ADELCHI
Padre, ti trovo!
(s'abbracciano)
DESIDERIO
S'io t'avessi ascoltato!
ADELCHI
Oh! che rammenti?
Padre, tu vivi; un alto
scopo ancora
È serbato a' miei dì;
spender li posso
In tua difesa. - O mio
signor, la lena
Come ti regge?
DESIDERIO
Oh!
per la prima volta
Sento degli anni e degli
stenti il peso.
Di gravi io ne portai, ma
allor non era
Per fuggire un nemico.
ADELCHI (ai
Longobardi)
Ecco,
o guerrieri,
Il vostro re.
UN LONGOBARDO
Noi
morirem per lui!
MOLTI LONGOBARDI
Tutti morrem!
ADELCHI
Quand'è
così, salvargli
Forse potrem più che la
vita. - E a questa
Causa, or sì dubbia ma
ognor sacra, afflitta
Ma non perduta, voi legate
ancora
La vostra fede?
UN LONGOBARDO
A'
tuoi guerrieri, Adelchi,
Risparmia i giuri: ai
longobardi labbri
Disdicon oggi, o re:
somiglian troppo
Allo spergiuro. Opre ci
chiedi: il solo
Segno de' fidi è questo
omai.
ADELCHI
V'ha dunque
De' Longobardi ancora! -
Ebben; corriamo
Sopra Pavia; fuggiam,
salviam per ora
La nostra vita, ma per
farla in tempo
Cara costar; donarla al
tradimento
Non è valor. Quanti potrem
dispersi
Raccoglierem per via; misti
con noi
Ritorneran soldati. Entro
Pavia,
A riposo, a difesa, o
padre, intanto
Restar potrai: cinta di
mura intatte,
Ricca d'arme è Pavia: due
volte Astolfo
Vi si chiuse fuggiasco, e
re ne uscìo.
Io mi getto in Verona. O
re, trascegli
L'uom che restar deva al
tuo fianco.
DESIDERIO
Il
duca
D'Ivrea.
ADELCHI (a Guntigi che
s'avanza)
Guntigi,
io ti confido il padre.
Il duca di Verona ov'è?
GISELBERTO
(si avanza)
Tra
i fidi.
ADELCHI
Meco verrai: nosco trarrem
Gerberga.
Triste colui che nella sua
sventura
Gli sventurati obblia!
Baudo, il tuo posto
Lo sai: chiuditi in
Brescia; ivi difendi
Il tuo ducato, ed
Ermengarda. - E voi,
Alachi, Ansuldo, Ibba, Cunberto,
Ansprando,
(li sceglie tra la
folla)
Tornate al campo: oggi pur
troppo ai Franchi
Ponno senza sospetto i
Longobardi
Mischiarsi: esaminate i
duchi, i conti
Esplorate, e i guerrier:
dai traditori
Discernete i sorpresi, e a
quei che mesti
Vergognosi, vedrete da
codesto
Orrido sogno di viltà
destarsi,
Dite ch'è tempo ancor, che
i re son vivi,
Che si combatte, che una
via rimane
Di morir senza infamia; e
li guidate
Alle città munite. Ei
diverranno
Invitti: il brando del
guerrier pentito
È ritemprato a morte. Il
tempo, i falli
Dell'inimico, il vostro
cor, consigli
Inaspettati vi daranno. Il
tempo
Porterà la salute; il regno
è sperso
In questo dì, ma non
distrutto!
(partono gli indicati da
Adelchi)
DESIDERIO
O figlio!
Tu m'hai renduto il mio
vigor: partiamo.
ADELCHI
Padre, io t'affido a questi
prodi; or ora
Anch'io teco sarò.
DESIDERIO
Che
attendi?
ADELCHI
Anfrido.
Ei dal mio fianco si
disgiunse, e volle
Seguirmi da lontan; più
presso al rischio
Star, per guardarmi; io non
potei dal duro
Voler, da tanta fedeltà
distorlo.
Seco indugiarmi, di tua
vita in forse,
Io non potea: ma tu sei
salvo, e quinci
Non partirò, fin ch'ei non
giunga.
DESIDERIO
E
teco
Aspetterò.
ADELCHI
Padre...
(a un soldato che
sopraggiunge)
Vedesti
Anfrido?
IL SOLDATO
Re, che mi chiedi?
ADELCHI
O
ciel! favella.
IL SOLDATO
Il
vidi
Morto cader.
ADELCHI
Giorno
d'infamia e d'ira,
Tu se' compiuto! O mio
fratel, tu sei
Morto per me! tu
combattesti!... ed io...
Crudel! perché volesti ad
un periglio
Solo andar senza me? Non
eran questi
I nostri patti. Oh Dio!...
Dio, che mi serbi
In vita ancor, che un gran
dover mi lasci,
Dammi la forza per
compirlo. - Andiamo.
CORO
Dagli atrii muscosi, dai
fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse
fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo
sudor,
Un volgo disperso repente
si desta;
Intende l'orecchio, solleva
la testa
Percosso da novo crescente
romor.
Dai guardi dubbiosi, dai
pavidi volti,
Qual raggio di sole da
nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera
virtù:
Ne' guardi, ne' volti,
confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo
spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un
tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde
tremante,
Per torti sentieri, con
passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza
e ristà;
E adocchia e rimira scorata
e confusa
De' crudi signori la turba
diffusa,
Che fugge dai brandi, che
sosta non ha.
Ansanti li vede, quai
trepide fere,
Irsuti per tema le fulve
criniere,
Le note latebre del covo
cercar;
E quivi, deposta l'usata
minaccia,
Le donne superbe, con
pallida faccia,
I figli pensosi pensose
guatar.
E sopra i fuggenti, con
avido brando,
Quai cani disciolti,
correndo, frugando,
Da ritta, da manca,
guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto
contento,
Con l'agile speme precorre
l'evento,
E sogna la fine del duro
servir.
Udite! Quei forti che
tengono il campo,
Che ai vostri tiranni
precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per
aspri sentier:
Sospeser le gioie dei
prandi festosi,
Assursero in fretta dai
blandi riposi,
Chiamati repente da squillo
guerrier.
Lasciar nelle sale del
tetto natio
Le donne accorate, tornanti
all'addio,
A preghi e consigli che il
pianto troncò:
Han carca la fronte de'
pesti cimieri,
Han poste le selle sui
bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo
sonò.
A torme, di terra passarono
in terra,
Cantando giulive canzoni di
guerra,
Ma i dolci castelli
pensando nel cor:
Per valli petrose, per
balzi dirotti,
Vegliaron nell'arme le
gelide notti,
Membrando i fidati colloqui
d'amor.
Gli oscuri perigli di
stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le
corse affannose,
Il rigido impero, le fami
durâr;
Si vider le lance calate
sui petti,
A canto agli scudi, rasente
agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando
volar.
E il premio sperato,
promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger
le sorti,
D'un volgo straniero por
fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe
ruine,
All'opere imbelli dell'arse
officine,
Ai solchi bagnati di servo
sudor.
Il forte si mesce col vinto
nemico,
Col novo signore rimane
l'antico;
L'un popolo e l'altro sul
collo vi sta.
Dividono i servi, dividon
gli armenti;
Si posano insieme sui campi
cruenti
D'un volgo disperso che
nome non ha.
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