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Alessandro Manzoni Il conte di Carmagnola IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena Quinta. Marco, e il Conte.
IL CONTE
O dolce amico; ebben qual nova arrechi?
La guerra è risoluta, e tu sei duce. 335
IL CONTE
Marco, ad impresa io non m’ accinsi mai con maggior cor che a questa: una gran fede poneste in me: ne sarò degno, il giuro. Il giorno è questo che del viver mio ferma il destin: poi che quest’alma terra 340 m’ha nel suo glorioso antico grembo accolto, e dato di suo figlio il nome, esserlo io vo’ per sempre; e questo brando io consacro per sempre alla difesa e alla grandezza sua.
non soffra il ciel che la fortuna il rompa... o tu medesmo.
IL CONTE
Io? come?
Al par di tutti i generosi, che giovando altrui nocquer sempre a sé stessi, e superate tutte le vie delle più dure imprese, 350 caddero a un passo poi, che facilmente l’ultimo de’ mortali avria varcato. Credi ad un uom che t’ama: i più de’ nostri ti sono amici; ma non tutti il sono. Di più non dico, né mi lice; e forse 355 troppo già dissi. Ma la mia parola nel fido orecchio dell’amico stia, come nel tempio del mio cor, rinchiusa.
IL CONTE
Forse io l’ignoro? E forse ad uno ad uno non so quai siano i miei nemici?
chi te gli ha fatti? In pria l’esser tu tanto maggior di loro, indi lo sprezzo aperto che tu ne festi in ogni incontro. Alcuno non ti nocque finor; ma chi non puote nocer col tempo? Tu non pensi ad essi, 365 se non allor che in tuo cammin li trovi; ma pensan essi a te, più che non credi. Spregia il grande, ed obblia; ma il vil si gode nell’odio. Or tu non irritarlo: cerca di spegnerlo; tu il puoi forse. Consiglio 370 di vili arti ch’io stesso a sdegno avrei, io non ti do, né tal da me l’aspetti. Ma tra la noncuranza e la servile cautela avvi una via; v’ha una prudenza anche pei cor più nobili e più schivi; 375 v’ha un’arte d’acquistar l’alme volgari, senza discender fino ad esse: e questa nel senno tuo, quando tu vuoi, la trovi.
IL CONTE
Troppo è il tuo dir verace: il tuo consiglio le mille volte a me medesmo io il diedi; 380 e sempre all’uopo ei mi fuggì di mente; e sempre appresi a danno mio che dove semina l’ira, il pentimento miete. Dura scola ed inutile! Alfin stanco di far leggi a me stesso, e trasgredirle, 385 tra me fermai che, s’egli è mio destino ch’io sia sempre in tai nodi avviluppato che mestier faccia a distrigarli appunto quella virtù che più mi manca, s’ella è pur virtù; se è mio destin che un giorno 390 io sia colto in tai nodi, e vi perisca; meglio è senza riguardi andargli incontro. Io ne appello a te stesso: i buoni mai non fur senza nemici, e tu ne hai dunque. E giurerei che un sol non è tra loro 395 cui tu degni, non dico accarezzarlo, ma non dargli a veder che lo dispregi.
la sorte invidii, è sol colui che nacque in luoghi e in tempi ov’uom potesse aperto 400 mostrar l’animo in fronte, e a quelle prove solo trovarsi ove più forza è d’uopo che accorgimento: quindi, ove convenga simular, non ti faccia maraviglia che poco esperto io sia. Pensa per altro 405 quanto più m’è concesso impunemente fallire in ciò che a te; che poche vie al pugnal d’un nemico offre il mio petto; che me contra i privati odii assecura la pubblica ragion; ch’io vesto il saio 410 stesso di quei che han la mia sorte in mano. Ma tu stranier, tu condottiero al soldo di togati signor, tu cui lo Stato dà tante spade per salvarlo, e niuna per salvar te... fa che gli amici tuoi 415 odan sol le tue lodi; e non dar loro la trista cura di scolparti. Pensa che felici non son, se tu nol sei. Che dirò più? Vuoi che una corda io tocchi, che ancor più addentro nel tuo cor risoni? 420 Pensa alla moglie tua, pensa alla figlia a cui tu se’ sola speranza: il cielo dié loro un’alma per sentir la gioia, un’alma che sospira i dì sereni, ma che nulla può far per conquistarli. 425 Tu il puoi per esse; e lo vorrai. Non dire che il tuo destin ti porta; allor che il forte ha detto: io voglio, ei sente esser più assai signor di sé che non pensava in prima.
IL CONTE
Tu hai ragione. Il ciel si prende al certo 430 qualche cura di me, poiché m’ha dato un tale amico. Ascolta; il buon successo potrà, spero, placar chi mi disama: tutto in letizia finirà. Tu intanto se cosa odi di me che ti dispiaccia, 435 l’indole mia ne incolpa, un improvviso impeto primo, ma non mai l’obblio di tue parole.
Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro verrà quel messo che la gloria tua 440 con la salute della patria annunzi!
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