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Uscendo dalla Bella vista ci trovammo in mezzo al Gran Campo dei morti dove è sepolta in cimiteri distinti gente di tutti i culti, eccettuato l’ebraico. È un bosco fitto di cipressi, d’acacie e di sicomori, nel quale biancheggiano migliaia di pietre sepolcrali, che da lontano paiono le rovine d’un immenso edifizio. Tra albero e albero si vede il Bosforo e la riva asiatica. Fra le tombe serpeggiano dei larghi viali in cui passeggiano dei greci e degli armeni. Su alcune pietre stanno seduti dei turchi colle gambe incrociate, guardando il Bosforo. V’è un’ombra, un fresco e una pace che, al primo entrarvi, si prova una sensazione deliziosa, come entrando d’estate in una grande cattedrale semioscura. Ci arrestammo nel cimitero armeno. Le pietre sepolcrali son tutte grandi e piane, coperte d’iscrizioni nel carattere regolare ed elegante della lingua armena, e su quasi tutte è scolpita un’immagine che rappresenta il mestiere o la professione del morto. Sono martelli, seghe, penne, scrigni, collane; il banchiere è rappresentato da una bilancia, il prete da una mitra, il barbiere da una catinella, il chirurgo da una lancetta. Sopra una pietra vedemmo una testa spiccata dal busto, e il busto grondante di sangue: era il sepolcro d’un assassinato o d’un giustiziato. Un armeno vi dormiva accanto, sdraiato sull’erba, colla faccia in aria. Entrammo nel cimitero musulmano. Anche qui una infinità di colonnette a file e a gruppi disordinati; alcune colla testa dipinta e dorata; quelle delle donne terminate da un gruppo d’ornamenti in rilievo che rappresentano dei fiori; molte circondate d’arbusti e di pianticelle fiorite. Mentre stavamo osservando una di queste colonne, due turchi che tenevano per mano un bambino, ci passarono accanto, andarono innanzi altri cinquanta passi, si fermarono dinanzi a un tumulo, vi sedettero sopra, e aperto un involto che portavano sotto il braccio, si misero a mangiare. Io stetti ad osservarli. Quand’ebbero finito, il più avanzato in età raccolse qualchecosa in un foglio di carta, – mi parve un pesce e del pane, – e con un atto rispettoso, mise il piccolo pacco in un buco accanto al sepolcro. Dopo questo accesero tutti e due la pipa e fumarono tranquillamente: il bambino s’alzò e si mise a scorrazzare per il cimitero. Quel pesce e quel pane, ci fu spiegato poi, erano la parte di cibo che i turchi lasciavano in segno d’affetto al loro parente, sepolto probabilmente da poco; e quel buco era l’apertura che si lascia nella terra vicino al capo di tutti i sepolti musulmani, perchè possano udire i lamenti e i pianti dei loro cari e ricevere qualche goccia d’acqua di rosa o sentir il profumo di qualche fiore. Finita la loro fumatina funebre, i due turchi pietosi si alzarono, e ripreso per mano il bambino, disparvero in mezzo ai cipressi.