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Emilio Salgari
Il boa delle caverne

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Superate le rupi, il piantatore si fermò in preda ad un terrore così profondo da non essere, per quel momento, in grado di servirsi del suo fucile.

Un serpente enorme, lungo venticinque e anche più metri, tutto nero, col corpo coperto da scaglie assai spesse, ancora incrostate di fango nelle loro congiunture, usciva da uno di quei buchi, lasciandosi scivolare giù dalla riva, che in quel luogo era assai ripida.

In fondo, in un canotto scavato nel tronco d'un albero, una donna indiana, ancora giovane, che teneva stretto al seno un bambino, urlava disperatamente, chiamando

– Jaco! Jaco!

Probabilmente era il nome di suo marito.

Lo spaventoso rettile l'aveva scorta e scendeva con la bocca spalancata, agitando la sua lingua biforcuta e sibilando.

L'Indiana, immobilizzata dal terrore, non ardiva spingere la barca al largo. Non pensava che a stringersi al petto il bambino, credendo in quel modo di salvarlo.

Vedendo comparire il piantatore ed il capataz, tese verso di loro le braccia, mostrando il piccino e gridando con voce strozzata dal terrore:

– Aiuto, uomo bianco!

Due colpi di fucile partirono uno dietro all'altro, ma era troppo tardi.

L'enorme rettile aveva afferrato la donna ed il bambino, poi, con una rapidità incredibile, si era internato in quel buco nero, scomparendo agli sguardi dei due cacciatori.

Per qualche istante s'udirono ancora le grida della povera donna, poi successe un silenzio profondo.

Anche i cani non latravano più.

– È perduta! – esclamò il piantatore, facendo un gesto disperato. – Siamo giunti troppo tardi.

In quel momento videro un Indiano, che, armato d'una scure, scendeva a precipizio la riva.

– Mia moglie! Mio figlio!

«Il giloia! – gridò arrestandosi dinanzi al piantatore. – Maledetto serpente! Lo sapevo che doveva trovarsi qui.

«Vendicherò la mia donna e mio figlio o non sarò più il capo della mia tribù.

Poi, dopo quello sfogo, aveva prontamente riacquistato quell'impassibilità che è particolare a tutti gli uomini di razza rossa.

Le commozioni non hanno presa sugli Indiani, appartengano essi alle tribù bellicose e feroci dell'America settentrionale od a quelle indolenti e selvagge dell'America meridionale.

Passato il primo istante di sorpresa o di collera, tornano indifferenti ed impassibili come lo erano dieci minuti innanzi.

Il piantatore, che aveva avuto frequenti rapporti con gli Indios, non si stupì quindi della subitanea calma dell'uomo rosso.

– Che cosa farai ora che il giloia ha distrutto la tua famiglia? – gli chiese.

– Vendicherò mia moglie e mio figlio – rispose Jaco, mentre i suoi occhi nerissimi si accendevano d'un lampo feroce.

– Hai mai ucciso un giloia?

– Io no, perchè quei serpenti sono rari. Ho saputo che il mio compare, il capo degli Ottomachi, l'anno scorso ne ha sorpreso uno presso una caverna e che lo ha ammazzato. Perchè Jaco, che non è poltrone, nè pauroso, non potrà fare altrettanto?

– Il mostro non si lascerà sorprendere – disse il capataz. – Sapendo che noi siamo qui, si terrà in guardia e, dopo aver divorato la preda, si preparerà alla lotta.

– Di notte i serpenti dormono – disse l'Indiano – ed il sole sta già per tramontare.

– Conosci quella caverna? – chiese don Herrera.

– L'ho visitata parecchie volte per cercare le pietre verdi che servono a noi di amuleti contro le frecce dei nemici.

– Se ci farai uccidere quel mostro ti regalerò un fucile.

 

L'indiano si era alzato, mostrando qualche cosa...

 




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