso il capitano.
– Se faranno i prepotenti con
quattro colpi di draghinassa pareggeremo il numero, – disse il guascone. – Chi
viene con noi?
– Il tuo amico Pfiffero e il
figlio del grande di Spagna, – disse Mendoza. – Ormai si sono decisi ad
abbandonare il marchese di Montelimar e ad associarsi a noi.
«Uno è fiammingo e l'altro
portoghese, quindi potranno menare stoccate sugli spagnuoli, se si presenterà
l'occasione, senza che la loro coscienza abbia nulla che dire.»
– Sono già a bordo?
– Sí.
– Con Wandoe?
– Quello ha la sua posada,
mio caro don Barrejo, e di avventure non ne vuole piú sapere.
– Quello non è né un basco né un
guascone, – rispose il taverniere, con disprezzo. – Forse che io non ho lasciato
mia moglie per correre attraverso il mondo in cerca di gloria e di stoccate?
– Forse eri stanco della
castigliana, – disse il basco, ridendo.
– Oh no!... – protestò il
guascone. – Io amo la mia donna, ma preferisco le avventure.
– Partiamo, – disse in quel
momento Buttafuoco, il quale aveva terminato di fare i suoi pacchi.
– Eh, signor mio, non avete
pensato ad una cosa però!
– A quale, don Barrejo?
– Il cannone ha già tuonato e
l'uscita dal porto è chiusa per tutti i velieri.
– Non per quelli però che portano
a bordo un agente segreto del marchese di Montelimar, – rispose Buttafuoco. –
Abbiamo pensato a tutto noi, e questa notte lasceremo Panama.
– Quand'è cosí possiamo
cominciare la nostra vita avventurosa, – rispose don Barrejo. – Sono sei anni
che non mi ritrovo fra i filibustieri e che non provo il mare.
– Allora prenditi degli aranci,
amico, – disse Mendoza. – Sai che le onde giuocano talvolta dei brutti scherzi
allo stomaco.
– Il mio è di ferro, – rispose
don Barrejo.
Presero i pacchi contenenti le armi
e le munizioni, chiusero la porta e si diressero verso la gettata, dinanzi alla
quale ondeggiava agilmente una piccola caravella di ottanta o cento tonnellate,
colle due vele latine e le quadre del trinchetto già sciolte.
Ricominciava a piovere, però l'oceano
non muggiva piú rabbiosamente, ed una fresca brezza soffiava dalla parte di
terra.
Mastro Arnoldo fu il primo che
ricevette i tre formidabili avventurieri con un »pona sera» dolcissimo.
Un uomo barbuto e molto
abbronzato, gli stava dietro: era il comandante.
– Tutto fatto, compare? – chiese
Buttafuoco, al fiammingo.
– Fia libera per foi, – rispose
il fiammingo. – Fanale ferde segnare permesso.
– Dov'è il tuo compagno?
– In una cabina: molto malato
Aramejo.
– Se non guarirà, offriremo una
colazione agli squali dell'oceano Pacifico, – disse don Barrejo. – Il tuo
amico, compare Pfiffero, non ha nemmeno una goccia di sangue dei grandi di
Spagna.
– Aho!... – fece il fiammingo, il
quale credette opportuno di non aggiungere nessun'altra parola.
I cinque marinai, tutti meticci
della costa del Pacifico e che anche in quei tempi godevano fama di essere
bravi uomini di mare, salparono l'âncora, mentre il capitano issava sulla cima
del trinchetto un fanale a luce verde, ciò che indicava che il veliero aveva libera
uscita a suo rischio e pericolo.
Con un'abile manovra la caravella
si staccò dalla banchina, sfilando tra una moltitudine di navi disperse pel
porto, e si diresse sollecitamente verso l'uscita, spinta dalla brezza che
soffiava abbastanza forte da terra.
Buttafuoco, Mendoza ed il
guascone, dopo d'aver fatta una rapida visita alla stiva, la quale era ingombra
di botti che sembravano vuote e che perciò potevano nascondere degli
avventurieri del marchese, erano risaliti in coperta radunandosi a prora.
– Avete notato nulla di sospetto,
signor Buttafuoco? – chiese sotto voce, il guascone. – Io non mi fido molto,
sapete, di quel Pfiffero.
– Assolutamente nulla, – rispose
il bucaniere.
– Allora siamo padroni noi.
– Ossia le nostre spade.
– Le quali, al momento opportuno,
sapranno fare terribilmente il loro dovere.
– Prendiamo però le nostre
precauzioni. Che uno di noi vegli sempre e faccia scrupolosamente il suo
quarto.
«Noi non ci troviamo certo fra
buoni amici.»
– E tu, Mendoza, che sei stato
marinaio, – disse il guascone, – bada alla rotta di questa carcassa. Invece di
farci andare in California questi uomini sono capaci si condurci al Perú o al
Chilí.
– Tengo d'occhio la bussola,
amico, – rispose il basco. – Al primo quarto che fanno saltare agguanto il
timoniere e lo getto in mare.
– Insieme al Pfiffero.
– Se sarà possibile manderò a
bere anche lui, nel caso che tradisca la fede giurata.
– Ha troppa paura di noi per
tentare qualche cosa ai nostri danni, quantunque abbia due occhi cosí azzurri
che non mi persuadono affatto.
– Strage generale, – disse
Buttafuoco, accendendo la sua pipa.
La caravella con poche bordate
aveva raggiunta la bocca del porto, dinanzi a cui incrociavano le due grosse
fregate per impedire qualche sorpresa da parte dei filibustieri che si aggiravano
ancora sulle acque del Pacifico.
Al di fuori l'onda era un po'
forte, nondimeno il piccolo veliero, quantunque dovesse contare un bel numero
d'anni e dovesse avere la colomba spezzata, si comportava discretamente bene.
Il capitano, dopo un breve consulto
coi suoi cinque marinai e dopo aver interrogato a lungo l'orizzonte con un
cannocchiale, aveva messo la prora a nord ovest, per evitare le numerose
scogliere che coprivano la costa.
– Tutto va bene per ora, – disse
Mendoza, il quale aveva fatto una scappata a poppa per accertarsi della rotta
sulla bussola. – Domani costringeremo questi uomini a filare su Taroga e se si
opporranno daremo loro addosso.
– M'incarico io di tagliare la
barba al capitano, – disse don Barrejo.
– Se volete andarvi a riposare
rimango io di guardia.
– No, Mendoza, – rispose
Buttafuoco. – I nostri quarti li cominceremo domani, quando avremo la certezza
che l'equipaggio ci tiene in conto di pacifici passeggeri.
«Compare Arnoldo potrebbe aver
soffiato qualche cosa negli orecchi del capitano e non commetterò mai
l'imprudenza di lasciare il ponte, almeno per ora.»
I suoi due compagni approvarono
con un cenno del capo, e dopo di aver accese a loro volta le pipe, ripresero il
loro posto a prora.
Al largo mareggiava sempre forte
l'ondata, tribolando non poco la corsa della piccola caravella, però la notte
era magnificamente stellata ed un quarto di luna molto pallido brillava
all'orizzonte specchiandosi nelle acque. I cinque marinai ed il loro capitano,
preoccupati forse dalla vicinanza dei terribili scorridori del Pacifico, non
lasciarono la coperta un solo momento, e compare Arnoldo tenne loro compagnia.
Quando l'alba spuntò, le coste
americane non erano piú visibili all'orizzonte. La caravella, durante la notte,
aveva derivato fortemente al largo in causa forse di qualche corrente.
– Siamo già ben lontani, – disse
Mendoza. – Se questa corsa continua fra un paio di giorni poi potremmo giungere
a Taroga.
«Mi pare però che l'amico barbuto
non abbia l'intenzione di farci vedere i nostri amici filibustieri.»
Infatti i marinai, a un colpo di
fischietto del capitano, avevano virato di bordo, cercando di tornare almeno in
vista della costa per gettarvisi sopra nel caso che i filibustieri facessero la
loro comparsa.
Non era però cosí che la intendevano
i tre avventurieri, i quali non tardavano a mettersi in tasca le pipe e ad
affrontare il comandante.
– Che cosa fate? – gli chiese
Buttafuoco, con un certo cipiglio poco rassicurante.
– Cambio rotta, – rispose l'uomo
barbuto. – Siamo troppo al largo ed io non ho alcun desiderio di dare dentro a
qualche nave corsara.
– Vi ordino di riprendere la
rotta di prima e di non occuparvi dei filibustieri.
– Voi!... – esclamò il capitano,
stupito.
– Io, – rispose tranquillamente
Buttafuoco.
– E per andare dove?
– Vogliamo accertarci se a Taroga
ci sono ancora, sí o no, quei bravi uomini.
– Io vi ho imbarcati per condurvi
in California.
– Abbiamo ora cambiato pensiero.
– È forse vostra la caravella?
– L'abbiamo noleggiata per nostro
conto e noi vogliamo andare dove ci piace.
– Eh!...Eh!...Comandate un po'
troppo, signor mio, in casa mia!... – gridò il capitano. – Se volete farvi
ammazzare dai filibustieri, imbarcatevi sulla scialuppa che la mia caravella
rimorchia e andatevene al diavolo.
«In quanto a me ritorno alla
costa il piú presto possibile.»
– Non avendo però noi nessun
desiderio di farci divorare dai pesci-cani, ed avendo
noleggiata la vostra caravella e non già la scialuppa, per la seconda volta vi
ordino di rimettere la prora a ponente poiché la nostra rotta è quella.
«In California ci andrete piú
tardi.»
– E basta, messer barbuto, –
aggiunse il guascone, battendo la mano sulla sua draghinassa. – O obbedire o
provare il filo dei nostri gingilli; e tagliano, sapete.
Il capitano era diventato livido.
– Chi siete dunque, voi? – chiese
balbettando.
– Non vi occupate di sapere chi
siamo e che cosa intendiamo di fare, – rispose Buttafuoco. – Vi dico solo dai
filibustieri non avrete nulla da temere, finché noi saremo a bordo della vostra
caravella.
Il capitano stava per ribattere
la parola, quando mastro Arnoldo, il quale aveva assistito impassibile a quella
disputa che minacciava di farsi grave, poiché i meticci non sembravano disposti
a lasciar solo il loro capo, intervenne.
– Obbedite a questi signori, –
disse. – Ordine del marchese di Montelimar.
«Io rispondo di tutto.»
– Quand'è cosí, si vada allora
verso l'inferno. Vedremo se il signor marchese sarà là a proteggerci quando i
filibustieri monteranno all'abbordaggio.
– Basta cosí, – disse Arnoldo.
– Ehi, compare Pfiffero, potevi
intervenire un po' prima e risparmiarci un sacco di chiacchiere inutili, –
disse il guascone.
Il fiammingo alzò le spalle senza
rispondere e riprese il suo posto dietro l'abitacolo di poppa.
Il capitano, dopo essersi
consigliato coi suoi uomini, i quali cominciarono a guardare in cagnesco i tre
avventurieri, senza però osare di manifestare apertamente il loro malumore,
fece rimettere la prora verso ponente.
Nessun pericolo pareva d'altronde
che minacciasse la caravella, poiché l'oceano appariva assolutamente deserto.
Solamente degli uccellacci marini e dei branchi di
pesci-volanti lo percorrevano, e quelli non potevano dare
certamente noia ai naviganti.
Il vento però era diventato cosí
debole coll'alzarsi del sole che la caravella non riusciva a guadagnare piú di
un paio di nodi all’ora. C'era però del malvolere anche da parte dei marinai i
quali lasciavano troppo le scotte.
A mezzodí i tre avventurieri, che
si consideravano ormai come i padroni della navicella, reclamarono
imperiosamente la colazione e anche abbondante, dichiarando di avere un
appetito da pesci-cani.
Il capitano ed i marinai, i quali
incominciarono ad aver paura di quei tre spavaldi che già supponevano dei
filibustieri, si guardarono dal negarla.
Durante la giornata la caravella
continuò a navigare pesantemente verso ponente, guadagnando appena una ventina
di miglia, però appena il sole scomparve, la brezza si rialzò piú viva
accelerando la corsa della carcassa.
I tre avventurieri si digerirono
tranquillamente anche la cena, poi Buttafuoco ed il guascone si ritirarono
nella cabina loro assegnata, mentre il basco montava il suo quarto di guardia
con un paio di pistoloni alla cintura e la sua fida spada che tante meraviglie
aveva compito sotto il figlio del Corsaro Rosso.
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