Nell'anno 568, la nazione longobarda,
guidata dal suo re Alboino, uscì dalla Pannonia, che abbandonò agli Avari; e
ingrossata di ventimila Sassoni e d'uomini d'altre nazioni nordiche,
scese in Italia, la quale allora era soggetta agl'imperatori greci; ne occupò
una parte, e le diede il suo nome, fondandovi il regno, di cui Pavia fu poi la
residenza realei. Con l'andar del tempo, i Longobardi
dilatarono in più riprese i loro possessi in Italia, o estendendo i confini del
regno, o fondando ducati, più o meno dipendenti dal re. Alla metà dell'ottavo
secolo, il continente italico era occupato da loro, meno alcuni stabilimenti
veneziani in terra ferma, l'esarcato di Ravenna tenuto ancora dall'Impero, come
pure alcune città marittime della Magna Grecia. Roma col suo ducato apparteneva
pure in titolo agli imperatori; ma la loro autorità vi si andava restringendo e
indebolendo di giorno in giorno, e vi cresceva quella de' ponteficiii.
I Longobardi fecero, in diversi tempi, delle scorrerie su queste terre; e
tentarono anche d'impossessarsene stabilmente.
Astolfo, re de' Longobardi, ne invade
alcune, e minaccia il rimanente. Il papa Stefano II si porta a Parigi, e chiede
soccorso a Pipino, che unge in re de' Franchi. Pipino scende in Italia; caccia
Astolfo in Pavia, dove lo assedia, e, per intercessione del papa, gli accorda
un trattato, in cui Astolfo giura di sgomberare le città occupate.
Ripartiti i Franchi, Astolfo non mantiene
il patto, anzi assedia Roma, e ne devasta i contorni. Stefano ricorre di nuovo
a Pipino: questo scende di nuovo: Astolfo corre in fretta alle Chiuse
dell'Alpi: Pipino le supera, e spinge Astolfo in Pavia. Vicino a questa città,
si presentarono a Pipino due messi di Costantino Copronimo imperatore, a
pregarlo, con promesse di gran doni, che rimettesse all'Impero le città
dell’esarcato, che aveva riprese ai Longobardi. Ma Pipino rispose che non avea
combattuto per servire né per piacere agli uomini, ma per divozione a San
Pietro, e per la remissione de' suoi peccati; e che, per tutto l'oro del mondo,
non vorrebbe ritogliere a San Pietro ciò che una volta gli aveva
datoiii. Così fu troncata brevemente nel fatto quella curiosa
questione, sul diritto della quale s'è disputato fino ai nostri giorni
inclusivamente: tanto l'ingegno umano si ferma con piacere in una questione mal
posta. Astolfo, stretto in Pavia, venne di nuovo a patti, e rinnovò le vecchie
promesse. Pipino se ne tornò in Francia, e mandò al papa la donazione in
iscritto.
Muore Astolfo: Desiderio, nobile di Bresciaiv,
duca longobardo, aspira al regno; raduna i Longobardi della Toscana, dove si
trovava, speditovi da Astolfov, e viene da essi eletto re. Ratchis,
quel fratello d'Astolfo, ch'era stato re prima di lui, e s'era fatto monaco,
ambisce di nuovo il regno; esce dal chiostro, fa raccolta di uomini e va contro
Desiderio. Questo ricorre al papa; il quale, fattogli promettere che
consegnerebbe le città già occupate da Astolfo, e non ancora
rilasciatevi, consente a favorirlo, e consiglia a Ratchis di
ritornarsene a Montecassino. Ratchis ubbidisce e Desiderio rimane re de'
Longobardi.
Non si sa precisamente in qual anno, ma
certo in uno dei primi del suo regno, Desiderio fondò, insieme con Ansa sua
moglie, il monastero di San Salvatore, che fu poi detto di
Santa Giulia, in Brescia: Ansberga, o Anselperga, figlia di Desiderio,
ne fu la prima badessavii.
Alboino, duca di Benevento, e Liutprando,
duca di Spoleto, si ribellano a Desiderio, mettendosi sotto la protezione di
Pipino. Desiderio gli attacca, gli sconfigge, fa prigioniero Alboino, e mette
in fuga Liutprandoviii. In quest'anno, o nel seguente, fu
associato al regno il figliuolo di Desiderio, nelle lettere de' papi e nelle
cronache chiamato Adelgiso, Atalgiso, o anche Algiso, ma negli atti pubblici, Adelchis.
Nell'anno 768 morì Pipino; il regno de'
Franchi fu diviso fra Carlo e Carlomanno suoi figli. Le lettere a Pipino, di
Paolo I e di Stefano III, successori di Stefano II, sono piene di lamenti e di
richiami contro Desiderio, il quale non restituiva le città promesse, anzi
faceva nuove occupazioni.
Bertrada, vedova di Pipino, desiderosa di
stringer legami d'amicizia tra la sua casa e quella di Desiderio, viene in
Italia, e propone due matrimoni: di Desiderata o Ermengardaix, figlia
di Desiderio, con uno de' suoi figli, e di Gisla sua figlia con Adelchi.
Stefano III scrive ai re Franchi la celebre lettera, con la quale cerca di
dissuaderli dal contrarre un tal parentadox. Ciononostante,
Bertrada condusse seco in Francia Ermengarda; e Carlo, che fu poi detto il
magno, la sposòxi. Il matrimonio di Gisla con Adelchi non fu
concluso.
Carlo, non si sa bene per qual cagione,
ripudia Ermengarda, e sposa Ildegarde, di nazione Svevaxii. La
madre di Carlo biasimò il divorzio; e questo fu cagione del solo dissapore che
sia mai nato tra loroxiii. Muore Carlomanno: Carlo accorre a
Carbonac nella Selva Ardenna, al confine de' due regni: ottiene i voti degli
elettori: è nominato re in luogo del fratello; e riunisce così gli stati divisi
alla morte di Pipino. Gerberga, vedova di Carlomanno, fugge co' suoi due figli,
e con alcuni baroni, e si ricovera presso Desiderio. Carlo ne fu punto sul
vivoxiv.
A Stefano III succede Adriano. Desiderio
gli spedisce un'ambasciata per chiedergli la sua amicizia: il nuovo papa risponde
che desidera stare in pace con quel re, come con tutti i cristiani; ma che non
vede come possa fidarsi d'un uomo il quale non ha mai voluto adempir la
promessa, fatta con giuramento, di rendere alla Chiesa ciò che le appartiene.
Desiderio invade altre terre della Donazionexv.
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