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Alessandro Manzoni
Adelchi

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  • ATTO QUINTO.
    • Scena Quinta. Carlo, Desiderio.
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Scena Quinta. Carlo, Desiderio.

 

CARLO

 

A che vieni, infelice? E che parola

Correr puote tra noi? Decisa il cielo

Ha la nostra contesa; e più non resta

Di che garrir. Tristi querele e pianto

Sparger dinanzi al vincitor, disdice

A chi fu re; né a me con detti acerbi

L'odio antico appagar lice, né questo

Gaudio superbo che in mio cor s'eleva,

Ostentarti sul volto; onde sdegnato

Dio non si penta, e alla vittoria in mezzo

Non m'abbandoni ancor. Né, certo, un vano

Da me conforto di parole attendi.

Che ti direi? ciò che t'accora, è gioia

Per me; né lamentar posso un destino,

Ch'io non voglio mutar. Tal del mortale

È la sorte quaggiù: quando alle prese

Son due di lor, forza è che l'un piangendo

Esca dal campo. Tu vivrai; null'altro

Dono ha Carlo per te.

 

 

DESIDERIO

 

                                    Re del mio regno,

Persecutor del sangue mio, qual dono

Ai re caduti sia la vita, il sai?

E pensi tu, ch'io vinto, io nella polve,

Di gioia anco una volta inebbriarmi

Non potrei? del velen che il cor m'affoga,

Il tuo trionfo amareggiar? parole

Dirti di cui ti sovverresti, e in parte

Vendicato morir? Ma in te del cielo

Io la vendetta adoro, e innanzi a cui

Dio m'inchinò, m'inchino: a supplicarti

Vengo; e m'udrai; ché degli afflitti il prego

È giudizio di sangue a chi lo sdegna.

 

 

CARLO

 

Parla.

 

 

DESIDERIO

 

            In difesa d'Adrian, tu il brando

Contro di me traesti?

 

 

CARLO

 

                                    A che domandi

Quello che sai?

 

 

DESIDERIO

 

                        Sappi tu ancor che solo

Io nemico gli fui, che Adelchi - e m'ode

Quel Dio che è presso ai travagliati - Adelchi

Al mio furor preghi, consigli, ed anche,

Quanto è concesso a pio figliuol, rampogne

Mai sempre oppose: indarno!

 

 

CARLO

 

                                                Ebben?

 

 

DESIDERIO

 

                                                            Compiuta

È la tua impresa: non ha più nemici

Il tuo Romano: intera, e tal che basti

Al cor più fiacco ed iracondo, ei gode

La sicurezza e la vendetta. A questo

Tu scendevi, e l'hai detto: allor tu stesso

Segnasti il termin dell'offesa. Ell'era

Causa di Dio, dicevi. È vinta; e nulla

Più ti domanda Iddio.

 

 

CARLO

 

                                    Tu legge imponi

Al vincitor?

 

 

DESIDERIO

 

                        Legge? Oh! ne' detti miei

Non ti fingere orgoglio, onde sdegnarli.

O Carlo, il ciel molto ti die': ti vedi

Il nemico ai ginocchi, e dal suo labbro

Odi il prego sommesso e la lusinga;

Nel suolo ov'ei ti combattea, tu regni.

Ah! non voler di più: pensa che abborre

Gli smisurati desideri il cielo.

 

 

CARLO

 

Cessa.

 

 

DESIDERIO

 

            Ah! m'ascolta: un tu ancor potresti

Assaggiar la sventura, e d'un amico

Pensier che ti conforti, aver bisogno;

E allor gioconda ti verrebbe in mente

Di questo giorno la pietà. Rammenta

Che innanzi al trono dell'Eterno un giorno

aspetterai tremando una risposta,

O di mercede o di rigor, com'io

Dal tuo labbro or l'aspetto. Ahi! già venduto

Il mio figlio t'è forse! Oh! se quell'alto

Spirto indomito, ardente, consumarsi

Deve in catene!... Ah no! pensa che reo

Di nulla egli è; difese il padre: or questo

Gli è tolto ancor. Che puoi temer? Per noi

Non c'è brando che fera: a te vassalli

Son quei che il furo a noi: da lor tradito

Tu non sarai: tutto è leale al forte.

Italia è tua; reggila in pace; un rege

Prigion ti basti; a stranio suol consenti

Che il figliuol mio...

 

 

CARLO

 

                        Non più; cosa mi chiedi

Tu! che da me non otterria Bertrada.

 

 

DESIDERIO

 

- Io ti pregava! io, che per certo a prova

Conoscerti dovea! Nega; sul tuo

Capo il tesor della vendetta addensa.

Ti fe' l'inganno vincitor; superbo

La vittoria ti faccia e dispietato.

Calca i prostrati, e sali; a Dio rincresci...

 

 

CARLO

 

Taci, tu che sei vinto. E che? pur ieri

La mia morte sognavi, e grazie or chiedi,

Qual converria, se, nella facil ora

Di colloquio ospital, lieto io sorgessi

Dalla tua mensa! E perché amica e pari

Non sonò la risposta al tuo desio,

Anco mi vieni a imperversar d'intorno,

Come il mendico che un rifiuto ascolta!

Ma quel che a me tu preparavi - Adelchi

Era allor teco - non ne parli: or io

Ne parlerò. Da me fuggia Gerberga,

Da me cognato, e seco i figli, i figli

Del mio fratel traea, di strida empiendo

Il suo passaggio, come augel che i nati

Trafuga all'ugna di sparvier. Mentito

Era il terror: vero soltanto il cruccio

Di non regnar; ma obbrobriosa intanto

Me una fama pingea quasi un immane

Vorator di fanciulli, un parricida.

Io soffriva, e tacea. Voi premurosi

La sconsigliata raccettaste, ed eco

Feste a quel suo garrito. Ospiti voi

De' nipoti di Carlo! Difensori

Voi, del mio sangue, contro me! Tornata

Or finalmente è, se nol sai, Gerberga

A cui fuggir mai non doveva; a questo

Tutor tremendo i figli adduce, e fida

Le care vite a questa man. Ma voi,

Altro che vita, un più superbo dono

Destinavate a' miei nipoti. Al santo

Pastor chiedeste, e non fu inerme il prego,

Che sulle chiome de' fanciulli, al peso

Non pur dell'elmo avvezze, ei, da spergiuro,

L'olio versasse del Signor. Sceglieste

Un pugnal, l'affilaste, e al più diletto

Amico mio por lo voleste in pugno,

Perch'egli in cor me lo piantasse. E quando

Io, tra 'l Vèsero infido o la selvaggia

Elba, i nemici a debellar del cielo

Mi sarei travagliato, in Francia voi

Correre, insegna contro insegna, e crisma

Contro crisma levar, perfidi! e pormi

In un letto di spine, il più giocondo

De' vostri sogni era codesto. Al cielo

Parve altrimenti. Voi tempraste al mio

Labbro un calice amaro; ei v'è rimasto:

Votatelo. Di Dio tu mi favelli;

S'io nol temessi, il rio che tanto ardia

Pensi che in Francia il condurrei captivo?

Cogli ora il fior che hai coltivato, e taci.

Inesausta di ciance è la sventura;

Ma del par sofferente e infaticato

Non è d'offeso vincitor l'orecchio.

 

 

 




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