Il sole non era ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando il padre
Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta
dov'era aspettato. È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra
dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di
case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di
reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste
tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la
strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in
mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità
de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendìi, e
nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite
del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e
a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie
rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e
distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena
era lieta; ma ogni figura d'uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il
pensiero. Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati
nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano. Passavano zitti
accanto al padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non avesser
nulla a sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli
facevano un inchino di ringraziamento, per l'elemosina che avevan ricevuta, o
che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne'
campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor
semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che
troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano
svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo
la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a
rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato
che anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo,
la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in
cuore, d'andar a sentire qualche sciagura.
"Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo
avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre
provinciale? E chi era questo padre Cristoforo?" Bisogna soddisfare a
tutte queste domande.
Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai
cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi
girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con
un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e
subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli
copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate
della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo
abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due
occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con
vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere,
col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo
in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso.
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato
Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d'un mercante
di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo)
che, ne' suoi ultim'anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell'unico
figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s'era dato a viver da signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una gran vergogna di tutto
quel tempo che aveva speso a far qualcosa in questo mondo. Predominato da una
tal fantasia, studiava tutte le maniere di far dimenticare ch'era stato
mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui. Ma il fondaco, le
balle, il libro, il braccio, gli comparivan sempre nella memoria, come l'ombra
di Banco a Macbeth, anche tra la pompa delle mense, e il sorriso de' parassiti.
E non si potrebbe dire la cura che dovevano aver que' poveretti, per schivare
ogni parola che potesse parere allusiva all'antica condizione del convitante.
Un giorno, per raccontarne una, un giorno, sul finir della tavola, ne' momenti
della più viva e schietta allegria, che non si sarebbe potuto dire chi più
godesse, o la brigata di sparecchiare, o il padrone d'aver apparecchiato,
andava stuzzicando, con superiorità amichevole, uno di que' commensali, il più
onesto mangiatore del mondo. Questo, per corrispondere alla celia, senza la
minima ombra di malizia, proprio col candore d'un bambino, rispose: - eh! io fo
l'orecchio del mercante -. Egli stesso fu subito colpito dal suono della parola
che gli era uscita di bocca: guardò, con faccia incerta, alla faccia del
padrone, che s'era rannuvolata: l'uno e l'altro avrebber voluto riprender
quella di prima; ma non era possibile. Gli altri convitati pensavano, ognun da
sé, al modo di sopire il piccolo scandolo, e di fare una diversione; ma,
pensando, tacevano, e, in quel silenzio, lo scandolo era più manifesto. Ognuno
scansava d'incontrar gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti eran
occupati del pensiero che tutti volevan dissimulare. La gioia, per quel giorno,
se n'andò; e l'imprudente o, per parlar con più giustizia, lo sfortunato, non
ricevette più invito. Così il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in
angustie continue, temendo sempre d'essere schernito, e non riflettendo mai che
il vendere non è cosa più ridicola che il comprare, e che quella professione di
cui allora si vergognava, l'aveva pure esercitata per tant'anni, in presenza
del pubblico, e senza rimorso. Fece educare il figlio nobilmente, secondo la
condizione de' tempi, e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle
consuetudini; gli diede maestri di lettere e d'esercizi cavallereschi; e morì,
lasciandolo ricco e giovinetto.
Lodovico aveva contratte abitudini signorili; e gli adulatori, tra i quali era
cresciuto, l'avevano avvezzato ad esser trattato con molto rispetto. Ma, quando
volle mischiarsi coi principali della sua città, trovò un fare ben diverso da
quello a cui era accostumato; e vide che, a voler esser della lor compagnia,
come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e di
sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne una, ogni momento. Una tal
maniera di vivere non s'accordava, né con l'educazione, né con la natura di
Lodovico. S'allontanò da essi indispettito. Ma poi ne stava lontano con
rammarico; perché gli pareva che questi veramente avrebber dovuto essere i suoi
compagni; soltanto gli avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto
d'inclinazione e di rancore, non potendo frequentarli famigliarmente, e volendo
pure aver che far con loro in qualche modo, s'era dato a competer con loro di
sfoggi e di magnificenza, comprandosi così a contanti inimicizie, invidie e
ridicolo. La sua indole, onesta insieme e violenta, l'aveva poi imbarcato per
tempo in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero per
l'angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualità
delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch'erano appunto coloro
coi quali aveva più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare tutte
queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un debole
sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore, s'intrometteva in una
briga, se ne tirava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne a costituirsi
come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de' torti. L'impiego era
gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico avesse nemici, impegni e
pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribolato continuamente da contrasti
interni; perché, a spuntarla in un impegno (senza parlare di quelli in cui
restava al di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri e violenze, che la sua
coscienza non poteva poi approvare. Doveva tenersi intorno un buon numero di
bravacci; e, così per la sua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso,
doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi; e vivere co' birboni,
per amor della giustizia. Tanto che, più d'una volta, o scoraggito, dopo una
trista riuscita, o inquieto per un pericolo imminente, annoiato del continuo
guardarsi, stomacato della sua compagnia, in pensiero dell'avvenire, per le sue
sostanze che se n'andavan, di giorno in giorno, in opere buone e in braverie,
più d'una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate; che, a que' tempi,
era il ripiego più comune, per uscir d'impicci. Ma questa, che sarebbe forse
stata una fantasia per tutta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa d'un
accidente, il più serio che gli fosse ancor capitato.
Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e
accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega e, dopo
chiusa questa, diventato maestro di casa. Era un uomo di circa cinquant'anni,
affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che, tra salario
e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che mantenere e tirar su una
numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale, arrogante e
soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua, ma
che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il
contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter
odiare ed esser odiati, senza conoscersi. Costui, seguito da quattro bravi,
s'avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta
all'alterigia e allo sprezzo. Tutt'e due camminavan rasente al muro; ma
Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una
consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non
istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale
allora si faceva gran caso. L'altro pretendeva, all'opposto, che quel diritto
competesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e
ciò in forza d'un'altra consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti
altri affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse
deciso qual delle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una
guerra, ogni volta che una testa dura s'abbattesse in un'altra della stessa
tempra. Que' due si venivano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure
di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale,
squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono
corrispondente di voce: - fate luogo.
- Fate luogo voi, - rispose Lodovico. - La diritta è mia.
- Co' vostri pari, è sempre mia.
- Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari miei. I bravi
dell'uno e dell'altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone,
guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La
gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto;
e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de' contendenti.
- Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una volta come si tratta co'
gentiluomini.
- Voi mentite ch'io sia vile.
- Tu menti ch'io abbia mentito -. Questa risposta era di prammatica. - E, se
tu fossi cavaliere, come son io, - aggiunse quel signore, - ti vorrei far
vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu.
- E un buon pretesto per dispensarvi di sostener co' fatti l'insolenza delle
vostre parole.
- Gettate nel fango questo ribaldo, - disse il gentiluomo, voltandosi a'
suoi.
- Vediamo! - disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e mettendo
mano alla spada.
- Temerario! - gridò l'altro, sfoderando la sua: - io spezzerò questa,
quando sarà macchiata del tuo vil sangue.
Così s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due parti si
slanciarono alla difesa de' loro padroni. Il combattimento era disuguale, e per
il numero, e anche perché Lodovico mirava piùttosto a scansare i colpi, e a
disarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui, a ogni
costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalata d'un
bravo, e una sgraffiatura leggiera in una guancia, e il nemico principale gli
piombava addosso per finirlo; quando Cristoforo, vedendo il suo padrone
nell'estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questo, rivolta
tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada. A quella vista,
Lodovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel ventre del feritore, il quale
cadde moribondo, quasi a un punto col povero Cristoforo. I bravi del gentiluomo,
visto ch'era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lodovico,
tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi dare, e non volendo
trovarsi impicciati nella gente, che già accorreva, scantonarono dall'altra
parte: e Lodovico si trovò solo, con que' due funesti compagni ai piedi, in
mezzo a una folla.
- Com'è andata? - È uno. - Son due. - Gli ha fatto un occhiello nel ventre.
- Chi è stato ammazzato? - Quel prepotente. - Oh santa Maria, che sconquasso! -
Chi cerca trova. - Una le paga tutte. - Ha finito anche lui. - Che colpo! -
Vuol essere una faccenda seria. - E quell'altro disgraziato! - Misericordia!
che spettacolo! - Salvatelo, salvatelo. - Sta fresco anche lui. - Vedete com'è
concio! butta sangue da tutte le parti. - Scappi, scappi. Non si lasci
prendere.
Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel frastono confuso di
quella folla, esprimevano il voto comune; e, col consiglio, venne anche
l'aiuto. Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, asilo, come
ognun sa, impenetrabile allora a' birri, e a tutto quel complesso di cose e di
persone, che si chiamava la giustizia. L'uccisore ferito fu quivi condotto o
portato dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle
mani del popolo, che glielo raccomandava, dicendo: - è un uomo dabbene che ha
freddato un birbone superbo: l'ha fatto per sua difesa: c'è stato tirato per i
capelli.
Lodovico non aveva mai, prima d'allora, sparso sangue; e, benché l'omicidio
fosse, a que' tempi, cosa tanto comune, che gli orecchi d'ognuno erano avvezzi
a sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l'impressione ch'egli
ricevette dal veder l'uomo morto per lui, e l'uomo morto da lui, fu nuova e
indicibile; fu una rivelazione di sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del
suo nemico, l'alterazione di quel volto, che passava, in un momento, dalla
minaccia e dal furore, all'abbattimento e alla quiete solenne della morte, fu
una vista che cambiò, in un punto, l'animo dell'uccisore. Strascinato al
convento, non sapeva quasi dove si fosse, né cosa si facesse; e, quando fu
tornato in sé, si trovò in un letto dell'infermeria, nelle mani del frate
chirurgo (i cappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogni convento), che
accomodava faldelle e fasce sulle due ferite ch'egli aveva ricevute nello
scontro. Un padre, il cui impiego particolare era d'assistere i moribondi, e
che aveva spesso avuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato
subito al luogo del combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell'infermeria,
e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, - consolatevi - gli disse: -
almeno è morto bene, e m'ha incaricato di chiedere il vostro perdono, e di
portarvi il suo -. Questa parola fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e
gli risvegliò più vivamente e più distintamente i sentimenti ch'eran confusi e
affollati nel suo animo: dolore dell'amico, sgomento e rimorso del colpo che
gli era uscito di mano, e, nello stesso tempo, un'angosciosa compassione
dell'uomo che aveva ucciso. - E l'altro? - domandò ansiosamente al frate.
- L'altro era spirato, quand'io arrivai. Frattanto, gli accessi e i contorni
del convento formicolavan di popolo curioso: ma, giunta la sbirraglia, fece
smaltir la folla, e si postò a una certa distanza dalla porta, in modo però che
nessuno potesse uscirne inosservato. Un fratello del morto, due suoi cugini e
un vecchio zio, vennero pure, armati da capo a piedi, con grande
accompagnamento di bravi; e si misero a far la ronda intorno, guardando, con
aria e con atti di dispetto minaccioso, que' curiosi, che non osavan dire: gli
sta bene; ma l'avevano scritto in viso.
Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato un frate
confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Cristoforo, le chiedesse in
suo nome perdono d'essere stato lui la cagione, quantunque ben certo
involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso tempo, l'assicurasse
ch'egli prendeva la famiglia sopra di sé. Riflettendo quindi a' casi suoi,
sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate, che
altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l'avesse
messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un
convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chiamare il
guardiano, e gli manifestò il suo desiderio. N'ebbe in risposta, che bisognava
guardarsi dalle risoluzioni precipitate; ma che, se persisteva, non sarebbe
rifiutato. Allora, fatto venire un notaro, dettò una donazione di tutto ciò che
gli rimaneva (ch'era tuttavia un bel patrimonio) alla famiglia di Cristoforo:
una somma alla vedova, come se le costituisse una contraddote, e il resto a
otto figliuoli che Cristoforo aveva lasciati.
La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospiti, i quali,
per cagion sua, erano in un bell'intrigo. Rimandarlo dal convento, ed esporlo
così alla giustizia, cioè alla vendetta de' suoi nemici, non era partito da
metter neppure in consulta. Sarebbe stato lo stesso che rinunziare a' propri
privilegi, screditare il convento presso il popolo, attirarsi il biasimo di
tutti i cappuccini dell'universo, per aver lasciato violare il diritto di
tutti, concitarsi contro tutte l'autorità ecclesiastiche, le quali si
consideravan come tutrici di questo diritto. Dall'altra parte, la famiglia
dell'ucciso, potente assai, e per sé, e per le sue aderenze, s'era messa al
punto di voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiunque s'attentasse di
mettervi ostacolo. La storia non dice che a loro dolesse molto dell'ucciso, e
nemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado: dice
soltanto ch'eran tutti smaniosi d'aver nell'unghie l'uccisore, o vivo o morto.
Ora questo, vestendo l'abito di cappuccino, accomodava ogni cosa. Faceva, in
certa maniera, un'emenda, s'imponeva una penitenza, si chiamava implicitamente
in colpa, si ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che depon l'armi. I
parenti del morto potevan poi anche, se loro piacesse, credere e vantarsi che
s'era fatto frate per disperazione, e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni
modo, ridurre un uomo a spropriarsi del suo, a tosarsi la testa, a camminare a
piedi nudi, a dormir sur un saccone, a viver d'elemosina, poteva parere una
punizione competente, anche all'offeso il più borioso.
Il padre guardiano si presentò, con un'umiltà disinvolta, al fratello del
morto, e, dopo mille proteste di rispetto per l'illustrissima casa, e di
desiderio di compiacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò del
pentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo garbatamente sentire
che la casa poteva esserne contenta, e insinuando poi soavemente, e con maniera
ancor più destra, che, piacesse o non piacesse, la cosa doveva essere. Il
fratello diede in ismanie, che il cappuccino lasciò svaporare, dicendo di tempo
in tempo: - è un troppo giusto dolore -. Fece intendere che, in ogni caso, la
sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione: e il cappuccino,
qualunque cosa ne pensasse, non disse di no. Finalmente richiese, impose come
una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella
città. Il guardiano, che aveva già deliberato che questo fosse fatto, disse che
si farebbe, lasciando che l'altro credesse, se gli piaceva, esser questo un
atto d'ubbidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famiglia, che ne usciva con
onore; contenti i frati, che salvavano un uomo e i loro privilegi, senza farsi
alcun nemico; contenti i dilettanti di cavalleria, che vedevano un affare
terminarsi lodevolmente; contento il popolo, che vedeva fuor d'impiccio un uomo
ben voluto, e che, nello stesso tempo, ammirava una conversione; contento
finalmente, e più di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale
cominciava una vita d'espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare,
pagare almeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollerabile del rimorso.
Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l'afflisse un
momento; ma si consolò subito, col pensiero che anche quell'ingiusto giudizio
sarebbe un gastigo per lui, e un mezzo d'espiazione. Così, a trent'anni, si
ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l'uso, lasciare il suo nome, e
prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento, ciò che
aveva da espiare: e si chiamò fra Cristoforo.
Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano gl'intimò che
sarebbe andato a fare il suo noviziato a ***, sessanta miglia lontano, e che
partirebbe all'indomani. Il novizio s'inchinò profondamente, e chiese una
grazia. - Permettetemi, padre, - disse, - che, prima di partir da questa città,
dove ho sparso il sangue d'un uomo, dove lascio una famiglia crudelmente
offesa, io la ristori almeno dell'affronto, ch'io mostri almeno il mio
rammarico di non poter risarcire il danno, col chiedere scusa al fratello
dell'ucciso, e gli levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancore
dall'animo -. Al guardiano parve che un tal passo, oltre all'esser buono in sé,
servirebbe a riconciliar sempre più la famiglia col convento; e andò diviato da
quel signor fratello, ad esporgli la domanda di fra Cristoforo. A proposta così
inaspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ribollimento di sdegno,
non però senza qualche compiacenza. Dopo aver pensato un momento, - venga
domani, - disse; e assegnò l'ora. Il guardiano tornò, a portare al novizio il
consenso desiderato.
Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella soddisfazione fosse
solenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il suo credito presso tutta la
parentela, e presso il pubblico; e sarebbe (per dirla con un'eleganza moderna)
una bella pagina nella storia della famiglia. Fece avvertire in fretta tutti i
parenti che, all'indomani, a mezzogiorno, restassero serviti (così si diceva
allora) di venir da lui, a ricevere una soddisfazione comune. A mezzogiorno, il
palazzo brulicava di signori d'ogni età e d'ogni sesso: era un girare, un
rimescolarsi di gran cappe, d'alte penne, di durlindane pendenti, un moversi
librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate
zimarre. Le anticamere, il cortile e la strada formicolavan di servitori, di
paggi, di bravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide quell'apparecchio, ne
indovinò il motivo, e provò un leggier turbamento; ma, dopo un istante, disse
tra sé: "sta bene: l'ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanti suoi
nemici: quello fu scandalo, questa è riparazione". Così, con gli occhi
bassi, col padre compagno al fianco, passò la porta di quella casa, attraversò
il cortile, tra una folla che lo squadrava con una curiosità poco cerimoniosa;
salì le scale, e, di mezzo all'altra folla signorile, che fece ala al suo
passaggio, seguito da cento sguardi, giunse alla presenza del padron di casa;
il quale, circondato da' parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della
sala, con lo sguardo a terra, e il mento in aria, impugnando, con la mano
sinistra, il pomo della spada, e stringendo con la destra il bavero della cappa
sul petto.
C'è talvolta, nel volto e nel contegno d'un uomo, un'espressione così
immediata, si direbbe quasi un'effusione dell'animo interno, che, in una folla
di spettatori, il giudizio sopra quell'animo sarà un solo. Il volto e il
contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che non s'era fatto
frate, né veniva a quell'umiliazione per timore umano: e questo cominciò a
concigliarglieli tutti. Quando vide l'offeso, affrettò il passo, gli si pose
inginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa,
disse queste parole: - io sono l'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei
restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle
inefficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle per l'amor di Dio -. Tutti
gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava;
tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la
sala, un mormorìo di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto di
degnazione forzata, e d'ira compressa, fu turbato da quelle parole; e,
chinandosi verso l'inginocchiato, - alzatevi, - disse, con voce alterata: -
l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non solo questo, ma
anche per voi... S'alzi, padre... Mio fratello... non lo posso negare... era un
cavaliere... era un uomo... un po' impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade
per disposizion di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve stare in
codesta positura -. E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in
piedi, ma col capo chino, rispose: - io posso dunque sperare che lei m'abbia
concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh!
s'io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono!
- Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno. Ma pure,
poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore, e tutti...
- Tutti! tutti! - gridarono, a una voce, gli astanti. Il volto del frate
s'aprì a una gioia riconoscente, sotto la quale traspariva però ancora un'umile
e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini non poteva
riparare. Il gentiluomo, vinto da quell'aspetto, e trasportato dalla commozione
generale, gli gettò le braccia al collo, e gli diede e ne ricevette il bacio di
pace. Un - bravo! bene! - scoppiò da tutte le parti della sala; tutti si
mossero, e si strinsero intorno al frate. Intanto vennero servitori, con gran
copia di rinfreschi. Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo, il quale
faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca qualche
cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima d'ogni
altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, - queste cose,
- disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io
sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa
dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno
del suo perdono -. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne
subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d'argento, e
lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella sporta. Chiese
quindi licenza; e, abbracciato di nuovo il padron di casa, e tutti quelli che,
trovandosi più vicini a lui, poterono impadronirsene un momento, si liberò da
essi a fatica; ebbe a combatter nell'anticamere, per isbrigarsi da' servitori,
e anche da' bravi, che gli baciavano il lembo dell'abito, il cordone, il
cappuccio; e si trovò nella strada, portato come in trionfo, e accompagnato da
una folla di popolo, fino a una porta della città; d'onde uscì, cominciando il
suo pedestre viaggio, verso il luogo del suo noviziato.
Il fratello dell'ucciso, e il parentado, che s'erano aspettati d'assaporare
in quel giorno la trista gioia dell'orgoglio, si trovarono in vece ripieni
della gioia serena del perdono e della benevolenza. La compagnia si trattenne
ancor qualche tempo, con una bonarietà e con una cordialità insolita, in
ragionamenti ai quali nessuno era preparato, andando là. In vece di
soddisfazioni prese, di soprusi vendicati, d'impegni spuntati, le lodi del
novizio, la riconciliazione, la mansuetudine furono i temi della conversazione.
E taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte
Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa congiuntura, far stare a dovere
il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò in vece delle
penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima.
Partita la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava tra sé, con
maraviglia, ciò che aveva in teso, ciò ch'egli medesimo aveva detto; e
borbottava tra i denti: - diavolo d'un frate! - (bisogna bene che noi
trascriviamo le sue precise parole) - diavolo d'un frate! se rimaneva lì in
ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli chiedevo scusa io, che
m'abbia ammazzato il fratello -. La nostra storia nota espressamente che, da
quel giorno in poi, quel signore fu un po' men precipitoso, e un po' più alla
mano.
Il padre Cristoforo camminava, con una consolazione che non aveva mai più
provata, dopo quel giorno terribile, ad espiare il quale tutta la sua vita doveva
esser consacrata. Il silenzio ch'era imposto a' novizi, l'osservava, senza
avvedersene, assorto com'era, nel pensiero delle fatiche, delle privazioni e
dell'umiliazioni che avrebbe sofferte, per iscontare il suo fallo. Fermandosi,
all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di
voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta,
per tenerlo, come un ricordo perpetuo.
Non è nostro disegno di far la storia della sua vita claustrale: diremo
soltanto che, adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura, gli ufizi
che gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d'assistere i
moribondi, non lasciava mai sfuggire un'occasione d'esercitarne due altri, che
s'era imposti da sé: accomodar differenze, e proteggere oppressi. In questo
genio entrava, per qualche parte, senza ch'egli se n'avvedesse, quella sua
vecchia abitudine, e un resticciolo di spiriti guerreschi, che l'umiliazioni e
le macerazioni non avevan potuto spegner del tutto. Il suo linguaggio era
abitualmente umile e posato; ma, quando si trattasse di giustizia o di verità
combattuta, l'uomo s'animava, a un tratto, dell'impeto antico, che, secondato e
modificato da un'enfasi solenne, venutagli dall'uso del predicare, dava a quel
linguaggio un carattere singolare. Tutto il suo contegno, come l'aspetto,
annunziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una volontà
opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da motivi e da
ispirazioni superiori. Un suo confratello ed amico, che lo conosceva bene,
l'aveva una volta paragonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma
naturale, che alcuni, anche ben educati, pronunziano, quando la passione
trabocca, smozzicate, con qualche lettera mutata; parole che, in quel travisamento,
fanno però ricordare della loro energia primitiva.
Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia, avesse chiesto
l'aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe corso immediatamente. Trattandosi
poi di Lucia, accorse con tanta più sollecitudine, in quanto conosceva e
ammirava l'innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi pericoli, e sentiva
un'indegnazione santa, per la turpe persecuzione della quale era divenuta
l'oggetto. Oltre di ciò, avendola consigliata, per il meno male, di non palesar
nulla, e di starsene quieta, temeva ora che il consiglio potesse aver prodotto
qualche tristo effetto; e alla sollecitudine di carità, ch'era in lui come
ingenita, s'aggiungeva, in questo caso, quell'angustia scrupolosa che spesso
tormenta i buoni.
Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è
arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il manico dell'aspo
che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce: - oh padre Cristoforo!
sia benedetto!
|