— Ton, ton, ton, ton, — i contadini appena corcati balzano a sedere sul
letto: — che è? che è? La campana: fuoco? banditi? — Le donne pregano e
consigliano i mariti di non si muovere, di lasciar correre gli altri: gli
uomini si alzano dicendo: — vado soltanto alla finestra —: i garzoni caccian la
testa dal fenile: i più curiosi e bravi sono già nella via colle forche e coi
fucili: altri gl'imitano, e i poltroni come se si lasciassero vincere dalle
preghiere ritornano al covile.
Frattanto Perpetua che nelle ciarle s'era dimenticata di se stessa, ma
che noi non abbiamo dimenticata, aveva inteso come un romore, un gridio, e
aveva interrotto il discorso per avviarsi verso casa, cercando invano di
rattenerla Agnese, la quale pure stava sulla corda non vedendo tornare nessuno;
e all'udire quel gridìo fu pure presa da una grande inquietudine. Ma quando la
campana a martello si fece udire, corsero entrambe verso la porta. Toni aveva
finalmente ricolta la quitanza, e pigliando a tentone Gervaso nelle tenebre,
aveva pigliata la porta e scendeva saltelloni dalla scala: Lucia pregava
fievolmente Fermo di cavarla da quella caverna; e quando egli udì quel tocco
funesto gli parve pure mill'anni d'esserne fuori, e trovò la porta come gli
altri. Perpetua correndo affannata con Agnese, si abbattè in Toni e il fratello
che uscivano, e gli assalì d'inchieste alle quali essi non dierono risposta, ed
usciti nella via, s'avviarono a casa.
Per buona sorte Fermo e Lucia usciti nella via, presero la strada opposta
a quella donde veniva Perpetua, ed ella entrò a furia in casa senza vederli, e
vi si chiuse. Agnese che guardando fiso gli aveva visti uscire, gli raggiunse,
e tutti e tre voltarono in fretta, in silenzio, palpitando, il canto, e
s'avviarono pure verso casa. Intanto la gente traeva da tutte le parti alla
chiesa: già i più lesti erano entrati nel campanile e avevano inteso da Lorenzo
che la gente era in casa del curato. Ma guardando al di fuori videro le porte
chiuse, e tutto quieto: taluni però osservando più per minuto s'accorsero che
una finestra era appena socchiusa e intravvidero per lo spiraglio la faccia
lunga di Don Abbondio, il quale avendo sentita sgombrata la stanza vicina, e
conoscendo cessato il pericolo, cominciava ad essere inquieto e malcontento del
troppo soccorso. «Che cosa è stato?» domandò uno degli accorsi: «Sono fuggiti»,
rispose il curato, «tornate a casa, vi ringrazio». «Fuggiti, chi?» «Cattiva
gente, cattiva gente, tornate a casa, non c'è più niente». Qui cominciarono
risa di alcuni, rimbrotti di alcuni altri, domande dei sopravvegnenti, discorsi
d'ogni genere. Lorenzo lasciata finalmente la corda uscì dalla Chiesa, e si
pose in mezzo ai crocchj a render ragione dell'aver così messo a soqquadro
tutto il paese. Ma in mezzo ai paesani si videro passare in ordine di battaglia
alcuni armati e di sinistro aspetto: erano gli amici che abbiam già veduti
all'osteria. A quelli che li vedevano nasceva sospetto che fossero banditi, e
che per cagion loro si fosse suonato a stormo: chi si ritirava, chi si univa in
crocchio, e già da molti si parlamentava del partito da prendersi.
Ma siccome coloro passavano senza molestare nessuno, e ad ogn'uomo che
vedevano parevan dire: — tu non sei quello —, così nessuno volle gittare la
prima pietra, e a poco a poco la folla svanì, ognuno si ritirò a casa, e Don
Abbondio si rimase a schiamazzare con Perpetua.
Ma i tre personaggi che c'interessano nascondendosi quanto potevano, non
rispondendo alle inchieste e fuggendo la folla erano sulla via che conduceva
alla casa di Lucia; quando un garzoncello che andava guardando attentamente
tutti quelli che passavano, al vederli, mise un sospiro che pareva volesse
dire: — gli ho trovati una volta —; si pose dinanzi a loro, pigliò Agnese pel
lembo della veste, e disse con voce bassa e affannata: «Tornate indietro per
amor del cielo!» Era Menico, e fu tosto riconosciuto. «Perché?» dissero tutti e
tre. «Indietro, indietro, vi dico non tornate a casa, venite al convento; così
mi ha detto il padre Cristoforo». La proposta parve a tutti strana, e in altri
momenti udendola da un Menico non vi avrebbero posto mente; ma nei momenti di
confusione e di paura, tutti i consigli pajono buoni. Quelli ristettero: ma Menico
continuava: «Venite con me pei viottoli, vi condurrò io, usciamo di qui, vi
dirò tutto per istrada». «Ma la casa...» disse Agnese.
«Niente niente, venite con me, lo ha detto il Padre Cristoforo: Dio vi
liberi dal tornare a casa». Essi seguirono il ragazzo, il quale in quel punto
era più presente a sè che essi non fossero, ed entrati per una callajetta
presero un viottolo, il quale, chi non si fosse curato di strada comoda, poteva
condurre al convento.
Quantunque il lettore possa aver facilmente indovinato quale fosse il
novo pericolo di Lucia, e donde il buon Frate ne avesse avuto l'avviso, pure è
dovere dello storico il raccontare per esteso tutta la faccenda. Per procedere
ordinatamente è mestieri tornare a Don Rodrigo che abbiamo lasciato solo, avendo
noi preferito di accompagnare il Padre Cristoforo.
Don Rodrigo, come abbiam detto passeggiava a gran passi per la sala, le
pareti della quale come ora diciamo erano coperte da grandi ritratti di
famiglia. Quando Don Rodrigo si voltava ad un capo della sala, si mirava in
faccia un suo antenato guerriero, terrore dei nemici, colle gambiere, colla
corazza, coi bracciali, coi guanti, col cimiero di ferro, avente la mano manca
posta sul fianco e la destra sullo spadone a foggia di bastone. Quando Don
Rodrigo era sotto a questo antenato, e voltava, ecco in faccia un altro
antenato, magistrato, terrore dei litiganti, seduto sur un'alta seggiola di
velluto, con una lunga toga nera, tutto nero fuorché un collare con due ampie
facciuole: aveva una faccia squallida, due ciglia aggrottate, teneva in mano
una supplica, e pareva dicesse: — vedremo —: di qua una matrona terrore delle
sue damigelle, di là un abate terrore dei monaci, tutta gente insomma che
spirava terrore. In presenza di queste memorie, tanto più si rodeva Don Rodrigo
che un frate avesse osato prender con lui il tuono di Nathan, e ammonirlo, anzi
minacciarlo. Formava un disegno di vendetta, lo abbandonava, pensava come
soddisfare ad un tempo alla passione e all'onore; e talvolta, sentendosi
fischiare agli orecchi quella profezia incominciata, rabbrividiva, e quasi
stava per deporre il pensiero di soddisfarsi.
Finalmente, per fare qualche cosa, chiamò un servo, e ordinò che facesse
le sue scuse alla brigata, dicendo ch'egli era trattenuto da un affare urgente.
Quando il servo tornò a riferire che quei signori erano partiti lasciando i più
umili ossequj e i più vivi ringraziamenti: «E il conte Attilio?» domandò,
sempre passeggiando, don Rodrigo. «È uscito con quei signori». «Bene: sei
persone di seguito pel passeggio: la mia spada; il cappello; il pugnale di
gala». Il servo partì facendo un inchino, e Don Rodrigo, salì nella sua stanza,
si cinse una ricca spada, depose il pugnale che aveva in cintura, e ne prese
uno di gala col fodero a rilievi d'oro, e con un bel diamante sul pomo, si
gettò la cappa sulle spalle, si coperse col cappello a grandi piume, e colla
palma lo inchiodò sul capo; e si dispose ad uscire. A dir vero, egli non andava
né per faccenda né per diporto; ma sentiva un bisogno indistinto e confuso di
uscire in gran pompa, di circondarsi della sua forza per mostrare agli altri ed
a sè stesso ch'egli era pur sempre quel Don Rodrigo. Al piede della scala trovò
i sei seguaci tutti armati, i quali fatta ala ed inchino, gli tennero dietro.
Più burbero, più superbioso, più accigliato del solito uscì egli e si pose a
camminare verso Lecco ricevendo inchini profondi, simili a genuflessioni dai
contadini in cui s'abbatteva: i bravi che lo seguivano non avrebbero lasciato
di punire il contegno poco ossequioso d'uno smemorato, o d'un temerario. Don
Rodrigo rispondeva con una leggera mossa di capo. I signorotti pure facevano
riverenza a colui che, senza contrasto, era il più potente di loro, e Don
Rodrigo corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quando però Don Rodrigo
s'incontrava nel signor Castellano spagnuolo, l'inchino allora era egualmente
profondo dall'una e dall'altra parte; si vedevano come due potentati i quali
non hanno fra loro nessuna relazione né di pace né di guerra, ma che per
convenienza fanno onore al grado l'uno dell'altro. Dopo aver passeggiato, Don
Rodrigo si presentò in una casa dove si teneva brigata, e dove fu accolto con
quella cordialità rispettosa che è riserbata a quelli che fanno paura, e
finalmente a notte avanzata tornò al suo castellotto.
Il Conte Attilio era giunto da poco; e fu servita la cena, alla quale Don
Rodrigo pareva ancora alquanto sopra pensiero.
Il Conte ruppe il silenzio, dicendo con aria maligna:
«Cugino, quando pagate questa scommessa?»
«Il giorno di San Martino non è venuto».
«Bene; ma tanto fa che la paghiate ora; perché passeranno tutti i santi
del paradiso prima che...»
«Questo è quello che si ha da vedere».
«Cugino, voi volete nascondervi da me: ma io ho capito tutto, e tanto son
certo di aver vinta la scommessa, che son pronto a farne un'altra».
«Che?...»
«Che il Padre..., il padre... che so io? quel frate insomma vi ha
convertito».
«Questa pensata è veramente una delle vostre».
«Convertito, cugino, convertito, vi dico. Io per me ne godo: sapete che
bella cosa sarebbe vedervi tutto compunto e cogli occhi bassi. E che gloria per
quel padre! Come sarà tornato a casa pettoruto! Non son mica pesci che si
pigliano ogni giorno e con ogni rete. Siate certo che vi citerà per esempio; e
quando andrà a far qualche missione un po' lontano, parlerà dei fatti vostri.
Mi par di sentirlo con quella voce nel naso, predicare a questo modo: — In una
parte di questo mondo, che per degni rispetti non nomino, viveva, uditori
carissimi, un cavaliere dissoluto, amico più delle femine che dei servi di Dio,
il quale avvezzo a far d'ogni erba fascio...»
«Basta basta», interruppe Don Rodrigo mezzo sogghignando, e mezzo
arrovellato. «Se volete raddoppiar la scommessa, io son pronto».
«Diavolo! che aveste voi convertito il padre!»
«Non mi parlate di colui: e quanto alla scommessa, aspettate san
Martino».
La curiosità del Conte era stuzzicata; egli non fece risparmio
d'inchieste, ma Don Rodrigo le deluse tutte, rimettendosi sempre al giorno
della prova, e non si arrischiando di comunicare al suo avversario disegni che
non erano ancora né incamminati, né assolutamente risoluti.
Ma quando Don Rodrigo si svegliò al mattino susseguente, di tutte le
passioni che si erano combattute nel suo animo non vi rimaneva altra che il
desiderio di soddisfarsi.
Quel poco di compugnimento, che il colloquio del padre Cristoforo aveva
messo addosso, era svanito insieme coi sogni della notte, e la memoria stessa
di averlo sentito non serviva che a raddoppiargli la stizza. Le sensazioni
posteriori a quel colloquio, il passeggio coi bravi, gl'inchini, le canzonature
del Conte avevano ritornata...................................... e quei tristi
credendosi scoverti, si ritirarono in buon ordine come abbiamo detto. Ma quel
buon servo che aveva già promesso al Padre Cristoforo di tenerlo avvertito,
seppe quello che si tramava; trovò il modo di correre al convento, informò il
Padre, il quale spedì tosto Menico, come abbiamo veduto.
I nostri tre fuggitivi camminarono qualche tempo in silenzio, dietro il
loro picciolo guidatore, il quale superbo di andar così di notte, per un
affare, come un uomo, superbo di essere nella brigata, quello che dava
consiglio, che avvisava al da farsi, che rincorava, che aveva la mente più
riposata, guardava attentamente la via, scegliendo i tratti più brevi, e i più
fuor di mano, e rivolgendosi alle rivolte con aria d'importanza, a dire: «per
di qua».
Avevano fatto un terzo circa della via, ed erano lontani dal paese, tanto
che guardando indietro non si vedevano più i radi lumi delle lucerne che le donne
sporgevano dalle finestre ponendovi la mano sopra di traverso per non esser
vedute e per mandar la luce sulla via per dove tornavano a casa gli uomini a
subire un interrogatorio: e nessuno dei tre aveva ancora avuto animo di
comunicare agli altri i pensieri che lo agitavano: s'udiva solo di tempo in
tempo Agnese sclamare: — poveri morti benedetti, ajutateci —, Lucia invocare la
Vergine, e Fermo mormorare qualche esclamazione di sdegno. Fu la prima Agnese
che proferì un periodo compiuto. «E la casa?» diss'ella: «l'abbiamo lasciata in
abbandono, senza nemmeno porvi una custodia: sulla fede di questo ragazzo, che
Dio sa come ha inteso».
«Come!» rispose con un poco di stizza e di albagia, Menico: «come!
sentirete, sentirete or ora dal Padre Cristoforo. Buon per voi che io vi abbia
saputi trovare. Guaj se andavate a casa: mi ha detto il Padre, che doveste
uscirne subito subito, e temeva ch'io non fossi in tempo». «Bembè sentiremo»,
rispose Agnese. Ma Lucia andava stretta al braccio della madre, rifiutando dolcemente
l'appoggio di Fermo, ed arrampicando la prima sui muricciuoli che avevano a
superare per non essere ajutata da lui, e in mezzo a tutte le agitazioni
tremando pure di trovarsi così di notte per via con lui, per quel pudore che
non nasce dalla trista scienza del male, per quel pudore che ignora se stesso,
e somiglia al sospetto del fanciullo che trema nelle tenebre senza sapere che
cosa ci sia da temere. Le parole di Agnese furono il principio d'una
conversazione generale: addomesticati già un poco alla loro nuova e inaspettata
situazione, si posero tutti e tre a favellar sotto voce (il che spiacque assai
a Menico, al quale pareva pure di meritar fiducia dopo la sua impresa) a
favellare dell'accaduto e di quello che poteva soprastare. La povera Lucia parlò
poco: e quello che me la rende più cara e più pregiata si è ch'ella non si
lasciò sfuggire una parola che rinfacciasse alla madre ed a Fermo l'ostinazione
loro a volerla tirare a quella impresa ch'era così mal riuscita: non proferì
mai quelle parole: «l'aveva detto io».
Finalmente per viottoli di campi, e per selve senza sentiero giunsero i
viaggiatori ad un torrente che dal monte chiamato Resegone scende nell'Adda e
si chiama Bione, nome che invano altri cercherebbe in un dizionario geografico.
Il torrente era al di là dal convento, ma non è da dir per questo che Menico
avesse fallita la strada, giacché era stato mestieri allungarla per ischifare
la via comune e battuta. Scesero alcuni passi col torrente, e quindi volgendo a
diritta divennero sulla piazzetta che si apriva dinanzi al convento ed alla
chiesicciuola unita a quello.
«Adesso vedrete», disse Menico sottovoce: si affacciò alla porta della
chiesa, la sospinse dolcemente, e quella in fatti si aperse, e la luna,
entrando per lo spiraglio illuminò la barba d'argento, e la tonaca del Padre
Cristoforo, che stava ivi ritto ad aspettare. Quando egli vide che con Menico
v'erano i tre che egli dubbiosamente aspettava, disse a bassa voce: «Dio sia
benedetto: siete fuori di pericolo», e gli fece entrare. A canto del nostro
Padre Cristoforo si trovava un altro cappuccino. Era questi il laico sagrestano
che egli con preghiere e con ragioni aveva determinato a vegliar con lui, a
lasciare aperta la chiesa, e a starvi in sentinella per accogliere quei poveri
minacciati; e non vi voleva meno dell'autorità del padre, e della sua fama di
santo per condurre il laico ad una condiscendenza piena non solo d'incomodo, ma
di pericolo. Quando furono entrati: «Chiudete ora la porta senza far fracasso»,
disse il padre Cristoforo. Ma il laico al quale pareva già d'aver fatto troppo,
crollò la testa, e disse: «Chiudersi di notte in chiesa con donne...! mi
pare...» e continuava a crollare la testa.
— Vedete un po', diceva fra sè il padre Cristoforo: se fosse un
masnadiero, Fra Fazio non gli farebbe una difficoltà al mondo, e una innocente
che si vuol salvare dagli artigli del lupo...
«Omnia munda mundis» disse impetuosamente volgendosi a Fra Fazio,
e dimenticando che Fra Fazio non sapeva il latino. Ma questa dimenticanza fu
appunto quella che ottenne l'intento. Se il Padre avesse voluto addurre
ragioni, Fra Fazio non avrebbe mancato di ragioni da opporre, e la cosa sarebbe
andata in lungo, Dio sa anche come sarebbe finita; ma quando egli udì quelle
parole d'un suono così pieno e solenne, e dette così risolutamente, gli parve
che in esse dovesse essere tutta la soluzione dei suoi dubbj, rispose: «Ha
ragione», e volse a bell'agio la chiave nella toppa, e i nostri profughi si
trovarono chiusi nel santuario in salvo da ogni pericolo.
Il Padre Cristoforo si pose ginocchioni ad orare un momento; e tutti lo
imitarono: quindi levato: «Figliuoli miei», disse, «Iddio non vi vuole ancora
in riposo, ma voi avete un segno della sua protezione, e un'arra ch'egli non vi
abbandonerà». E qui raccontò ai poveretti il pericolo a cui erano sfuggiti, e
proseguì: «Vedete che per ora è necessario allontanarvi di qua: vi siete nati,
è casa vostra, non avete fatto torto a nessuno, ma il serpente talvolta fa
disertare l'uomo dalla sua dimora, e gli uomini pure si cacciano su questa
terra come se vi fossero posti per divorarsi l'un altro. È una prova,
figliuoli: sopportatela con pazienza, con fiducia, senza rancore; è il mezzo di
abbreviarla e di renderla utile. Per me siate certi che penso a voi, e che troverò
più mezzi per ajutarvi che altri forse non crede. Frattanto io ho pensato a
trovarvi per qualche tempo un rifugio ove possiate starvi in sicuro finché si
trovi il modo di ritornare sicuri a casa vostra, e di giungere all'adempimento
dei vostri giusti e santi desiderj. Usciti di qui, voi v'incamminerete in
silenzio al lago presso allo sbocco del Bione, ivi vedrete un battello: direte:
— barca: — vi sarà risposto: — per chi? — replicate — San Francesco —: e la
barca vi accoglierà e vi trasporterà all'altra riva, dove troverete un
baroccio, il quale vi condurrà a salvamento». Chi domandasse come il Padre
aveva ai suoi comandi tante persone, e le aveva potute così disporre ai servigi
dei suoi protetti, mostrerebbe di non sapere che cosa potesse un cappuccino che
aveva fama di santo. Prese quindi in disparte Agnese, le diede una lettera, le
disse a chi doveva consegnarla assicurandola che con quella troverebbe
assistenza, e le raccomandò, che facesse in modo che Fermo dopo averle
accompagnate al luogo della loro dimora proseguisse il suo viaggio. Quindi
consegnò a questo un'altra lettera colle opportune istruzioni.
Rimaneva da pensare alla custodia delle case, le quali erano prive dei
loro custodi naturali. Le chiavi furono consegnate al Padre: quelle di Agnese per
esser date in mano d'una sua sorella, e quelle di Fermo per un suo cognato. Il
Padre ricevette le commissioni d'entrambi, procurando di acquietare la
sollecitudine di Agnese.
I viaggiatori partivano quasi brulli di denaro: ma avevano dei risparmj
in casa; indicarono al Padre il luogo del deposito, ed egli promise di far loro
tenere il tutto sicuramente e presto. Finalmente con voce commossa, e
contenendo le lacrime: «Dio sia con voi», disse: «partite senza ritardo: il
cuore mi dice che ci rivedremo presto».
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire. Ma che
sa egli il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.
Il sagrestano aperse la porta, commosso anch'egli, i viaggiatori
partirono dando e ricevendo un addio con voce sommessa e alterata; e la porta
si richiuse. Andarono quegli pian piano com'era stato loro segnato alla riva
del lago; quivi mutate le parole, entrarono nel battello, e il barcajuolo
puntando il remo alla riva, lo fece staccare, e remigando a due braccia, prese
il largo verso la riva opposta.
Il lago era sgombro, non soffiava un respiro di vento, e la superficie
dell'acqua, illuminata dalla luna giaceva piana e liscia senza una
increspatura, come un immenso specchio. I remi che tagliando l'onda con tonfo
misurato uscivano ad un colpo grondanti, e segnando di infinite stille lo
spazio sul quale precorrevano per rituffarsi nell'acqua, rompevano solo la
piana superficie del lago; l'onda segata dalla barca, riunendosi dietro la
poppa segnava una striscia fuggente, che si andava allontanando dal lido. I
viaggiatori silenziosi, volgendosi addietro, guardavano le montagne e il paese
che la luna illuminava. Si distinguevano i villaggi, i campanili, le capanne:
il castellotto di Don Rodrigo colla vecchia sua torre, alto sulle capanne,
pareva un feroce ritto nelle tenebre che in mezzo ad una folla di coricati nel
sonno vegliasse meditando un delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì; discese
coll'occhio verso il sito della sua umile casa, e vide un pezzo di muro bianco
che usciva da una macchia verde scura, riconobbe la sua casetta, e il fico che
ombreggiava la porta: e seduta com'era sul fondo della barca, poggiò il gomito
sulla sponda, chinò su quello la fronte come per dormire; e pianse
segretamente.
Addio, monti posati sugli abissi dell'acque ed elevati al cielo; cime
ineguali, conosciute a colui che fissò sopra di voi i primi suoi sguardi, e che
visse fra voi, come egli distingue all'aspetto l'uno dall'altro i suoi
famigliari, valli segrete, ville sparse e biancheggianti sul pendio come branco
disperso di pecore pascenti, addio! Quanto è tristo il lasciarvi a chi vi
conosce dall'infanzia! quanto è nojoso l'aspetto della pianura dove il sito a
cui si aggiunge è simile a quello che si è lasciato addietro, dove l'occhio
cerca invano nel lungo spazio, dove riposarsi e contemplare, e si ritira
fastidito come dal fondo d'un quadro su cui l'artefice non abbia ancor figurata
alcuna immagine della creazione. Che importa che nei piani deserti sorgano
città superbe ed affollate? il montanaro che le passeggia avvezzo alle alture
di Dio, non sente il diletto della maraviglia nel mirare edificj che il
cittadino chiama elevati perché gli ha fatti egli ponendo a fatica pietra sopra
pietra. Le vie, che hanno vanto di ampiezza, gli sembrano valli troppo anguste,
l'afa immobile lo opprime, ed egli che nella vita operosa del monte non aveva
forse provato altro malore che la fatica, divenuto timido e delicato come il
cittadino, si lagna del clima e della temperie, e dice che morrà se non torna
ai suoi monti. Egli che sorto col sole, non riposava che al mezzo giorno e al
cessare delle fatiche diurne, passa le ore intere nell'ozio malinconico
ripensando alle sue montagne.
Ma questi sono piccioli dolori. L'uomo sa tormentar l'uomo nel cuore; e
amareggiargli il pensiero di modo che anche la memoria dei momenti passati
lietamente affacciandosi ad esso perde ogni bellezza, e porta un rancore non
temperato da alcuna compiacenza; è tutta dolorosa: reca all'afflitto una certa
maraviglia che abbia potuto altre volte godere, e non desidera più quelle
contentezze delle quali non gli par più capace la sua mente trasformata. Dolore
speciale: la contemplazione della perversità d'una mente simile alla nostra:
idea predominante in chi è afflitto dal suo simile. Addio, casa natale, casa
dei primi passi, dei primi giuochi, delle prime speranze; casa nella quale
sedendo con un pensiero s'imparò a distinguere dal romore delle orme comuni il
romore d'un'orma desiderata con un misterioso timore. Addio, addio casa altrui,
nella quale la fantasia intenta, e sicura vedeva un soggiorno di sposa, e di
compagna. Addio chiesa dove nella prima puerizia si stette in silenzio e con
adulta gravità, dove si cantarono colle compagne le lodi del Signore, dove
ognuno esponeva tacitamente le sue preghiere a Colui che tutte le intende e le
può tutte esaudire, Chiesa, dove era preparato un rito, dove l'approvazione e
la benedizione di Dio doveva aggiungere all'ebbrezza della gioia il gaudio
tranquillo e solenne della santità. Addio! Il serpente nel suo viaggio torto e
insidioso, si posta talvolta vicino all'abitazione dell'uomo, e vi pone il suo
nido, vi conduce la sua famiglia, riempie il suolo e se ne impadronisce; perché
l'uomo il quale ad ogni passo incontra il velenoso vicino pronto ad avventarglisi,
che è obbligato di guardarsi e di non dar passo senza sospetto, che trema pei
suoi figli, sente venirsi in odio la sua dimora, maledice il rettile
usurpatore, e parte. E l'uomo pure caccia talvolta l'uomo sulla terra come se
gli fosse destinato per preda: allora il debole non può che fuggire dalla
faccia del potente oltraggioso: ma i passi affannosi del debole sono contati, e
un giorno ne sarà chiesta ragione.
La barca giunta alla riva, urtando sull'arena scosse Lucia, la quale dopo
avere asciugate in segreto le lagrime, si alzò come dal sonno. Fermo uscì il
primo, porse la mano ad Agnese, questa uscita la porse a Lucia, e tutti e tre
resero tristamente grazie al barcajuolo, il quale rispose: «Niente, niente,
siamo quaggiù per ajutarci». Fermo voleva cavare una parte dei pochi
quattrinelli che si trovava in tasca; ma il barcajuolo li rifiutò come se gli
fosse proposto un furto. Trovarono il barroccio, v'ascesero, e continuarono
silenziosamente la via. La notte aveva già passato il mezzo, e la luna illuminava
tuttavia il cammino che dopo aver seguito, abbandonato, e ripreso più volte il
corso dell'Adda, corse per lungo tempo di valle in valle fra monti che andavano
sempre diminuendo d'altezza.
L'aurora mostrò loro delle colline, il cui aspetto sarebbe stato lieto
per animi lieti. Ma oltre la sventura che teneva sotto di sè i nostri
viaggiatori, la dura condizione dei tempi avrebbe impedita ogni gioja in
qualunque viaggiatore: giacché sur una terra ridente non s'incontrava che
l'uomo tristo e squallido dalla fame, che usciva per domandare soccorso non
dovendo trovare quasi che il suo simile bisognoso di soccorso.
A giorno fatto giunsero al luogo della fermata; e discesero ad una
osteria dove li condusse la loro guida, la quale pose a riposare il suo cavallo,
per ritornarsene, e ricusò pure ogni pagamento. Qui Fermo avrebbe voluto
sostare almeno tutta la giornata, ma Agnese e Lucia lo persuasero a partire, ed
egli partì, tutto incerto dell'avvenire, ma certo almeno che un cuore
rispondeva al suo, e viveva delle sue stesse speranze.