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Alessandro Manzoni Il conte di Carmagnola IntraText CT - Lettura del testo |
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ATTO QUARTO.Scena Prima. Marco senatore e Marino, uno dei capi.Sala dei Capi del Consiglio dei Dieci, in Venezia. MARCO Senatore, e MARINO uno dei Capi.
Eccomi al cenno degli eccelsi Capi del Consiglio de’ Dieci.
di tutti lor. Vi si destina un grave incarco, fuor di qui: se un argomento di confidenza questo sia... la vostra 5
Essa mi dice che scarsa al merto ed all’ingegno mio dee la patria concederla, ma intera
dolce a chi l’ama oltre ogni cosa, e sente 10 di vivere per lei; ma proferirlo senza tremar non dee chi resta amico de’ suoi nemici.
Ed io...
Per chi parlaste oggi in Senato? Per la patria? I vostri sdegni, i vostri terrori eran per lei? 15 Chi vi rendea sì caldo? Il suo periglio, o il periglio di chi? Chi difendeste... voi solo?
Sta la mia vita in vostra man, ma il mio voto non già: giudice ei non conosce 20 fuor che il mio cor; né d’altro esser può reo che d’avergli mentito. A darne conto pur disposto son io.
Tutto che puote por la patria in periglio, essere inciampo all’alte mire sue, dargli sospetto, 25 è in nostra man. Perché ci siate or voi, se nol sapete, se mostrar vi giova di non saperlo, uditelo. Per ora d’oggi si parli; non vogliam di tutta la vostra vita interrogar che un giorno. 30
E che? fors’altro mi si appon? Di nulla temer poss’io; la mia condotta...
È nota più a noi che a voi. Dalla memoria vostra forse assai cose ha cancellato il tempo:
Di tutto 35
Voi la darete quando vi fia chiesta. Non più: quando il Senato diede il comando al Carmagnola, a molti era sospetta la sua fede; ad altri certa parea: potea parerlo allora. 40 Ei discioglie i prigioni, insulta i nostri mandati, i nostri pari; ha vinto, e perde in perfid’ozio la vittoria. Il velo cade dal ciglio ai più. Nel suo soccorso troppo fidando, il Trevisan s’innoltra 45 nel Po, le navi del nemico affronta; sopraffatto dal numero, richiede al Capitan rinforzo, e non l’ottiene. Freme il Senato; poche voci appena s’alzano ancor per lui. Cremona è presa, 50 basta sol ch’ei v’accorra; ei non v’accorre. Giunge l’annunzio oggi al Senato: alfine più non gli resta difensor che un solo: solo, ma caldo difensor. Per lui innocente è costui, degno di lode 55 più che di scusa; e se ci fu sventura, colpa è soltanto del destino... e nostra. Non è giustizia che il persegue: è solo odio privato, è invidia, è basso orgoglio che non perdona al sommo, a chi tacendo 60 grida co’ fatti: io son maggior di voi. Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri nel lor Senato oggi l’udiro; e muti si volsero a guardar donde tal voce venìa, se uno straniero oggi, un nemico 65 premere un seggio nel Senato ardia. Chiarito è il Conte un traditor; si vuole torgli ogni via di nocere. Ma l’arte tanta e l’audacia è di costui, che reso ei s’è tremendo a’ suoi signori; è forte 70 di quella forza che gli abbiam fidata; egli ha il cor de’ soldati; e l’armi nostre, quando voglia, son sue; contro di noi volger le puote, e il vuol. Certo è follia aspettar che lo tenti; ognun risolve 75 ch’ei si prevenga, e tosto. A forza aperta è impresa piena di perigli. E noi starem per questo? E il suo maggior delitto sarà cagion perché impunito ei vada? Sola una strada alla giustizia è schiusa, 80 l’arte con cui l’ingannator s’inganna. Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga: questo è il voto comun. Che fece allora l’amico di costui? Ve ne rammenta? Io vel dirò; ché men tranquillo al certo 85 era in quel punto il vostro cor, dell’occhio che imperturbato vi seguia. Perdeste ogni ritegno, oltrepassaste il largo confin che un resto di prudenza avea prescritto al vostro ardor, dimenticaste 90 ciò che promesso v’eravate, intero ai men veggenti vi svelaste, a quelli cui parea novo ciò che a noi non l’era. Ognuno allor pensò che oggi in Senato c’era un uom di soverchio, e che bisogna 95 porre il segreto dello Stato in salvo.
Signor, tutto a voi lice: innanzi a voi quel che ora io sia, non so; però non posso dimenticarmi che patrizio io sono, né a voi tacer che un dubbio tal m’offende. 100 Sono un di voi: la causa dello Stato è la mia causa; e il suo segreto importa a me non men che altrui.
Volete alfine saper chi siete qui? Voi siete un uomo di cui si teme, un che lo Stato guarda 105 come un inciampo alla sua via. Mostrate che nol sarete; il darvene agio ancora è gran clemenza.
questa è l’accusa mia; nol nego, io il sono: e il ciel ringrazio che vigor mi ha dato 110 di confessarlo qui. Ma se nemico è della patria? Mi si provi, è il mio. Che gli si appone? I prigionier disciolti? Non li disciolse il vincitor soldato? Ma invan pregato il condottier non volle 115 frenar questa licenza. Il potea forse? Ma l’imitò. Non ve lo astrinse un uso, qual ch’ei sia, della guerra? ed al Senato vera non parve questa scusa? e largo d’ogni onor poscia non gli fu? L’aiuto 120 al Trevisan negato? Era più grave periglio il darlo; era l’impresa ordita ignaro il Conte; ei non fu chiesto a tempo. E la sentenza che a sì turpe esiglio il Trevisan dannò, tutta la colpa 125 non rovesciò sovra di lui? Cremona? Chi di Cremona meditò l’acquisto? Chi l’ordin dié che si tentasse? Il Conte. Del popol tutto che a rumor si leva non può scarso drappel l’inaspettato 130 impeto sostener; ritorna al campo, non scemo pur d’un combattente. Al Duce buon consiglio non parve incontro un novo impensato nemico avventurarsi; e abbandonò l’impresa. Ella è, fra tante 135 sì ben compiute, una fallita impresa; ma il tradimento ov’è? Fiero, oltraggioso da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio: un troppo lungo tollerar macchiato ha l’onor nostro. Ed un’insidia, il lava? 140 E poi che un nodo, un dì sì caro, ormai non può tener Venezia e il Carmagnola, chi ci vieta disciorlo? Un’amistade sì nobilmente stretta, or non potria nobilmente finir? Come! anche in questo 145 un periglio si scorge! Il genio ardito del condottier; la fama sua si teme, de’ soldati l’amor! Se render piena testimonianza al ver, colpa si stima; se a tal trista temenza oppor non lice 150 la lealtà del Conte; il senso almeno del nostro onor la scacci. Abbiam di noi un più degno concetto; e non si creda che a tal Venezia giunta sia, che possa porla in periglio un uom. Lasciam codeste 155 cure ai tiranni: ivi il valor si tema ove lo scettro è in una mano, e basta a strapparlo un guerrier che dica: io sono più degno di tenerlo; e a’ suoi compagni il persuada. Ei che tentar potria? 160 Al Duca ritornar, dicesi, e seco le schiere trar nel tradimento. Al Duca? All’uom che un’onta non perdona mai, né un gran servigio, ritornar colui che gli compose e che gli scosse il trono? 165 Chi non poté restargli amico in tempo che pugnava per lui, ridivenirlo dopo averlo sconfitto! Avvicinarsi a quella man che in questo asilo istesso 170 comprò un pugnal per trapassargli il petto! L’odio solo, o signor, creder lo puote. Ah! qual sia la cagion che innanzi a questo temuto seggio fa trovarmi, un’alta grazia mi fia, se fare intender posso anco una volta il ver: qualche lusinga 175 io nutro ancor che non fia forse invano. Sì, l’odio cieco, l’odio sol potea far che fosse in Senato un tal sospetto proposto, inteso, tollerato. Ha molti fra noi nemici il Conte: or non ricerco 180 perché lo siano: il son. Quando nascoste all’ombra della pubblica vendetta, le nimistà private io disvelai; quando chiedea che a provveder s’avesse l’util soltanto dello Stato, e il giusto; 185 allora ufizio io non facea d’amico, ma di fedel patrizio. Io già non scuso il mio parlar: quando proporre intesi che sotto il vel di consultarlo ei sia richiamato a Venezia, e gli si faccia 190 onor più dell’usato, e tutto questo per tirarlo nel laccio... allor, nol nego...
Più non pensaste che all’amico.
Allora, dissimular nol vo’, tutte sentii le potenze dell’alma sollevarsi 195 contro un consiglio... ah fu seguito!... Un solo pensier non fu; fu della patria mia l’onor ch’io vedo vilipeso, il grido de’ nemici e de’ posteri; fu il primo senso d’orror che un tradimento inspira 200 all’uom che dee stornarlo, o starne a parte. E se pietà d’un prode a tanti affetti pur si mischiò, dovea, poteva io forse farla tacer? Son reo d’aver creduto che util puote a Venezia esser soltanto 205 ciò che l’onora, e che si può salvarla senza farsi...
Non più: se tanto udii fu perché ai Capi del Consiglio importa di conoscervi appien. Piacque aspettarvi ai secondi pensier; veder si volle 210 se un più maturo ponderar v’ avea tratto a più saggio e più civil consiglio. Or, poiché indarno si sperò, credete voi che un decreto del Senato io voglia difender ora innanzi a voi? Si tratta 215 la vostra causa qui. Pensate a voi, non alla patria: ad altre, e forti, e pure mani è commessa la sua sorte: e nulla a cor le sta che il suo voler vi piaccia, ma che s’adempia, e che non sia sofferto 220 pure il pensier di porvi impedimento. A questo vegliam noi. Quindi io non voglio altro da voi che una risposta. Espresso sovra quest’uomo è del Senato il voto; compir si dee; voi, che farete intanto? 225
Voi siete a parte d’un gran disegno; e in vostro cor bramate che a voto ei vada: non è ver?
Che importa ciò ch’io brami, allo Stato? A prova ormai sa che dell’opre mie non è misura 230
Qual pegno abbiam da voi che lo farete? In nome del Tribunale un ve ne chiedo: e questo, se lo negate, un traditor vi tiene. Quel che si serba ai traditor, v’è noto. 235
Io... Che si vuol da me?
che patria è questa a cui bastovvi il core di preferire uno stranier. Sui figli a stento e tardi essa la mano aggrava; e a perderne soltanto ella consente 240 quei che salvar non puote. Ogni error vostro è pronta ad obbliar; v’apre ella stessa la strada al pentimento.
Al pentimento! Ebben, che strada?
d’assalir Tessalonica: voi siete 245 colà mandato. A quale ufizio, quivi noto vi fia: pronta è la nave; ed oggi voi partirete.
Ma un’arra si vuol di vostra fé: giurar dovete per quanto è sacro, che in parole o in cenni 250 nulla per voi traspirerà di quanto oggi s’è fisso. Il giuramento è questo:
(legge)
E per ultimo, udite. Il messo è in via che porta al Conte il suo richiamo. Ov’egli 255 pronto ubbidisca, ed in Venezia arrivi, giustizia troverà... forse clemenza. Ma se ricusa, se sta in forse, e segno dà di sospetto; un gran segreto udite, e tenetelo in voi; l’ordine è dato 260 che dalle nostre man vivo ei non esca. Il traditor che dargli un cenno ardisce, quei l’uccide, e si perde. Io più non odo nulla da voi: scrivete; ovvero...
Io scrivo. (prende il foglio e lo sottoscrive)
Tutto è posto in obblio. La vostra fede 265 ha fatto il più; vinto ha il dover: l’impresa compirsi or dee dalla prudenza: e questa non può mancarvi, sol che in mente abbiate che ormai due vite in vostra man son poste. (parte)
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