Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Alessandro Manzoni Tutte le poesie IntraText CT - Lettura del testo |
Sappi, ben mio, che questo
Non lo saprai da me.
Quel certo non so che.
Vuoi ch'io dica perché non lo dico?
10 Non lo dico, oh destino inimico!
Non lo dico, oh terribile intrico!
Non lo dico, perché non lo so.
15 Risponde: Vorrei
Saperlo da te.
20 È legge per me.
Se il chieggo a me stesso
. . . . . . . . .
[1814?]
Ch' a' suoi versi sopravvisse.
[Per la Lettera semiseria di Grisostomo]
[1816]
Vidi (credi, se il vuoi, volgo profano!)
E nel Lario si specchia il Baradello
Il Delfico calar Nume sovrano,
Ristar dell'antichissimo Castello.
Gli spirava dal volto ira divina,
E da la chioma odor d'ambrosia fina.
Sperai che, quale in su la rupe Ascrea
Almo suono ei trarria da la sua cetra;
Ma il Nume che tutt'altro in testa avea.
Stese la man sul tergo a la faretra:
15 Tolse uno stral, su l'arco d'oro il tese;
Lungo e profondo mormorio s'intese;
Ove su l'ampio verdeggiar dei prati
Sorge l'alta Milan, la mira ei volse.
20 Me prese alto terror pei Lari amati,
La voce a stento ad implorar si sciolse:
“Ferma! che fai? Deh non ferir, perdona,
Santo figlio di Giove e di Latona!”
25 Al dardo impaziente il vol ritenne,
Sembiante, a dir mi prese il dio di Delo:
“Fino a noi da que' lidi il grido venne
30 Tutti gli Dei, tutte le Dee del cielo,
E l'audacia di lui resta impunita?
Pera l'empia città che il lascia in vita!”
“Deh! per Leucotoe”, io dissi, “e per Giacinto,
35 Per quella Dafne più di tutte amata,
De la cui spoglia verde il capo hai cinto,
Frena la furia de la destra irata;
Pensa, o signor di Delfo, almo Sminteo,
40 Che se enorme è la colpa, un solo è il reo.
Un solo ha fatto ai numi vostri insulto,
Egli è il solo fra noi che non vi adora;
Non obliar per lui degli altri il culto:
Vedi il popolo pio che a voi le infiora,
Ascolta i preghi, odi l'umil saluto,
Che il Cordusio ti manda e il Bottonuto.
Tutto è pieno di voi. Qual rio cultore,
I semi affida a l'immortal Tellure?
Ad ardua impresa chi rivolge il core,
Non tenta il velo de le sorti oscure?
55 Quale è il nocchier che sciolga al vento i lini,
Pria di far sacrificio ai Dei marini?
Voi, se Fortuna a noi concede il crine
E perenne argomento ai canti nostri:
60 Così le Greche genti e le Latine
E degli Olimpj e dei Tartarei chiostri:
E noi, che in voi crediamo al par di loro,
Non sacreremo a voi le cetre d'oro?
65 Figlio di Rea, tu faretrato arciero,
Buon rapitor, che regno hai sopra l'ombre,
Tu che dal suolo uscir festi il destriero,
70 Tu che il virgineo crin d'ulivo adombre,
Io per me mi protesto, o Numi santi,
Umilissimo servo a tutti quanti.
Fa' luogo, o biondo Nume, al mio riclamo:
Non render risponsabile,
75 Per un sol che peccò, tutto un paese;
Lascia tranquilli noi che rei non siamo;
Sol contra l'empio schernitor sian prese”.
Tacqui, e m'accorsi dal placato aspetto
80 Che il biondo Dio gustava il mio progetto.
Lo stral ripose nel turcasso, e disse:
“Poi che quest'empio attentasi
Esercitar le nostre arti canore,
Queste orribili pene a lui sien fisse:
Sempre dimori e dalle nove suore;
Non abbia di Castalia onda ristauro,
Ne mai gli tocchi il crin fronda di lauro.
Giammai non monti il corridor che vola,
90 Ma intorno al vero aggirisi,
Viaggiando pedestre il vostro mondo.
Non spiri aura di Pindo in sua parola:
Suo petto trarre e dal pensier profondo,
95 E sia costretto lasciar sempre in pace
L'ingorda Libitina e il Veglio edace.
E perché privo d'ogni gioja e senza
Lira eburna gli tolgo e plettro aurato”.
100 Un gel mi prese alla feral sentenza;
E, sbigottito e pallido,
Esclamai: “Santi Numi, egli è spacciato!
E come vuoi che senza queste cose
Ei se la cavi?”. “Come può”, rispose.
105 Tacque, e ristette il Nume, simigliante
Che per Greco scalpel nel marmo spira,
Dove negli atti e nel divin sembiante
110 E sul labbro morir la turgid'ira:
Spunta il piacer de la vittoria in viso,
Mirando il corpo del Pitone anciso.
Dunque il tuo Lesbio per l'estinta Nice
Va su' tumuli erbosi a sparger pianti
Veracemente come in versi il dice?
Oh, che mi narri di siffatti vanti
5 Sentimentali che a bandir lor nome
Spandon cotesti pazzi sonettanti?
Poi gridan che ahi! gli è indarno offrir le chiome
Alla Tartarea Giuno, e abbracciar l'are
Dell'Eumenidi pie per vincer, come
10 Pur non fu dato al Tracio Orfeo, le avare
Fauci dell'atra Dite, e all'aureo sole
Ricondur le rapite anime care.
E sentono costoro? e in lor parole
Dolor tu forse, o amor, od altro senti
15 In mezzo al ghiaccio di cotante fole?
Male il Poeta ti pingesti in mente,
Diletto Giulio, e il tuo veder fallace
S'accusa in tal subbietto anco ebbramente.
Come i versi lodar puoi del dicace
20 Spensierato Berillo, ond'è schernita
Del buon Pacomio la vista verace
Perché incerto è nell'opre, ed ogni ardita
Sentenza il punge, e fugge i crocchi, e gode
Trar taciturna e solitaria vita?
25 Poi veggo il duolo che ti cruccia e rode
Se la scola t'ingiunge altra lettura
Che poemetti, canzoncine ed ode.
. . . . . . . . . . . . .
[1817]
ARMIDA - RINALDO - UBALDO - CARLO
La scena rappresenta gli orti di Armida.
Scena I
RINALDO solo
(col ventaglio in mano, all'ombra).
Oh! che caldo fa in questo paese!
Un più forte giammai non m'accese;
Nemmen quello del Nume d'Amor.
5 Non v'è alcun che me l'abbia cambiata;
Mi s'asciuga sul corpo il sudor.
Dacché mi trovo in questo
Non so se labirinto ovver palazzo
Rotondo, e di figura irregolare,
10 Giammai non vidi un uomo a cui parlare:
Tutto lo spasso mio
Fu il contar le colonne; e son seimila,
Ma l'architetto non le ha messe in fila.
Potessi almen sapere
15 Quel che fa Armida dentro il suo casotto!
Vi sta dalle otto del mattino alle otto
Della sera: ma zitto... appunto è dessa;
Dessa la sola fiamma del cor mio;
Ma è troppo giusto, ché son solo anch'io.
Scena II
In questa parte e in quella
E tu che fai, mio bene?
(accennando il casotto).
Da quella parte a questa
Quanto io feci per te? Ti addussi in questo
30 Solitario ritiro, e ne raccolsi
Quanto di bel sa far natura ed arte,
Co' suoi d'imitazion tratti più arditi
“L'imitatrice sua scherzando imiti”.
35 E perché nulla al sommo piacer manchi
Orsi, tigri, leoni, aquile, e serpi:
E quel ch'è più di tutti, un papagallo
40 Che nel periodar non fé mai fallo.
Ma pur qualche vivente
Che parlasse per uso, e non per caso,
Quando l'esser soletto
Quando s'annoja.
Deh! non dir tal parola, o cara gioja.
Se 'l dissi, ad arte e non a caso il fei:
Se non dicessi il resto io creperei.
50 Ohimè! che vuol dir questo?
Vuol dir: panico pesto. È tempo alfine
Ch'io parli, e tu m'ascolti; e se finora
Fui di poche parole...
55 La colpa non fu mia, ma d'un amico.
È quello il modo, insomma,
Di trattare un guerriero innamorato?
Lasciarlo sempre solo
A parlar con le belve e colle piante:
60 “Se non quando è con te romito amante”?
Cangiarlo in cacclator senza fucile?
Cangiarlo in giardinier senza badile?
Che fu antenato mio, trovossi un giorno
65 In questo contingente, in ch'io mi trovo;
Vedete che il trovato non è nuovo!
Ma quei si stava in festa,
A caccia, a giostre, a danze, ed a conviti
In mezzo ad una bella compagnia.
70 Ed io solo così convien che stia!
Che invenzioni son queste?
Non si tratta così con casa d'Este.
E vorresti, o degenere superbo,
75 Non sei degno di fargli il cameriero.
Quello era un uom famoso in tutto il mondo,
Dai guerrieri nell'arme più lodati:
E tu degno non sei
80 Di comandare a quattro venturieri;
Se Goffredo, quel re dei galantuomini,
Sa conoscere il merito degli uomini.
Ma... finiamola; io voglio pettinarmi,
85 Saranno al tuo fedel sempre nascose?
Al mio fido consigliere.
Quello è un uom che sa tacere,
E a nessuno le dirà.
90 Basta, basta... Mi rimetto.
Se voi fate qualche cosa,
Qualche cosa si vedrà.
95 Certo per nulla al fianco mio s'appese!
Ripete l'oro fin della tua chioma,
100 Ma guàrdati nei specchi, almi, celesti.
No, mio fedel: favellami sul sodo.
Oh quanto di parlare un poco io godo!
Quel complimento che tu m'hai suonato,
105 Il venditor di specchi è rovinato.
Scusa se in geroglifico io favello,
Per dire il vero, anch'io ne intendo nulla.
Dunque facciamo fine.
110 Ahimè! che nuova è questa?
Non posso, in verità.
115 Torno all'usato albergo...
(Rinaldo vuol seguirla, ma Armida,
accennandogli di star fermo, dice:)
Più innanzi non si va!
Scena I
RINALDO solo
120 Per li gigli di un bel sen!
Quest'è quel che fa felice
125 Quanto è dolce, allor che tenero
Dirle: - O cara, un dolce dardo
Il mio cor, che ovunque il giri,
Ed allora che allo specchio
Ella ha vòlto il suo bei viso,
135 Dirle: - Io vedo un paradiso
140 Mi darebbe un gran piacer.
Mai non fu, giammai non fia! -
Scena II
Udii: non sembra mal disposto.
150 Dunque mostriamoci...
Oh Dei!
Ecco esauditi alfine i vóti miei:
Appunto: cosa fa?
Ove tu lo lasciasti ancora sta:
155 Seda sedizioni col mostrarsi;
E poi fa quel che fanno i Genovesi.
Mal ti spiegasti, o pure io mal t'intesi.
Che diseccò ogni fonte ed ogni roggia...
Colla pioggia.
Il pio Goffredo la lasciò cadere,
Affrettandola un po' colle preghiere.
Comandava gli eserciti frattanto?
165 Credo non combattessero in quel canto.
Fu bruciata una macchina stupenda,
Talché non si poté più dar l'assalto.
Me ne rallegro!
E per rifarne un'altra
170 Io sono avventuriero,
Non inventor di macchine: che parli?
È ver: ma è duopo per tagliare un bosco,
Ha legname che possa in uso porse,
175 D'un uom della tua schiena:
Ecco l'alta cagion che qui ci mena.
Carlo, Ubaldo, voi tutti, ospiti amici,
Ditemi: al campo non vi son Trentini?
180 Quando lo venni in Gerosolima,
Non mi disse: “O mio figliuolo,
185 Io ti mando a spaccar legna”.
Io vengo, oh giubbilo!
Tutto quel bosco
Anche a segar.
Ei viene, oh giubbilo!
Per me, non parlo:
Presto, dunque, fuggiam.
Che fretta avete?
Se qualcuno ci scopre...
200 Eh! che non v'è nessuno...
Se per caso non fosse il pappagallo.
Ecco Armida che viene.
Or siamo in ballo.
Scena III
205 Un bel ge - sol - re - ut.
Per prepararti il cor.
210 Attenti, miei signori, ed incomincio.
“Non aspettar...”
Me n'andava.
Deh! non m'interrompete almen l'esordio.
È la metà dell'opra un bel primordio!
215 Non aspettar ch'io preghi che tu resti:
Che mi lasci venire ove tu vai;
Ti potrò far servigio, lo vedrai.
Io ti starò dinnanzi:
220 “Barbaro forse non sarà sì crudo,
Che ti voglia ferir per non piagarmi”.
Dite davvero, o fate per burlarmi?
Anzi ti faccio una proposta in forma.
225 Parla la bella donna, e par che dorma.
Ti coprirò.
Non farem nulla:
Ti piglierà.
E ti dirà:
Venga al quartiere
Di Mustafà”.
Tu non sei nato
Ti fece il mar,
Allor che il Caucaso
(La cosa è piana)
Eternamente avrai.
250 Non me ne importa un corno,
Perché non ti vedrò.
Ma cado tramortita, e mi diffondo
Poter del mondo!
255 Non mi senti e non mi vedi?
260 Sta' pur lì fino a dimane;
Ch'io per me già me ne vo.
Lingua mendace che invoca gli Dei
Essendo in suo cuore ateo mitologico,
Tu credesti ingannare i sensi miei
Con stile affettatamente pedagogico.
5 Del qual giammai creduto io non avrei
Che mi stimassi tanto cacologico
Da non discerner sensi buoni e rei
Sotto il velame del linguaggio anfibologico.
Falso avvocato ne fingesti difensore
10 Per tirare in rovina il tuo cliente.
O stelle! o numi! chi vide un tale orrore?.
E per tradire ancor più impunemente
Pigliare un nome caro all'alme Suore
Come la tua inizial spergiura e mente!
On badée, che voeur fa da sapienton,
El se toeu subet via par on badée;
Ma on omm de coo, che voeur parè mincion,
El se mett anca lù in d'on bell cuntée.
L'AUTORE
[1822?]
Già vivo al guardo la tua man pingea
Un che in nebbia m'apparve all'intelletto:
Altra or fugace e senza forme idea
Timida accede all'alto tuo concetto:
5 Lieto l'accoglie, e un immortal ne crea
Di maraviglia e di pietade oggetto;
Mentre aver sol potea dal verso mio
Pochi giorni di spregio, e poi l'oblio.
Prole eletta dal Ciel, Saffo novella
Di tanto avanzi in bei versi celesti
5 Canti della infelice tua rivale,
Nello scoglio fatal, m'attristi; ed io
T'offro il plauso migliore, il pianto mio.
10 Ma tu credilo intanto ad alma schietta,
L'ombra illustre per te placata fora,
Se il villano amator vivesse ancora.
[1828]
Salve, o divino, cui largì Natura
Il cor di Dante e del suo Duca il canto!
Questo fia il grido dell'età futura;
Ma l'età che fu tua tel dice in pianto.