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Alessandro Manzoni Il conte di Carmagnola IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena Seconda. Il Conte, e detti.
IL DOGE
Conte di Carmagnola, oggi la prima occasion s’affaccia in che di voi 45 si valga la Repubblica, e vi mostri in che conto vi tiene: in grave affare grave consiglio ci abbisogna. Intanto tutto per bocca mia questo Senato si rallegra con voi da sì nefando 50 periglio uscito; e protestiam che a noi fatta è l’offesa, e che sul vostro capo or più che mai fia steso il nostro scudo, scudo di vigilanza e di vendetta.
IL CONTE
Serenissimo Doge, ancor null’altro 55 io per questa ospital terra, che ardisco nomar mia patria, potei far che voti. Oh! mi sia dato alfin questa mia vita, pur or sottratta al macchinar de’ vili, questa che nulla or fa che giorno a giorno 60 aggiungere in silenzio, e che guardarsi tristamente, tirarla in luce ancora, e spenderla per voi, ma di tal modo, che dir si possa un dì, che in loco indegno vostr’alta cortesia posta non era. 65
IL DOGE
Certo gran cose, ove il bisogno il chieda, ci promettiam da voi. Per or ci giovi soltanto il vostro senno. In suo soccorso contro il Visconte l’armi nostre implora già da lungo Firenze. Il vostro avviso 70 nella bilancia che teniam librata
IL CONTE
e quanto io sono è cosa vostra: e certo se mai fu caso in cui sperar m’attenti che a voi pur giovi un mio consiglio, è questo. 75 E lo darò: ma pria mi sia concesso di me parlarvi in breve, e un core aprirvi, un cor che agogna sol d’esser ben noto.
IL DOGE
Dite: a questa adunanza indifferente cosa che a cor vi stia giunger non puote. 80
IL CONTE
io sono al punto in cui non posso a voi esser grato e fedel, s’io non divengo nemico all’uom che mio signor fu un tempo. S’io credessi che ad esso il più sottile 85 vincolo di dover mi leghi ancora, l’ombra onorata delle vostre insegne fuggir vorrei, viver nell’ozio oscuro vorrei, prima che romperlo, e me stesso far vile agli occhi miei. Dubbio veruno 90 sul partito che presi in cor non sento, perch’egli è giusto ed onorato: il solo timor mi pesa del giudizio altrui. Oh! beato colui cui la fortuna così distinte in suo cammin presenta 95 le vie del biasmo e dell’onor, ch’ei puote correr certo del plauso, e non dar mai passo ove trovi a malignar l’intento sguardo del suo nemico. Un altro campo correr degg’io, dove in periglio sono 100 di riportar, forza è pur dirlo, il brutto nome d’ingrato, l’insoffribil nome di traditor. So che de’ grandi è l’uso valersi d’opra ch’essi stiman rea, e profondere a quel che l’ha compita 105 premi e disprezzo, il so; ma io non sono nato a questo; e il maggior, premio che bramo, il solo, egli è la vostra stima, e quella d’ogni cortese; e, arditamente il dico, sento di meritarla. Attesto il vostro 110 sapiente giudizio, o Senatori, che d’ogni obbligo sciolto inverso il Duca mi tengo, e il sono. Se volesse alcuno de’ benefizi che tra noi son corsi pareggiar le ragioni, è noto al mondo 115 qual rimarrebbe il debitor dei due. Ma di ciò nulla: io fui fedele al Duca fin che fui seco, e nol lasciai che quando ei mi v’astrinse. Ei mi balzò dal grado col mio sangue acquistato: invan tentai 120 al mio signor lagnarmi. I miei nemici fatto avean siepe intorno al trono: allora m’accorsi alfin che la mia vita anch’essa stava in periglio: a ciò non gli diei tempo. Ché la mia vita io voglio dar, ma in campo, 125 per nobil causa, e con onor, non preso nella rete de’ vili. Io lo lasciai, e a voi chiesi un asilo; e in questo ancora ei mi tese un agguato. Ora a costui più nulla io deggio; di nemico aperto 130 nemico aperto io sono. All’util vostro io servirò, ma franco e in mio proposto deliberato, come quei ch’è certo
IL DOGE
E tal vi tiene questo Senato: già tra il Duca e voi 135 Italia tutta. Egli la vostra fede ha liberata, a voi l’ha resa intatta, qual gliela deste il primo giorno. È nostra or questa fede; e noi saprem tenerne 140 ben altro conto. Or d’essa un primo pegno il vostro schietto consigliar ci sia.
IL CONTE
Lieto son io che un tal consiglio io possa darvi senza esitanza. Io tengo al tutto necessaria la guerra, e della guerra, 145 se oltre il presente è mai concesso all’uomo cosa certa veder, certo l’evento; tanto più, quanto fien l’indugi meno. A che partito è il Duca? A mezzo è vinta da lui Firenze; ma ferito e stanco 150 il vincitor; voti gli erari: oppressi dal terror, dai tributi i cittadini pregan dal ciel su l’armi loro istesse le sconfitte e le fughe. Io li conosco, e conoscer li deggio: a molti in mente 155 dura il pensier del glorioso, antico viver civile; e subito uno sguardo rivolgon di desio là dove appena d’un qualunque avvenir si mostri un raggio, frementi del presente e vergognosi. 160 Ei conosce il periglio; indi l’udite mansueto parlarvi; indi vi chiede tempo soltanto de sbranar la preda che già tiensi tra l’ugne, e divorarla. Fingiam che glielo diate: ecco mutata 165 la faccia delle cose; egli soggioga senza dubbio Firenze; ecco satolle le costui schiere col tesor de’ vinti, e più folte e anelanti a nove imprese. Qual prence allor dell’alleanza sua 170 far rifiuto oseria? Beato il primo ch’ei chiamerebbe amico! Egli sicuro consulterebbe e come e quando a voi mover la guerra, a voi rimasti soli. L’ira, che addoppia l’ardimento al prode 175 che si sente percosso, ei non la trova che ne’ prosperi casi: impaziente d’ogni dimora ove il guadagno è certo, ma ne’ perigli irresoluto: a’ suoi soldati ascoso, del pugnar non vuole 180 fuor che le prede. Ei nella rocca intanto, o nelle ville rintanato attende a novellar di cacce e di banchetti, a interrogar tremando un indovino. Ora è il tempo di vincerlo: cogliete 185 questo momento: ardir prudenza or fia.
IL DOGE
Conte, su questo fedel vostro avviso tosto il Senato prenderà partito; ma il segua, o no, v’è grato; e vede in esso, non men che il senno, il vostro amor per noi. 190
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