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Alessandro Manzoni Adelchi IntraText CT - Lettura del testo |
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ATTO QUARTO.
Scena Prima. Ermengarda, sostenuta da due Donzelle, Ansberga.
Giardino del monastero di San Salvatore in Brescia
ERMENGARDA, sostenuta da due DONZELLE, ANSBERGA
ERMENGARDA
Qui sotto il tiglio, qui.
(s'adagia sur un sedile)
Come è soave Questo raggio d'april! come si posa Sulle frondi nascenti! Intendo or come Tanto ricerchi il sol colui, che, d'anni Carco, fuggir sente la vita!
(alle Donzelle)
A voi Grazie, a voi, che, reggendo il fianco infermo, Pago feste l'amor ch'oggi mi prese Di circondarmi ancor di queste aperte Aure, ch'io prime respirai, del Mella; Sotto il mio cielo di sedermi, e tutto Vederlo ancor, fin dove il guardo arriva. - Dolce sorella, a Dio sacrata madre, Pietosa Ansberga!
(le porge la mano: le Donzelle si ritirano: Ansberga siede)
- Di tue cure il fine S'appressa, e di mie pene. Oh! con misura Le dispensa il Signor. Sento una pace Stanca, foriera della tomba: incontro L'ora di Dio più non combatte questa Mia giovinezza doma; e dolcemente, Più che sperato io non avrei, dal laccio L'anima, antica nel dolor, si solve. L'ultima grazia ora ti chiedo: accogli Le solenni parole, i voti ascolta Della morente, in cor li serba, e puri Rendili un giorno a quei ch'io lascio in terra. - Non turbarti, o diletta: oh! non guardarmi Accorata così. Di Dio, nol vedi?, Questa è pietà. Vuoi che mi lasci in terra Pel dì che Brescia assaliran? per quando Un tal nemico appresserà? che a questo Ineffabile strazio Ei qui mi tenga?
ANSBERGA
Cara infelice, non temer: lontane Da noi son l'armi ancor: contra Verona, Contra Pavia, de' re, dei fidi asilo, Tutte le forze sue quell'empio adopra; E, spero in Dio, non basteranno. Il nostro Nobil cugin, l'ardito Baudo, il santo Vescovo Ansvaldo, a queste mura intorno Del Benaco i guerrieri e delle valli Han radunati; e immoti stanno, accinti A difesa mortal. Quando Verona Cada e Pavia (Dio, nol consenti!) un novo Lungo conflitto...
ERMENGARDA
Io nol vedrò: disciolta Già d'ogni tema e d'ogni amor terreno, Dal rio sperar, lunge io sarò; pel padre Io pregherò, per quell'amato Adelchi, Per te, per quei che soffrono, per quelli Che fan soffrir, per tutti. - Or tu raccogli La mia mente suprema. Al padre, Ansberga, Ed al fratel, quando li veda - oh questa Gioia negata non vi sia! - dirai Che, all'orlo estremo della vita, al punto In cui tutto s'obblia, grata e soave Serbai memoria di quel dì, dell'atto Cortese, allor che a me tremante, incerta Steser le braccia risolute e pie, Né una reietta vergognar; dirai Che al trono del Signor, caldo, incessante, Per la vittoria lor stette il mio prego; E s'Ei non l'ode, alto consiglio è certo Di pietà più profonda: e ch'io morendo Gli ho benedetti. - Indi, sorella... oh! questo Non mi negar... trova un Fedel che possa, Quando che sia, dovunque, a quel feroce Di mia gente nemico approssimarsi...
ANSBERGA
Carlo!
ERMENGARDA
Tu l'hai nomato: e sì gli dica: Senza rancor passa Ermengarda: oggetto D'odio in terra non lascia, e di quel tanto Ch'ella sofferse, Iddio scongiura, e spera Ch'Egli a nessun conto ne chieda, poi Che dalle mani sue tutto ella prese. Questo gli dica, e... se all'orecchio altero Troppo acerba non giunge esta parola... Ch'io gli perdono. - Lo farai?
ANSBERGA
L'estreme Parole mie riceva il ciel, siccome Queste tue mi son sacre.
ERMENGARDA
Amata! e d'una Cosa ti prego ancor: della mia spoglia, Cui mentre un soffio l'animò, sì larga Fosti di cure, non ti sia ribrezzo Prender l'estrema; e la componi in pace. Questo anel che tu vedi alla mia manca, Scenda seco nell'urna; ei mi fu dato Presso all'altar, dinanzi a Dio. Modesta Sia l'urna mia: - tutti siam polve: ed io Di che mi posso gloriar? - ma porti Di regina le insegne: un sacro nodo Mi fe' regina: il don di Dio, nessuno Rapir lo puote, il sai: come la vita, Dee la morte attestarlo.
ANSBERGA
Oh! da te lunge Queste memorie dolorose! - Adempi Il sagrifizio; odi: di questo asilo, Ove ti addusse pellegrina Iddio, Cittadina divieni; e sia la casa Del tuo riposo tua. La sacra spoglia Vesti, e lo spirto seco, e d'ogni umana Cosa l'obblio.
ERMENGARDA
Che mi proponi, Ansberga? Ch'io mentisca al Signor! Pensa ch'io vado Sposa dinanzi a Lui; sposa illibata, Ma d'un mortal. - Felici voi! felice Qualunque, sgombro di memorie il core Al Re de' regi offerse, e il santo velo Sovra gli occhi posò, pria di fissarli In fronte all'uom! Ma - d'altri io sono.
ANSBERGA
Oh mai Stata nol fossi!
ERMENGARDA
Oh mai! ma quella via, Su cui ci pose il ciel, correrla intera Convien, qual ch'ella sia, fino all'estremo. - E, se all'annunzio di mia morte, un novo Pensier di pentimento e di pietade Assalisse quel cor? Se, per ammenda Tarda, ma dolce ancor, la fredda spoglia Ei richiedesse come sua, dovuta Alla tomba real? - Gli estinti, Ansberga, Talor de' vivi son più forti assai.
ANSBERGA
Oh! nol farà.
ERMENGARDA
Tu pia, tu poni un freno Ingiurioso alla bontà di Lui, Che tocca i cor, che gode, in sua mercede, Far che ripari, chi lo fece, il torto?
ANSBERGA
No, sventurata, ei nol farà. - Nol puote.
ERMENGARDA
Come? perché nol puote?
ANSBERGA
O mia diletta, Non chieder oltre; obblia.
ERMENGARDA
Parla! alla tomba Con questo dubbio non mandarmi.
ANSBERGA
Oh! l'empio il suo delitto consumò.
ERMENGARDA
Prosegui!
ANSBERGA
Scaccialo al tutto dal tuo cor. Di nuove Inique nozze ei si fe' reo: sugli occhi Degli uomini e di Dio, l'inverecondo, Come in trionfo, nel suo campo ei tragge Quella Ildegarde sua...
(Ermengarda sviene)
Tu impallidisci! Ermengarda! non m'odi? Oh ciel! sorelle, Accorrete! oh che feci!
(entrano le due Donzelle e varie Suore)
Oh! chi soccorso Le dà? Vedete: il suo dolor l'uccide.
PRIMA SUORA
Fa core; ella respira.
SECONDA SUORA
Oh sventurata! A questa età, nata in tal loco, e tanto Soffrir!
UNA DONZELLA
Dolce mia donna!
PRIMA SUORA
Ecco le luci Apre.
ANSBERGA
Oh che sguardo! Ciel! che fia?
ERMENGARDA (in delirio)
Scacciate Quella donna, o scudieri! Oh! non vedete Come s'avanza ardimentosa, e tenta Prender la mano al re?
ANSBERGA
Svegliati: oh Dio! Non dir così; ritorna in te; respingi Questi fantasmi; il nome santo invoca.
ERMENGARDA (in delirio)
Carlo! non lo soffrir: lancia a costei Quel tuo sguardo severo. Oh! tosto in fuga Andranne: io stessa, io sposa tua, non rea Pur d'un pensiero, intraveder nol posso Senza tutta turbarmi. - Oh ciel! che vedo? Tu le sorridi? Ah no! cessa il crudele Scherzo; ei mi strazia, io nol sostengo. - O Carlo, Farmi morire di dolor, tu il puoi; Ma che gloria ti fia? Tu stesso un giorno Dolor ne avresti. - Amor tremendo è il mio. Tu nol conosci ancora; oh! tutto ancora Non tel mostrai; tu eri mio: secura Nel mio gaudio io tacea; né tutta mai Questo labbro pudico osato avria Dirti l'ebbrezza del mio cor segreto. - Scacciala, per pietà! Vedi; io la temo, Come una serpe: il guardo suo m'uccide. - Sola e debol son io: non sei tu il mio Unico amico? Se fui tua, se alcuna Di me dolcezza avesti... oh! non forzarmi A supplicar così dinanzi a questa Turba che mi deride... Oh cielo! ei fugge! Nelle sue braccia!... io muoio!...
ANSBERGA
Oh! mi farai Teco morir!
ERMENGARDA (in delirio)
Dov'è Bertrada? io voglio Quella soave, quella pia Bertrada! Dimmi, il sai tu? tu, che la prima io vidi, Che prima amai di questa casa, il sai? Parla a questa infelice: odio la voce D'ogni mortal; ma al tuo pietoso aspetto, Ma nelle braccia tue sento una vita, Un gaudio amaro che all'amor somiglia. - Lascia ch'io ti rimiri, e ch'io mi segga Qui presso a te: son così stanca! Io voglio Star presso a te; voglio occultar nel tuo Grembo la faccia, e piangere: con teco Piangere io posso! Ah non partir! prometti Di non fuggir da me, fin ch'io mi levi Inebbriata dal mio pianto. Oh! molto Da tollerarmi non ti resta: e tanto Mi amasti! Oh quanti abbiam trascorsi insieme Giorni ridenti! Ti sovvien? varcammo Monti, fiumi e foreste; e ad ogni aurora Crescea la gioia del destarsi. Oh giorni!... No, non parlarne per pietà! Sa il cielo S'io mi credea che in cor mortal giammai Tanta gioia capisse e tanto affanno! Tu piangi meco! Oh! consolar mi vuoi? Chiamami figlia: a questo nome io sento Una pienezza di martir, che il core M'inonda, e il getta nell'obblio.
(ricade)
ANSBERGA
Tranquilla Ella moria!
ERMENGARDA (in delirio)
Se fosse un sogno! e l'alba Lo risolvesse in nebbia! e mi destassi Molle di pianto ed affannosa; e Carlo La cagion ne chiedesse, e, sorridendo, Di poca fe' mi rampognasse!
(ricade in letargo)
ANSBERGA
O Donna Del ciel, soccorri a questa afflitta!
PRIMA SUORA
Oh! vedi: Torna la pace su quel volto; il core Sotto la man più non trabalza.
ANSBERGA
O suora! Ermengarda! Ermengarda!
ERMENGARDA (riavendosi)
Oh! Chi mi chiama?
ANSBERGA
Guardami; io sono Ansberga: a te d'intorno Stan le donzelle tue, le suore pie, Che per la pace tua pregano.
ERMENGARDA
Il cielo Vi benedica. - Ah! sì: questi son volti Di pace e d'amistà. - Da un tristo sogno Io mi risveglio.
ANSBERGA
Misera! travaglio Più che ristoro ti recò sì torba Quiete.
ERMENGARDA
È ver: tutta la lena è spenta. Reggimi, o cara; e voi, cortesi, al fido Mio letticciol traetemi: l'estrema Fatica è questa che vi doma tutte Son contate lassù. - Moriamo in pace. Parlatemi di Dio: sento ch'Ei giunge.
CORO
Sparsa le trecce morbide Sull'affannoso petto, Lenta le palme, e rorida Di morte il bianco aspetto, Giace la pia, col tremolo Sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime S'innalza una preghiera: Calata in su la gelida Fronte, una man leggiera Sulla pupilla cerula Stende l'estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall'ansia Mente i terrestri ardori; Leva all'Eterno un candido Pensier d'offerta, e muori: Fuor della vita è il termine Del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile Era quaggiuso il fato: Sempre un obblio di chiedere Che le saria negato; E al Dio de' santi ascendere Santa del suo patir.
Ahi! nelle insonni tenebre, Pei claustri solitari, Tra il canto delle vergini, Ai supplicati altari, Sempre al pensier tornavano Gl'irrevocati dì;
Quando ancor cara, improvida D'un avvenir mal fido, Ebbra spirò le vivide Aure del Franco lido, E tra le nuore Saliche Invidiata uscì:
Quando da un poggio aereo, Il biondo crin gemmata, Vedea nel pian discorrere La caccia affaccendata, E sulle sciolte redini Chino il chiomato sir;
E dietro a lui la furia De' corridor fumanti; E lo sbandarsi, e il rapido Redir de' veltri ansanti; E dai tentati triboli L'irto cinghiale uscir;
E la battuta polvere Riga di sangue, colto Dal regio stral: la tenera Alle donzelle il volto Volgea repente, pallida D'amabile terror.
Oh Mosa errante! oh tepidi Lavacri d'Aquisgrano! Ove, deposta l'orrida Maglia, il guerrier sovrano Scendea del campo a tergere Il nobile sudor!
Come rugiada al cespite Dell'erba inaridita, Fresca negli arsi calami Fa rifluir la vita, Che verdi ancor risorgono Nel temperato albor;
Tale al pensier, cui l'empia Virtù d'amor fatica, Discende il refrigerio D'una parola amica, E il cor diverte ai placidi Gaudii d'un altro amor.
Ma come il sol che, reduce, L'erta infocata ascende, E con la vampa assidua L'immobil aura incende, Risorti appena i gracili Steli riarde al suol;
Ratto così dal tenue Obblio torna immortale L'amor sopito, e l'anima Impaurita assale, E le sviate immagini Richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia Mente i terrestri ardori; Leva all'Eterno un candido Pensier d'offerta, e muori: Nel suol che dee la tenera Tua spoglia ricoprir,
Altre infelici dormono, Che il duol consunse; orbate Spose dal brando, e vergini Indarno fidanzate; Madri che i nati videro Trafitti impallidir.
Te, dalla rea progenie Degli oppressor discesa, Cui fu prodezza il numero, Cui fu ragion l'offesa, E dritto il sangue, e gloria Il non aver pietà,
Te collocò la provida Sventura in fra gli oppressi: Muori compianta e placida; Scendi a dormir con essi: Alle incolpate ceneri Nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime Si ricomponga in pace; Com'era allor che improvida D'un avvenir fallace, Lievi pensier virginei Solo pingea. Così
Dalle squarciate nuvole Si svolge il sol cadente, E, dietro il monte, imporpora Il trepido occidente; Al pio colono augurio Di più sereno dì.
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