Quando il Cardinale, terminate le funzioni di quella mattina, si ritirò
dalla Chiesa nella casa del curato, tutto il popolo che era stivato nella
chiesa, o ammucchiato al di fuori, si sciolse poco a poco, e ognuno s'avviò a
casa. Quando il marito della buona donna entrò nella sua, la donna gli corse
incontro, gli presentò la ospite inaspettata, e gliene fece in succinto la
storia. Il marito fu molto lieto che la sua donna fosse stata prescelta a
quell'uficio, ed avesse una parte nella storia di quel giorno, e fu anche tocco
assai dalle sventure della nostra Lucia: di modo che quando la donna gli
propose di andare al paese di Lucia, ch'era discosto circa tre miglia, e di
annunziare ad Agnese ciò ch'era accaduto, e di condurla alla figlia, l'uomo
accolse la proposta con giubilo: le funzioni, la predica del Cardinale, la
solennità e la pompa straordinaria avevano messo un certo entusiasmo nell'animo
d'ognuno degli spettatori: e questo sentimento, messo in comune in quel
concorso di popolo, ritornava con maggior forza sull'animo di tutti: non è
quindi da farsi maraviglia, se Tommaso Dalceppo, all'udirsi proporre una
faccenda che era tanto in armonia con quel suo sentimento, non pensò né alla
fatica, né all'incomodo, ma gioì nella conformità di quello che sentiva e di
quello che doveva fare. Mangiò un boccone in piedi, tolse una mula che aveva in
istalla, e partì di volo.
La buona donna (perché la bontà vera e abituale ispira tutti i pensieri
della gentilezza, la quale non è altro che l'espressione o la finzione della
bontà) la buona donna pensò che Lucia dopo tante scosse avrebbe gustata
volentieri la solitudine e il riposo, e offerse di ritirarsi in un'altra
stanza. Lucia accettò l'invito al riposo con nuove parole di riconoscenza, e
rimase soletta.
Ma quantunque per gli orrendi disagj del giorno e della notte antecedente
il suo corpo avesse bisogno di quiete, pure Lucia non dormì, né cercò di
dormire, e il riposo non consistette in altro che nella facoltà di trattenersi
coi suoi pensieri senza quel battito continuo, senza sussulti, senza terrore,
non però con giocondità. V'ha dei mali e dei pericoli ai quali succede la gioja
in chi gli ha sofferti o veduti da presso: tali sono, le burrasche di mare, gli
stenti e i rischi della guerra, la rabbia di Scilla, e i sassi dei Ciclopi,
quelle cose di cui Enea disse benissimo: forsan et haec meminisse iuvabit,
e che il Caro tradusse un po' lunghettamente:
E verrà tempo
Un dì, che tante e così rie venture
Non che altro, vi saran dolce ricordo.
Il cuore si rallegra doppiamente nel paragone d'una quiete presente con
una angoscia passata, le immagini della quale sono grandi, semplici, forti, e
miste del ricordo di una certa fortezza. Ma v'ha un'altra specie di mali e di
pericoli, i quali dopo avere orribilmente tormentato con la presenza, restano
nojosi anche nella memoria: quei mali e quei pericoli nei quali vi si è
rivelato un grado ignorato di perversità umana, aumento di scienza molto
tristo: nei quali si è conosciuta in sè una suscettibilità di profondo ed amaro
patire, che diventa esperienza, che porta ad osservare, a distinguere in tutti
gli oggetti, in tutti i casi ciò che potrebbero avere di penoso, e si associa
così a tutte le idee: quei mali e quei pericoli, nei quali non v'è stato
nessuno splendido esercizio di attività morale, che destano una pietà senza
maraviglia, che non si possono sentire a rammemorare senza ribrezzo, e senza
vergogna, persino da chi vi si è trovato e n'è uscito innocente; e i mali di
Lucia erano di questa seconda specie.
Certo nella inaspettata salute di quel giorno v'era per Lucia una gioja,
e la riconoscenza all'ajuto del cielo che santificava quella gioja, la rendeva
ancora più viva: ma era stata una gioja ben turbolenta e confusa nei primi
momenti; ed ora col crescere della calma quella gioja era alterata
continuamente dalle rimembranze recenti e dai pensieri dell'avvenire. L'animo
che è liberato da una grande sventura, è come la terra daddove è sterpato un
grand'albero: per qualche tempo ella appare sgombra, e vuota: ma a poco a poco
comincia ad esser segnata qua e là di piccioli germogli, quindi a coprirsi di
erbacce, e mostra chiaramente che quello che si chiama riposo della terra è una
metafora, o un errore. Così i guai che erano stati sepolti e come soffocati
nell'animo quando una grande sciagura lo riempiva e per dir così, lo aduggiava,
cominciano a spuntare e a ricomparire poco da poi che la sventura è cessata.
Lucia ripensava con amarezza i mezzi che l'infame Rodrigo aveva saputi
mettere in opera a perseguitarla, e si angustiava di quello che avrebbe potuto
fare nell'avvenire. Come essere al riparo di un sì scellerato tiranno, vivendo
presso a lui? o dove andare? come trovare il sostentamento in quei tempi così
scarsi, e quando i risparmj degli anni addietro fossero tutti consumati? Ma
l'idea più penosa per Lucia, e quella che rendeva tutte le altre più penose
(giacché abbiamo promesso di non tacer nulla al lettore di quello che è venuto
a nostra notizia) il pensiero invano respinto, e che si mesceva a tutti gli
altri, era quello del voto fatto nella notte antecedente. Lucia non confessava
a se stessa d'esserne pentita, ma lo era; le sembrava orribile sconoscenza il
rammaricarsi dell'offerta posta sull'altare per ottenere un gran dono,
rammaricarsene quando il dono era ottenuto, le sembrava che questo sentimento
le avrebbe attirate nuove sventure, e queste meritate, e quindi riprovava il
sentimento, ma non poteva farlo scomparire. L'invincibile di tutte le
difficoltà, l'amaro di tutte le privazioni, l'inestricabile di tutti gl'impacci
le pareva che venisse dal non poter essere di Fermo; con lui tanti
inconvenienti sarebbero svaniti, e tutti gli altri sarebbero divenuti
tollerabili! ma il pensiero di Fermo era per lei una tentazione, quasi un
delitto, e doveva sempre rispingerlo. La poveretta non era istrutta abbastanza per
conoscere che quella promessa fatta in una agitazione febbrile, senza
meditazione, quasi senza piena coscienza non era un voto; e che ella già legata
con una promessa solenne a Fermo non aveva il diritto di sciogliere senza
consenso e senza colpa di lui, un legame già stretto da due volontà libere e
concordi; e ignorava anche i mezzi, che la religione la quale consacra i voti
dell'uomo, offre per liberarlo dai voti, quando il loro adempimento invece
d'essere una occasione di maggior bene, divenga un ostacolo. Lucia aspettava
con ansietà amorosa di rivedere la madre, ma tremava di doverla abbracciare con
questo segreto nel cuore, ripugnava di rivelarglielo; e sentiva che il silenzio
sarebbe stato impossibile.
Era la poveretta in questi pensieri, e sa il cielo fin quando vi avrebbe
durato, quando lo scalpito d'un quadrupede che si fermò nel cortiletto, un
salire precipitoso per la scaletta di legno, le annunziò Agnese: la porta si
aprì impetuosamente; Lucia fu nelle braccia di sua madre, e tutte le altre idee
svanirono. Noi non descriveremo le sensazioni delle due donne in quel
rivedersi. Questa è la frase della quale si servono tutti i narratori quando si
trovano ad un punto simile al nostro; e fanno bene. Il lettore conosce i casi e
il carattere di quelle due poverette, e deve immaginarsi ciò che hanno sentito
e detto. Dopo i primi sfoghi cominciarono le inchieste e i racconti, e il
soggetto di essi è pure già conosciuto. Una sola di queste rivelazioni vuol
essere ricordata particolarmente: Lucia non sapeva nulla della fuga di Fermo, e
questa notizia che la madre le diede, le cagionò le più varie e opposte
commozioni. L'assenza di Fermo era certo dolorosa per lei; ma quando seppe
ch'egli era in sicuro, provò quasi una torbida consolazione nel pensiero che la
tentazione era lontana, che l'esecuzione del suo voto diveniva più facile, che
se non altro non verrebbe così presto la necessità di parlarne. Lucia ed Agnese
erano in colloquio, quando il buon curato entrò nella casa, cercò di Tommaso
(perché egli non s'intratteneva col bel sesso che in casi di somma necessità),
e gli disse che il Cardinale domandava Lucia, e la buona donna che era stata a
prenderla. Questa andò ad avvertire le donne della chiamata: Lucia si alzò per
partire, la madre le tenne naturalmente dietro, e le tre donne uscirono dalla
casa, e attraversando una folla di curiosi, giunsero alla casa del curato, e
furono condotte alla presenza di Federigo.
Quando il buon vescovo doveva parlar con donne, cosa che lo impacciava
pure alquanto, aveva per massima di non riceverne mai una sola, quando non
fosse decrepita, e voleva che una matrona le fosse sempre di compagnia. Nel
caso presente invece d'una matrona ve n'aveva due, e tutto era più che in
regola. Pure secondo il suo costume egli fece tenere spalancata la porta, e si
pose in un luogo dove potesse esser veduto da chi era nell'altra stanza, e così
accolse le tre donne che erano impacciate almeno al pari di lui, ma per
tutt'altri motivi. Il riserbo abituale, e il contegno modesto di Federigo non
potè fare che non gli apparisse sul volto un non so che di affetto soave
nell'accogliere Lucia e nel farle animo: ringraziò pure cordialmente la buona
donna del pio uficio da lei prestato, e chiese chi fosse la terza: quando seppe
che era la madre di Lucia, si rallegrò pure con lei, e la salutò cortesemente.
Quindi pregate le due ultime di scostarsi alquanto si trattenne con Lucia sulle
sue vicende, interrogandola con quella delicatezza che richiedeva il pudore di
Lucia e il suo; poiché in quella canizie egli conservava la purità ombrosa di
una fanciulla. Ma le inchieste ch'egli faceva a Lucia non erano mosse da una
vana curiosità, e ne pure dal solo interessamento per quella infelice
innocente: erano venute all'orecchio di Federigo voci sorde, confuse sul conto della
Signora, che gli davano da pensare: e in questa occasione egli sospettava con
angoscia che la condotta della Signora con Lucia potrebbe rivelare qualche cosa
di quella donna che era per lui un tristo mistero. Lucia con tanto più di
schiettezza e di libertà, quanto essa non sospettava nemmeno di accusare,
credeva anzi di lodare, soddisfece alle domande di Federigo, nel quale il
sospetto crebbe.
Fin qui per Don Abbondio le cose andavano benone. Le circostanze
essenziali della storia stavano senza parlare del matrimonio ricusato, e Lucia
aborriva il discorso del matrimonio. Ma il Cardinale che disegnava di riparlare
altra volta con Lucia e non voleva in quel giorno così burrascoso per lei
tenerla più a lungo, chiamò a sè le due donne presenti e lontane; e disse a
ciascuna ciò che era più opportuno: ringraziò di nuovo la buona donna, consolò
Agnese, e l'animò ad ammirare la provvidenza che dopo d'averle dato tanti
timori per la figlia, l'aveva liberata con modi inaspettati, e l'aveva fatta
conoscere ad uno che aveva il dovere, e qualche mezzo per proteggerla. Quella
benedetta Agnese fra le risposte che diede con un imbarazzo che in lei era un
po' comico, perché voleva non averne, disse anche queste tremende parole: «Già,
la colpa in gran parte è del Signor curato». «Come? di che curato?» domandò il
Cardinale. «Oh bella! del nostro», rispose Agnese. Il Cardinale domandò una
spiegazione, e Agnese spiattellò tutta la storia del matrimonio, senza far
motto del clandestino. Federigo che non voleva fare alcuna dimostrazione prima
d'avere inteso il curato, per non manifestare un giudizio che forse avrebbe
dovuto ritrattare, tacque, ma si legò al dito anche questa. Si rivolse alla
buona donna, e le chiese se fino a tanto ch'egli avesse provveduta Lucia d'un
asilo, non le sarebbe stato grave di tenerla presso di sè. La buona donna fu
contentissima, il Cardinale la ringraziò; e pensò a darle qualche segno di
ricompensa; e veduto dal suo abito e dal contegno che un dono di moneta
l'avrebbe umiliata, prese da un picciolo scrigno un libretto di orazioni ben
ornato, e un rosario prezioso, e la pregò di ritenere queste memorie della sua
riconoscenza. La buona donna ripose con molta gioja il dono che si conserva
tuttavia dai suoi discendenti con molta pietà, e si fa vedere con molto amor
proprio. Le donne partirono: Federigo accudì a quello che gli rimaneva di
faccende per la visita; e sul far della sera partì da Chiuso accompagnato da
una gran folla, e s'incamminò alla volta di Maggianico, paese famoso per le sue
campane.
Ma quella dea che ha (mirabile a dirsi!) tanti occhi quante penne, e
tante lingue quanti occhi, e (ma questo pare più naturale) tante bocche quante
lingue, e finalmente tante orecchie quanti occhi lingue e bocche (debb'essere
una bella dea) questa ultima sorella di Ceo e di Encelado, partorita dalla
Terra in un momento di collera, veloce al passo e al volo, che cammina sul
suolo e nasconde il capo tra le nuvole, che vola di notte per l'ombra del cielo
e della terra, né mai vela gli occhi al sonno; e di giorno siede sui comignoli
dei tetti o su le torri, e spaventa le città, portando attorno il finto e il
vero indifferentemente, costei aveva già prima della notte diffusa nei paesi
circonvicini la storia delle avventure di quel giorno. Per fare intendere al
lettore questa particolarità, abbiamo usurpato formole che a dir vero
appartengono esclusivamente alla poesia, ma saremo scusati da coloro, i quali
sanno che ad imprimere vivamente una immagine nelle fantasie il mezzo più
efficace è l'allegoria, e singolarmente quella già nota e consecrata delle
antiche favole: poiché quando si vuol fare immaginar bene una cosa, bisogna
rappresentarne un'altra: così fatto è l'ingegno umano quando è coltivato con
diligenza. Siccome però a voler cavare dalle allegorie il senso vero ed ultimo,
quello che si vuol trasmettere, è necessario in ultimo pensare alle cose che le
allegorie fanno intendere, così non lasceremo di dire che tutti gli abitanti
del contorno, che erano convenuti quel giorno in Chiuso, tornando la sera alle
case loro, raccontarono ciò che avevano veduto, ripeterono ciò che avevano
inteso, commentarono le circostanze che per sè non avrebbero bastato a dare
idea d'un fatto compiuto, e inventarono gli episodj che erano indispensabili
per dare continuità alla storia. Ma il fondo delle loro relazioni era vero; e
questo fondo aveva abbondantemente di che eccitare una grande maraviglia e un
grande interesse. Il Conte del Sagrato era nome d'una terribile celebrità nei
contorni, e assai più lontano; e una conversione tanto inaspettata, e che
doveva portare tanti cangiamenti era un argomento all'universale di una pia
maraviglia, di esultazione, e di riconoscenza a Dio, e di nuova venerazione per
l'uomo di Dio che ne era stato lo stromento. E quello che rendeva ancor più
interessante quella conversione era l'averne veduto un effetto immediato, un
testimonio vivo, già tanto interessante per sè: una povera giovane restituita
volontariamente dal carcere privato alla libertà e alle braccia di sua madre.
Ma pei parrocchiani di Don Abbondio, l'interesse era ancor più grande che per
gli altri; per essi la povera giovane era Lucia, quella Lucia che avevano
veduta fra loro modesta, bella, irreprensibile, allegra, che avevano pianta
sommessamente smarrita, della quale si sussurravano mille notizie diverse, e
tutte lagrimevoli, e della quale ora i suoi vicini potevano dire: «l'abbiamo
veduta noi oggi con Agnese andare dal Cardinale che le voleva parlare in
persona».
Al mattino seguente la fama si posò anche sul comignolo del castellotto
di Don Rodrigo; ed è facile immaginarsi che la novella ch'ella portava fece
sull'animo suo tutt'altro effetto che sull'animo di quella povera moltitudine.
Quella Lucia ch'egli aspettava da un giorno all'altro d'avere segretamente
negli artigli, ora pubblicamente libera; sventate e divolgate ad un punto le
sue trame abbominevoli; e quel suo alleato nel quale egli fidava, che con la
sua cooperazione doveva dare l'autorità del terrore al fatto, e far morire il
biasimo anche nelle bocche dei più arditi, ora disertato, divenuto un oggetto
di fiducia per gli avversarj. Don Rodrigo si sforzava di ridere, e guardava in
faccia ai suoi bravi per attingere coraggio o indifferenza; ma s'accorgeva che
i bravi guardavano in faccia a lui con la stessa intenzione; e per non trovare
il coraggio, il mezzo più sicuro è d'essere in molti a cercarlo: anche quel
poco che ognuno si sentiva, se ne va: il Griso stesso era avvilito. Costoro
s'erano tutti radunati nel castello, come in un asilo, perché non pareva loro
di star bene in nessun altro luogo. Girando il mattino, s'erano avveduti che
tirava un'aria estrania, inusitata: avevano osservata su tutti i volti, una
esaltazione, una risolutezza che aveva abbattuta la loro che veniva in gran
parte dall'abitudine di mostrarla soli. Prima d'allora quando un contadino
s'avveniva in uno scherano, e vedeva in lui non solo la forza sua e le armi che
portava, ma tutta la potenza dei suoi compagni e del capo, passava a canto con
una umile riverenza; se fosse stato insultato lo avrebbe tollerato in pace,
perché era certo che gli altri che lo avessero veduto, sarebbero stati molto
contenti di esserne fuori, e non avrebbe avuto un ausiliario: ora l'occasione
di esternare un sentimento unanime aveva fatta sentire a tutti una fratellanza,
una comunione di idee e di causa; ognuno era certo che la cosa era intesa da
mille come da lui; e ognuno comunicando agli altri il suo nuovo coraggio, ne
riceveva da essi, per la ragione inversa di quello che era accaduto ai bravi e
a Don Rodrigo.
La liberazione di Lucia era l'argomento dei discorsi di tutti quelli che
s'incontravano; la gente si fermava in crocchj a parlarne; un bravo che
passasse in veduta dei crocchj, aveva tutti gli occhj addosso a sè: e la
espressione di tutti quegli sguardi era una, quella dell'orrore. Tutti
parlavano sicuramente della pietà che avevano provata, del timore che avevano
avuto per quella innocente, mettevano fuori i pensieri che avevano compressi, o
comunicati sotto voce, alla sfuggita, e trovando una conformità negli altri,
sentivano che a quei pensieri era unita una forza. La giustizia aveva
trionfato, il cielo s'era manifestato per l'innocente, e questa manifestazione
che pareva una promessa d'aiuto accresceva ancor più l'animo di tutti. Un
potente scellerato aveva pubblicamente abjurata col fatto la iniquità, e
l'aveva così vilipesa e indebolita nello stesso tempo. L'iniquità era
conosciuta, e perdendo un protettore terribile, aveva acquistato un nemico pur
terribile: un Cardinale, un santo, un nobile, uno che aveva mezzi di persuasione,
di forza, di autorità, di aderenze.
Quella poi che rinforzava l'effetto di tutte queste considerazioni, era
la notizia sparsa che il Cardinale veniva a visitare anche quella parrocchia,
che si fermerebbe qualche tempo nei contorni, che ci sarebbe folla d'uomini
condotti dallo stesso sentimento pio, avverso alla ingiustizia. E già si diceva
che il castellano di Lecco, quello Spagnuolo di cui il podestà aveva tanta
stima, si disponeva ad incontrare il Cardinale, in gran pompa, coi suoi
soldati: tutta la forza, tutto lo splendore era per la pietà e per la
giustizia. Ognuno pensava che gli scellerati avrebbero dovuto convertirsi come
il Conte, o perdersi d'animo, e fuggire.
Don Rodrigo, dopo una breve esitazione, prese quest'ultimo partito. La
violenza quando è assistita dalla fortuna, ama a mostrarsi, ella ha con sè come
un argomento della sua bontà, o della sua ragionevolezza, poiché ottiene il suo
intento; ma quando è abbandonata dalla fortuna, quando non valgono altri
argomenti che quelli del diritto, del senso universale della giustizia, che le
mancano, quando appare non solo come ingiustizia, ma come sbaglio, allora la
violenza vorrebbe nascondersi anche a se stessa. Don Rodrigo pensava che cosa
mai avrebbe potuto fare di conveniente, che stesse bene in quei giorni, e non
trovava nulla, nemmeno un soggetto di discorso con chi venisse a visitarlo. E
d'altra parte s'immaginava bene che nessuno sarebbe venuto. Quei signori che lo
avevano adulato fin allora, si sarebbero allora avveduti ch'egli era un
ribaldo, il podestà doveva in quei momenti far dimenticare le sue relazioni con
l'uomo che avrebbe dovuto reprimere e punire; al più il dottor Duplica, il
quale non voleva mai inimicarsi senza speranza un signore, sarebbe stato quei
giorni a poltrire in letto, per potergli dire un giorno che una malattia gli
aveva tolto il bene di ossequiare il Signor Don Rodrigo. Questi non vedeva così
distintamente tutte queste disposizioni, ma le sentiva confusamente come per
istinto. D'altra parte, come condursi col Cardinale? Tutti i signori del
contorno sarebbero andati a visitarlo, ed egli rimanersi solo a casa? Che
direbbe lo Zio del consiglio segreto? Andare dinanzi al Cardinale, egli? gran
Dio!
Ordinò dunque che tutto si apparecchiasse pel ritorno in città, e al più
presto. Quando la carrozza fu pronta, vi fece salire tre bravi: il Griso come
il più terribile fu posto alla vanguardia sulla serpe, tutto armato; al resto
della famiglia fu dato ordine di venire a Milano l'indomani, e si partì. Dopo i
primi passi Don Rodrigo vide coi suoi occhi, la via piena di viandanti che
andavano in folla a Maggianico, altri per vedere il Cardinale, per assistere
alla solennità: giovani, vecchi, benestanti, e poveri in quantità che sapevano
di non tornare con le mani vuote. Guardò alla sfuggita, e conobbe in un punto
su tanti volti quale era il sentimento universale per lui: fremette, si promise
di vendicarsi, ma s'accorse che la menoma dimostrazione in quel momento poteva
far nascere una guerra della quale l'evento finale non sarebbe stato dubbio:
dissimulò dunque, ritirò la testa nella carrozza, guardò i suoi bravi, e lesse
sui loro volti pallidi il desiderio di esser fuori di quella processione e
lontani dal paese. Sentì un romore dietro, stette in silenzio tendendo
l'orecchio, e comprese ch'erano urli e fischi. Allora mormorò fra i denti: —
vorrei che il Griso avesse giudizio, che non mi facesse scene —. Avrebbe voluto
dare al Griso questo consiglio della paura, ma la paura gli comandava di non
muoversi, di non farsi vedere; e stette in quella ansietà inoperosa fino a che
la carrozza, giunta al punto dove la strada si divideva, imboccò quella che
conduceva a Milano, e si separò dalla folla che traeva a Maggianico. Don
Rodrigo e i suoi scherani respirarono allora dallo spavento; ma i pensieri che
rimasero a Don Rodrigo non furono molto più sereni. Il cocchiere sferzò i
cavalli per allontanarsi al più presto, e tutti i viaggiatori, senza dir motto,
lo lodarono in cuore, e si rallegrarono, sentendo che la carrozza andava
celeremente, senza impedimenti in una strada solitaria. Buon viaggio!
Intanto il buon Federigo attendeva in Maggianico a spicciare le faccende
e a celebrare le funzioni solite della visita. Il Conte del Sagrato era venuto
quivi di buon mattino con la folla, e dopo il Cardinale era egli il personaggio
che traeva a sè tutti gli sguardi. I terrazzani e i concorsi si avvicinavano a
lui per curiosità e per interesse, e si ritraevano per una antica abitudine di
spavento; ma visto poi il curato che passando su la piazza, e accorto del Conte
gli si accostò, e si fermò a salutarlo cordialmente, più rassicurati si
ravvicinavano ancora, come una troppa di pulcini ombrosi non avvezzi ancora a
conoscere la massaja fuggono in confusione al suo comparire, poi vedendola
tranquilla senz'atto di minaccia, e vedendo la chiocchia alla quale si
riparavano, andarle vicino senza sospetto, le tengono dietro, e tornano, però
non senza esitazione, all'oggetto che gli aveva spaventati. Federigo aveva dato
ordine che appena giunto il Conte gli fosse annunziato, e lo accolse nei primi
momenti di riposo. Frattanto egli e Lucia erano il soggetto di tutti i
discorsi: i paesani di quella chiedevano avidamente notizie della ultima storia
della poveretta, e raccontavano in cambio le sue prime vicende. Questi discorsi
furono riferiti al Cardinale, che fu lieto assai della partenza di Don Rodrigo;
e si fermò sempre più nel disegno di far tornare Lucia alla sua casa per
avvisare poi ivi ai mezzi di porla per sempre in sicuro. Prima di partire da
Maggianico pregò egli il curato di portarsi a Chiuso, e di far sapere a Lucia
ch'egli pensava a lei, e che stesse di buon animo
...
Dopo due, tre o quattro giorni spesi dal Cardinale nella visita di
altrettante Chiese (questa indeterminazione è nel manoscritto); venne la volta
di Don Abbondio; il quale non dico che desiderasse questa visita; ma se
l'aspettava. Quando si seppe che sul vespro di quel giorno il Cardinale
arriverebbe al paese, coloro che erano rimasti a casa (giacché una gran parte
del popolo andava quotidianamente dov'egli si trovava) si suscitarono e
ragunati si mossero per andargli incontro. Don Abbondio era stato quei dì un
po' malato; giacché credo di avere accennato altrove, che la sua salute era
soggetta ad alterazioni improvvise quanto quella d'un diplomatico: ma in quel
giorno dovette risolversi di star bene; si pose alla testa di quella folla, e
andò sulla via per la quale Federigo doveva venire.
Non erano ancora molto distanti dal paese quando si cominciò a vedere
l'altra folla che veniva, e a distinguere la lettiga e il corteggio a cavallo;
l'incontro e l'accompagnamento si avvicinarono, i due romori si mischiarono, le
due turbe si trasfusero in una, e nel mezzo si trovò la lettiga ferma del
Cardinale, e Don Abbondio allo sportello a fare il suo complimento. Nelle
accoglienze e nelle risposte di Federigo cercò il nostro scaltrito Don Abbondio
di scrutinare se Lucia avesse chiaccherato qualche cosa del matrimonio: ma
invano: la sincerità ponderata di Federigo rendeva il suo volto impenetrabile
come avrebbe potuto fare la più imperturbata dissimulazione. Nella sua lunga e
affaccendata carriera aveva egli da gran tempo imparato con quella scienza
sperimentale che fa sapere e sentire, e conoscere le cose, delle quali si aveva
prima soltanto la formola, aveva dico imparato che le relazioni d'una parte
sola non mettono mai chi le ascolta in caso di dare un giudizio, che la parte
la quale parla la prima o maliziosamente o senza volerlo altera sempre gli
elementi necessarj di questo giudizio: di modo che, se uno da questa prima
relazione riceve una persuasione, e la dimostra, quando poi ascolta l'altra
parte è per lo più costretto a dire con un'aria un po' scimunita: «Ah! io non
sapeva; non m'immaginava; non mi avevano detto».
E aveva esperimentato che molte volte da due relazioni contraddittorie,
ed egualmente confuse o artificiose, aveva ricavato facilmente il mezzo di
venire a quella verità che non era stata nudamente espressa né dall'una né
dall'altra; più facilmente che non l'avesse potuto mai ricavare da una sola
relazione fatta con la buona fede e giudiziosamente. Si era quindi fatta una
legge di sospendere realmente il suo giudizio fin che non avesse inteso colui
di che altri si doleva; e di non contare intanto per nulla quello che gli era
stato riferito. Quindi non aveva ancora una opinione in mente su questo fatto,
e sincero com'era, non lasciava trasparire nessuna opinione: a segno che Don
Abbondio non vedendo negli atti e nel volto di lui nulla che indicasse
malcontento o sospetto, tenne per fermo che il Cardinale non sapesse nulla, e
ne fu molto consolato.
Il corteggio raddoppiato andò verso la Chiesa, e quivi il Cardinale
entrato come potè tra i plausi e gli urti, e pregato alquanto, cominciò le sue
funzioni da un breve discorso ch'era uso di fare al popolo sulla visita ch'egli
stava per intraprendere, e quindi si ritirò nella casa del Curato.
Per quanto quei buoni terrazzani avessero voglia di accogliere il loro
vescovo con dimostrazioni straordinarie di venerazione e di affetto premuroso,
non lo poterono fare, perché i plausi e gli urti fino all'ultimo grado erano
diventati l'accoglimento ordinario per lui, e quel primo entrare nelle Chiese,
ch'egli andava a visitare, non era la minima delle sue pastorali fatiche, né il
più leggiero pericolo. Da per tutto era mestieri prima di tutto ch'egli avesse
molta sofferenza, e quindi che quelli del suo corteggio gli servissero da
guardie, diradando la turba come potevano, allontanando quelli che volevano
baciare o tirare la sua veste, facendo in modo in somma che a forza d'amore e
d'ossequio il buon uomo non fosse sconquassato. Questa amorevole persecuzione,
ormai antica, aveva cominciato per lui dai primi giorni del suo episcopato:
poiché, quando egli fece il suo ingresso nel Duomo di Milano (che, a dirla
senza vanità, è un ampio edificio) egli fu talmente compresso che molti nobili
che lo circondavano trassero le spade per allontanare la folla; tanto v'era
allora d'incomposto anche nella riverenza e nella protezione; e malgrado questa
minaccia, forse invece d'un vescovo santo, sarebbe rimasta in duomo una
reliquia, se due preti tarchiati e giovani non avessero tolto da quella stretta
il Cardinale, e sollevatolo sulle loro braccia non l'avessero portato in salvo
fino all'altare. Come dovessero poi stare le ossa di quei due galantuomini
ognuno se lo può immaginare.
Ma se le accoglienze dei paesani di Lucia al Cardinale non poterono
essere più clamorose né più calde che le altre, avevano però una espressione di
una riconoscenza speciale, che Federigo potè distinguere: anzi egli intese più
d'una volta nelle benedizioni che gli erano date, unito al suo nome suonare
quello di Lucia. Il buon vecchio tripudiò in cuore, e per quella gioja che dà
sempre agli onesti il vedere l'espressione pubblica d'un sentimento onesto ed
umano, e perché con un tal favore del popolo gli parve che Lucia potesse con
sicurezza tornare almeno per allora a casa sua. Ritiratosi pertanto come abbiam
detto nella casa di Don Abbondio, il Cardinale s'informò da lui e da qualche
altro prete su lo stato delle cose per rapporto a Lucia, e potè esser certo che
ogni pericolo era cessato per lei, giacché il suon gran nimico, e gli scherani
di questo se n'erano iti con la coda tra le gambe, e quand'anche fossero stati
sfrontati a segno di rimanere, i difensori di Lucia sarebbero stati dieci volte
in numero più del bisogno. Quando ebbe questa certezza Federigo ordinò che
l'indomani di buon mattino la sua lettiga andasse a prendere Lucia e la madre,
e impose all'ajutante di camera che si portassero provvigioni di vitto alla casetta
delle donne perché le poverette e Lucia principalmente non provasse quei
mancamenti e quei disagi che le avrebbero renduti increscevoli i primi momenti
del ritorno, e prolungato in certo modo il sentimento amaro dell'assenza.
All'indomani alzatosi al solito di buon mattino, attese il Cardinale alle
consuete operazioni, s'intrattenne alquanto col Conte del Sagrato, il quale non
aveva mancato di venire a quella stazione della visita, come negli altri
giorni; poscia andò nella Chiesa come era uso. Le funzioni non erano ancora
terminate che Lucia giunse con Agnese alla soglia della casetta paterna. Agnese
aveva parlato per tutta la strada; la sua gioja pel ritorno trionfale, la gioja
di ricondurre salva a casa la figlia da tanti pericoli, quella d'esser divenuta
conoscenza di Monsignore illustrissimo, l'aspettazione dell'accoglimento che le
farebbero i parenti, i conoscenti, tutti i paesani, erano sentimenti espansivi
e distinti, che si prestavano assai bene alla sua loquacità naturale. Ma i
sentimenti di Lucia erano misti, intralciati, ripugnanti: erano di quelli sui
quali la mente s'appoggia con una insistenza dolorosa, per distinguerli e per
dominarli: di quei sentimenti che non cercano di esser comunicati, né trovano
ancora la parola che li rappresenti. Rivedeva ella la sua casa, quella dove
aveva passati tanti anni tranquilli, che aveva tanto desiderato e sì poco
sperato di rivedere; ma quella casa che non era stata per lei un asilo, quella
casa dove aveva data una promessa che non credeva di poter attenere, dove aveva
tante volte fantasticato un avvenire, divenuto ora impossibile. Era
terribilmente in forse di Fermo: Agnese non le aveva potuto dire se non quello
ch'ella stessa sapeva confusamente; che Fermo cioè, dopo il tumulto di Milano
del giorno di San Martino, aveva dovuto fuggire dalla città, e uscire dallo
Stato per porsi in salvo. E quand'anche Fermo fosse tornato tranquillamente, le
ansietà di Lucia si sarebbero cangiate, ma non avrebbero cessato, perché ella
non poteva più esser sua. Tremava ancora nel pensiero che Fermo potesse essere
informato del suo ratto, della sua prigionia, e non sapere esattamente com'ella
aveva fuggito ogni pericolo: la poveretta mentre aveva rinunziato a Fermo,
avrebbe voluto ch'egli sapesse ch'ella era in tutto degna di lui. Avrebbe
voluto che Fermo fosse informato del voto ch'ella aveva fatto senza ch'ella
glielo dicesse, che egli l'approvasse con dolore, che non pensasse mai ad
altra, né più a lei, o per meglio dire (giacché questa non era l'idea precisa
di Lucia) avrebbe voluto che Fermo facesse tutti i giorni una risoluzione di
non più pensare a lei. L'assenza del Padre Cristoforo accresceva ed esacerbava
tutti questi cordoglj: le mancava l'aiuto, e il consiglio; quegli a cui ella
confidava anche i mezzi pensieri, quegli le cui parole la rendevano sempre più
tranquilla, e più conscia di se stessa. Quanto a Don Rodrigo, egli era messo
almeno per qualche tempo fuori del caso di far paura; e la rimembranza di
quest'uomo, trista certo e schifosa per Lucia, non accresceva però le sue
inquetudini. Pensava però che Don Rodrigo sarebbe tornato, e rimasto, e che il
Cardinale non avrebbe potuto sempre aver l'occhio sopra di lei per difenderla;
e da questo pensiero deduceva la necessità di trovare qualche dimora più
sicura, e sperava che il Cardinale stesso ne avrebbe tolto l'incarico.
Così dopo d'avere abbracciata la Zia che l'accolse piangendo, Lucia la
lasciò con Agnese che se ne impadronì per raccontarle tante tante cose, e si
ritirò nella sua stanza. Ivi dopo d'aver ringraziato Dio dell'averla ricondotta
quivi oltre e contra la speranza, si mise a rivisitare tutte le sue masserizie,
come per provare se potesse ricominciare la sua vita passata; ma non v'era
oggetto nella casa, non v'era angolo al quale non fossero associate idee
divenute dolorose e ripugnanti. Lucia prese come macchinalmente il suo
arcolajo, e sedette a dipanare la matassa di seta che aveva lasciata a mezzo
quando Fermo venne a pigliarla per la spedizione del matrimonio clandestino.
Dopo pochi momenti, ecco giungere Perpetua affannata a dire che
Monsignore tornato di Chiesa aveva chiesto se Lucia era arrivata, e che udendo
di sì aveva ordinato che fosse tosto chiamata. «Il signor Curato poi», aggiunse
Perpetua sottovoce, «mi ha imposto di dirvi o Lucia che vi ricordiate del
parere che vi ha dato a Chiuso: ehn? sapete? di non dir nulla di quel tale
affare; Agnese m'intendete? del matrimonio? guardatevi dal parlarne, perché,
perché, i Cardinali passano, e i curati restano». Le due donne si guatarono in
viso come per dire l'una all'altra: — ora mò? non siamo più in tempo —. Ma
Agnese fatta una faccia tosta disse a Lucia: «certo non bisogna dir nulla»; e
mettendo la bocca all'orecchio di Lucia, continuò: «del matrimonio clandestino.
Guaj, vedi, è un guajo grosso». Lucia con queste due ingiunzioni l'una delle
quali era ineseguibile, e l'altra poteva dipendere dalle domande che il
Cardinale le avrebbe fatte, s'incamminò, tutta pensierosa e agitata, con le due
donne alla casa del curato. Per la via incontrarono la folla che uscita, dalla
Chiesa si diffondeva nel contorno; e Lucia fu accolta con acclamazioni, e
fermata ad ogni passo con saluti, fra quali vergognosa con gli occhi bassi e
gonfj, entrò nella casa parrocchiale, e fu tosto condotta nella stanza dov'era
Federigo, il quale la ricevè con le solite precauzioni.
Dopo alcune inchieste cortesi sul suo viaggio, sul piacere ch'ella aveva
provato nel rivedere la sua casa, Federigo la interrogò di nuovo sull'affare
del matrimonio: Lucia dovette rispondere, e raccontò tutta la faccenda fino al
clandestino, dove si fermò come un cavallo che ha veduto un'ombra, e ristà con
una sosta improvvisa e singolare che non è quella solita d'allora che è giunto
al termine del suo viaggio. Federigo, che s'avvide di qualche cosa, domandò a Lucia
che risoluzione avesse presa ella, sua madre, lo sposo quando si videro chiusa
la via a quella unione che desideravano e che chiedevano legittimamente.
Agnese, udendo questo cominciò a far certi visacci a Lucia cercando di non
lasciarli scorgere al Cardinale (cosa non molto facile), e questi visacci
volevano dire: — rispondi: «niente, abbiamo aspettato con pazienza». — Lucia
stava interdetta: Federigo che vedeva tutto (l'avrebbe veduto un cieco nato),
disse ad Agnese con un contegno tranquillo e serio: «Perché non lasciate essere
sincera la vostra figlia?» e volto a Lucia: «parlate liberamente», continuò:
«Dio vi ha assistita: dategli gloria col dire la verità». Lucia allora
spiattellò tutta la storia del clandestino; e la narrazione divenne allora liscia,
verisimile, e ben congegnata.
«Avete confessata una colpa», disse tranquillamente Federigo: «Dio ve la
perdoni, e... a chi v'ha dato una tentazione così forte di commetterla. Ma
d'ora in poi, buona figliuola, e voi buona donna, non fate più di quelle cose,
che non raccontereste volentieri».
Quindi passò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora il matrimonio
poteva e doveva esser tosto conchiuso.
Questo era un punto ancor più rematico. «Le dirò io...» cominciava
Agnese, ma il Cardinale le diede un'occhiata la quale significava ch'egli
sperava la verità più da Lucia che da lei, onde Agnese ammutì; e Lucia
singhiozzando rispose: «Fermo, povero giovane non è qui: s'è trovato in quei
garbugli di Milano, e ha dovuto fuggire; ma son certa ch'egli non ha fatto
male, perché era un giovane di timor di Dio».
«Ma che ha fatto in quel giorno?» chiese ancora il Cardinale: «quale è la
sua colpa?»
«Non ne sappiamo di più», rispose Lucia.
Il Cardinale giacché altri non v'era a cui domandare, si volse ad Agnese
la quale rianimata disse: «Se volessi, potrei inventare una storia per
contentare Vossignoria illustrissima, ma sono incapace d'ingannare una gran
persona come Ella è; e non sappiamo proprio niente di più».
«Dio buono!» disse il Cardinale: «insidie, colpe, sciagure, incertezze,
ecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi», disse a Lucia, «che pensate
adunque di fare intanto?»
«Io», rispose Lucia, «io vedo che il Signore ha deciso altrimenti di me,
che non mi vuole in quello stato; e ho messo il mio cuore in pace. E se
trovassi dove vivere tranquillamente, fuor d'ogni pericolo..., se potessi esser
ricevuta conversa in un monastero...: consecrarmi a Dio...»
«Oh che furia!» sclamò Agnese.
«Voi vi siete promessa, buona giovane», disse Federigo: «vi siete allora
risoluta a promettere senza riflessione, leggiermente?»
«Questo no», disse Lucia arrossando.
«Bene», disse Federigo: «potrebbe ora dunque esser leggiero il
ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che mutamento
è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie di sventure ad
ambedue, e non è questa una ragione per separarvi. Questo non è il momento di
pigliare una risoluzione. Sospendete, fate ricerche, aspettate che Iddio vi
riveli più chiaramente la sua volontà. L'asilo intanto ve lo troverò io».
Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna
insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito da quei
contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei, e dopo qualche altra
parola di consolazione e di avviso, la lasciò partire con Agnese.
Fece poscia venire a sè il curato, il quale, inchinandosi al Cardinale
gli guardò in faccia per vedere se v'era scritto il matrimonio, ma non potè
rilevar nulla. La sua incertezza però fu breve, giacché le prime parole di
Federigo furono queste: «Signor curato, perché non avete voi unita in
matrimonio quella giovane Lucia col suo promesso sposo?»
— Donne ciarlone! — voleva sclamare Don Abbondio, ma s'avvide tosto che
questa non era una risposta che stesse bene, né una risposta; e disse
titubando: «Monsignore illustrissimo, mi scusi... ma non posso parlare».
«Come?» disse il Cardinale con volto serio e dignitoso: «non sentite che
voi siete ora qui per render conto al vostro superiore? e che avendo tralasciato,
negato di fare ciò che nella via ordinaria, era il vostro dovere, avete a dirne
una buona ragione, o a confessarvi colpevole?»
Queste parole fecero tosto rientrare in sè Don Abbondio. Egli aveva
peritanza dell'arcivescovo, e paura di Don Rodrigo, e come questo sentimento
era incomparabilmente più forte nell'animo suo, così aveva quasi fatto svanire
il primo. Pensava Don Abbondio che Federigo rimproverava, ma che Don Rodrigo
dava, e al paragone i rimproveri gli parevano poca cosa, e l'autorità stessa
non gl'imponeva troppo quando pensava al rischio della persona. Ma quando vide
l'autorità spiegarsi, e volere essere riconosciuta si trovò come annichilato:
la riverenza presente divenne in quel momento più forte del terrore lontano.
Replicò adunque umilmente: «Monsignore, io sono il più sommesso degli
inferiori di Vossignoria illustrissima... ma ho detto così... Vede bene,
Monsignore, ognuno ha cara la sua pelle. Non tutti i signori sono santi, come
Vossignoria. Basta, dirò tutto: ma so che parlo ad un prelato prudente, che non
vorrebbe perdere un povero curato».
«Dite sicuramente», replicò il Cardinale, «io desidero di trovarvi senza
colpa».
«Deve dunque sapere Monsignore illustrissimo», ripigliò Don Abbondio «che
la vigilia appunto del giorno stabilito per quel benedetto matrimonio (parlo a
Vossignoria, come in confessione) io me ne tornava a casa tranquillamente,
senza una cattiva intenzione al mondo, sallo Dio, quando... quando mi si
presentarono in su la via, (al mio Superiore e ad un Signore tanto discreto,
dico tutto) mi si presentarono faccia a faccia, come sono solo io ora dinanzi a
Vossignoria illustrissima, due uomini, per parlare onestamente, con certi
visi... parevano coloro che posero San Vincenzo su la graticola; con archibugi,
pistole, spadoni, spuntoni..., parati a festa insomma... Vossignoria non ha mai
veduto nulla di somigliante, e mi si affacciarono, dico, mi fermarono, e mi
intimarono in nome d'un certo Signore (i nomi non servono a nulla) che io mi
guardassi bene, per quanto aveva cara la vita (mi pare che fosse un parlar
chiaro) dal fare quel tal matrimonio. Ecco la storia genuina. Io adunque ho
stimato che l'ostinarmi contra la forza sarebbe stato un dare occasione a
costoro di commettere un sacrilegio, e che, io mi sarei renduto reo d'un vero
suicidio».
«Non avete avuto altro motivo?» domandò pacatamente Federigo.
«Non basta, Monsignore?» replicò Don Abbondio. «O forse mi sono male
spiegato: dico che se avessi fatto il matrimonio, costoro mi avrebbero data una
schioppettata nella schiena. Eh! Monsignore!»
«E vi par questa una ragione bastante per ommettere un dovere preciso?»
«No?» disse precipitosamente Don Abbondio con una sorpresa tanto viva che
quasi sarebbe paruta stizza. «La pelle! la pelle! non è una ragione bastante?»
Il Cardinale, alzando gli occhi in faccia a Don Abbondio disse con una
indegnazione composta: «Ma quando vi siete presentato alla Chiesa, alla Chiesa
dei martiri per ricevere questa missione che esercitate, quando avete assunti
volontariamente questi doveri del ministero, la Chiesa vi ha ella fatto conto
della pelle? Vi ha ella detto che quei doveri erano senza pericoli? Vi ha detto
che dove il pericolo cominciasse ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha
espressamente dichiarato che vi mandava come un agnello fra i lupi? Vi ha
promessa la sicurezza temporale per ricompensa? o la vita eterna? Non sapevate
voi che v'erano dei violenti nel mondo? La pelle! Offeritela per le mani dei
violenti in sagrificio alla fede e alla carità, e la Chiesa la raccoglierà come
un nobile tesoro, la conserverà di generazione in generazione, di sacerdozio in
sacerdozio, come un oggetto di culto, come un testimonio della forza che le è
stata data dall'alto, come un tempio dove lo Spirito avrà operate le sue
maraviglie. Ma per conservarla qualche tempo di più, per salvarla a spese della
carità e del dovere! non faceva certo mestieri della unzione santa, della
imposizione delle mani, della grazia del sacerdozio. Come! al soldato che
riceve pochi soldi di paga, che combatte per una causa che non conosce non è
lecito dire: ho voluto salvare la vita! non è lecito, è turpe; supporre ch'egli
lo possa pensare, è una ingiuria e non una scusa! e sarà scusa per noi! Dio
buono, per noi che predichiamo le parole della vita, che rimproveriamo ai
fedeli il loro attacco alle cose terrene, che facciam loro vergogna, che gli
chiamiamo ciechi perché non sentono il valore della promessa, o perché operano
come se non lo avessero compreso! Che più? per questa stessa vita del tempo, la
Chiesa non ha ella pensato a voi? non vi nutrisce ella della sostanza dei
poveri? non vi munisce di riverenza e d'ossequio? non vi copre ella d'un abito,
che prima pure che si sieno vedute le vostre opere vi attrae la venerazione,
perché vi segna come un uomo trascelto, come uno di quegli che non hanno altra
professione che di fare il bene? E perché vi distingue ella così, se non a fine
che possiate farlo? QUEGLI da cui abbiamo la missione e l'esempio, il precetto
e la forza di eseguirlo, quando venne su la terra ad illuminare i ciechi, a
congregare i dispersi, ad evangelizzare i poveri, a curar quelli che hanno il
cuore spezzato, a ben fare, a salvare, pose Egli per condizione di aver salva
la vita?»
Don Abbondio teneva bassi gli occhi, il capo, le mani; il suo spirito si
dibatteva tra quelli argomenti, come un pulcino negli artigli del falco che lo
tengono elevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai
respirato. Vedendo poi che il Cardinale taceva come chi aspetti una risposta,
dopo aver molto cercato, articolò finalmente queste parole: «Non so che dire:
avrò fallato: è giusto che i superiori abbiano ragione. Quando la vita non si
ha da contare per nulla, non so che dire. Vossignoria illustrissima parla
bene... Bisognerebbe però», aggiunse con voce meno spiegata «essersi trovato al
busillis».