(Arvino si ritira)
CARLO
Tu se' latino, e qui? tu
nel mio campo,
Illeso, inosservato?
MARTINO
Inclita
speme
Dell'ovil santo e del
Pastor, ti veggo;
E de' miei stenti e de'
perigli è questa
Ampia mercé; ma non è sola.
Eletto
A strugger gli empi! ad
insegnarti io vengo
La via.
CARLO
Qual
via?
MARTINO
Quella
ch'io feci.
CARLO
E
come
Giungesti a noi? Chi se'?
Donde l'ardito
Pensier ti venne?
MARTINO
All'ordin
sacro ascritto
De' diaconi io son: Ravenna
il giorno
Mi dié: Leone, il suo
Pastor, m'invia.
Vanne, ei mi disse, al
salvator di Roma;
Trovalo: Iddio sia teco; e
s'Ei di tanto
Ti degna, al re sii scorta:
a lui di Roma
Presenta il pianto, e
d'Adrian.
CARLO
Tu
vedi
Il suo legato.
PIETRO
Ch'io
la man ti stringa,
Prode concittadino: a noi
tu giungi
Angel di gioia.
MARTINO
Uom
peccator son io;
Ma la gioia è dal cielo, e
non fia vana.
CARLO
Animoso Latin, ciò che
veduto,
Ciò che hai sofferto, il
tuo cammino e i rischi,
Tutto mi narra.
MARTINO
Di
Leone al cenno,
Verso il tuo campo io mi
drizzai; la bella
Contrada attraversai, che
nido è fatta
Del Longobardo e da lui
piglia il nome.
Scorsi ville e città, sol
di latini
Abitatori popolate: alcuno
Dell'empia razza a te
nemica e a noi
Non vi riman, che le
superbe spose
De' tiranni e le madri, ed
i fanciulli
Che s'addestrano all'armi,
e i vecchi stanchi,
Lasciati a guardia de'
cultor soggetti,
Come radi pastor di folto
armento.
Giunsi presso alle Chiuse:
ivi addensati
Sono i cavalli e l'armi;
ivi raccolta
Tutta una gente sta, perché
in un colpo
Strugger la possa il braccio
tuo.
CARLO
Toccasti,
Il campo lor? qual è? che
fan?
MARTINO
Securi
Da quella parte che
all'Italia è volta,
Fossa non hanno, né ripar,
né schiere
In ordinanza: a fascio
stanno; e solo
Si guardan quinci, donde
solo han tema
Che tu attinger li possa. A
te, per mezzo
Il campo ostil, quindi
venir non m'era
Possibil cosa; e nol
tentai; ché cinto
Al par di rocca è questo
lato; e mille
Volte nemico tra costor
chiarito
M'avria la breve chioma, il
mento ignudo,
L'abito, il volto ed il
sermon latino.
Straniero ed inimico,
inutil morte
Trovato avrei; reddir senza
vederti
M'era più amaro che il
morir. Pensai
Che dall'aspetto salvator
di Carlo
Un breve tratto mi partia: risolsi
La via cercarne, e la
rinvenni.
CARLO
E
come
Nota a te fu? come al
nemico ascosa?
MARTINO
Dio gli accecò. Dio mi
guidò. Dal campo
Inosservato uscii; l'orme
ripresi
Poco innanzi calcate; indi
alla manca
Piegai verso aquilone, e
abbandonando
I battuti sentieri, in
un'angusta
Oscura valle m'internai: ma
quanto
Più il passo procedea,
tanto allo sguardo
Più spaziosa ella si fea.
Qui scorsi
Gregge erranti e tuguri:
era codesta
L'ultima stanza de'
mortali. Entrai
Presso un pastor, chiesi
l'ospizio, e sovra
Lanose pelli riposai la
notte.
Sorto all'aurora, al buon
pastor la via
Addimandai di Francia. -
Oltre quei monti
Sono altri monti, ei disse,
ed altri ancora;
E lontano lontan Francia;
ma via
Non avvi; e mille son que'
monti, e tutti
Erti, nudi, tremendi,
inabitati,
Se non da spirti, ed uom
mortal giammai
Non li varcò. - Le vie di
Dio son molte,
Più assai di quelle del
mortal, risposi;
E Dio mi manda. - E Dio ti
scorga, ei disse:
Indi, tra i pani che teneva
in serbo,
Tanti pigliò di quanti un
pellegrino
Puote andar carco; e, in
rude sacco avvolti,
Ne gravò le mie spalle: il
guiderdone
Io gli pregai dal cielo, e
in via mi posi.
Giunsi in capo alla valle,
un giogo ascesi,
E in Dio fidando, lo
varcai. Qui nulla
Traccia d'uomo apparia;
solo foreste
D'intatti abeti, ignoti
fiumi, e valli
Senza sentier: tutto tacea;
null'altro
Che i miei passi io
sentiva, e ad ora ad ora
Lo scrosciar dei torrenti,
o l'improvviso
Stridir del falco, o
l'aquila, dall'erto
Nido spiccata sul mattin,
rombando
Passar sovra il mio capo,
o, sul meriggio,
Tocchi dal sole, crepitar
del pino
Silvestre i coni. Andai
così tre giorni;
E sotto l'alte piante, o
ne' burroni
Posai tre notti. Era mia
guida il sole;
Io sorgeva con esso, e il
suo viaggio
Seguia, rivolto al suo
tramonto. Incerto
Pur del cammino io gìa, di
valle in valle
Trapassando mai sempre; o
se talvolta
D'accessibil pendio
sorgermi innanzi
Vedeva un giogo, e
n'attingea la cima,
Altre più eccelse cime,
innanzi, intorno
Sovrastavanmi ancora;
altre, di neve
Da sommo ad imo
biancheggianti, e quasi
Ripidi, acuti padiglioni,
al suolo
Confitti; altre ferrigne,
erette a guisa
Di mura insuperabili. -
Cadeva
Il terzo sol quando un gran
monte io scersi,
Che sovra gli altri ergea
la fronte, ed era
Tutto una verde china, e la
sua vetta
Coronata di piante. A
quella parte
Tosto il passo io rivolsi.
- Era la costa
Oriental di questo monte
istesso,
A cui, di contro al sol
cadente, il tuo
Campo s'appoggia, o sire. -
In su le falde
Mi colsero le tenebre: le
secche
Lubriche spoglie degli
abeti, ond'era
Il suol gremito, mifur
letto, e sponda
Gli antichissimi tronchi.
Una ridente
Speranza, all'alba,
risvegliommi; e pieno
Di novello vigor la costa
ascesi.
Appena il sommo ne toccai,
l'orecchio
Mi percosse un ronzio che
di lontano
Parea venir, cupo,
incessante; io stetti,
Ed immoto ascoltai. Non
eran l'acque
Rotte fra i sassi in giù;
non era il vento
Che investia le foreste, e,
sibilando,
D'una in altra scorrea, ma
veramente
Un rumor di viventi, un
indistinto
Suon di favelle e d'opre e
di pedate
Brulicanti da lungi, un
agitarsi
D'uomini immenso. Il cuor balzommi;
e il passo
Accelerai. Su questa, o re,
che a noi
Sembra di qui lunga ed
acuta cima
Fendere il ciel, quasi
affilata scure,
Giace un'ampia pianura, e
d'erbe è folta,
Non mai calcate in pria.
Presi di quella
Il più breve tragitto: ad
ogni istante
Si fea il rumor più presso:
divorai
L'estrema via: giunsi
sull'orlo: il guardo
Lanciai giù nella valle, e
vidi... oh! vidi
Le tende d'Israello, i
sospirati
Padiglion di Giacobbe: al
suol prostrato,
Dio ringraziai, li
benedissi, e scesi.
CARLO
Empio colui che non vorrà
la destra
Qui riconoscer dell'Eccelso!
PIETRO
E
quanto
Più manifesta apparirà
nell'opra,
A cui l'Eccelso ti destina!
CARLO
Ed
io
La compirò.
(a Martino)
Pensa,
o Latino, e certa
Sia la risposta: a
cavalieri il passo
Dar può la via che
percorresti?
MARTINO
Il
puote.
E a che l'avrebbe preparata
il Cielo?
Per chi, signor? perché un
mortale oscuro
Al re de' Franchi narrator
venisse
D'inutile portento?
CARLO
Oggi
a riposo
Nella mia tenda rimarrai:
sull'alba,
Ad un'eletta di guerrier tu
scorta
Per quella via sarai. -
Pensa, o valente,
Che il fior di Francia alla
tua scorta affido.
MARTINO
Con lor sarò: di mie
promesse pegno
Il mio capo ti fia.
CARLO
Se
di quest'alpe
Mi sferro alfine, e
vincitore al santo
Avel di Piero, al desiato
amplesso
Del gran padre Adrian
giunger m'è dato,
Se grazia alcuna al suo
cospetto un mio
Prego aver può, le
pastorali bende
Circonderan quel capo; e
faran fede
In quanto onor Carlo lo
tenga. - Arvino!
(entra Arvino)
I Conti e i Sacerdoti.
(al legato e a
Martino)
E
voi, le mani
Alzate al Ciel; le grazie a
lui rendute
Preghiera sian che favor
novo impetri.
(partono il Legato e
Martino)
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