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Alessandro Manzoni Il conte di Carmagnola IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena Terza. Il Conte e Gonzaga.
IL CONTE
Ebben, che raccogliesti?
Io favellai, come imponesti, ai Commissari; e chiaro mostrai che tutta delle vinte navi riman la colpa e la vergogna a lui che non le seppe comandar; che infausta 355 la giornata gli fu perché la imprese senza di te; che tu da lui chiamato tardi in soccorso, romper non dovevi i tuoi disegni per servir gli altrui; che l’armi lor, tanto in tua man felici, 360 sempre il sarian, se questa guerra fosse commessa al senno ed al voler d’un solo.
IL CONTE
Che dicon essi?
ai detti miei: dissero in pria, che nulla dissimular volean; che amaro al certo 365 de’ perduti navigli era il pensiero, e di Cremona la fallita impresa; ma che son lieti di saper che il fallo di te non fu; che di chiunque ei sia,
IL CONTE
o mio Gonzaga; se dai fede al volgo, sommo riguardo, arte profonda è d’uopo con questi uomin di Stato. Io fui con essi quel ch’esser soglio; rigettai l’ingiuste pretese lor, scender li feci alquanto 375 dall’alto seggio ove si pon chi avvezzo non è a vedersi altri che schiavi intorno; io mostrai lor fino a che segno io voglio che altri signor mi sia: d’allora in poi mai non l’hanno passato; io li provai 380
E non pertanto dar consiglio ad alcuno io non vorrei di tener, questa via. Te da gran tempo la gloria segue e la fortuna; ad essi util tu sei, tu necessario e caro, 385 terribil forse: e tu la prova hai vinta; se pur può dirsi che sia vinta ancora.
IL CONTE
Che dubbi hai tu?
dolci sembianti, e dolci detti ascolto: segni d’amor; ma pur, l’odio che teme, 390 altri ne ha forse?
IL CONTE
No: di questo io nulla sono in pensier. Troppo a regnar son usi; e san che all’uom da cui s’ottiene il molto chieder non dessi improntamente il meno. E poi, mi credi, io li guardai dappresso: 395 questa cupa arte lor, questi intricati avvolgimenti di menzogna, questo finger, tacere, antiveder, di cui tanto li loda e li condanna il mondo è meno assai di quel che al mondo appare. 400
Se pur non era di lor arte il colmo il parer tali a te.
IL CONTE
No: tu li vedi con l’occhio altrui: quando col tuo li veda, tu cangerai pensiero. Havvene assai di schietti e buoni; havvene tal che un’alta 405 anima chiude, a cui pensier non osa avvicinarsi che gentil non sia: anima dolce e disdegnosa, in cui legger non puoi, che tu non sia compreso d’amor, di riverenza, e di desio 410 di somigliarle. Non temer; non sono di me scontenti; e quando il fosser mai,
che tu t’inganni.
IL CONTE
di questa guerra che condur non posso 415 a modo mio. Quand’io non era ancora più che un soldato di ventura, ascoso e perduto tra i mille, ed io sentia che al loco mio non m’avea posto il cielo, e dell’oscurità l’aria affannosa 420 respirava fremendo, ed il comando sì bello mi parea,... chi m’avria detto che l’otterrei, che a gloriosi duci, e a tanti e così prodi e così fidi soldati io sarei capo; e che felice 425 io non sarei perciò!... Che rechi?
Un foglio di Venezia. (gli porge il foglio, e parte)
IL CONTE
(legge) mai non gli ebbi più amici: a loro il Duca chiede la pace, e conferir con meco braman di ciò. Vuoi tu seguirmi?
Io vengo. 430
IL CONTE
Ad un soldato tu lo domandi?
IL CONTE
O mia consorte, o figlia mia, tra poco io rivedrovvi, abbraccerò gli amici: questo è contento al certo. Eppur del tutto 435 esser lieto non so: chi potria dirmi se un sì bel campo io rivedrò più mai?
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