Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Costantinopoli

GALATA

[Pera]

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 [Pera]

Usciamo dal cimitero, ripassiamo ai piedi della torre di Galata e infiliamo la strada principale di Pera. Pera è alta cento metri sopra il mare, è ariosa ed allegra, e guarda il Corno d’Oro ed il Bosforo. È la Westend della colonia europea; la città dell’eleganza e dei piaceri. La strada che percorriamo è fiancheggiata da alberghi inglesi e francesi, da caffè signorili, da botteghe luccicanti, da teatri, da Consolati, da club, da palazzi d’ambasciatori; tra i quali giganteggia il palazzo di pietra dell’ambasciata russa, che domina come una fortezza Pera Galata e il sobborgo di Funduclù, posto sulla riva del Bosforo. Qui brulica una folla affatto diversa da quella di Galata. Sono quasi tutti cappelli a staio e cappelletti piumati o infiorati di signore. Sono zerbinotti greci, italiani e francesi, negozianti d’alto bordo, impiegati delle legazioni, ufficiali di navi straniere, carrozze d’ambasciatori, e figurine equivoche d’ogni nazione. I turchi si fermano ad ammirare le teste di cera delle botteghe dei barbieri, le turche si piantano colla bocca aperta davanti alle vetrine delle modiste; l’europeo parla ad alta voce, sghignazza e scherza in mezzo alla strada; il musulmano, si sente in casa d’altri, e passa colla testa meno alta che a Stambul. Tutt’a un tratto il mio amico mi fece voltare indietro perchè guardassi Stambul: da quel punto, infatti, si vedeva lontano, dietro un velo azzurrino, la collina del Serraglio, Santa Sofia e i minareti del Sultano Ahmed; un altro mondo da quello in cui eravamo; e poi mi disse: – Guarda qui, adesso. – Abbassai gli occhi e lessi in una vetrina: – La dame aux camelias, Madame Bovary, Mademoiselle Giraud ma femme. E anche a me quel rapido passaggio fece un senso vivissimo, e dovetti star un momento a pensarci sopra. Un’altra volta fermai io il mio compagno e fu per mostrargli un caffè meraviglioso: un lungo e largo corridoio oscuro, in fondo al quale, per una grande finestra spalancata, si vedeva a una lontananza che pareva immensa, Scutari illuminata dal sole.

 

Andiamo innanzi per la gran strada di Pera, e siamo quasi arrivati in fondo, quando sentiamo gridare da una voce tonante: – T’amo, Adele! t’amo più della ! T’amo quanto si può amare sulla terra! – Ci guardiamo in faccia trasecolati. Di dove viene quella voce? Voltandoci, vediamo per le fessure d’un assito un giardino pieno di sedili, un palco scenico e dei commedianti che fanno le prove. Una signora turca, poco lontano da noi, guarda anch’essa per le fessure, e ride dai precordi. Un vecchio turco che passa scrolla la testa in segno di compassione. All’improvviso la turca getta un grido e fugge; altre donne intorno mettono uno strillo e voltan le spalle. Che è accaduto? È un turco, un uomo sulla cinquantina, conosciuto da tutta Costantinopoli, il quale passeggia per le vie nello stato in cui voleva ridurre tutti i musulmani il famoso monaco Turk sotto il regno di Maometto IV: ignudo dalla testa ai piedi. Il disgraziato saltella sui ciottoli urlando e sghignazzando, e un branco di monelli lo insegue facendo un baccano d’inferno. – È da sperarsi che lo arresteranno, – dico al portinaio del teatro. – Nemmen per sogno, – mi risponde; – son mesi che gira per la città liberamente. – Intanto vedo giù per la via di Pera gente che vien fuori dalle botteghe, donne che scappano, ragazze che si coprono il viso, porte che si chiudono, teste che si ritirano dalle finestre. E questo segue tutti i giorni e nessuno se ne pensiero!

 

 

Uscendo dalla via di Pera, ci troviamo dinanzi a un altro cimitero musulmano, ombreggiato da un boschetto di cipressi e chiuso tutt’intorno da un alto muro. Se non ce l’avessero detto poi, non avremmo mai indovinato il perchè di quel muro, che fu innalzato di fresco: ed è che il bosco sacro al riposo dei morti era diventato un nido d’amori soldateschi! Andando oltre, infatti, trovammo l’immensa caserma d’artiglieria innalzata da Scialil-Pascià: un solido edificio di forma rettangolare, dello stile moresco del rinascimento turco, con una porta fiancheggiata da colonne leggere e sormontata dalla mezzaluna e dalla stella d’oro di Mahmut, con gallerie sporgenti e finestrine ornate di stemmi e di arabeschi. Dinanzi alla caserma passa la strada di Dgiedessy che è un prolungamento di quella di Pera, di dalla strada si stende una vasta piazza d’armi, e di dalla piazza d’armi altri borghi. Qui, dove nei giorni feriali regna ordinariamente un profondo silenzio, la sera della domenica passa un torrente di gente e una processione di carrozze, tutta la società elegante di Pera, che va a spandersi nei giardini nelle birrerie e nei caffè di dalla Caserma. In uno di questi caffè si fece la nostra prima sosta; nel caffè della Bella vista, luogo di ritrovo del fiore della società perota, e degno veramente del suo nome; perchè dal suo vasto giardino, che sporge come una terrazza sulla sommità dell’altura, si vede sotto il grande sobborgo musulmano di Funduclù, il Bosforo coperto di bastimenti, la riva asiatica sparsa di giardini e di villaggi, Scutari colle sue bianche moschee, una bellezza di verde, d’azzurro, e di luce, che sembra un sogno. Ci levammo di con rammarico, e ci parve a tutt’e due d’esser pitocchi a buttar sul vassoio otto miserabili soldi per due tazze di caffè, dopo aver goduto quella visione di paradiso terrestre.

 

 


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