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Alessandro Manzoni Tutte le poesie IntraText CT - Lettura del testo |
Fin che il ver fu delitto, e la Menzogna
Corse gridando, minacciosa il ciglio:
“Io son sola che parlo, io sono il vero”,
Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna,
5 Non fu vergogna, anzi gentil consiglio;
Ché non è sola lode esser sincero,
Né rischio è bello senza nobil fine.
Ad onesta parola è tolto alfine,
10 Ogni compresso affetto al labbro è corso;
Or s'udrà ciò che, sotto il giogo antico,
Sommesso appena esser potea discorso
Al cauto orecchio di privato amico.
Toglier lo scudo de le Leggi antique
15 E le da lor create, e il sacro patto
Mutar come si muta un vestimento;
O non mutate non serbarle, e inique
Farle serbar benché segrete, e in atto
Di chi pensa, tacendo, al tradimento;
20 E novi statuir padri alla legge,
Sperderli a guisa di spregiato gregge:
Questi de' salvatori erano i doni;
Questo dicean fondarne a civil vita;
25 Qual se Italia, al chiamar d'esti Anfioni
Fosse dei boschi e de le tane uscita.
Anzi, fatta da lor donna e reina
La salutaro, o fosse frode o scherno:
D'armi reina, io dico, e di consigli;
30 Essa che ai piè de la imperante inchina
Stavasi, e fea di sue ricchezze eterno
Censo agli estranei, e de gli estrani al figli;
Che regger si dovea con l'altrui cenno;
35 Su l'avara ponea lance di Brenno.
È ver; tributo nol dicean costoro,
Men turpe nome il vincitor foggiava.
Ma che monta, per Dio! Terra che l'oro
Porta, costretta, allo straniero, è schiava.
40 E svelti i figli al genitor dal fianco,
E aprir loro le porte, ed esser padre
Delitto, e quasi anco i sospir nocenti;
E tratti in ceppi, e noverati a branco,
Spinti ad offesa d'innocenti squadre
45 Con cui meglio starieno abbracciamenti.
Oh giorni! oh campi che nomar non oso!
Deh! per chi mai scorrea
Quel sangue onde il terren vostro è fumoso?
O madri orbate, o spose, a chi crescea
50 Nel sen custode ogni viril portato?
Era tristezza esser feconde, e rea
Novella il dirvi: un pargoletto è nato!
Né gente or voglio cagionar de' mali
Che lo stesso bevea calice d'ira,
55 Né infonder tosco ne le piaghe aperte;
Ma dico sol ch'è da pensar da quali
Strette il perdono del Signor ne tira,
Perché sien maggior grazie a Lui riferte.
Ché quando eran più l'onte aspre ed estreme,
Ogni raggio parea d'umana speme;
Allor fuor de la nube arduo ed accinto,
Tuonando, il braccio salvator s'è mostro;
Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto;
65 Che a ragion si rallegra il popol nostro.
Bel mirar da le inospiti latebre
Giovin raminghi al sospirato tetto
Correr securi, ed a le braccia pie;
E quei che in ferri astrinse ed in tenebre
70 L'odio potente, un motto od un sospetto
Al soavi tornar colloquj e al die;
E un favellar di gioja e di speranza,
De' concordi pensier l'alma fidanza;
75 E il nobil fior de' generosi a scolta
Durar ne l'armi e vigilar, mostrando
Con che acceso voler la patria ascolta
Quando libero e vero è il suo dimando;
E quel che a dir le sue ragioni or chiama
80 Lunge da basso studio e da contesa,
Parlar per lei com'ella è desiosa,
E l'antica far chiara itala brama;
Che sarà, spero, a quei possenti intesa
Cui par che piaccia ogni più nobil cosa.
85 Vedi il drappello che al governo è sopra,
Al ben di tutti aver rivolta ogni opra;
E i ministri di Dio dal mite aringo
Nel dritto calle ragunar la greggia.
Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;
Ma qual parlar sì belle opre pareggia?
O delle imprese alla più degna accinto,
Signor che la parola hai proferita,
Che tante etadi indarno Italia attese;
Ah! quando un braccio le teneano avvinto
5 Genti che non vorrian toccarla unita,
E da lor scissa la pascean d'offese;
E l'ingorde udivam lunghe contese
Dei re tutti anelanti a farle oltraggio;
10 Di nostra speme ancor vivea, pensando
Ch'era in Italia un suol senza servaggio,
Ch'ivi slegato ancor vegliava un brando.
Sonava intanto d'ogni parte un grido,
Libertà delle genti e gloria e pace!
15 Ed aperto d'Europa era il convito,
E questa donna di cotanto lido,
Questa antica, gentil, donna pugnace
Degna non la tenean dell'alto invito:
Essa in disparte, e posto al labbro il dito,
20 Dovea il fato aspettar dal suo nemico,
Alla porta del ricco in sulla via;
Alcun non passa che lo chiami amico,
E non gli far dispetto è cortesia.
25 Forse infecondo di tal madre or langue
Il glorioso fianco? o forse ch'ella
Del latte antico oggi le vene ha scarse?
O figli or nutre, a cui per essa il sangue
Donar sia grave? o tali a cui più bella
30 Pugna sembri tra loro ingiuria farse?
Stolta bestemmia! eran le forze sparse,
E non le voglie; e quasi in ogni petto
Liberi non sarem se non siam uni;
35 Ai men forti di noi gregge dispetto,
Fin che non sorga un uom che ci raduni.
Egli è sorto, per Dio! Sì, per Colui
Che un dì trascelse il giovinetto ebreo
Che del fratello il percussor percosse;
40 E fattol duce e salvator de' sui
Degli avari ladron sul capo reo
L'ardua furia soffiò dell'onde rosse;
Per quel Dio che talora a stranie posse,
Certo in pena, il valor d'un popol trade;
Frange una volta, e gli oppressor confonde;
E all'uom che pugne per le sue contrade
L'ira e la gioia de' perigli infonde.
Con Lui, signor, dell'Itala fortuna
50 Le sparse verghe raccorrai da terra,
E un fascio ne farai ne la tua mano
. . . . . . . . . . . . .
di
della indipendenza germanica
il giorno XVIII d'Ottobre MDCCCXIII
che combattono per difendere
o per riconquistare
una patria.
Soffermati sull'arida sponda,
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell'antica virtù,
5 Han giurato: Non fia che quest'onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l'Italia e l'Italia, mai più!
L'han giurato: altri forti a quel giuro
10 Rispondean da fraterne contrade,
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
15 O compagni sul letto di morte,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell'Orba selvosa
20 Scerner l'onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell'Oglio le miste correnti,
Chi ritogliergli i mille torrenti
25 Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor:
30 O fia serva tra l'Alpe ed il mare;
Una d'arme, di lingua, d'altare,
Di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto,
35 Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo;
L'altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato, un segreto d'altrui;
40 La sua parte, servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia, e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v'è.
45 Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de' barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
50 Sta l'obbrobrio d'un giuro tradito;
V'accompagna all'iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
55 Ogni gente sia libera, e pera
Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de' vostri oppressori,
Se la faccia d'estranei signori
60 Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v'ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell'itale genti?
Chi v'ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v'udì?
65 Sì, quel Dio che nell'onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio, ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
70 Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l'ugne; l'Italia ti do.
Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
75 Dove ancor dell'umano lignaggio
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un'alta sventura,
80 Non c'è cor che non batta per te.
Quante volte sull'Alpe spiasti
L'apparir d'un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
85 Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno a' tuoi santi colori,
Forti, armati de' propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
90 Il furor delle menti segrete:
Per l'Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
95 O più serva, più vil, più derisa
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d'altrui,
100 Come un uomo straniero, le udrà!
Che a' suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: io non c'era;
Che la santa vittrice bandiera
Ei fu. Siccome immobile,
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Mista la sua non ha:
E scioglie all'urna un cantico
Che forse non morrà.
Dal Manzanarre al Reno,
30 Dall'uno all'altro mar.
Fattor, che volle in lui
La procellosa e trepida
E il giunge, e tiene un premio
Maggior dopo il periglio,
La reggia e il tristo esiglio:
50 L'un contro l'altro armati,
Come aspettando il fato;
65 Scorrea la vista a scernere
Stette, e dei dì che furono
85 Ahi! forse a tanto strazio
Scrivi ancor questo, allegrati;
Giammai non si chinò.
105 Il Dio che atterra e suscita,
Accanto a lui posò.