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ALL'ARREMBAGGIO DEL GALEONE
Raveneau de Lussan, malgrado i sei anni passati alle isole fra
continui combattimenti, continue ansie e miserie senza fine, aveva conservato
il suo inalterabile buon umore del gentiluomo francese, sicché l'accoglienza
fatta a Buttafuoco, a Medonza ed al guascone fu una delle piú cordiali.
– Il cuore mi diceva, – disse
loro, dopo di averli fatti passare sulla sua piroga e di averli abbracciati, –
che un giorno in qualche angolo del mondo vi avrei riveduti. Peccato che con
voi non vi sia anche quel bravo conte di Ventimiglia.
«Ah!... Come l'avrei riveduto
volentieri!...»
– Mio caro, – rispose Buttafuoco,
– egli è troppo felice colla marchesa di Montelimar e non lascerà certamente il
suo magnifico castello di Ventimiglia.
«Se però non è venuto lui abbiamo
condotto qui sua sorella.»
– Chi? – chiese Raveneau, con
stupore. – La nipote del Gran Cacico del Darien?
– Sí, amico.
– E dove si trova? Io non la vedo
fra voi.
– Se fosse ancora con noi, forse
non ci avresti riveduti cosí presto.
– Spiegati meglio, Buttafuoco.
– Noi siamo qui venuti a chiedere
l'appoggio dei filibustieri del Pacifico per liberare ancora una volta la señorita
Ines di Ventimiglia.
– Ben detto, – disse il guascone.
– Per Dio!... Ve l'hanno presa?
– Il marchese di Montelimar ce
l'ha ritolta.
– È dunque innamorato pazzamente
di quella fanciulla?
– Delle sue immense ricchezze,
mio caro Raveneau. Non hai saputo dunque che il Gran Cacico del Darien è morto?
– Come vuoi che gli avvenimenti
che succedono dall'altra parte dell'istmo giungano fino a noi che siamo come isolati
in mezzo al mondo? Sicché la señorita è sbarcata in America per recarsi
al Darien a raccogliere le favolose ricchezze di suo nonno?
– E come vedi non ha avuto
fortuna, perché appena giunta in Panama è rimasta nelle mani del suo nemico, il
quale aspira da anni ed anni, con una pazienza incredibile, di mettere le mani
lui su quei tesori, colla scusa che è stato lui ad allevare la contessina ed a
mantenerla in casa sua per sedici anni.
– E si trova a Panama?
– Sí, amico.
– Ebbene tu giungi in un cattivo
momento, mio caro Buttafuoco.
«Tutte le altre partite di
filibustieri che possedevano qualche nave hanno preso la via del sud e non
siano rimasti che in duecento e ottantacinque fra i quali non pochi malati che
saremo costretti ad abbandonare, e quello che è peggio non possediamo che delle
piroghe sgangherate.
«Come vorresti tu che io
lanciassi quest'orda di disperati contro Panama che oggi è quasi imprendibile?
«I bei tempi di Morgan sono ormai
passati.»
– Noi non domandiamo tanto, mio
caro Raveneau. Tu mi hai detto che se non possedete dei vascelli non vi mancano
gli schifi e le piroghe.
«Gli ultimi filibustieri non
sarebbero piú capaci, con tali mezzi, di abbordare un galeone?»
– Che cosa dici, Buttafuoco? Noi,
appunto perché siamo gli ultimi, saremo i piú terribili e non avremo certamente
paura di abbordare una nave, per quanto grossa sia.
«Spiegati però meglio, perché di
tutto questo affare non ho capito che una cosa sola: che si tratta di liberare
la señorita di Ventimiglia.»
– Ed è per questo che noi siamo
venuti ad invocare l'aiuto dei Fratelli della Costa che tanto hanno dovuto ai
corsari italiani.
«Fra cinque o sei giorni, salvo
errore, una nave salperà da Panama per trasportare la señorita alla baia
di David.»
– E cosí? – chiese Raveneau.
– Non si tratta che di assalirla
e di togliere agli spagnuoli la fanciulla.
– È tutto qui?
– No, – riprese Buttafuoco. – Che
cosa fate voi altri nell'oceano Pacifico ora che tutti gli altri vostri
compagni sono partiti? Che cosa aspettate? Che qualche poderosa squadra
spagnuola venga a snidarvi e a cacciarvi tutti in mare?
Raveneau de Lussan guardò a lungo
il gentiluomo francese, socchiudendo a piú riprese gli occhi, poi disse:
– Sai dove andavamo ora con la
nostra piroga?
– No, davvero.
– Verso la costa per cercare
delle informazioni che ci sarebbero necessarie per passare definitivamente sul
continente.
«Sono sei anni che viviamo sulle
isole sempre in lotta colla fame e cogli spagnuoli ed abbiamo ormai fermamente
deciso di lasciare anche noi per sempre l'oceano Pacifico.»
– E quale via terrete?
– Quella del Darien
probabilmente, – rispose Raveneau.
– Se si offrisse ai tuoi uomini
qualche milione di piastre da prelevarsi sull'eredità del Gran Cacico a
condizione di aiutarci nella nostra impresa?
– Io credo che si getterebbero
anche sulle calate di Panama.
– Noi dunque possiamo contare
assolutamente su dite?
– Non solo, ma anche ti ringrazio
di essere venuto a scovarmi perché questa storia delle favolose ricchezze del Gran
Cacico deciderà completamente i miei uomini a passare sulla costa.
«Tu mi hai detto che il galeone
andrà a gettare le ancore alla baia di David?»
– Sí, amico, – rispose
Buttafuoco.
– Ebbene noi domani lasceremo la
nostra maledetta isola ed andremo ad aspettarlo in vista di quel porto.
Si volse verso i suoi uomini e
disse:
– Affrettate le battute,
camerati; ho molta fretta di rivedere l'isola
La piroga, una discreta
imbarcazione, ancora in ottimo stato, armata d'un cannone collocato a prora,
volava sulla acque dell'oceano il quale quel giorno era veramente Pacifico.
Il guascone e Mendoza avevano
pure preso un remo ciascuno per accelerare la ritirata.
Due ore dopo Taroga era in vista.
L'isola, quasi sterile, emergeva come un enorme cetaceo sul mare, essendo molto
lunga e molto stretta.
Da sei anni gli ultimi
filibustieri vi si erano annidati, trovandosi essa sulle rotte tenute dalle
navi che dalla California e dal Messico si recavano a Panama a portare i ricchi
tributi d'oro e d'argento strappati ai poveri indiani.
Il ritorno della piroga con
Buttafuoco, Mendoza e don Barrejo, fu salutato con gioia da parte di quei
terribili avventurieri, essendo quei tre nomi sempre notissimi nella
filibusteria.
Raveneau de Lussan che amava le
cose spicce, condusse i suoi amici nella sua capanna, una catapecchia formata
di vecchie tele e di avanzi di navi, e offrí subito loro una discreta colazione
a base di carne di tartaruga, essendo quell'isola molto frequentata da quei
rettili, poi mentre li lasciava riposare, si recò ad informare i capi piú
influenti di quella turba di disperati di quanto era stato proposto da
Buttafuoco.
Come aveva previsto nessuno mosse
delle obbiezioni. Tutti erano stanchi di quella vita di miserie, trascorsa
sotto un sole ardente, che li arrostiva vivi, e sospiravano da lunga pezza le
grandi foreste profumate del continente.
Ormai non avevano piú nulla da
fare nel Pacifico. Le navi spagnuole si tenevano lontanissime e le coste erano
guardate da turbe di soldati e d'indiani sempre pronti a rigettare in mare quel
pugno d'uomini.
E poi la nostalgia del bel golfo
del Messico, la culla delle loro glorie, da parecchio tempo li affliggeva e li
consumava di desiderio.
Fu dunque deciso, seduta stante,
lo sgombro dell'isola e la partenza pel continente.
Durante la giornata furono fatti
i preparativi per la grande spedizione, che poteva durare mesi e mesi
attraverso le alte montagne e le sconfinate foreste dell'istmo.
I filibustieri, che già da vario
tempo maturavano il disegno d'andarsene, prima che qualche grossa squadra
spagnuola li sorprendesse e li massacrasse tutti, come molti lustri prima era
avvenuto a San Cristoforo, si erano già procurate delle preziose informazioni,
strappate col terrore ai pescatori della costa, però non erano sufficienti.
La strada piú spedita sarebbe
stata quella di Segovia-Nuova, città dipendente dal governo
di Nicaragua, posta a settentrione del lago omonimo, a quaranta leghe
dall'oceano Pacifico ed a venti da un grosso fiume, il quale si sapeva che
doveva scaricarsi nel golfo del Messico verso il capo Gracias de Dios.
Quelle notizie non erano
certamente molte, però per uomini risoluti come erano i filibustieri, potevano
fino a un certo punto bastare.
Alla sera, Raveneau de Lussan,
dopo d'aver visitate tutte le piroghe che potevano ancora tenere il mare e aver
fatto gettare in acqua le artiglierie che non potevano trasportare e che non
volevano cadessero nelle mani degli spagnuoli, radunò i suoi uomini per la
divisione del bottino, dovendo d'ora innanzi ognuno incaricarsi di difenderlo
per proprio conto.
Narra nelle sue memorie Raveneau
de Lussan, che era rimasto nella cassa comune oltre mezzo milione di piastre.
L'argento fu diviso a peso, ma fu
una questione molto difficile la divisione e la e la valutazione delle verghe
d'oro, delle perle, degli smeraldi e d'altre gioie.
Trovarono però una pronta
soluzione mettendo tutti gli oggetti preziosi all'asta, sicché si videro degli
uomini che possedevano troppo argento guadagnato al giuoco, pagare un'oncia
d'oro perfino cento piastre! Altrettanto fu pei gioielli, i quali, sotto un
piccolo volume, conservano un gran valore facile a trasportarsi.
L'indomani, ai primi albori, i
duecento ottantacinque filibustieri lasciavano Taroga su otto piroghe armate
ciascuna d'un pezzo d'artiglieria e muovevano risolutamente verso il
continente, coll'intenzione di incrociare prima d'innanzi alla baia di David,
per attendere il galeone che doveva trasportare la contessina di Ventimiglia.
L'oceano, quasi volesse almeno
una volta mostrarsi clemente contro quei disgraziati, che avevano già provato
troppo le sue collere terribili, era calmo e liscio quasi come uno specchio.
Solamente verso ponente la brezza
corruscava le acque, dando loro degli strani riflessi che i raggi del sole
rendevano talora purpurei.
Nessuna vela appariva
all'orizzonte. In alto invece strepitavano branchi di grossi uccelli marini,
specialmente di rompitori d'ossa e d'albatros raglianti come asini.
– To', – disse il guascone, che
da trentasei ore aveva ben poco chiacchierato. – Non trovi tu, Mendoza, in
questa grande calma un segno di felice augurio per la spedizione?
– Eh, mio caro, non siamo ancora
a casa e tu non sei ancora nella cantina della taverna d'El Moro ad
assaggiare i vini con tua moglie.
– Mia moglie!... Parola d'onore
che me l'ero scordata.
– Di già?
– Don Barrejo era nato per fare
l'avventuriero e non per piantare su casa, né taverne, tonnerre!... –
rispose il guascone, che manovrava un remo dietro al Basco. – Ero forse piú
felice quando abitavo il mio stambugio collocato sotto il tetto, dove tu ed il
conte di Ventimiglia siete venuti a svegliarmi.
– Allora non eri che un armigero
al soldo della Spagna, mentre ora sei padrone di una taverna e, quello che è
piú importante, ben fornita.
– Purché mio cognato non me la
vuoti durante la mia assenza – disse il guascone, ridendo.
– Lascia che beva, compare. Che
cosa andiamo a fare noi al Darien? A raccogliere oro a palate.
«Non sai che laggiú i ragazzi
delle tribú giuocano alla palla con delle pepite che varrebbero mille lire
nelle mani d'un ladro?»
– Chi te lo ha detto?
– Tutti lo sanno, – rispose
Mendoza.
– Avranno d'oro anche tutti i
loro utensili allora.
– Sicuro, compare. Cucinano
rospi, serpenti, patate e pesci dentro pentole d'oro.
– È il paese della cuccagna,
quello?
– Lo sa bene il marchese
Montelimar. Non avrebbe certamente aspettato tanti anni per realizzare il suo
sogno.
– Il Corsaro Rosso ha fatto un
magnifico affare sposando l'unica figlia del Gran Cacico del Darien. Parola di
guascone che l'avrei sposata anch'io invece di Panchita.
– Non so però se l'abbia presa
per amore, quantunque si dicesse che era la piú bella fanciulla indiana
dell'America centrale, – disse Mendoza.
– L'hanno costretto forse?
– Mio caro, in quell'epoca al
Darien si usava mettere allo spiedo i prigionieri che l'oceano regalava.
«Pietro l'Olonese, uno dei piú
famosi filibustieri che siano mai esistiti, non è stato forse mangiato da quei
selvaggi, dopo essere stato cucinato dentro un'enorme pentola d'oro massiccio? Altrettanto
sarebbe successo forse al Corsaro Rosso, se la figlia del Grande Cacico non lo
avesse trovato bello.»
– Troveremo ancora il pentolone
che ha servito a cucinare l'Olonese? Sarebbe un magnifico ricordo, – disse don
Barrejo.
– È probabile, – rispose il
basco, ridendo. – Che cosa vorresti farne tu?
– Tonnerre!... Tu non ci
vedi dentro agli affari, mio caro. Lo metterei nella mia taverna o nel mio
futuro albergo per attirare gente.
«Guarda che cosa salta fuori da
queste chiacchiere! Albergo della pentola d'oro, dove è stato cucinato
Pietro l'Olonese.»
– Ti ci vorrebbe la facciata
intera d'una casa per scrivere tutta questa roba.
– Se sarà necessario ne comprerò
due, mio caro. Alla pentola d'oro! Farò certamente affari d'oro, ti pare?
– Io non ne ho nessun dubbio,
però penso, camerata, che tu corri troppo.
– Vorresti dire?
– Che il Darien è molto lontano e
che prima di giungervi dovremo battagliare ferocemente cogli spagnuoli che il
marchese di Montelimar getterà attraverso la nostra via.
– I guasconi muoiono colla barba
bianca, mentre io l'ho solamente un po' brizzolata. Me lo diceva sempre
Panchita che la mia peluria resisteva tenacemente al clima americano.
Intanto le piroghe, capitanate da
quella montata da Raveneau de Lussan e da Buttafuoco, e sulla quale si
trovavano pure i due inseparabili amiconi, continuavano la loro marcia verso
levante, derivando un po' a settentrione. I filibustieri, lieti di aver
lasciata finalmente l'isola dalla quale avevano temuto di non dover piú uscire
vivi, maneggiavano i remi gagliardamente, canticchiando.
Di quando in quando un colpo
d'arma da fuoco echeggiava ed un albatros od un rompitore d'ossa che avevano
commessa l'imprudenza di mostrarsi troppo vicini a quegli infallibili
bersaglieri, cadeva ed andava ad aumentare le scarsissime provviste della
spedizione.
La notte sorprese i filibustieri
in alto mare. Sicuri di non venire disturbati, avendo gli spagnuoli sospesa la
navigazione in quei paraggi, si accomodarono alla meglio sotto e sopra i banchi
e s'addormentarono placidamente, cullati dall'eterna ondata dell'oceano
Pacifico, la quale, di quando in quando, con una certa regolarità, giungeva
rumoreggiando cupamente senza essere però pericolosa.
L'indomani, dopo una notte
tranquilla, le piroghe riprendevano la rotta verso la costa americana.
Già in lontananza cominciavano a
profilarsi le azzurre vette della Grande Cordigliera che forma, colle montagne
Rocciose, l'ossatura dei due continenti.
– Questa sera accamperemo a
terra, se il diavolo non ci mette la coda, – aveva detto Raveneau de Lussan.
E cosí infatti avvenne. Il sole
stava per tramontare quando le piroghe entrarono furiosamente nella baia di
David, impadronendosi, senza far uso delle armi, d'un piccolo villaggio di
pescatori indiani e meticci, i quali furono subito messi al sicuro per paura
che fuggissero nell'interno ad avvertire le cinquantine spagnuole.
Non restava ai filibustieri che
attendere il galeone e prenderlo d'assalto colla loro abituale bravura.
Tre giorni però trascorsero senza
che il sospirato legno si mostrasse. Buttafuoco cominciava a temere d'essere
stato ingannato, quando verso il tramonto del quarto fu segnalata una vela, che
pareva puntasse decisamente verso la baia di David.
I filibustieri, prontamente
avvertiti, si erano radunati sulla spiaggia, pronti ad imbarcarsi.
– Amici, – aveva detto loro
Raveneau de Lussan. – Preparatevi a combattere l’ultima battaglia sull'oceano
Pacifico, poiché dopo, noi non rivedremo mai piú, checché ci debba succedere,
queste acque.
Alle otto di sera i filibustieri,
pieni d'entusiasmo, prendevano posto nelle piroghe, avendo ormai avuta la
certezza che una grossa nave, una fregata od un galeone, si dirigeva abbastanza
velocemente verso la baia.
Le tenebre favorivano il colpo di
mano. Già prima che il sole scomparisse, delle masse di fitti vapori si erano
distese pel cielo intercettando completamente la scarsa luce degli astri.
L'oceano pareva che fosse
diventato d'inchiostro.
Raveneau de Lussan, in piedi sulla
prora della sua piroga, a fianco di Buttafuoco, cercava di discernere la nave
immersa nelle tenebre.
– Sapremo egualmente trovarlo, –
disse il bucaniere, che lo interrogava ansiosamente. – Sappiamo già qual è la
sua rotta e non tarderemo ad incontrarlo.
– Era un galeone? – chiese
Buttafuoco.
– Una grossa nave di certo, –
rispose Raveneau.
– Lo prenderemo?
– Non dubitare dei miei uomini. E
poi ho dato ai capi delle piroghe un certo ordine, che costringerà gli altri a
montare all'abbordaggio anche se non ne avessero voglia.
– Vorresti dire?
– Che quando noi saremo sotto il
galeone, dovranno sfondare, a colpi di scure, i fianchi delle scialuppe, cosí a
tutti noi non rimarrà altra alternativa che di salvarci sul legno nemico se non
vorremo morire annegati.
«Si narra che anche Pietro
l'Olonese una volta facesse altrettanto.»
– Un mezzo estremamente eroico.
– Che ci darà però la vittoria, –
rispose Raveneau. – Conosco troppo bene questi disperati. Ah!... Eccolo.
– Dove?
– S'avanza proprio su di noi.
– Non vedo ancora nulla.
– Tu non hai l'occhio del
marinaio. Fra pochi minuti però lo scorgerai anche tu.
Anche i suoi uomini dovevano
essersi accorti dell'avvicinarsi del galeone, poiché, come avevano ricevuto l'ordine,
si erano disposti su una lunga fila, che doveva subito rinserrarsi al primo
colpo di fuoco.
Ben presto una grande ombra, che
procedeva lentamente, essendo la brezza diminuita, comparve.
Era il galeone spagnuolo che
puntava sulla baia di David.
Nessun rumore proveniva dal
ponte; solamente l'acqua, tagliata dall'alto sperone, rumoreggiava rompendo il
silenzio della notte.
Le otto piroghe avevano
prontamente stretta la linea sul passaggio preciso del vascello. Un comando era
stato dato da Raveneau e trasmesso a tutti gli equipaggi.
– Nessun colpo di fucile.
Preparate i grappini d'arrembaggio.
Il galeone non era ormai che a
duecento passi e procedeva tranquillo la sua via, non sospettando nemmeno
lontanamente gli uomini che lo montavano l'agguato che li attendeva.
Era una splendida nave, altissima
di bordo, col castello di prora vastissimo e munito probabilmente
d'artiglierie.
Le otto piroghe, le quali
manovravano silenziosamente, in un baleno si strinsero intorno al vascello ed i
grappini d'arrembaggio furono subito lanciati attraverso i paterazzi e le
griselle, senza che gli uomini di guardia, troppo sicuri di non incontrare
alcun nemico cosí presso alla costa, se ne fossero accorti.
Un comando breve, secco, lanciato
da Raveneau de Lussan, echeggiò: – Sfondate!...
Seguí un rimbombo cupo e
sinistro. I capi delle scialuppe, secondo l'ordine che avevano ricevuto e come
avevano promesso, fracassavano a gran colpi di scure i fasciami.
Sul vascello s'alzarono tosto
delle grida.
– All'armi!... All'armi!...
– Fuoco in batteria!...
– Tutti in coperta!...
Era un po' tardi per respingere
l'arrembaggio. I filibustieri, vedendosi mancare sotto i piedi le scialuppe, si
erano avventati contro il legno, col fucile in ispalla e la corta sciabola fra
i denti.
Aggrappandosi agli sportelli
delle cannoniere, alle bancazze, alle catene delle âncore, ai paterazzi, in un
batter d'occhio i duecento e ottantacinque uomini, compresi i tre avventurieri,
sono in salvo sul vascello nemico, mentre le scialuppe scompaiono sotto le acque
del Pacifico.
Dei colpi di fuoco echeggiano
subito. Gli uomini di guardia del galeone, accortisi, troppo tardi però, di
essere stati arrembati, hanno valorosamente impegnata la lotta, pur
ripiegandosi precipitosamente verso il castello di prora dove si trovavano due
pezzi d'artiglieria.
Raveneau de Lussan comprende
subito il pericolo e scaglia i suoi uomini all'assalto di quel posto, mentre
Buttafuoco, alla testa d'una trentina di combattenti, spazza con delle scariche
nutrite l'alto cassero della nave, del pari armato di grosse bocche da fuoco.
Nemmeno a dirlo che il guascone
ed il basco sono in prima linea, pronti a provare il filo delle loro
formidabili lame.
Intanto gli uomini delle
batterie, credendo di trovarsi dinanzi qualche nave, scaricano d'un colpo i
trentasei pezzi del galeone, senz'altro effetto che quello di produrre un rombo
spaventevole che fa volare in pezzi tutte le vetrate dei sabordi di poppa.
La difesa però si organizza
prontamente anche da parte degli spagnuoli. Dal boccaporto di prora gli uomini
salgono a gruppi, semi-nudi, ma bene armati e decisi a non
arrendersi senza lotta.
Anche dal boccaporto di poppa
altri uomini compaiono, raggruppandosi rapidamente intorno ai due pezzi da
caccia disposti sul cassero.
I filibustieri che si sentono
ormai in casa propria, si piegarono con rapidità fulminea fra i tre alberi,
aprendo un fuoco d'inferno attraverso i ponti.
È quel fuoco che ha sempre
terrorizzato gli spagnuoli, poiché ogni palla, bene o male, colpisce un corpo e
ad ogni scarica; i difensori del galeone cadono a gruppi, prima ancora d'aver
avuto il tempo di mitragliare gli assalitori che già si avanzano correndo,
colle sciabole in pugno.
– A te il cassero!... – urla
Raveneau de Lussan, dominando colla sua voce squillante il fracasso della
fucileria. – Sotto, Buttafuoco!... A me il castello!...
Due fiumane d'uomini si
rovesciano attraverso alla tolda, mandando clamori spaventevoli. Nessuno potrà
arrestarle poiché sono formate da uomini ormai abituati alle battaglie.
Una lotta terribile si impegna
alle due estremità del vascello. Tutti gli uomini delle batterie e le guardie
franche del galeone sono in coperta e gareggiano fra di loro per far pagare
cara la vittoria all'audace nemico.
I fuoco dei quattro pezzi di
prora e di poppa s'incrocia, gettando a terra non pochi uomini di Raveneau de
Lussan e di Buttafuoco; ma gli altri, niente affatto atterriti, e premurosi di
evitare un'altra scarica montano all'assalto coll'impeto che infonde il valore
disperato.
Le scale sono superate in un
battibaleno ed ecco i filibustieri sui due altissimi ponti.
La draghinassa del guascone e lo
spadone del Mendoza lavorano terribilmente.
Fra il cozzare dei ferri, le urla
dei combattenti, i lamenti dei feriti, i colpi di pistola o di archibugio, si
ode tratto tratto la voce dei due fracassoni:
– Avanti la Biscaglia!...
– Sotto la Guascogna!...
Il valore nulla può contro
l'impeto irrefrenabile dei filibustieri, abituati a non arrestarsi mai, una
volta lanciati alla carica.
I due ponti sono conquistati dopo
un breve ma furiosissimo combattimento, il grande stendardo di Spagna viene
calato, gli uomini che hanno opposto una fiera resistenza, pur essendo stati
sorpresi ed in minor numero, depongono le armi, per non farsi inutilmente trucidare.
Il comandante del galeone, un
vecchio capitano, che ha la sua spada spezzata, s'avanza verso Raveneau de
Lussan, dicendo:
– Abbiamo perduto: se credete,
gettateci pure in mare.
– Signore – rispose
dignitosamente il gentiluomo francese, – non tutti i giorni accade di vincere
ed io ho ammirato il vostro coraggio.
«D'altronde i filibustieri non
sono cosí feroci come forse avete udito raccontare.
«Ne volete una prova? Vi lascio
le armi ed il vostro vascello del quale noi non sapremmo in questo momento che
cosa fare.»
– Perché ci avete assaliti
dunque? – chiese, stupito, il vecchio comandante.
– Voi avete una señorita a
bordo, è vero?
– Chi ve lo ha detto?
– Lo sapevamo: ve l'ha affidata
il marchese di Montelimar.
– Siete dei demoni voi? Avrebbero
ragione i nostri frati a credervi figli dell'inferno?
– Mio padre era un buon
gentiluomo francese della Geronda, e credo che non avesse alcuna parentela con
messer Belzebú, – rispose, ridendo. – Forse era mio nonno il parente.
– Insomma che cosa volete?
– Ve l'ho già detto: la consegna
immediata della señorita affidatavi dal marchese di Montelimar.
– E se mi rifiutassi?
– Per Bacco!... Siamo padroni
della nave e delle armi e non avremmo certamente bisogno del vostro permesso
per salutare la contessina di Ventimiglia, la figlia del famoso Corsaro Rosso.
«E poi non contate troppo sulla
generosità dei filibustieri, perché potreste ingannarvi.
«Orsú, signore, la señorita!...»
Ravenau de Lussan aveva
pronunciato le ultime parole, con un tono cosí minaccioso, che il capitano del
galeone non credette piú oltre d'insistere.
Ad un suo cenno uno dei suoi
ufficiali scese nel quadro e poco dopo tornò, dando il braccio ad una
bellissima fanciulla, alta, slanciata, dalla capigliatura corvina, gli occhi
intensamente neri e grandi e le carni abbronzate con certe sfumature che
parevano riflessi d'oro.
Si avanzò attraverso le file
degli spagnuoli, non dimostrando nessuna sgradevole impressione pel sangue che
correva ancora attraverso le tavole, e mosse diritta verso Buttafuoco, dicendogli
semplicemente:
– Vi aspettavo.
– Non cosí presto forse, –
rispose il bucaniere, baciandole galantemente la mano.
– Voi corsari gareggiate coi
fulmini e colle tempeste. E Mendoza?
– Presente, señorita! –
urlò il basco.
– E ci sono anch'io, contessa, corpo
di centomila cannoni!... – gridò don Barrejo. – Non si conoscono piú dunque i
vecchi amici?
– Ah!... Il famoso guascone!... –
esclamò la figlia del Corsaro Rosso, mostrando i suoi splendidi dentini,
scintillanti come perle.
– Sempre pronto a morire per
tutti coloro che portano il nome dei Ventimiglia, señorita.
– Alle vele, amici, – gridò in
quel momento Raveneau de Lussan. – Quattro uomini al timone e cento nelle
batterie a guardia dei prigionieri.
«Chi tenta resistere sia gettato
senz'altro in mare.»
Pochi minuti dopo il galeone si
rimetteva alla vela, avanzandosi lentamente verso la baia di David.
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