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IL TESORO DEL GRAN CACICO
L'indomani, assai prima dello spuntare del sole, la scialuppa
si fermava sulla riva, sulla quale fiammeggiavano innumerevoli fuochi.
Le cateratte del Maddalena non
erano che a poche centinaia di passi ed i salti d'acqua, spaventosi a vedersi,
producevano un fragore tale da impressionare qualunque uomo per quanto fosse
stato coraggioso.
I filibustieri stavano là, con
Buttafuoco, Raveneau de Lussan e la contessina di Ventimiglia, tutti occupati a
costruire, con dei rami e dei giunchi, dei grandi panieri.
Invano avevano cercato di
oltrepassare la cascata, seguendo le rive. Rupi spaventevoli e abissi senza
fondo li avevano arrestati proprio quando si trovavano a pochi passi dal
Darien.
L'accoglienza fatta ai tre prodi,
dopo tanti giorni d'assenza, come si può immaginare, fu calorosissima. Quello
però che piú gradirono fu una stretta di mano della contessina.
– Ora siamo liberi, – disse don
Barrejo a Raveneau ed a Buttafuoco, – poiché il marchese è morto e conduciamo
con noi un suddito del defunto Cacico.
«Non tardiamo piú oltre ad
entrare nel Darien, ora che nessuno ci ostacolerà la marcia.»
– Quando avremo discesa la
cascata, non perderemo né un giorno né un minuto, – rispose il capo dei
filibustieri. – Io non avevo previsto un cosí grande ostacolo.
– Sperate di superarlo?
– Lo speriamo mercé certi panieri
di mia invenzione. La discesa sarà però spaventosa e vi posso dire che molti
dei miei uomini preferirebbero ammazzarsi piuttosto che subire una cosí
tremenda prova.
– Se vorrete saremo io e Mendoza
a fare pei primi la prova. Siamo buonissimi nuotatori e anche uomini da
sapercela cavare sempre, anche nelle piú disastrose condizioni.
– Ho veduto come siete giunti qui
dopo tante avventure, – rispose Raveneau. – Vi calcolavamo già morti.
– Noi!...
– Impiccati dal marchese di Montelimar.
– Mentre, signor Raveneau, il
marchese ha dovuto fare i conti colla mia draghinassa, in un duello
cavalleresco, come si usa nel nostro paese.
«Se la sorte gli è stata
contraria, io non so che cosa farci.»
– I guasconi sono sempre
guasconi, in qualunque angolo del mondo si trovino, – disse Buttafuoco, il
quale assisteva al colloquio. – Quel Montelimar, d'altronde, ci aveva già dati
troppo fastidi.
«Sia pace alla sua anima.»
Intanto la fabbricazione dei
panieri procedeva rapidissima. Erano specie di ceste, profonde un metro e
mezzo, e della circonferenza di uno, rinforzate con liane.
Ognuna doveva contenere due
uomini.
Prima però di affidarsi alla
terribile cascata, i filibustieri, che in fondo ci tenevano alla loro pelle,
specialmente ora che stavano per mettere le mani sulle favolose ricchezze del
Gran Cacico, avevano fatto una serie di esperimenti per vedere se potevano
fidarsi di quei galleggianti di nuova specie.
Ne avevano cosí lanciati cinque o
sei, mettendovi in fondo dei grossissimi sassi che potessero, su per giú,
pesare quanto due uomini ed avevano constatato che avevano tutti disceso
felicemente la cascata, rovesciandosi solo dopo il salto.
Essendo i filibustieri tutti
abilissimi nuotatori, d'un bagno non si preoccupavano.
Al momento però di tentare la
grande prova, un vero spavento aveva invaso tutti quegli uomini che pur erano
abituati a guardare in viso la morte.
Quel grande salto di piú di venti
metri e che finiva poi in una rapida, era tale da impressionare tutti. Era
soprattutto il rombo spaventevole, che saliva dall'abisso, che dava una forte
scossa agli animi.
I panieri erano pronti,
abbastanza bene verniciati con resine di pino, ma nessun uomo si presentava per
entrarvi.
Fortunatamente vi erano i due
guasconi senza paura e Mendoza.
– Giacché gli altri non si
decidono, proviamo noi, – aveva detto il primo. – Dopo tutto non si tratterà di
prendere che un brutto bagno, è vero, Mendoza?
Il basco fece una smorfia.
– E se i panieri si spaccano
contro le roccie e noi venissimo scaraventati attraverso alla cascata senza piú
nessun rifugio?
– Tu avrai mille ragioni,
compare, ed io ne ho altrettante. Vuoi che torniamo indietro ora che il Darien
sta dinanzi a noi?
«Io credo che tutta questa
faccenda finirà, come al solito, benissimo.
«De Gussac parte coll'indiano e
tu con me.»
– Volete proprio dare l'esempio?
– chiese Raveneau, il quale pareva pure in preda ad una profonda impressione di
terrore.
– Ma sí, signor mio, i guasconi
ed i baschi vanno sempre avanti a tutti.
– Se riuscite, vi raccomando di
stare attenti alla contessa di Ventimiglia che s'imbarcherà con Buttafuoco.
– La pescheremo quasi al volo, ve
lo assicuriamo, – rispose don Barrejo.
Poi, alzando la voce, gridò:
– Imbarcate!...
Due panieri forniti di pertiche,
erano stati messi in acqua.
Il guascone numero uno e Mendoza
salirono nel primo, facendolo affondare col loro peso fino a metà; De Gussac e
l'indiano montarono sull'altro.
I filibustieri, entusiasmati da
tanta prova di coraggio, avevano gridato per tre volte:
– Urrah per la Guascogna e per la
Biscaglia!
La contessina di Ventimiglia,
assai commossa, aveva salutato i quattro audaci, facendo sventolare il suo
fazzoletto.
– Via!... – gridò don Barrejo,
prendendo una delle due pertiche. – Andiamo a vedere che cosa si trova sotto la
cascata.
I panieri furono lasciati andare
e trascinati rapidamente verso il salto, il quale ruggiva spaventosamente
lanciando cortine d'acqua polverizzata.
I quattro uomini cercavano di
dirigersi alla meglio e soprattutto di non perdere l'equilibrio, essendo quei
panieri formati di scorza d'albero leggiero.
Ad un tratto, quando meno se
l'attendevano, si trovarono sopra il salto. Nessuno aveva potuto trattenere un
grido di orrore nel contemplare lo spaventoso spettacolo.
L'acqua della fiumana si
precipitava, ruggendo, attraverso i canali, come fosse ansiosa di uscire da
quella strettoia e di riprendere il suo corso tranquillo. I due panieri
rotearono un po', presi dalle controcorrenti, poi furono scaraventati con
grande impeto.
Decisamente i guasconi ed il
basco avevano una fortuna straordinaria, poiché si trovarono, senza sapere il
come, sotto la rapida ed ancora dentro i panieri, i quali avevano
meravigliosamente resistito alla terribile prova.
Si spinsero verso la riva,
manovrando furiosamente le pertiche, e di là fecero segno ai filibustieri che
li guardavano dall'alto delle rocce, di tentare a loro volta la prova.
Fu quello il segnale delle
partenze.
Sotto la direzione di Buttafuoco
si formarono parecchie piccole flottiglie, collegate fra loro con forti liane,
affinché gli uomini potessero portarsi aiuto a vicenda.
Il gran salto ingoiava panieri ad
ogni istante, poiché ormai tutti avevano fretta di raggiungere il basso della
rapida.
Non tutti però uscivano salvi e alcuni
rimanevano sfracellati in fondo alla cascata insieme alle persone che li
montavano. Altri invece si rovesciavano e i filibustieri, perché valenti
nuotatori, riuscivano ancora a salvarsi, perdevano però il frutto del loro
bottino che dalle sponde del Pacifico avevano gelosamente conservato.
Raveneau de Lussan, nelle sue
memorie, fa una descrizione emozionante che mette i brividi.
I piú arditi della banda, –
scriveva, – tutto che avvezzi a sfidare ogni sorta di pericoli, tremavano come
fanciulli gettando gli occhi su quei mostruosi salti da dove l'acqua si
scaraventava, con impeto irrefrenabile, giú nel profondo.
All'avvicinarsi di esse era
d'uopo d'immensi sforzi da parte dei naviganti, per declinare alla sponda piú
vicina.
Se ciò riusciva prendevano i
panieri, che erano piú o meno malmenati, e ne levavano le poche provviste e le
armi che avevano potuto conservare; se sfuggivano, i filibustieri si gettavano
a nuoto aiutati dai compagni che li avevano preceduti.
Dopo due ore, tutta la banda si
trovava accampata sul margine d'un bosco, fra grandi falò prontamente accesi
per asciugare le polveri, innanzi tutto, e la carne secca, l'unico commestibile
che possedevano, avendo ormai consumato ogni cosa.
La contessa di Ventimiglia, la
quale aveva affrontata la terribile prova con grande animo insieme a
Buttafuoco, si trovava nel campo.
Come ne avevano l'abitudine, i
piú rinomati filibustieri si radunarono a consiglio per decidere sul da farsi.
Prevalse subito l'opinione di
mandare l'indiano, con una scorta di dodici uomini armati, nei grandi villaggi
delle tribú del Gran Cacico, per avvertirle che l'erede attesa era finalmente
giunta e che aspettava l'omaggio dei suoi sudditi alla frontiera del suo stato.
Era d'altronde l'unica decisione
da prendersi, potendo quei fieri guerrieri allarmarsi per l'avanzata di tanta
gente e tendere, nelle grandi foreste, delle disastrose imboscate.
L'indiano, avvertito dalla
decisione presa, partí senza indugio, fiero di guidare una scorta di dodici
uomini bianchi armati tutti delle canne che tuonano.
Per tre giorni il campo rimase
senza notizie della piccola spedizione, e già Raveneau e Buttafuoco
cominciavano ad inquietarsi, quando verso il mezzodí del terzo, l'indiano ed i
filibustieri si mostrarono, accompagnati da sessanta guerrieri armati d'archi e
di rompi-costole e guidati dall'yunko, il piú
vecchio e reputato stregone di tutte le tribú.
La lingua spagnuola era
famigliare anche ai selvaggi, i quali non potevano trafficare con nessun altro
popolo, pena l'incendio dei villaggi ed il sequestro delle derrate, quindi
Raveneau e Buttafuoco s'intesero subito col potente individuo che dalla morte
del Gran Cacico guidava le tribú.
La contessina di Ventimiglia fu
condotta sotto una capanna di frasche e mostrò a tutti i guerrieri il tatuaggio
che portava sulla spalla destra, formato da un triangolo con sette stelle
racchiudenti un serpentello rosso.
La prova ormai era chiara,
lampante, poiché il misterioso tatuaggio, conosciuto solo dagli stregoni della
nazione e dai piú famosi guerrieri, non poteva in nessun modo essere stato
falsificato, specialmente da una donna che giungeva dai mari dove il sole
sorgeva.
– Tu sei quella che noi da tanto
tempo aspettavamo, – disse l'yunko alla contessina. – D'altronde anche
senza quel segno tu possiedi i lineamenti e gli occhi ardenti del defunto
Cacico.
«Noi tutti siamo quindi pronti ad
obbedirti.»
– La raccolta delle uova d'oro è
assicurata, – mormorò don Barrejo, il quale si trovava presente alla prova con
Buttafuoco e Raveneau. – La fortuna della mia taverna è assicurata.
I guerrieri costruirono una
specie di lettiga con rami d'albero e liane, vi gettarono sopra le pelli di
giaguaro e di coguaro che portavano dietro le spalle ed alzarono la reginetta,
mandando il loro formidabile urlo di guerra.
Tutti i filibustieri li
accompagnavano, impazienti di vedere le favolose ricchezze del Gran Cacico.
La traversata dei grandi boschi
fu compiuta felicemente. In ogni villaggio ove la contessina giungeva, riceveva
subito l'omaggio dei nuovi sudditi, ed i filibustieri avevano viveri in grande
quantità.
– Questa è una vera marcia
trionfale, – disse don Barrejo a Mendoza ed a De Gussac. – Vorrei che durasse
sei mesi almeno.
«Non credevo che questi selvaggi,
che fino a pochi anni fa erano ancora dei formidabili mangiatori di carne
umana, fossero diventati cosí gentili.
«Ah!... Quei Ventimiglia hanno
avuto sempre una fortuna indiavolata.»
– Tu però non vorresti essere
stato né il Corsaro Verde, né il Rosso, – gli rispose il basco, – poiché non
saresti qui a riempirmi gli orecchi delle tue eterne chiacchiere.
– Colle mie chiacchiere ti ho
condotto però ben lontano. Parlano molto i guasconi, ma agiscono anche molto.
– Ed i baschi no, forse?
– Uhm!... Uhm!... – fece don
Barrejo, ridendo.
– Furfante, quando avrai aperto
un nuovo albergo verrò a trovarti e farò il possibile per tagliarti un
orecchio.
– Diventi un antropofago,
compare? È vero che siamo sulla terra degli ex-mangiatori
di carne umana.
Il buon basco credette opportuno rispondere
con un'allegra risata, alla quale fece eco anche De Gussac.
L'indomani la truppa giungeva al
grande carbet della nazione, ossia al grosso villaggio che teneva, sotto
di sé, con pugno di ferro, tutti gli altri minori dispersi in quell'immenso paese.
Le accoglienze, come si può
immaginare, furono entusiastiche.
Migliaia e migliaia di guerrieri
scortarono la nipote del defunto Gran Cacico, dando segni della piú pazza
gioia, fino alla grande capanna reale.
I filibustieri furono allogati in
altre dimore, accordando loro il diritto di mettere le mani su tutti i viveri
che vi si trovavano. Se ne approfittassero si potrebbe fare a meno di dirlo.
Alla presenza di tutti i capi dei
villaggi, il terzo giorno del suo arrivo, perché cosí voleva la consuetudine,
la contessina ed i filibustieri venivano condotti entro una spaziosa caverna,
dove si trovava l'oro a monti.
Erano milioni di piastre, in
pepite ed in polvere, che il Gran Cacico aveva lasciato alla nipote.
Fu un caso, se don Barrejo,
vedendosi dinanzi a cosí colossali ricchezze, non impazzí.
Si trattava ora di trasportare
fino alla costa quel tesoro, ma la gente non mancava per preparare casse o
vuotare alberi e trasformarsi poi in portatori.
Il golfo del Messico d'altronde
era vicino ed i filibustieri potevano approfittare dei corsi d'acqua, avendo
messo gl'indiani a loro disposizione un numero sufficiente di barche per
contenerli tutti ed il tesoro insieme.
Dopo tre altri giorni la
contessina, ormai troppo civilizzata per vivere in mezzo a quei selvaggi,
nominava il suo successore nella persona d'un famoso guerriero che era stato
intimo amico del Gran Cacico.
L'ora della partenza finalmente
suonò. L'eredità, rinchiusa in tronchi d'albero scavati accuratamente, fu
imbarcata su della grosse piroghe montate da robusti battellieri indigeni, che
non temevano le rapide.
Migliaia d'indiani, profondamente
commossi, scortarono fino al fiume la loro reginetta che non dovevano certo piú
rivedere.
La separazione fu dolorosa per
tutti. Anche i rudi filibustieri, abituati a trattare gl'indiani come bestie
feroci, apparivano commossi non meno dei selvaggi.
Cinque giorni piú tardi le
imbarcazioni salutavano finalmente le acque del gran golfo messicano.
La grande traversata dell'istmo,
cosí pericolosa in quei tempi, era stata compiuta con pochissime perdite
d'uomini, rimasti per la maggior parte sotto la terribile cascata.
Furono mandati dei filibustieri a
visitare le baie della costa e la fortuna che fino allora li aveva protetti,
non mancò nemmeno all'ultimo momento, poiché fu scovata una nave olandese che
una tempesta aveva costretta a cercare un rifugio contro le furie dei venti e
del mare.
Fu subito noleggiata ed avviata
verso la Giamaica, porto allora aperto a tutte le nazioni e dove era piú facile
trovare degli imbarchi per l'Europa, poiché quella fertilissima isola manteneva
frequenti rapporti colla madre patria.
Un milione di piastre fu messo a
disposizione dei filibustieri da parte della contessina alla quale ne
rimanevano molti altri.
A don Barrejo ed a Mendoza ne erano
toccate abbastanza per mettere su l'albergo che sognavano, avendo deciso di
dare per sempre un addio alle avventure e di mettersi in società anche con De
Gussac.
La storia è finita.
La contessina di Ventimiglia dopo
qualche giorno s'imbarcava per l'Europa con una scorta di filibustieri i quali
non sospiravano che il momento di far ritorno ai loro paesi.
I due guasconi ed il basco
s'imbarcavano su una caravella per raggiungere qualche porto dell'istmo e di là
rientrare la traversata, attraverso però a paesi noti e molto popolati.
Colla partenza di Buttafuoco e di
Raveneau de Lussan, finí la razza di uomini tanto singolari e tanto
formidabili, né vi fu piú congrega dei Fratelli della Costa, né sul golfo del
Messico, né sull'Oceano Pacifico, né piú gente filibustiera, sebbene per molti
anni ancora s'udisse, nei mari dell'America Centrale, parlare di pirati che
qualche volta emularono colla loro arditezza, i terribili combattenti che tanto
male avevano recato alla Spagna.
Una partita si era formato un
rifugio nell'isola della Provvidenza, che è una delle Bermude e due donne fra
essi si resero singolarmente celebri, avendo diviso sempre valorosamente coi
loro compagni le fatiche ed i pericoli, per puro amore di bottino. Furono
entrambe inglesi.
Vestivano gli abiti del loro
sesso, unendovi i lunghi calzoni da marinaio; portavano sciolti i lunghi
capelli, al fianco una sciabola, sotto il petto due pistole e negli abbordaggi
usavano una specie d'azza della forma stessa che avevano usata in guerra
gl'inglesi nei tempi di mezzo. La storia ha ricordato i loro nomi: Maria Read
ed Anna Bonay, però non ha detto come finirono.
Probabilmente finirono appiccate
insieme ai loro compagni.
Sacerdoti di Siva.
Botte bislunga per vini e liquori.
Così nel testo. Più correttamente
"Mediterraneo orientale" nell'edizione RCS, Milano 2002. [Nota per
l'edizione elettronica "Manuzio"]
Quel famoso generale per un anno tenne in iscacco tre eserciti
inglesi e non si arrese se non dopo che la Rani cadde, crivellata di palle» (Nota
di Salgari).Bere il narghiléh significa fumare
col narghiléh, ossia colla pipa.
Il 20 agosto 1885 mi abboccai
coll'illustre missionario D. Luigi Bonomi, reduce dal Sudan dopo essere stato
per tre lunghi anni prigioniero del Mahdi. Interrogatolo su Gustavo Klootz mi
disse: «È vero che scomparve dal campo ma non credo che abbia informato il
Mahdi dell'indisciplina che regnava nel campo degli Egiziani.
«Gustavo
Klootz, divenuto poi mio amico, era un buon giovane, incapace di un tradimento.
Il Mahdi l'aveva fatto suo consigliere e lo stimava molto.
L'illustre missionario D. Luigi Bonomi,
che quando accadde la battaglia si trovava a breve distanza da Kasghill, mi
assicurò che il Mahdi perdette solamente 4 o 500 uomini.
I missionari erano stati fatti
prigionieri, assieme alle suore parte a Gebel-Nuba e parte a El-Obeid. Il Mahdi
aveva ordinato alle sue orde di tormentarli qualora uscissero della loro
capanna.
L'illustre
missionario don Luigi Bonomi, mi narrò che un giorno, il Mahdi, esasperato
perchè non abbracciavano la sua religione, in pieno mezzogiorno, alla presenza
di tutto l'esercito, li fece scendere in campo minacciandoli di morte. Visto
che il terrore non faceva effetto, li lasciò languire quattro lunghi mesi nella
loro capanna, quasi ignudi e senza mezzi di sussistenza.
Da
quel giorno i guerrieri furono lasciati liberi di maltrattare i poveri
missionari e si può immaginare in qual modo ne abusassero.
Gustavo Klootz era stato servo del Barone
di Cettendorfs, poi di O'Donovan, reporter del Daily-News. Due o
tre giorni prima della battaglia di Kasghill [Nell'originale
"Kaghgill"] era scomparso dal campo e alcuni dissero che aveva
informato il Mahdi delle forze che conducevano Hicks e Aladin pascià.
L'illustre missionario D. Luigi Bonomi mi disse che Klootz era incapace di
tradire così slealmente gli egiziani.
Presso
le orde passava per un confidente del Mahdi; D. Bonomi mi disse che lo era
solamente in apparenza. È certo però, che consigliava talvolta il Profeta.
Pari a 33.750.000 lire [oro, 1906].
Gherlino: piccola fune che serve per ammainare le
bandiere dei segnali.
Espressione marinaresca che significa «il mare».
Corridoi che conducono nelle batterie.
Staffile formato da nove funicelle, un tempo in uso
nella marina per punire i ribelli.
Costole della nave
Specie di banderuola che si colloca sulla cima
degli alberi.
Barra del timone o asta.
Mozzo addetto al servizio di poppa.
Fune che serve per manovrare le vele.
Ridurre la superficie delle vele mediante nodi
speciali.
Così si chiamano le vele più alte
dell'alberatura.
Albero situato a prora, teso quasi
orizzontalmente e che serve di sostegno ai fiocchi.
Salvagente.
Specie di banderuole che si collocano sulla cima
degli alberi.
Termine marinaresco che significa «bucato».
Specie di carrucola.
Piccoli fori aperti a fior della coperta e che
servono di scolo all'acqua.
Vele supplementari che si aggiungono alle altre
per accrescere la velocità della nave.
Preti buddisti.
Specie di birra messicana.
Albergo, trattoria.
Fune di poca grossezza e che serve di sostegno
agli alberetti.
Scale di corda.
Grosso mammifero che vive presso le coste e che
emette delle grida acute. Indica la vicinanza delle spiagge.Tutti gli indiani e gli isolani
dell'oceano Indiano usano per un orologio una palla di rame con un forellino,
che mettono in un bacino pieno d'acqua.
I malesi per addormentare le persone,
ricorrono a quella strana compressione, e l'uomo così trattato, durante quel
sonno, è in preda ad una anestesia completa.
Letti molto primitivi formati d'una pelle tesa su
un telaio.
Dio mi perdoni. (N.d.A.)
Orribile pena che
consiste nel tagliare il condannato a pezzetti. (N.d.A.)
Il colonello Fierro
era uno dei migliori ufficiali del presidio coloniale. (N.d.A.)
Questo capo, caduto
pi tardi nelle mani degli spagnuoli e poi evaso miracolosamente dalla
Black-Hole di Manilla, vive tuttora a Hong-Kong, dove si è rifugiato. (N.d.A.)
Le gelosie fra quei
capi degl'insorti dovevano produrre pi tardi, fra di loro, degli odii mortali.
Infatti due mesi dopo Aguinaldo faceva assassinare i fratelli di Andrea
Bonifacio, per tema che esercitassero troppa influenza sulle bande da lui
comandate. (N.d.A.)
Quella notizia era
verissima. Il genefrale Polavieja aveva chiesto le sue dimissioni verso la metà
di marzo, in causa del male che lo travagliava, ma poi, rimessosi alquanto in
salute, aveva continuato a tenere il comando fino alla fine dell'aprile, quando cioè l'insurrezione era
quasi vinta. (N.d.A.)
Questo
Hang-Kai, caduto più tardi nelle mani degli spagnuoli e
condotto nelle prigioni di manilla, vedendo suo fratello ferito, veniva preso
da un tale accesso di furore, che inerpicatosi fino ad una botola e passate le
braccia attraverso i ferri, riusciva ad afferrare un tenente spagnuolo ed a
strangolarlo, quantunque i soldati accorsi in aiuto del loro superiore avessero
tentato, a colpi di sciabola, di fargli abbandonare ildisgraziato ufficiale.
Spirava però poco dopo anche il meticcio, essendogli stata spaccata la gola da
una sciabolata. (N.d.A.)
Mettersi attraverso
il vento per fermarsi o rallentare la marcia. (N.d.A.)La
treccia
Inglesi così chiamati per le giacche rosse che
portano i soldati di infanteria di marina
Nell'originale "queste cose"[Nota per
l'edizione elettronica Manuzio]
Nell'originale "E"[Nota per
l'edizione elettronica Manuzio]
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