All'intorno del picciolo tempio v'era un picciolo spazio sgombro di
capanne, e Fermo giungendovi, lo vide occupato da una folla distinta in
ragazzi, in donne, e in uomini, tutti composti e in gran silenzio, fra il quale
si udiva distintamente una voce alta ed oratoria che veniva dal tempio. Questo,
elevato d'alcuni gradi al disopra del suolo, non aveva allora altro sostegno
che le colonne disposte in circolo; nel mezzo v'era un altare che si poteva
vedere da tutti i punti del lazzeretto, per mezzo agli intercolunnj vuoti, che
in oggi sono murati. Ritto, su la predella dell'altare stava un capuccino, alto
della persona, fra la virilità, e la vecchiezza; teneva con la destra una croce
posata al suolo che gli sopravvanzava il capo di tutto il traverso; e con
l'altra mano accompagnava di gesti il discorso che andava facendo. Era questi
il Padre Felice sopraintendente del Lazzeretto. Fermo, giunto sull'orlo di
quella adunanza avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerla, e cercare ciò che gli
stava a cuore; ma senza contare un altro capuccino che, con un aspetto tanto
severo anzi burbero, quanto quello dell'oratore era pietoso, stava ritto in
mezzo alla brigata per tener l'ordine; quella quiete generale, quell'attento
silenzio, e quella unica voce bastarono ad avvertire il nostro ansioso che ogni
movimento sarebbe stato in quel luogo scompiglio, e irriverenza. Stette egli
dunque alla estremità della brigata ad aspettare, e udì la perorazione di quel singolare
oratore.
«Diamo adunque», diceva egli, «un ultimo sguardo a questo luogo di
miserie e di misericordia, pensando quanti vi sono entrati, quanti ne sono
stati tratti fuora per la fossa, quanti vi rimangono, quanto pochi al paragone
siam noi, che ne usciamo non illesi, ma salvi, ma colla voce da lodarne Iddio.
L'anima nostra ha guadato il torrente; l'anima nostra ha guadate le acque
soverchiatrici: benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto
nella misericordia, benedetto nella morte, benedetto nella salvezza, benedetto
nel discernimento ch'Egli ha fatto di noi in questo sì vasto, sì smisurato
eccidio! Ah possa essere questo un discernimento di clemenza! possa la nostra
condotta da questo momento esserne un indizio manifesto! Attraversando questo
mare di guaj, diamo uno sguardo di pietà, e di conforto, a quegli che si
dibattono tuttavia con la tempesta, e dei quali, ah quanto pochi, potranno come
noi afferrare un porto terreno. Ci vedano uscirne, rendendo grazie per noi, ed
elevando preghiere per essi! Attraversando la città già sì popolosa, noi scarsa
restituzione dell'immenso tributo ch'essa mandò in questo luogo, mostriamo agli
scarsi suoi abitatori un popolo scemato sì, ma rigenerato. Procediamo con la
compunzione nel volto, e coi cantici su le labbra. Quegli che son ritornati
nella pienezza dell'antico vigore, porgano un braccio soccorrevole ai fiacchi;
gli adulti reggano i teneri, i giovani sostengano con riverenza e con amore i
vecchj, ai quali la salute ritornata non apporta che pochi giorni di stento. E
se in questo soggiorno di prova, in questo stesso crogiuolo di purgazione
abbiam peccato; se abbiamo abusato anche dei flagelli, se abbiamo sciupati i
doni e le ricchezze dello sdegno, come già quelli della benignità; ebbene! non
abbiam però potuto esaurire il tesoro del perdono: ricorriamo ad esso di nuovo.
Per me...»
E qui l'oratore fece pausa, straordinariamente commosso; poi tolse una
corda che gli stava ai piedi, se la avvinghiò al collo come ad un malfattore,
cadde ginocchioni, e proseguì:
«Per me, e per tutti i miei compagni, i quali, sebbene immeritevoli,
siamo stati per una ineffabile degnazione trascelti all'alto privilegio di
servir Cristo in voi; se, come è pur troppo, non abbiamo degnamente corrisposto
ad un tanto favore, se non abbiam degnamente adempiuto un sì grande
ministero... perdonateci! Se la fiacchezza, o la ritrosia della carne ci ha
resi men pronti ai vostri bisogni, alle vostre chiamate, perdonateci! se una
ingiusta impazienza se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri mali
mostrarvi un volto severo, e fastidito, perdonateci! Se la corruttela d'Adamo
ci ha fatto trascorrere in qualche azione che vi sia stata cagione di
tristezza, e di scandalo, perdonateci! Nessuno porti fuor di qui altra
amaritudine che delle sue proprie colpe!»
Così detto, stette egli ginocchioni, come aspettando un segno che l'umile
e cordiale suo prego era accetto ed esaudito. Un singhiozzo, un pianto, un
gemito universale si levò da quella turba a rispondere. Dopo qualche momento il
frate s'alzò, prese la croce ad ambe mani, e l'inalberò; scese dalla predella,
e quivi depose i sandali; gridò ad alta voce: «andiamo in pace»; poi intonò il Miserere;
e scalzo, portando dinanzi a sè quell'alta croce pesante, scese gli scaglioni
del tempio dalla parte rivolta alla porta meridionale del lazzeretto che sbocca
dinanzi alla mura della città; e s'incamminò verso quella. Dietro lui s'avviò
la torma dei fanciulletti, di quelli cioè che potevano reggersi, e sapevano
condursi da sè; poi le donne, alcune delle quali tenevan per mano, o nelle
braccia fanciulline, o bambini, e con fioca voce cantavano il salmo intonato
dal guidatore; poi gli uomini pur cantando; poi carri di convalescenti, e delle
bagaglie di quei che partivano: quelle che in tanta confusione s'eran potuto
serbare, e raccogliere. Ultimo veniva quell'altro capuccino che abbiamo
menzionato, con un gran vincastro in mano; e coi cenni di quello, con gli occhi
e con la voce, teneva in sesto il convoglio. Era questi un Padre Michele Pozzobonelli,
il coadiutore più autorevole, e come il primo ministro del Padre Felice, in
quel regno di desolazione.
Fermo, tosto ch'ebbe veduto questo scender dal tempio, e notato da che
parte s'avviava, entrò di nuovo fra le capanne per pigliare i passi innanzi,
senza dare né ricever disturbo e sboccar poi di nuovo su la strada per dove la
processione doveva passare. Dalla porta meridionale al tempio v'era infatti
come una strada, uno spazio che s'era lasciato sgombro di capanne per dar
passaggio ai carri degli infermi che per lo più entravano da quella porta, e da
quello spazio poi si distribuivano a dritta e a sinistra, come si poteva. Fermo
riuscì su quella, al mezzo in circa; e vide venire il vecchio crocifero, lo
vide passare, vide passare i ragazzi, e poi con un gran battito al cuore,
esaminò le donne che pur passavano; e lo potè fare a suo agio, perché elle
procedevano a due a due. Passa, passa; guarda, guarda: qui non v'è, qui né
pure; più che la metà è passata; poche ne rimangono; compajono le ultime della
fila femminile; ecco gli uomini: Lucia non v'era. Quanta speranza svanita!
Rimanevano però i carri ancora: Fermo gli vedeva venire; e i primi erano
carichi di donne. Stette dunque aspettando, lasciò passare la schiera degli
uomini; guardò ad uno ad uno quei carri. Passavano lentamente, si arrestavano
talvolta come accade nelle processioni e nelle marce d'ogni genere; di modo che
Fermo potè aver la trista certezza che nessuna di quelle donne era sfuggita
alla sua vista; e che Lucia non v'era. Le braccia gli caddero, quando si vide
finire in mano l'unico, o almeno il più forte filo delle sue speranze. Anche
prima di vedere trascorrere quella per lui sì trista rassegna, egli sentiva pur
troppo, quanto era più probabile che Lucia fosse nel numero dei tanti portati
fuora dal lazzeretto sui carri, che dei pochi risanati: ma pure, come si suole
egli metteva il suo desiderio sul guscio della speranza, e faceva traboccare le
bilance da quella parte. Ma ora, egli credeva di dovere esser certo che Lucia
non era tra i guariti, né tra i convalescenti: la contingenza più lieta per
lui, l'unica sua speranza (quale speranza!) era ormai ch'ella fosse ivi
languente, ma viva.
Passato tutto il convoglio, passato il Padre Michele, Fermo si mise senza
troppo pensare dove andasse, su quella via rimasta sgombra, e le sue gambe lo
portarono dinanzi al tempio.
Quivi gli vennero alla mente le parole del buon frate Cristoforo: — Se
non ve la scorgi, fa cuore tuttavia... Cercala con rassegnazione. — Si prostrò
su gli scaglioni del tempio, fece a Dio una preghiera, o per dir meglio, un
viluppo di parole scompigliate, di frasi interrotte, di esclamazioni, di
domande, di proteste, di disdette, uno di quei discorsi che non si fanno agli
uomini, perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né sofferenza
per ascoltarli; non sono abbastanza grandi per sentirne compassione senza
disprezzo. Si levò di là più rincorato e si avviò. Dal tempio alla porta che
divide il lato settentrionale a cui tendeva Fermo, scorreva, come dalla parte
opposta, un viale sgombro di capanne; e si sarebbe potuto chiamare la via dei
morti, perché ivi facevano capo e giravano i carri, che portavano alla fossa di
San Gregorio le centinaja che perivano ogni giorno nel lazzeretto. Fermo scelse
quella via come la meno impedita, e la più breve; e studiando il passo alla
meglio, tra l'incontro continuo dei carri e l'inciampo frequente di altri
tristissimi ingombri, pervenne a pochi passi dalla porta. Ma quivi un
occorrimento di carri vuoti che entravano, di colmi che uscivano faceva in quel
punto un tale imbarazzo, che Fermo anziché affrontarlo, o aspettare lo sgombro,
stimò meglio di entrare tra le capanne per riuscire di quindi al fabbricato. Le
capanne in quel luogo eran tutte abitate da donne; ed egli procedeva lentamente
d'una in altra, guardando. Or mentre passando, come per un vicolo, tra due di
queste, l'una delle quali aveva l'apertura sul suo passaggio, e l'altra rivolta
dalla parte opposta, egli metteva il capo nella prima, sentì venire dall'altra,
per lo fesso delle assacce ond'era connessa, sentì venire una voce... una voce,
giusto cielo! che egli avrebbe distinta in un coro di cento cantanti, e che con
una modulazione di tenerezza e di confidenza ignota ancora al suo orecchio,
articolava parole che forse in altri tempi erano state pensate per lui, ma che
certamente non gli erano mai state proferite: «Non dubitate: son qui tutta per
voi: non vi abbandonerò mai».
Se Fermo non mise uno strido, non fu perché lo rattenesse il riguardo di
fare scandalo, il timore di farsi troppo scorgere e d'essere preso o cacciato;
fu perché gli mancò la voce. Le ginocchia gli tremarono sotto, la vista gli
s'appannò un momento; ma come accade per lo più quando dopo una gran sorpresa
rimane qualche cosa d'importante da farsi o da sapere, l'animo gli ritornò
tosto, e più concitato di prima. In tre balzi girò la capanna, fu su la porta,
vide una donna inclinata sur un letto, che andava assestando.
«Lucia!» chiamò Fermo con gran forza e sottovoce ad un tempo: «Lucia!»
Trabalzò ella a quella chiamata, a quella voce, credette di sognare, si
volse precipitosamente, vide che non era sogno, e gridò: «Oh Signore
benedetto!» Fermo rimase su la porta tacito e ansante, e Lucia pure dopo quel
grido stette immota in silenzio più tempo che non bisogni a raccontare in
compendio le sue vicende dal punto in cui l'abbiamo lasciata.
Ella era sempre rimasta nella casa di Don Ferrante; e fino ad un certo
tempo sotto la vigilanza severa di Donna Prassede. Ma allo spiegarsi della
peste questa signora, messe da un canto tutte le altre cure, dimenticate tutte
le brighe, non solo le sue proprie, ma anche quelle di cui prima andava tanto
volentieri in cerca, non ebbe più che un pensiero, di guardarsi dal pericolo
comune. Pensò ella che, per fare del bene, la prima condizione è di essere in
vita, e per allora, volle assicurar questa. Quanto al prossimo, non pensò più a
regolarlo, ma soltanto a tenerselo lontano, tanto che non gli comunicasse la
pestilenza. Don Ferrante invece, persuaso che tutte le precauzioni immaginabili
non avrebbero potuto fare che la congiunzione di Saturno con Giove non fosse
avvenuta, né stornare le conseguenze di un avvenimento di quella sorte, non
cangiò nulla al suo tenore solito di vita: e contrasse la pestilenza, che in un
giorno lo spicciò. Donna Prassede s'era ritirata con la signora Ghita, nella
stanza più remota della casa; Prospero che alla morte di Don Ferrante era certo
di dovere andare a spasso, pensava a farsi un po' di fardello, il resto della
famiglia seguiva il suo esempio; e il povero astrologo sarebbe morto
abbandonato, se Lucia non avesse avuta la carità di prestargli qualche
servigio. Il giorno stesso in cui Don Ferrante morì, Lucia fu presa da un gran
sopore, rimase come insensata, e cadde senza forze: donna Prassede ordinò tosto
che ella fosse portata nella via, ad aspettare un carro o una bussola che la
portasse al lazzeretto. Così fu fatto, e così avvenne. Lucia deposta in quella
capannuccia, stette alcuni giorni fuori di sè, senza prender cibo, né rimedii,
lottando il vigore della natura con la violenza del male; e non riprese l'uso
delle sue facoltà se non quando il male fu superato. Ma quale risvegliamento!
in quel tumulto di morte, in quello scompiglio di guai, senza vedere un volto
conosciuto, senza udire una voce famigliare! Pure, in quel tempo, come in tutte
le grandi calamità la vista o il racconto, e l'aspettazione continua dei mali
rendeva preparati a tutto anche gli animi i meno agguerriti; questa
preparazione, la gran ragione della necessità, la cascaggine stessa che il male
aveva lasciata addosso a Lucia, la fecero avvezzare ben tosto alla sua
situazione; la fiducia in Dio gliela raddolcì. La capannuccia non capiva che
due letti, o covili che fossero: in pochi giorni Lucia cangiò più volte di
compagnia. Finalmente, quando ella cominciava a potersi reggere, vi fu portata
una donna che era moglie, anzi vedova d'un ricco mercante di stoffe, madre,
anzi orba di due figli: la peste le aveva tutto portato via. Questa rimasta
sola in casa, e sentendosi pure colpita dal morbo, aveva chiamato un
commissario della sanità che conosceva per sua buona sorte, e che per una sorte
ancor più rara era un galantuomo; e gli aveva raccomandata sè e la sua casa.
Egli la fece chiudere e sigillare, promise di vegliarla, e fece portare la donna
al lazzeretto, con tutta quella cura particolare che si poteva in quelle
circostanze. Lucia assistette la sua compagna, che superò pure la malattia; e
come è facile ad intendersi, tra quella che prestava sì pietosi servigj, e
quella che gli riceveva, ambedue deserte, buone ambedue, s'era formata una
strettissima amicizia. La vedova, prima di venire al lazzeretto aveva nascosta
nella sua casa una buona somma di danari, e vi aveva lasciate molte mercanzie
protette dal sigillo publico, e ancor più dalla indifferenza dei monatti per le
robe che non fossero di pronto uso o di facile smercio. Trovandosi quindi sola
e doviziosa, ella aveva proposto a Lucia di tenerla con sè, come una sua
figlia, e Lucia ringraziando Dio che le aveva preparato un asilo, e la buona
donna che glielo offeriva, lo aveva accettato, ma solo per qualche tempo, tanto
che potesse aver notizie di sua madre, e pensare a prendere una risoluzione
stabile. Ciò ch'ella aveva promesso alla sua compagna era di non abbandonarla
finch'ella non potesse uscire dal lazzeretto; e per ciò, Lucia, non s'era unita
ai convalescenti che erano partiti quel giorno alla guida del Padre Felice. Ma
la buona vedova avvezza a quella dolce compagnia, e atterrita dal solo pensiero
di restarne priva, nella desolazione, esprimeva di tempo in tempo quel suo
terrore, e si faceva rinnovare da Lucia la promessa in cui trovava la quiete
dell'animo suo. E per dissipare appunto una di queste dubitanze Lucia aveva
dette le soavi parole che colpirono l'orecchio di Fermo, e che abbiamo
riferite.
Fermo era dimorato su la porta; e di là il suo secondo sguardo s'era
rivolto su la persona alla quale quelle parole erano state dirette; e fu molto
contento quando vide a che sesso ella apparteneva.
«Ah! siete viva; e v'ho trovata!» diss'egli quando potè ricuperar la
parola; ed entrò nella capanna.
«Voi!» sclamò Lucia.
«Son venuto qui per cercarvi, e v'ho trovata!» rispose Fermo.
«E la peste?»
«L'ho avuta».
«Ah!» fece Lucia con un gran respiro, che significava assai più che un: —
me ne rallegro infinitamente —. «Ma come... qui?»
«Son venuto a cercarvi in Milano, appena ho potuto; m'hanno detto che
eravate qui; ci son venuto».
«Oh Signore!» disse Lucia, stringendo le mani giunte, alzando gli occhi
al cielo, e con una voce che i singhiozzi stavano per interrompere. Poi, come
entrata di repente in un altro pensiero, chiese ansiosamente: «Sapete qualche
cosa di mia madre?»
«L'ho veduta jeri; è sana, vi saluta, e potete credere... era tutta in
pensiero per voi, e sospira di vedervi».
Lucia rispose con un altro respiro di consolazione.
Fermo continuò: «sospira di vedervi, e crede... tiene per sicuro... Ma
voi,... voi, mi parete stupita... ch'io sia venuto a cercarvi. Io... son sempre
lo stesso... non vi ricordate...? che è avvenuto, Lucia?»
«Tante cose!» rispose ella sospirando.
«Ecco!» disse Fermo: «sa il cielo che cosa v'avranno detto di me!»
«Che importa», rispose Lucia, «quel che dica la gente?»
«Dunque...»
«Dunque... io credeva... che dopo tanto tempo... dopo tanti guai... non
avreste più pensato a me».
«L'avete creduto? e me lo dite? quando son qui...»
«L'ho creduto», disse Lucia troncando in fretta le parole appassionate di
Fermo, «l'ho creduto, perché sarebbe stato meglio... è meglio».
Lucia aveva sempre tenuti gli occhi bassi; ma proferendo non senza fatica
queste parole, chinò anche la testa, e la tenne appoggiata sul petto, come per
riposarsi d'un grande sforzo.
«È meglio!» disse Fermo, stordito e contristato di quel mistero, e
guardando fiso nel volto di Lucia per trovarvi la spiegazione di quelle tronche
ed oscure parole. «È meglio! che cosa v'ho fatto io? è colpa mia se... Non sono
io quello a cui avete promesso? Che vi mancava perché foste mia? un momento...
e... ma gli ho perdonato, non siete voi più quella...? Dopo tanto sperare! dopo
tanto pensare a voi! dopo... Parlate chiaro: dite che non mi volete più; dite
il perché; non mi fate...»
«Fermo», disse con voce più riposata e solenne, Lucia che mentre egli
parlava, aveva cercato di raccogliere tutte le sue forze. «Fermo! ascoltatemi
tranquillamente: pensate dove siamo: vedete questa buona creatura che ha
bisogno di quiete: ascoltatemi. Io non sarò mai di nessuno... e non posso più
esser vostra».
«No non l'avete detta voi questa parola»; rispose Fermo, «no che non
l'ascolto: che ho fatto io? perché? chi ve l'ha detto? chi è entrato fra voi e
me? chi c'è entrato? voglio saperlo».
«Zitto zitto, non andate avanti, per amor del Cielo», disse Lucia.
«Quando lo saprete, se siete ancora quello di prima, se temete Dio come una
volta, non direte così».
«Parlate per amor del cielo!»
«Sapete voi in che casi, in che spaventi io mi son trovata, in che
pericoli?»
«Lo so, lo so, e... gli ho perdonato».
«Ora sappiate quello che nessuno, né pure mia madre, ha udito finora
dalla mia bocca. In una notte... Vergine santissima! qual notte!... lontana da
ogni soccorso... senza speranza di liberazione... sola... io sola, in mezzo...
all'inferno, ho guardato in su, ho domandato l'ajuto di quel Solo che può fare
i miracoli... ho domandato un miracolo, e ho dovuto fare una promessa... mi son
votata alla Madonna, che se per sua intercessione, io usciva salva da quel
pericolo, non... sarei mai stata sposa d'un uomo».
«Ahi! che avete fatto!» sclamò dolorosamente Fermo: «che avete fatto!»
«Ho ottenuto il miracolo», riprese Lucia: «la Madonna mi ha salvata».
«Bastava pregarla, e vi avrebbe salvata. Che avete fatto! Che avete
fatto! Non dovevate fate un tal voto».
«L'ho fatto: che giova parlarne più? Che giova pentirsi? Pentirsi? No no,
Dio liberi! Egli pure è sempre a tempo a pentirsi d'avermi salvata. Può
lasciarmi cadere ancora in un pericolo, e allora, chi pregherò io? che promessa
potrei fare?»
«Lucia!» disse Fermo, «e se non fosse il voto...? dite; sareste la stessa
per me?»
«Uomo senza cuore!» rispose Lucia, contenendo le lagrime, «quando mi
avreste fatte dire delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male,
delle parole che sarebbe forse peccati, sareste voi contento? Partite,
scordatevi di me: non eravamo destinati; ci rivedremo lassù». Dopo queste
parole, le lagrime soverchiarono, e fra i singhiozzi ella continuò: «dite a mia
madre ch'io son guarita, che ho trovata questa buona amica che pensa a me;
ditele che spero ch'ella sarà preservata da questi guai, che Dio provvederà a
tutto, e che ci rivedremo. Partite, per amor del cielo; e non vi ricordate di
me, che quando pregate il Signore».
«Lucia!» disse Fermo con tuono riposato e solenne egli pure; «noi siamo
due poveri figliuoli senza studio: quel brav'uomo, quel gran religioso, quel
nostro padre, il padre Cristoforo...»
«Ebbene?»
«È qui, nel lazzeretto, ad assistere gli appestati».
«È qui!» disse Lucia: «ah! non mi fa maraviglia: oh se potessi vederlo,
sentir la sua voce! È egli sano?»
«È in piedi», disse Fermo, «ma il suo volto... Dio voglia che sieno gli
anni, e le fatiche!»
«Voi l'avete veduto!» disse Lucia.
«L'ho veduto, e gli ho parlato», rispose Fermo: «egli mi ha fatto animo,
a cercarvi, mi ha fatto promettere che tornerei a rendergli conto delle mie
ricerche. Corro da lui: egli ci ha sempre ajutati; e spero che ci ajuterà anche
in questa occasione».
«Che dite voi? che volete ch'egli faccia? preghiamo Dio che ci ajuti...
che vi ajuti a sopportare. Ditegli che io ho sempre pregato per lui; che se può
venga a trovarmi, a consolarmi, e voi... voi...» — Non tornate più qui per amor
del cielo, — voleva ella dire, ma non lo disse. Dopo fatto quel voto, Lucia
aveva sempre creduto di essersi legata irrevocabilmente, e non aveva supposto
mai che alcuna autorità potesse annullare un patto col cielo; aveva rispinto come
colpevole il pensiero stesso, e non aveva mai confidato a persona il suo
doloroso segreto. Ma quando Fermo parlò d'una speranza nel padre Cristoforo,
quella stessa speranza confusa entrò nel cuore di Lucia; le balenò nella mente
un: — chi sa? —, intravide come non impossibile che il Padre Cristoforo
potrebbe trovar qualche mezzo... e in quel dubbio ella stimò inutile di dire
risolutamente a Fermo: «non tornate». Egli partì, senza far altre parole, come
un uomo che pensa di tornar ben tosto, e s'avviò alla capanna del buon frate.
La vedova compagna di Lucia era rimasta con gli occhi sbarrati a guardare
quel personaggio sconosciuto e ad udire quel dialogo nuovo per lei; giacché
Lucia, la quale, come si è potuto vedere in altre parti di questa storia, era molto
discreta, non le aveva mai parlato né della sua promessa di matrimonio, né per
conseguenza delle vicende conseguenti. Ma ora non potè scusarsi di fargliene il
racconto; e a dir vero, la disposizione d'animo di Lucia in quel momento
s'accordava assai bene con le voglie curiose e benevole ad un tempo della
vedova. Quelle memorie compresse e rispinte per tanto tempo, s'erano ora
presentate tutte in tanta folla e con tanto impeto all'animo di Lucia, che il
parlarne diveniva per lei quasi uno sfogo necessario. Dopo aver dunque risposto
alla meglio ai rimproveri che la vedova le fece di un tanto segreto tenuto con
lei, cominciò il racconto che fu spesso interrotto dai suoi singhiozzi, e dalle
esclamazioni e dalle inchieste della ascoltatrice.
Fermo intanto era giunto alla capannuccia del Padre Cristoforo, e
avendolo veduto lì fuori presso, che pregando, chiudeva gli occhi ad un
morente, si era ritirato nella capannuccia senza dar voce né far segno che
turbasse quel pio e doloroso uficio. Quando il poveretto fu spacciato, Fermo si
mostrò, e il Padre Cristoforo andò a lui, che tosto gli raccontò la lietissima
scoperta ch'egli aveva fatta di Lucia viva e sana, e quell'altra scoperta che
era venuta, come a tradimento, a guastargli una tanta consolazione. Benché egli
in questa parte del racconto volesse aver l'aria di chi propone un dubbio
superiore ai suoi lumi aspettando il giudizio d'un sapiente, pure non lasciò
scappare nessuna occasione di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel voto
che veniva per lui così male a proposito. Così faceva sentire che per la parte
sua il giudizio era bell'e fatto; e intanto guardava attentamente al volto del
Padre Cristoforo per iscoprire un pensiero, dal quale avrebbe potuto dipendere
la sua sorte. Ma non potendo leggervi nulla, terminò con una aperta domanda:
«Che ne dice, padre?» Il Padre stava pensoso: combattuto fra il desiderio di
rivedere Lucia, e la speranza di consolarla forse, e il timore di rendersi
colpevole, abbandonando per qualche tempo i suoi infermi.
Dopo essere così rimasto alquanto, pronunziò ad alta voce la conclusione
del dibattimento che era stato tra i suoi pensieri. «Ho un dovere con quella
creatura», diss'egli. «Dio l'aveva in altri tempi indirizzata a me, ed ora non
me l'ha fatta venir così presso perché io ricusi di esserle utile. Andiamo».
Lasciò per la seconda volta i suoi ammalati alla cura del Padre Vittore,
e si mosse con Fermo.
Questi andava innanzi tacito facendo la guida per quel triste labirinto,
e dirigendosi al viale per cui era passato la prima volta, e il Frate pur
tacito gli teneva dietro.
Gli oggetti che ad ogni mutar di passo si succedevano alla vista,
tenevano occupato l'animo di quella compunzione che non trova parole; e in quel
momento su quel mesto spettacolo pareva che scendesse e pesasse una mestizia
più cupa e più grave dell'ordinario.
Una nuvola comparsa all'occidente aveva a poco a poco coperto tutto il
cielo: e alla oscurità crescente, avresti detto che il giorno era finito, se il
sole lontano ancor forse due ore dal tramonto non avesse mostrato come dietro
ad un velo spesso ed immobile, il suo disco grande e biancastro, donde
partivano, non vivi raggi e diretti, ma un barlume scialbo e circonfuso che
mandava una caldura morta e gravosa. L'aria non dava un soffio: non si vedeva
muovere una tenda delle trabacche, né piegar la cima d'un pioppo nelle campagne
d'intorno. Solo si vedeva la rondine, sdrucciolando rapidamente dall'alto,
rasentare con l'ali tese, per un picciol tratto la superficie ingombra e
confusa di quel terreno; e tosto risalire, volteggiare per l'aria in cerchii
veloci, e piombar di nuovo. Un'afa faticosa prostrava gli animi con una
oppressione straordinaria: la lotta del morire era più affannosa; i gemiti dei
languenti erano soppressi dall'ambascia; il movimento delle opere era stanco,
rallentato, come sospeso: quella dubbia luce dava al colore della morte e della
infermità un non so che di più livido; un non so che di più squallido
all'abbattimento ond'erano atteggiate le figure dei sani: e su quel luogo di
desolazione non era forse ancor passata un'ora amara al par di questa.
Eppure quegli che sopravvissero rammentarono quell'ora con gioja per
tutta la vita; era la preparazione d'una burasca, che scoppiò la notte, e menò
poi per due giorni una pioggia continua, dopo la quale il contagio cessò quasi
ad un tratto.
Sotto il fascio di quella comune gravezza, procedevano il giovane e il
vecchio, con la fronte bassa il primo e con l'animo diviso fra lo studio della
via, fra l'orrore delle cose che vedeva, e l'ansietà del suo destino futuro; e
l'altro levando di tratto in tratto al cielo la faccia smunta come per cercare
un più libero respiro, e per secondare con quell'atto una speranza interna.
«È qui», disse Fermo con voce tremante accennando la capanna; e
v'entrarono che Lucia col volto lagrimoso stava proseguendo il suo racconto.
Al riveder Fermo ella trasalì, e al vedere il Padre Cristoforo balzò dal
saccone di paglia ov'era seduta, e gli si gettò incontro su la porta.
«Oh Padre!... Signore Iddio! come sta ella?» soggiunse poi tosto
vedendogli i segni della morte in volto.
«Come Dio vuole, mia buona figlia», rispose il Frate: «e presto spero
starò bene affatto».
«Come?...» disse Lucia.
«Come Dio vorrà», riprese egli tosto. «Parliamo ora di voi, per cui son
venuto».
«Oh Padre! quanto tempo! quante cose!» disse Lucia.
«Quante cose!» ripetè il Frate: «e certo se fossimo là ai vostri monti,
seduti in su la porta della casetta di quella buona Agnese, mi lascerei andar
volentieri a farne lunghi discorsi. Ma qui il tempo è misurato». E tosto
trattala in disparte in un angolo della capanna, continuò:
«Fermo mi ha detto che avete fatto voto di non maritarvi».
«È vero», rispose Lucia, arrossando.
«Avete voi pensato allora», proseguì il vecchio, «che voi avevate un
impegno solenne di matrimonio, e che offerivate alla Vergine una libertà della
quale avevate già disposto? E che riprendevate una parola già data, senza
sapere se quegli che l'aveva ricevuta avrebbe consentito a restituirvela?»
«Ho fatto male?» chiese Lucia, con sorpresa, e con un rimorso che non era
tutto doloroso.
«Avete voi confidato a nessuno questo vostro nuovo impegno?» interrogò di
nuovo il Frate: «avete chiesto consiglio?»
«Non ho ardito», rispose Lucia.
«Ed ora», proseguì egli, «che vi dice il vostro cuore di quel voto?»
«Che vuol ella che me ne dica?» rispose Lucia arrossando più che mai e
chiudendo quasi del tutto gli occhi ch'erano già chini a terra.
«Se non lo aveste fatto, lo fareste?»
«Se... non fossi in quel pericolo... in un grande pericolo... e poi, se
non è permesso... non lo farei».
«Se non lo aveste fatto, sareste tuttavia risoluta di sposare quell'uomo
a cui avevate promesso?»
«Io credeva... che fosse male il pensarvi... ma poi ch'Ella me ne
domanda... ah Padre sì!»
Fermo intanto adocchiava ansiosamente verso quell'angolo, e la vedova
anch'essa stava in una tacita aspettazione. Il Frate si fece presso a loro,
accennando a Lucia, che lo seguì con gli occhi bassi. Allora egli con voce
spiegata le rivolse questa nuova interrogazione:
«Credete voi che la santa madre Chiesa ha ricevuta da Dio l'autorità di
sciogliere e di legare?»
«Lo credo», rispose Lucia.
«Credete voi dunque che ella possa in suo nome ricevere, confermare, o
rimettere i voti che gli son fatti, interpretando la sua volontà in questo come
nel perdono dei peccati, e usando una potestà che tiene da Lui?»
«Lo credo», rispose ancora Lucia.
«Domandate voi alla Chiesa di essere sciolta dal voto di verginità che
avete fatto, o inteso di fare alla Madre santissima di Dio?»
«Lo domando», rispose Lucia con una prontezza, alla quale Fermo non ebbe
nulla a desiderare, e che potrà parere forse troppa a chi non essendo stato
presente a quell'atto, non rifletta che la solennità della richiesta, l'aria
autorevole di chi l'aveva fatta, non lasciavan luogo a titubamenti leziosi, e
che ivi la verecondia doveva essere tutta nella sincerità.
«Ed io», disse allora il buon Frate, con tuono ancor più solenne, «prego
umilmente la Vergine regina di tutti i santi, che abbia sempre per aggradito il
sentimento del vostro divoto e travagliato sacrificio, e lo offra al suo e
nostro Signore; e con l'autorità che la Chiesa mi ha affidata, vi sciolgo dal
voto, annullando ciò che vi potè essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni
obbligazione, se ne avete contratta».
Non parleremo dell'effetto, che queste parole produssero nell'animo dei
due giovani: la buona vedova era tutta commossa. Il Frate continuò rivolto a
Lucia: «Siate moglie pudica, moglie affettuosa moglie contenta di quella
contentezza che conduce all'eterna. Questo Iddio ha voluto e vuole da voi».
Quindi levò le mani verso i due giovani come per parlare ad ambedue. Essi
caddero ginocchioni ai suoi piedi, ed egli tutto assorto, e quasi senza
avvedersi di quell'atto, stese le mani su le loro teste, e stette un momento
pensoso. Erano nel fondo della capanna, come chiusi tra quello e il letto della
vedova che teneva gli occhi fissi su di loro: i giovani inginocchiati con la
fronte bassa, e il Frate ritto dinanzi a loro con le spalle rivolte alla porta.
«Figliuoli», disse egli, «che ho amati, e che amerò sempre, ricordatevi
che se la Chiesa vi assolve da un sagrificio, non lo fa per procurarvi le
consolazioni di questa vita che deve esser tutta un sacrificio; ma per mettervi
su la via della santificazione. Amatevi, come compagni di viaggio, col pensiero
di avere a lasciarvi, con la speranza di ritrovarvi ancora e per sempre.
Rendete grazie al cielo che vi ha condotti a questo stato non con le allegrezze
turbolente e passeggiere, ma coi travagli, e fra le miserie per disporvi ad una
gioja raccolta temperata, e continua. E nei vostri discorsi qualche volta, e
sempre nelle vostre preghiere, ricordatevi...»
Queste parole che rinchiudevano come un presentimento, e un tristo addio,
rinnovarono nell'animo di Lucia l'impressione dolorosa che le aveva prodotta
l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhi quasi involontariamente,
tutta commossa, a riguardarlo di nuovo; ma insieme con l'oggetto che cercava il
suo sguardo un altro inaspettato le se ne offerse su la porta della capanna,
alla vista del quale ella mandò uno strido repentino. Tutti gli occhi si
rivolsero a quella parte donde le era venuta quella subita commozione.