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Alessandro Manzoni
Adelchi

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  • NOTIZIE STORICHE.
    • Fatti compresi nell'azione della tragedia.
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Fatti compresi nell'azione della tragedia.

 

 
772-774

 

Mentre Carlo combatteva contro i Sassoni, ai quali prese Eresburgo (secondo alcunixvi, Stadtberg nella Vestfalia), Desiderio, per vendicarsi di lui, e inimicarlo a un tempo col papa, pensò d'indur questo a incoronar re de' Franchi i due figli di Gerberga; e gli propose, con grande istanza, un abboccamento. Per un re barbaro e di tempi barbari, il ritrovato non era senza merito. Ma Adriano si mostrò, come doveva, allienissimo dal secondare un tal disegno; del resto, disse d'esser pronto ad abboccarsi col re, dove a quei fosse piaciuto, quando però fossero state restituite alla Chiesa le terre occupatexvii. Desiderio ne invase dell'altre, e le mise a ferro e fuocoxviii. In tali angustie, e dopo avere invano spedito un'ambasciata, a supplicarlo e ad ammonirlo, Adriano mandò un legato a chieder soccorso a Carloxix. Poco dopo, arrivarono a Roma tre inviati di questo, Albino suo confidentexx, Giorgio vescovo, e Wulfardo abate, per accertarsi se le città della Chiesa erano state sgomberate, come Desiderio voleva far credere in Francia. Il papa, quando partirono, mandò in loro compagnia una nuova ambasciata, per fare un ultimo tentativo con Desiderio; il quale, non potendo più ingannar nessuno, disse che non voleva render nullaxxi. Con questa risposta i Franchi se ne tornarono a Carlo, il quale svernava in Thionville; dove gli si presentò pure Pietro, il legato d'Adrianoxxii.

Circa quel tempo, dovette il re de' Franchi ricevere una men nobile ambasciata, inviatagli segretamente da alcuni tra' principali longobardi, per invitarlo a scendere in Italia, e ad impadronirsi del regno, promettendogli di dargli in mano Desiderio o le sue ricchezzexxiii.

Carlo radunò il campo di maggio, o, come lo chiamano alcuni annalisti, il sinodo, in Ginevra; e la guerra vi fu decisaxxiv. S'avviò quindi con l'esercito alle Chiuse d'Italia. Erano queste una linea di mura, di bastite e di torri, verso lo sbocco di Val di Susa, al luogo che serba ancora il nome di Chiusa. Desiderio le aveva ristaurate e accresciutexxv; e accorse col suo esercito a difenderle. I Franchi di Carlo vi trovarono molto maggior resistenza, che quelli di Pipinoxxvi. Il monaco della Novalesa, citato or ora, racconta che Adelchi, robusto, come valoroso, e avvezzo a portare in battaglia una mazza di ferro, gli appostava dalle Chiuse, e piombando loro addosso all'improvviso, co' suoi, percoteva a destra e a sinistra, e ne faceva gran macelloxxvii. Carlo, disperando di superare le Chiuse, né sospettando che ci fosse altra strada per isboccare in Italia, aveva già stabilito di ritornarsenexxviii, quando arrivò al campo de' Franchi un diacono, chiamato Martino, spedito da Leone, arcivescovo di Ravenna; e insegnò a Carlo il passo per scendere in Italia. Questo Martino fu poi uno de' successori di Leone su quella sedexxix.

Mandò Carlo per luoghi scoscesi una parte scelta dell'esercito, la quale riuscì alle spalle de' Longobardi, e gli assalì; questi, sorpresi dalla parte dove non avevano pensato a guardarsi, e essendo tra loro de' traditori, si dispersero. Carlo entrò allora col resto de' suoi nelle Chiuse abbandonatexxx. Desiderio, con parte di quelli che gli eran rimasti fedeli, corse a chiudersi in Pavia; Adelchi in Verona, dove condusse Gerberga co' figliuolixxxi. Molti degli altri Longobardi sbandati ritornarono alle loro città: di queste alcune s'arresero a Carlo, altre si chiusero e si misero in difesa. Tra quest'ultime fu Brescia, di cui era duca il nipote di Desiderio, Poto, che, con inflessione leggiera, e conforme alle variazioni usate nello scrivere i nomi germanici, è in questa tragedia nominato Baudo. Questo, con Answaldo suo fratello, vescovo della stessa città, si mise alla testa di molti nobili, e resistette a Ismondo conte, mandato da Carlo a soggiogare quella città. Più tardi, il popolo, atterrito dalle crudeltà che Ismondo esercitava contro i resistenti che gli venivano nelle mani, costrinse i due fratelli ad arrendersixxxii.

Carlo mise l'assedio a Pavia, fece venire al campo la nuova sua moglie, Ildegarde; e vedendo che quella città non si sarebbe arresa così presto, andò, con vescovi, conti e soldati, a Roma, per visitare i limini apostolici e Adriano, dal quale fu accolto come un figlio liberatorexxxiii. L'assedio di Pavia durò parte dell'anno 773 e del seguente: non credo che si possa fissar più precisamente il tempo, senza incontrar contradizioni tra i cronisti, e questioni inutili al caso nostro, e forse insolubili. Ritornato Carlo al campo sotto Pavia, i Longobardi, stanchi dall'assedio, gli apriron le portexxxiv. Desiderio, consegnato da' suoi Fedeli al nemicoxxxv fu condotto prigioniero in Francia, e confinato nel monastero di Corbie, dove visse santamente il resto de' suoi giornixxxvi. I Longobardi accorsero da tutte le parti a sottomettersixxxvii, e a riconoscer Carlo per loro re. Non si sa bene quando si presentasse sotto Verona: al suo avvicinarsi, Gerberga gli andò incontro coi figli, e si mise nelle sue mani. Adelchi abbandonò Verona, che s'arrese; e di si rifugiò a Costantinopoli, dove, accolto onorevolmente, si fermò: dopo vari anni, ottenne il comando d'alcune truppe greche, sbarcò con esse in Italiaxxxviii, diede battaglia ai Franchi, e rimase uccisoxxxix.

Nella tragedia, la fine di Adelchi si è trasportata al tempo che uscì da Verona. Questo anacronismo, e l'altro d'aver supposta Ansa già morta prima del momento in cui comincia l'azione (mentre in realtà quella regina fu condotta col marito prigioniera in Francia, dove morì), sono le due sole alterazioni essenziali fatte agli avvenimenti materiali e certi della storia. Per ciò che riguarda la parte morale, s'è cercato d'accomodare i discorsi de' personaggi all'azioni loro conosciute, e alle circostanze in cui si sono trovati. Il carattere però d'un personaggio, quale è presentato in questa tragedia, manca affatto di fondamenti storici: i disegni d'Adelchi, i suoi giudizi sugli avvenimenti, le sue inclinazioni, tutto il carattere in somma è inventato di pianta, e intruso tra i caratteri storici, con un'infelicità, che dal più difficile e dal più malevolo lettore non sarà, certo, così vivamente sentita come lo è dall'autore.

 

 

 




xvi HEGEVISCH, Hist. De Charlem., trad. de l' Allem., p. 116.



xvii ANAST., p. 181.



xviii Ibid., p. 182.



xix Ibid., p. 183.



xx Albinus, deliciosus ipsius regis. ANAST., p. 184. V. MUR., Ant. It., diss. 4.



xxi Asserens se minime quidquam redditurum. ANAST., Ibid.



xxii Annal. Tiliani, Loiseliani, Cronac. Moissiacense, ed altri, nel t. V Rer. Franc. In generale, gli annalisti di que' secoli che noi chiamiamo barbari, sanno, nelle cose di poca importanza, copiarsi l'uno coll'altro, al pari di qualunque letterato moderno: s'accordano poi a maraviglia nel passar sotto silenzio ciò che più si vorrebbe sapere.



xxiii Sed dum iniqua cupiditate Langobardi inter se consurgerent, quidam ex proceribus Langobardis talem legationem mittunt Carolo, Francorum regi, quatenus veniret cum valido exercitu, et regnum Italiae sub sua ditione obtineret, asserentes quia istum Desiderium tyrannum sub potestate ejus traderent vinctum, et opes multas, etc... Quod ille praedictus rex Carolus cognoscens, cum... ingenti multitudine Italiam properavit. ANONIM. SALERNIT., Chron., c. 9; Rer. It., t. II, part.II p. 180.- Scrisse nel secolo X.



xxiv Vedi gli annalisti citati sopra, e EGINH., Annal., ad an. 773.



xxv ANAST., p. 184. - Chron. Novaliciense, I. 3, c. 9; R. It., t. II, parte II, p. 717. - Il monaco, anonimo autore di questa cronaca, visse, secondo le congetture del Muratori, verso la metà del secolo XI.



xxvi Firmis qui (Desiderius) fabricis praecludens limina regni, arcebat Francos aditu. Ex FRODOARDO, de Pontif. Rom.: R. Fr., t. V, p. 463. - Frodoardo, canonico di Rheims, visse nel X secolo.



xxvii Erat enim Desiderio filius nomine Algisus, a juventute sua fortis viribus. Hic baculum ferreum equitando solitus erat ferre tempore hostili... Cum autem his juvenis dies et noctes observaret, et Francos quiescere cerneret, subito super ipsos irruens, percutiebat cum suis a dextris et a sinistris, et maxima caede eos prosternebat. Chron. Nov., p. 3, c. 10.



xxviii Claustrisque repulsi, In sua praecipitem meditantur regna regressum. Una moram reditus tantum nox forte ferebat. FRODOARD., ib. Dum vellent Franci alio die ad propria reverti. ANASTAS., pag. 184.



xxix Hic (Leo) primus Francis Italiae iter ostendit, per Martinum diaconum suum, qui post eum quartus Ecclesiae regimen tenuit, et ab eo Karolus rex invitatus Italiam venit. AGNEL., Raven. Pontif.; Rer. Ital., t. II, p. 177. - Scrisse Agnello nella prima metà del secolo IX, e conobbe Martino, di cui descrive l'alta statura e le forme atletiche. Ibid., p. 182.



xxx Misit autem (Karolus) per difficilem ascensum montis legionem ex probatissimis pugnatoribus, qui, transcenso monte, Langobardos cum Desiderio rege eorum... in fuga converterunt. Karolus vero rex, cum exercitu suo, per apertas Clusas intravit. Chron. Moissac.; Rer. Fr., t. V, p. 69. - Questa cronaca di incerto autore termina all' anno 818.



xxxi ANAST., 184.



xxxii RIDOLFI Notarii Histor., apud BIEMMI. Istoria di Brescia, t. II. Del secolo XI.



xxxiii ANAST., 185 e seg.



xxxiv Langobardi obsidione pertaesi civitate cum Desiderio rege egrediuntur ad regem. Annal. Lambech.; R. Fr., V, 64.



xxxv Desiderius a suis quippe, ut diximus, Fidelibus callide est ei traditus. Anon. Salern., 179.



xxxvi Rer. Fr., t. V, p. 385.



xxxvii Ibique venientes undique Langobardi de singulis civitatibus Italiae, subdiderunt se dominio et regimini gloriosi regis Karoli. Chron. Moissiac.; Rer. Fr., V, 70.



xxxviii HADRIANI, Epist. Ad Karolum, Cod. Carol. 90 e 88.



xxxix Ex SIGIBERTI Chron.; Rer. Fr., V, 377.






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