Mentre Carlo combatteva contro i Sassoni,
ai quali prese Eresburgo (secondo alcunixvi, Stadtberg nella
Vestfalia), Desiderio, per vendicarsi di lui, e inimicarlo a un tempo col papa,
pensò d'indur questo a incoronar re de' Franchi i due figli di Gerberga; e gli
propose, con grande istanza, un abboccamento. Per un re barbaro e di tempi
barbari, il ritrovato non era senza merito. Ma Adriano si mostrò, come doveva,
allienissimo dal secondare un tal disegno; del resto, disse d'esser pronto ad
abboccarsi col re, dove a quei fosse piaciuto, quando però fossero state
restituite alla Chiesa le terre occupatexvii. Desiderio ne
invase dell'altre, e le mise a ferro e fuocoxviii. In tali
angustie, e dopo avere invano spedito un'ambasciata, a supplicarlo e ad
ammonirlo, Adriano mandò un legato a chieder soccorso a Carloxix. Poco
dopo, arrivarono a Roma tre inviati di questo, Albino suo confidentexx,
Giorgio vescovo, e Wulfardo abate, per accertarsi se le città della
Chiesa erano state sgomberate, come Desiderio voleva far credere in Francia. Il
papa, quando partirono, mandò in loro compagnia una nuova ambasciata, per fare
un ultimo tentativo con Desiderio; il quale, non potendo più ingannar nessuno,
disse che non voleva render nullaxxi. Con questa risposta i
Franchi se ne tornarono a Carlo, il quale svernava in Thionville; dove gli si
presentò pure Pietro, il legato d'Adrianoxxii.
Circa quel tempo, dovette il re de'
Franchi ricevere una men nobile ambasciata, inviatagli segretamente da alcuni
tra' principali longobardi, per invitarlo a scendere in Italia, e ad
impadronirsi del regno, promettendogli di dargli in mano Desiderio o le sue
ricchezzexxiii.
Carlo radunò il campo di maggio, o,
come lo chiamano alcuni annalisti, il sinodo, in Ginevra; e la guerra vi
fu decisaxxiv. S'avviò quindi con l'esercito alle Chiuse
d'Italia. Erano queste una linea di mura, di bastite e di torri, verso lo
sbocco di Val di Susa, al luogo che serba ancora il nome di Chiusa. Desiderio
le aveva ristaurate e accresciutexxv; e accorse col suo esercito a
difenderle. I Franchi di Carlo vi trovarono molto maggior resistenza, che
quelli di Pipinoxxvi. Il monaco della Novalesa, citato or
ora, racconta che Adelchi, robusto, come valoroso, e avvezzo a portare in
battaglia una mazza di ferro, gli appostava dalle Chiuse, e piombando loro addosso
all'improvviso, co' suoi, percoteva a destra e a sinistra, e ne faceva gran
macelloxxvii. Carlo, disperando di superare le Chiuse, né
sospettando che ci fosse altra strada per isboccare in Italia, aveva già
stabilito di ritornarsenexxviii, quando arrivò al campo de' Franchi un
diacono, chiamato Martino, spedito da Leone, arcivescovo di Ravenna; e insegnò
a Carlo il passo per scendere in Italia. Questo Martino fu poi uno de'
successori di Leone su quella sedexxix.
Mandò Carlo per luoghi scoscesi una parte
scelta dell'esercito, la quale riuscì alle spalle de' Longobardi, e gli assalì;
questi, sorpresi dalla parte dove non avevano pensato a guardarsi, e essendo
tra loro de' traditori, si dispersero. Carlo entrò allora col resto de' suoi
nelle Chiuse abbandonatexxx. Desiderio, con parte di quelli che gli
eran rimasti fedeli, corse a chiudersi in Pavia; Adelchi in Verona, dove
condusse Gerberga co' figliuolixxxi. Molti degli altri
Longobardi sbandati ritornarono alle loro città: di queste alcune s'arresero a
Carlo, altre si chiusero e si misero in difesa. Tra quest'ultime fu Brescia, di
cui era duca il nipote di Desiderio, Poto, che, con inflessione leggiera, e
conforme alle variazioni usate nello scrivere i nomi germanici, è in questa
tragedia nominato Baudo. Questo, con Answaldo suo fratello, vescovo della
stessa città, si mise alla testa di molti nobili, e resistette a Ismondo conte,
mandato da Carlo a soggiogare quella città. Più tardi, il popolo, atterrito
dalle crudeltà che Ismondo esercitava contro i resistenti che gli venivano
nelle mani, costrinse i due fratelli ad arrendersixxxii.
Carlo mise l'assedio a Pavia, fece venire
al campo la nuova sua moglie, Ildegarde; e vedendo che quella città non si
sarebbe arresa così presto, andò, con vescovi, conti e soldati, a Roma,
per visitare i limini apostolici e Adriano, dal quale fu accolto come un
figlio liberatorexxxiii. L'assedio di Pavia durò parte
dell'anno 773 e del seguente: non credo che si possa fissar più precisamente il
tempo, senza incontrar contradizioni tra i cronisti, e questioni inutili al
caso nostro, e forse insolubili. Ritornato Carlo al campo sotto Pavia, i
Longobardi, stanchi dall'assedio, gli apriron le portexxxiv. Desiderio,
consegnato da' suoi Fedeli al nemicoxxxv fu condotto
prigioniero in Francia, e confinato nel monastero di Corbie, dove visse
santamente il resto de' suoi giornixxxvi. I Longobardi accorsero da
tutte le parti a sottomettersixxxvii, e a riconoscer Carlo
per loro re. Non si sa bene quando si presentasse sotto Verona: al suo
avvicinarsi, Gerberga gli andò incontro coi figli, e si mise nelle sue mani.
Adelchi abbandonò Verona, che s'arrese; e di là si rifugiò a Costantinopoli,
dove, accolto onorevolmente, si fermò: dopo vari anni, ottenne il comando
d'alcune truppe greche, sbarcò con esse in Italiaxxxviii, diede
battaglia ai Franchi, e rimase uccisoxxxix.
Nella tragedia, la fine di Adelchi si è
trasportata al tempo che uscì da Verona. Questo anacronismo, e l'altro d'aver
supposta Ansa già morta prima del momento in cui comincia l'azione (mentre in
realtà quella regina fu condotta col marito prigioniera in Francia, dove morì),
sono le due sole alterazioni essenziali fatte agli avvenimenti materiali e
certi della storia. Per ciò che riguarda la parte morale, s'è cercato
d'accomodare i discorsi de' personaggi all'azioni loro conosciute, e alle
circostanze in cui si sono trovati. Il carattere però d'un personaggio, quale è
presentato in questa tragedia, manca affatto di fondamenti storici: i disegni
d'Adelchi, i suoi giudizi sugli avvenimenti, le sue inclinazioni, tutto il
carattere in somma è inventato di pianta, e intruso tra i caratteri storici,
con un'infelicità, che dal più difficile e dal più malevolo lettore non sarà,
certo, così vivamente sentita come lo è dall'autore.
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