La carrozza correva tuttavia velocemente, gl'indegni guardiani di Lucia,
consultavano non senza sollecitudine su lo stato di essa, guardandola
fisamente, cercando nel suo volto pallido e immobile le apparenze della vita,
aspettando ansiosamente ch'ella ne desse alcun segno; quando la poveretta
cominciò a rinvenire come da un sonno profondo, diede un sospiro, e aperse gli
occhi. Penò qualche tempo a distinguere i luridi oggetti che la circondavano, e
a raccappezzare le idee già confuse, e incerte che avevano preceduto il suo
deliquio, a confrontarle con le prime, che si affacciavano alla sua mente ritornata:
finalmente a poco a poco riprendendo le forze riprese tutto il pensiero, e
comprese la sua orribile situazione. I bravi, senza ardire di porle le mani
addosso, e guardandola con un certo rispetto le andavano facendo animo, e
ripetendo: «coraggio, non è niente, non vogliamo farvi male: siamo
galantuomini». Il primo uso che fece Lucia della vita fu di gittarsi con forza
verso lo sportello per vedere dove fosse, se gente passasse, se potesse
lanciarsi al di fuori ad ogni pericolo: ma appena potè scorgere che il luogo
ch'ella attraversava rapidamente era un bosco, che anima vivente non v'era: che
le braccia villane che l'avevano già conficcata la prima volta al fondo della
carrozza, ve la conficcarono di nuovo. Levò ella allora un altro grido, ma la stessa
manaccia tornò in furia con lo stesso fazzoletto, e il padrone di quella
manaccia disse nello stesso momento: «Facciamo i nostri patti: noi non vi
faremo male, non vi toccheremo, ma voi non cercherete né di fuggire né di
gridare: già è inutile, ma pure se voleste tentarlo, noi siamo qui, amici o
nemici, come vorrete».
«Lasciatemi andare», disse Lucia con voce soffocata dallo sdegno e dallo
spavento: «lasciatemi andare subito, subito: io non son vostra, lasciatemi
andare».
«Non possiamo», rispose il malandrino.
«Dove mi conducete? dove sono? voglio andare al convento dei cappuccini».
«Ohibò ohibò», disse sogghignando colui, «che le ragazze non istanno bene
coi cappuccini. Venite con noi di buona voglia».
«No no», rispose Lucia alzando la voce; ma il fazzoletto fu alzato.
«Lasciatemi andare per amor di Dio», ripigliò ella con voce più fioca.
«Dove mi conducete?»
«In casa di galantuomini, vicino a casa vostra», rispose il malandrino.
«No no», disse ancora Lucia: «lasciatemi andare».
«Ma se questo è contra i nostri ordini», rispose un altro.
«Chi vi può dare questi ordini?» domandò Lucia: «ricordatevi della
giustizia, ricordatevi dell'inferno, ricordatevi della morte».
«Pensieri tristi», replicò quello dal fazzoletto: «voi ci volete far
malinconia, e noi vi conduciamo a stare allegra».
«Santissima Vergine ajuto!» gridò Lucia, ma il malandrino con volto
iracondo le protestò che s'ella gridava un'altra volta, il fazzoletto sarebbe
rimasto sulla sua bocca fino a ch'ella fosse giunta al luogo destinato. E
sforzandosi d'esser garbato aggiunse: «già siamo vicini: parlerete con chi può
comandare: noi siamo servitori che facciamo il nostro dovere: è inutile che ci
diciate le vostre ragioni».
«Oh per amore di Dio, della Madonna», riprese Lucia in tuono
supplichevole, con voce interrotta da singulti, e senza pur pensare ad
asciugare le lagrime, che le rigavano tutta la faccia: «per amore di Dio,
lasciatemi andare: io sono una povera creatura, che non vi ha mai fatto male:
vi perdono quello che mi avete fatto, e pregherò Dio per voi: se avete anche
voi una figlia, una moglie, una madre, qualche persona cara a questo mondo,
pensate quello che patirebbero se fossero in questo stato: pensate all'anima
vostra; fate una buona opera che vi può salvare: fatemi questa carità, acciocché
Dio vi usi misericordia, lasciatemi qui».
«Non possiamo» risposero tutti e tre; commossi alquanto da quel lamento.
«Non possiamo», ripetè il capo; «ma non abbiate paura, fatevi animo; già non vi
conduciamo in un deserto: state tranquilla: se volete parlare noi vi
risponderemo; se volete tacere, noi non parleremo: non temete, nessuno vi
toccherà»; e così dicendo si ristringeva contra la carrozza lasciando più
spazio a Lucia perché stesse meno disagiata, perché non fosse oppressa da una
vicinanza ch'egli stesso sentiva in quel momento quanto dovesse essere incomoda
e ributtante. Gli altri due, si andavano pure ristringendo dal loro lato,
facendo luogo a Lucia, e tenendosi come in distanza, stornando gli occhi da
quel volto accorato, ma fermi nel loro atroce proposito di eseguire la
commissione: come il villanello che a fatica si è arrampicato all'albero per
togliere un uccelletto dal nido, e lo tiene nelle mani, e lo sente dibattersi e
tremare, e sente il cuore della povera bestiola battere affannosamente contra
la palma che lo stringe; prova pure qualche pietà: allenta le dita alquanto per
non affogare la povera bestiola, per non farle male; ma aprire il pugno,
lasciarla tornare al suo nido: oh no! il figlio del padrone gli ha chiesto
l'uccelletto, gli ha promessa una bella moneta s'egli sapeva snidarlo e
portarglielo vivo. Lucia dopo avere ancora indarno pregato; «ditemi dove mi
conducete», richiese di nuovo.
«In casa di galantuomini, e non vi possiamo dire altro», rispose quegli
che le stava vicino. Lucia vedendo che le preghiere riuscivano inutili come la
resistenza, e stanca dell'ambascia, e dello stento, incrocicchiò le braccia sul
petto, si strinse nell'angolo della carrozza, in silenzio: e perduta ogni
speranza di soccorso umano, si rivolse a Dio da cui tutto sperava; e pregò
fervidamente da prima col cuore; indi cavato di tasca il rosario che teneva
sempre con sè, cominciò a recitarlo con voce sommessa. I bravi tacevano,
guardando di tratto in tratto quello ch'ella faceva, e sospirando tutti il fine
di quella spedizione: e Lucia di tempo in tempo fermandosi nella sua preghiera
a Dio, per voltarsi a coloro in forza dei quali ella si trovava, e ricominciava
a supplicarli: ma non udiva rispondersi altro che: «non possiamo». La sua
preghiera era esaudita, ma il momento non era venuto.
Erano già due ore che la carrozza correva, sempre per istrade deserte,
attraversando boscaglie, e campi abbandonati alla felce ed alla scopa (una gran
parte del territorio milanese era allora ridotta a quello stato dalle guerre,
dalle gravezze insopportabili, dall'ignoranza, dalla specie di barbarie insomma
in cui erano gli abitanti, e i legislatori). Il sole declinava verso
l'orizzonte quando Lucia sentì un romore continuo sempre crescente, come di
un'acqua rapidamente corrente. Era l'Adda infatti a cui la carrozza si
avvicinava: il bravo che stava sulla serpe accanto al cocchiere urtò col gomito
chiamando quelli di dentro; uno di essi pose la testa fuori dello sportello, e
l'altro gli disse: «il battello c'è». «Ah! bravo» dissero tutti e tre quei di
dentro. Lucia, vedendo che si stava per fare qualche cosa da cui doveva
decidersi il suo destino, ricominciò le sue preghiere, ma il vicino lieto di
essere alla fine della sua incombenza, e di non aver più a combattere con le
istanze di quella infelice, le impose silenzio dicendo: «Zitto zitto; abbiamo
altro in capo che di darvi retta ora: siamo occupati». La carrozza si fermò
presso la riva, quel della serpe fece un segno a cui fu risposto dal battello,
e tosto ne uscirono tre bravi con una vecchia, e si avviarono verso la
carrozza. Lucia strillava, i bravi le comandavano di tacere replicando: «non
abbiate paura, e già tutto è inutile; son tutti nostri amici». Lucia allora si
rannicchiò tutta alla carrozza invocando la Vergine nel cuore, e proponendo di
lasciarsi piuttosto uccidere che di uscire volontariamente da quel luogo, il
quale per quanto orrendo le fosse le pareva un asilo poiché vi aveva passate
due ore, e non sapeva dove, a che sarebbe strascinata quando ne fosse fuori. Mentre
si stava così tutta rannicchiata, udì chiamarsi da una voce femminile, aperse
gli occhi e vide allo sportello la vecchia rivolta verso di lei. Una donna
parve in quel momento a Lucia un angiolo del paradiso: si sollevò, e con volto
supplichevole, e con una certa fiducia le disse: «Oh brava donna, che fate voi
qui? ajutatemi, se questi sono vostri amici pregateli che mi lascino venire con
voi; salvatemi, salvatemi».
«Scendete e venite con me», rispose la vecchia; indi rivolta ai bravi
raggrinzando la fronte e scontorcendo la bocca: «Maladetti», disse, «le avete
fatto paura?»
«Ma la vedete sana e salva...?» rispondeva il capo; quando Lucia,
chinandosi e sporgendosi dalla carrozza a prendere con le mani le braccia della
vecchia: «non dite niente», interruppe, «quel che è stato è stato, purché mi
lascino venire con voi».
«Scendete, venite», disse la vecchia.
«Ma con voi sola», rispose Lucia.
«Andiamo andiamo», disse ancora la vecchia, e presa Lucia la strascinava,
mentre i bravi della carrozza l'ajutavano a scendere quasi portandola.
«No no», disse Lucia.
«Zitto, zitto», disse la vecchia, «venite colle buone».
«Ma voi siete d'accordo con questi scellerati», gridava Lucia.
«Zitto zitto», continuava a dire la vecchia, e così Lucia fu portata al
battello.
Guardò intorno e non vide altro che la boscaglia la riva e il fiume e il
battello; alzò gli occhi, e vide al di sopra delle cime dei monti la cima
tagliata a sega del Resegone, alle falde del quale era la sua casa,
dov'era sua madre, dove aveva passati i primi suoi anni nella pace; e
l'accoramento le tolse anco la forza di gridare; tutta grondante di lagrime,
affannata, quasi fuor di sè, fu posta a sedere nel battello sotto la tenda: la
vecchia le si pose accanto: il capo di quelli che erano venuti in carrozza saltò
pure nel battello, stette al di fuori coi bravi venuti per acqua; i quali tosto
puntati i remi alla riva ne fecero allontanare il battello, pigliarono l'alto
del fiume, diedero dei remi nell'acqua, e il battello partì. Appena Lucia ebbe
ripreso un po' di fiato, si pose ginocchioni dinanzi la vecchia, domandandole
dov'era condotta, pregandola di farla deporre su qualche riva, pregandola pei
nomi i più temuti ed amati dai cristiani; ma la vecchia inflessibile, immobile,
non rispose altro che «zitto, zitto». Lucia ricominciò a pregare Colui che ode
anche quando non risponde, si abbandonò alla sua provvidenza. Dopo forse due
altre ore di viaggio, il battello approdò: la notte precipitava, e Lucia
sbigottita, tremante, non sapeva più in che mondo si fosse: fu tolta in questo
stato dal battello, posta in una lettiga, e portata al castello del Conte del
Sagrato.
La vecchia accompagnava la lettiga, entrò insieme in casa, la fece
deporre in una stanza, dove rimase sola con Lucia, dicendo a coloro che
l'avevano portata, che andassero ad avvertire il Signor Conte. Ma il Signor
Conte aveva già intesa dal Tanabuso la relazione del rapimento, del viaggio e
dell'arrivo. «Ebbene», aveva egli detto al Tanabuso, «fatto?»
«Fatto», rispose Tanabuso.
«A dovere?»
«A dovere».
«Non c'è stato bisogno di spiegar le unghie?»
«Tutto è andato quietamente»; e qui fece il Tanabuso la sua narrazione. E
aggiunse: «Tutto è corso a verso, com'ella vede, signor padrone; ma una sola
cosa ci ha dato un po' di disturbo».
«Che è?» chiese il Conte.
«Quella ragazza», rispose il Tanabuso... «quella povera ragazza... un tal
guaire, un tal piangere, un tal pregare... restar lì come morta..., guardarci
un po' come diavoli, un po' con gli occhi pietosi... che... che...»
«Che?» disse il Conte; «sentiamo un po' questa che vuol essere nuova,
ribaldonaccio».
«Che mi ha fatto compassione».
«Ohe!» disse il Conte, «bisognerà che ti dia doppia mancia per quello che
ha patito il tuo povero cuore».
«Possa io diventare un birro se non è così», rispose il Tanabuso; «mi ha
fatto compassione. Dico la verità Signor padrone, avrei avuto più caro che
l'ordine fosse stato di darle una schioppettata, alla lontana, prima di
sentirla discorrere».
«Ora», riprese il Conte, «lascia da parte la compassione, cacciati la via
tra le gambe, vanne diritto al castello di quel Don Rodrigo... Sai dov'è
posto?». Il Tanabuso accennò di sì: «fagli dire che sei mandato da me, dagli
questo segno nelle mani, e torna a casa. La giornata è stata faticosa, ma tu
sai che il tuo padrone vuole esser servito ma sa anche pagare...»
«Oh illustrissimo!...»
«Taci, e vanne tosto... ma no, aspetta: dimmi un poco come ha fatto
costei per moverti a compassione. Che abbia un patto col demonio?»
«Niente, niente, signor padrone, era proprio il crepacuore che aveva quella
povera ragazza. Se non avessi avuto un comando del mio padrone...»
«Ebbene?...»
«L'avrei lasciata andare».
«Oh! andiamo a vederla costei; e tu aspetta, partirai domattina... dopo
aver ricevuto i miei ordini... tanto fa che quello inspagnolato aspetti qualche
ora di più... Domattina sii all'erta per tempo».
Il Tanabuso partì, facendo un inchino, e il Conte s'avviò alla stanza
dove Lucia stava in guardia della vecchia.
Bussò, disse: «son io», e tosto il chiavistello di dentro corse
romoreggiando negli anelli, e la porta fu spalancata. Lucia si stava seduta sul
pavimento, acquattata, accosciata nell'angolo della stanza il più lontano dalla
porta, nel luogo che entrando le era sembrato il più nascosto, si stava quivi
aggomitolata, con la faccia occultata, e compressa nelle palme, tutta tremante
di spavento, e quasi fuor di sè: al romore che fece la porta, alla pedata del
Conte che entrava trasalì, ma non levò la faccia, non mosse membro, anzi fece
uno sforzo per ristringersi ancor più tutta insieme; e stette con un battito
sempre crescente aspettando e paventando quello che avvenisse.
«Dov'è questa ragazza?» disse il Conte alla vecchia.
«Eccola», rispose umilmente la malnata.
«Come?» disse il Conte, «l'avete gettata là come un sacco di cenci».
«Oh s'è posta dove ha voluto».
«Ehi! quella giovane», disse il Conte avvicinandosi a Lucia: «dove
diavolo vi siete posta a sedere? alzatevi; non voglio farvi male... lasciatevi
vedere».
Lucia non si mosse.
«Peggio per voi», disse il Conte; «se volete fare il bell'umore. Ah! ah!
non sapete dove siete. Pretendereste voi di resistermi? Abbassate subito quelle
mani ch'io voglio vedervi».
Queste parole furono dette con un tuono così minaccioso, che le mani di
Lucia obbedirono quasi senza il comando della volontà: e Lucia lasciò vedere la
sua faccia spaventata e dolente. Alzò ella allora gli occhi al volto del Conte
che la stava guardando attentamente; e dopo un momento, gli disse con una voce,
in cui al tremito dello sgomento era mista la sicurezza d'una indignazione
disperata: «Che male gli ho fatto io?»
«E che male voglio io fare a voi, scioccherella?» rispose il Conte, con
voce più mite. «Credete forse d'essere condotta al macello? Verrà un giorno che
riderete di tutto questo vostro spavento, e riderete forse anche di me, che vi
rispondo ora così sul serio».
«Ridere! oh Dio!» rispose Lucia «ridere!» e guardando un momento come
smemorata, diede in un nuovo scoppio di pianto.
«Sì sì, tutte voi altre fate così», replicò il Conte.
«Ma perché», riprese Lucia, «mi fa ella patire le pene dell'inferno? Mi
dica che cosa le ho fatto? Oh non mi faccia più patire così: Dio glielo
potrebbe rendere un giorno...»
«Dio: Dio: sempre Dio coloro, che non hanno niente altro: sempre
rinfacciar questo Dio, come se gli avessero parlato. Dov'è questo vostro Dio?»
«È da per tutto, è qui», rispose Lucia: «è qui a vedere s'ella si muove a
pietà di me, per usarle pietà in ricambio un giorno. Oh abbia misericordia
d'una poveretta, mi lasci andare, lasci ch'io mi ricoveri in qualche Chiesa, su
le montagne, in un bosco. Oh lo vedo; tutto dipende da lei: con una parola ella
mi può salvare: dica questa parola. Non so dove sono, ma troverò la strada per
andare da mia madre. Oh Dio! non è forse lontana: ho visto i miei monti: oh
s'ella sentisse quel ch'io patisco! non conviene ad un uomo che ha da morire,
far tanto patire una creatura innocente: mi lasci andare; oh se pregherò Dio
per lei! la benedirò sempre». E animata nel suo discorso si levò da sedere, si
pose in ginocchio, giunse le mani al petto, e continuò: «Che cosa le costa dire
una parola? Non iscacci una buona ispirazione, un sentimento di pietà. Oh Dio
perdona tante cose per un'opera di misericordia!»
— Che pazza curiosità ho avuto di venirla a vedere — pensava tra sè il
Conte. — Dugento doppie! ne ho bisogno. Costoro vogliono esser ben pagati; eh!
hanno ragione: espongono la loro vita: ma vorrei piuttosto toglierne cinquanta
a quattro usuraj, e farli scannare tutti e quattro.
«Non mi dica di no», continuava Lucia, sempre singhiozzando, «sono una
povera figlia. S'ella provasse a pregare, a pregare, a cercar misericordia
senza poterla ottenere! E se le accadesse una disgrazia!... ma no, no io
pregherò per lei il Signore e la Vergine... mi lasci andare...»
«State di buon animo», rispose il Conte, senza intenzione di nulla
promettere, senza sapere egli stesso che senso avessero le sue parole, ma
spinto da un bisogno di far cessare quell'angoscia e quel lamento, di consolare
quella creatura.
«Oh», disse Lucia, «Dio la benedica, ella mi lascia andare».
«State di buon animo», ripetè il Conte, «cercate di riposare... domani...
parleremo...»
«E voi», rivolto alla vecchia, «voi», disse, «fate ch'ella non abbia da
lagnarsi pure di una parola torta. Ora vi si allestirà la cena... ristoratevi,
e dormite tranquilla».
«No, no», rispose Lucia, «mi lasci andar subito...»
«Domani... domani ci parleremo», replicò il Conte, e con un rapido
movimento andò verso la porta, ed uscì.
Lucia, tutta piena della speranza di ottenere la sua liberazione si alzò,
e volle correr dietro al Conte, ma quando si trovò sull'uscio non ardì movere
un passo più in là, né chiamare: tornò indietro come spaventata, e si raccosciò
di nuovo nel suo angolo.
«Volete dunque cenare?» le disse la vecchia.
«No no; badate bene a non partire di qua» rispose Lucia, «ricordatevi di
quello che vi ha detto il vostro padrone: chiudete la porta». La vecchia
obbedì, e tornata: «mettetevi a letto e dormite dunque», disse.
«No: io non mi voglio movere di qui» replicò Lucia.
«Che pazzie?...»
«Non voglio», replicò di nuovo Lucia, risolutamente: quel coraggio di
disperazione ch'ella si sentiva da quando a quando era stato accresciuto e
corroborato da quella compassione ch'ella aveva veduta nel Conte, dalle parole
di speranza che egli le aveva date, e dagli ordini ch'egli aveva lasciati con
impero alla vecchia.
— Ih! ih! che fummo ha costei, — disse tra sè la mala vecchia. —
Maladette le giovani che hanno sempre ragione e quando sono svergognate e
quando fanno le smorfiose.
«Badate a non ispegnere quella lucerna», disse Lucia.
«Sì sì», rispose la vecchia, e senza più rivolger la parola a Lucia si
coricò brontolando.
Lucia rimase nel suo angolo. Era questo per lei, in quella orrenda
giornata il primo momento di riposo; ma quale riposo. I pensieri che l'avevano
assalita tumultuosamente, ad intervalli nel giorno, tornarono tutti in una
volta ad assediare la povera sua mente. Le memorie così recenti, così vive,
così atroci di quelle ore, di quel viaggio, di quell'arrivo, si affollavano
alla sua fantasia; l'avrebbero oppressa se fossero state memorie d'un pericolo
trascorso: e che dovevano fare, nel mezzo del pericolo stesso, nella durata,
nella orribile incertezza dell'avvenimento! Qual passato! e qual presente! quel
silenzio, quella compagnia, quel luogo. Qual notte! e per giungere a qual
domani! L'infelice intravedeva ben qualche cosa della orditura spaventosa del
laccio dove era stata tirata, ma rifuggiva dal pensiero di scoprirne più in là.
Di quando in quando le parole di speranza del Conte la rincoravano: le andava
ripetendo fra sè, s'immaginava di essere l'indomani fuori di quell'antro con
sua madre, ma un altro avvenire possibile rispingeva questa immaginazione, e a
tutta forza veniva a collocarsi nella sua mente. Tremava, si faceva animo,
sperava, disperava, pregava: le forze del corpo finalmente cedettero ad un tale
combattimento dell'animo, e Lucia fu presa da una febbre violenta. Le sue idee
divennero più vive, più forti, ma più interrotte, più mescolate, più varie, si
urtarono più rapidamente, e la confusione togliendole una parte della
coscienza, rese sofferibile una angoscia che altrimenti ella non avrebbe potuto
sofferire e vivere. Nel calore della febbre, le parve ad un tratto che la
preghiera sarebbe stata più accetta, certamente esaudita, se con la preghiera
ella avesse offerte in sagrificio quelle che altre volte erano state le sue più
liete speranze. L'unica speranza di quel momento, quella di uscire da quel
pericolo, le parve con questo divenire più fondata, più ferma: aperse gli
occhj, li girò con sospetto e con ansietà nel barlume di quella stanza; tese
l'orecchio, e non udì altro che il russare della vecchia; si levò chetamente,
stette ginocchioni; e votò alla Vergine di viver casta, senza nozze terrene,
s'ella poteva uscire intatta da quel pericolo. Proferito il voto, o, quello che
a Lucia parve tale, ella si sentì come racconsolata; si raccosciò nel suo
angolo, e passò il resto della notte in un letargo febbrile, interrotto da
sussulti, e da vaneggiamenti.
Il Conte partito da quella stanza andò secondo il suo costume a visitare
i posti del suo castello, a vedere se le guardie erano poste ai luoghi
stabiliti, se tutto era in ordine, e si chiuse nella sua stanza. Ma l'immagine
di Lucia non l'aveva mai abbandonato nel suo giro; ma quando egli si trovò solo
nella sua stanza, senza più nulla da fare che d'ascoltare i suoi pensieri, e di
dormire se avesse potuto, quella immagine più viva, più potente si pose a
sedere nella sua mente, e vi stette.
— Che sciocca curiosità da femminetta, m'è venuta, — andava egli
pensando, — di andare a vedere questa giovane? Ho dovuto sentire dalla sua
bocca di quelle cose che nessun uomo vivente avrebbe ardito dirmi sul volto. Le
ho sentite, e mi seccano. Perché non è figlia d'uno spagnuolo? o di qualcuno di
quei sozzi birbanti che m'hanno bandito: che avrei goduto di sentirla guaire,
di vederla tremante ai miei piedi. Ma costei non mi ha mai fatto male... Ecco,
lo andava ripetendo... pareva sapesse che questa era la corda da toccare per
farmi compassione... Compassione!... ma certo io ho avuto compassione: la sento
ancora... e qualche cosa di peggio... Che diavolo ho io addosso questa
notte?... Ha fatto compassione perfino al Tanabuso! Oh aveva ragione quella
bestia, quando disse che sarebbe stato men male averle data una schiopettata...
Poveretta! una schiopettata... no credo che mi avrebbe fatto compassione anche
morta. Eh sciocchezza! i morti almeno non si stanno a guardare, non si sentono,
non vi si mettono ginocchioni davanti... è un conto saldato. Dicono mo' i preti
che un giorno hanno a risuscitar tutti quanti! Poh! imposture! imposture, non è
vero, non è vero. Vorrebb'essere una bella processione.
E qui cominciarono a schierarsi dinanzi alla sua memoria tutti quelli
ch'egli aveva cacciati o fatti cacciare dal mondo, dal primo, ch'egli essendo
ancor giovanetto aveva passato con una stoccata per una rivalità d'amore, fino
all'ultimo che aveva fatto scannare per servire alla vendetta di un suo
corrispondente; tutti coi loro volti, nell'atto del morire, e quelli che egli
non aveva veduti, ma uccisi soltanto col comando, la sua fantasia dava loro i
volti e gli atti.
— Via, via, sciocchezze, — diceva: — sono io diventato un ragazzo? domani
a giorno chiaro riderò di me. E se domani a sera costoro mi tornassero in
mente? che dovessi passar sempre la notte così? Diavolo! comincio ad
invecchiare: vorrebb'essere un tristo vivere, e un tristo... morire. Che cosa
m'ha detto quella poveretta? «Oh Dio perdona tante cose per un'opera di
misericordia...» Che sa mai quella contadina? L'ha inteso dire dal curato e lo
ha creduto. Imposture. Ho sempre detto imposture, e quando aveva proferita
questa parola, bastava... ma adesso non serve... tornano sempre quei pensieri.
Sono io quello? Sono stato tanto tempo un uomo, non ci ho pensato; ho avuto
l'animo di farne tante, tante... Ebbene! ne ho fatte troppe... se non le avessi
fatte... in verità sarebbe meglio. A buon conto l'opera di misericordia sono in
tempo di farla. Poniamo che appena fatto il giorno io entri nella sua stanza:
la poveretta si spaventa; ma io le dirò subito, subito: «vi lascio in libertà,
vi farò condurre a casa». Oh come si cangerà in volto! che cose mi dirà! mi
darà delle benedizioni che mi faranno bene. Voglio badar bene a tutto quello
che mi dirà. e ricordarmene per pensarvi la notte. Oh! sono fanciullaggini...
ma a buon conto io non posso dormire. Ma quando verrà giorno! Che notte eterna!
Mi pare quella notte ch'io passai ad agguatare dietro un angolo quel temerario
di Vercellino che doveva tornare dal festino di corte... Ecco, io stava lì
cheto, cheto; quando sentiva una pesta, guardava fiso, fiso; non era egli, ed
io ritto e cheto nel mio angolo: sento una pedata che mi par quella, sporgo il
capo, guardo, è colui: fuori, addosso col mio stocco: mandò un gemito, e mi
cadde sulle gambe, gli diedi una spinta, e me ne andai... Oh che coraggio aveva
allora! era un uomo! e in un momento sono diventato... che cosa son diventato?
che è accaduto? non son sempre quello? Ecco anche quel Vercellino vorrei non
averlo ammazzato. Se doveva pensare così un giorno, era meglio che avessi
pensato così sempre. Vieni o luce maledetta, ch'io possa uscire da questo
covaccio di triboli, e andare a vedere quella ragazza. Ma devo lasciarla
andare? Vedremo: vedremo come mi sentirò. Se potessi dormire almeno un'ora, forse
mi sveglierei coll'animo di questa mattina!
In questi e simili pensieri passò il Conte del Sagrato quasi tutta la
notte; finalmente, non essendo il giorno lontano, la stanchezza lo vinse, e si
assopì. Ma i pensieri che avevano riempiuta la sua veglia, trasmutati ora
alquanto e rivestiti di forme più strane e più terribili lo accompagnarono nel
sonno. Era già levato il sole, e il Conte stava affannoso sotto il giogo di
quei sogni rammentatori, quando a poco a poco egli cominciò a risentirsi scosso
come e quasi chiamato da un romore monotono, continuo, insolito: stette
alquanto tra il sonno e la veglia, e finalmente tutto desto, e gettato un gran
sospiro, riconobbe un suono festoso di campane, e pensò che potesse essere, né
gli sovvenne di cosa che potesse essere allora cagione di festa. Si alzò, si
vestì rapidamente, e prima d'andare alla stanza di Lucia (che la risoluzione
gliene era rimasta) si fece alla finestra della sua stanza che dominava il
pendio, prima rapido, poi più lento e quasi piano fino al lago; e qua e là
villaggi sparsi, e case solitarie. Guardò intorno, e vide contadini e contadine
in abito da festa per tutti i viottoli avviarsi verso la strada che conduceva
al Milanese; altri uscire dalle porte, e parlarsi quelli che s'incontravano in aria
di premura e di festa. — Che diavolo hanno in corpo costoro? — diss'egli fra
sè, e tosto chiamato uno de' suoi fidati, domandò la cagione di quel movimento
e di quel concorso; e intese che s'era risaputo la sera antecedente che il
Cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano era giunto improvvisamente a
Lecco per visitare le parrocchie di quei contorni; che quella mattina doveva
trovarsi ad una chiesa (che nominò, ed era alla metà della via, distante circa
due miglia dal castello) e che tutti accorrevano a vedere quell'uomo il quale
dovunque si portasse attraeva sempre folla.
Il Conte congedò con un cenno del capo il fidato, e rimase ancora un
momento alla finestra a guardare, dicendo fra sè: — Come sono contenti costoro!
E perché? Perché è arrivato un uomo che si porrà un bell'abito, e darà loro
delle parole, e alzerà le mani tagliando l'aria in croce. Oh! come saltano:
sembrano cavriuoli: eh! avranno forse..., certo, dormito meglio di me! Tanto
contenta questa canaglia... ed io... Voglio andare anch'io; voglio veder
quest'uomo, che li fa esser tanto vogliosi, tanto contenti. Andrò, andrò.
Voglio parlargli; voglio un po' sentire se ha qualche cosa anche per me! vedere
quel volto, sentire queste sue parole che fanno sparire le afflizioni. Voglio
vedere se ha ancora quegli occhj che hanno fatto abbassare i miei...
cospetto... cinquant'anni sono. Era uno strano giovanetto! E ora che sarà? ne
dicono tante cose! Oh sarà peggio d'allora certamente! Ma che ho io paura di
brutti musi? Io andare da lui: a che fare? che dirgli? Certo mi mostrerà due
occhj più arrovellati di quel giorno... Non importa: voglio andare a sentire
che parole ha costui, per render la gente così allegra.
L'occhiata che aveva fatta tanta impressione e lasciato un così profondo
marchio di rimembranza nella mente del Conte era stata data nella occasione che
ricorderemo brevemente. Federigo Borromeo, giovanetto allora di 15 anni si
trovava nella chiesa di Giovanni in Conca nel giorno solenne di quel santo; e
aveva pregato e invitato poscia dai frati s'era posto a sedere nel presbitero e
quivi assisteva pensoso e riverente al rito che si celebrava. Quando una
brigata di giovanetti, di adolescenti delle principali famiglie della città,
entrata a turba nella Chiesa per curiosità, e visto in quel luogo il giovane
Federigo, che sempre con l'esempio, e talvolta con le parole gli faceva
vergognare del loro vivere superbo scioperato molle e violento, s'accordarono
di fargli fare una trista figura, di vendicarsi, e di divertirsi un momento a
sue spese. Rotta la folla s'avvicinarono all'altare, e appostatisi in faccia a
Federigo, si diedero a fare i più strani e beffardi atti del mondo, storcer le
bocche, torcere il collo come chi irride un ipocrita, cacciare un palmo di
lingua, sghignazzare. Il Conte che fu poi del Sagrato era tra essi, anzi
queglino erano con lui; perché egli non era mai stato secondo in nessun luogo,
e in nessun fatto. Federigo, contristato e mosso a pietà ed a sdegno nello
stesso tempo, ma non confuso, girò su quella turba un'occhiata che esprimeva
tutti questi affetti con una gravità tranquilla, ma più potente dell'impeto
indisciplinato di quei provocatori; quindi piegate le ginocchia dinanzi
all'altare, pregò per essi, i quali partirono col miserabile contegno di chi è
stato vinto in una impresa in cui il vincere stesso sarebbe vergognoso.
Torniamo al Conte vecchio: il quale stette in fra due, se doveva prima
andare alla stanza di Lucia. Dopo aver pensato qualche tempo: — no — diss'egli
fra sè —: non la vedrò: non voglio obbligarmi a nulla; voglio venirne all'acqua
chiara con questo Federigo. Potrei lasciarla andare, e pentirmi. Se comincio a
fuggire da uno spauracchio, a desistere da un'impresa, è finita, non son più un
uomo. Parlato che avrò con costui, mi convincerò che sono sciocchezze, e sarò
più forte di prima... o se... costui... mi facesse... cangiare... son sempre a
tempo. Andiamo, sarà quel che sarà.
Chiamò un'altra donna alla quale in presenza del Tanabuso impose che si
portasse sola alla stanza di Lucia, che vedesse che nulla le mancasse, e che
sopratutto ordinasse alla vecchia guardiana di trattarla con dolcezza e con
rispetto: e che nessun uomo ardisse avvicinarsi a quella stanza.
Dato quest'ordine, pensò se dovesse pigliar seco una scorta; e — oh! via,
— disse, — per dei preti e per dei contadini? Vergogna! Se vi sarà alcuno che
non mi conosca non avrà nulla da dirmi: per quelli che mi conoscono...!
Così il Conte solo, ma tutto armato uscì dal castello, scese l'erta e
giunse nella via pubblica, la quale brulicava di viandanti: la turba cresceva
ad ogni istante: a misura che la fama del Cardinale arrivato si diffondeva di
terra in terra, tutti accorrevano. Ma in quella via affollata il Conte
camminava solo: quegli che se lo vedevano arrivare al fianco, s'inchinavano
umilmente, e si scostavano come per rispetto, e allentavano il passo per
restargli addietro: taluno di quelli che lo precedevano, rivolgendosi a caso a
guardarsi dietro le spalle, lo scorgeva, lo annunziava sotto voce ai compagni,
e tutti studiavano il passo, per non trovarglisi in paro. Giunto al villaggio,
sulla piazzetta dov'era la Chiesa, e la casa del Parroco, trovò il Conte una
turba dei già arrivati, che aspettavano il momento in cui il Cardinale entrasse
nella Chiesa per celebrare gli uficj divini. E qui pure tutti quelli a cui si
avvicinava, svignavano pian piano. Il Conte affrontò uno di questi prudenti, in
modo che non gli potesse sfuggire e gli chiese bruscamente come annojato che
era di quel troppo rispetto, dove fosse il Cardinale Borromeo. «È lì nella casa
del curato», rispose riverentemente l'interrogato. Il Conte si avviò alla casa
fra la turba, che si divideva come le acque del Mar Rosso al passaggio degli
Ebrei, ed entrò sicuramente nella casa. Quivi un bisbiglio, una curiosità
timida, un'ansia, un non saper come accoglierlo. Egli, rivolto ad un prete gli
disse che voleva parlare col Cardinale, e chiedeva di essergli tosto
annunziato. Il prete che era del paese, fu contento d'avere una commissione del
Conte per allontanarsi da lui, e riferì l'imbasciata ad un altro prete del
seguito del Cardinale. Quegli si ritirò a consultare coi suoi compagni; e
finalmente di mala voglia entrò per dire a Federigo quale visita si presentava.