Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Costantinopoli

GALATA

[San Dimitri]

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 [San Dimitri]

Scendiamo dalla collina di Pancaldi, attraversiamo il letto asciutto d’un torrentello, saliamo su per un altro colle, ci troviamo in un altro sobborgo: San Dimitri. Qui la popolazione è quasi tutta greca. Si vedono da ogni parte occhi neri e nasi aquilini e affilati; vecchi d’aspetto patriarcale; giovani svelti e arditi; donnine colle trecce sulle spalle; ragazzi dai visetti astuti che sgallettano in mezzo alla via fra le galline e i maiali, riempiendo l’aria di grida argentine e di parole armoniose. Ci avvicinammo a un gruppo di quei ragazzi che si baloccavano coi sassi, chiacchierando tutti ad una voce. Uno di essi, sugli otto anni, il più indiavolato di tutti, che ogni momento buttava in aria il suo piccolo fez gridando: – Zito! Zito! – (Viva! Viva!) – si voltò improvvisamente verso un altro monello seduto dinanzi a una porta e gridò: – Checchino! Buttami la palla! – Io lo afferrai per il braccio con un movimento da zingaro rapitore di fanciulli e gli dissi: – Tu sei italiano! – No signore, – rispose, – sono di Costantinopoli. – E chi t’ha insegnato a parlare italiano? – domandai. – Oh bella! – rispose, – la mamma. – E dov’è la mamma? In quel punto mi s’avvicinò una donna con un bimbo in collo, tutta sorridente, e mi disse ch’era pisana, moglie d’uno scalpellino livornese, che si trovava a Costantinopoli da ottanni, e che quel ragazzo era suo figlio. Se quella buona donna avesse avuto un bel viso di matrona, una corona turrita sulla testa e un manto sulle spalle, non avrebbe rappresentato più vivamente l’Italia ai miei occhi e al mio cuore. – Come vi ritrovate qui?– le domandai; – che ne dite di Costantinopoli? – Che n’ho da dire?– rispose sorridendo ingenuamente. – L’è una città che... a dirle il vero, mi ci par sempre l’ultimo giorno di carnovale. – E qui, dando la stura alla sua parlantina toscana, ci fece sapere che pemusulmani il loro Gesù è Maometto, che un turco può sposare quattro donne, che la lingua turca è bravo chi ne intende una parola, e altre novità dello stesso conio; ma che dette in quella lingua, in mezzo a quel quartiere greco, ci riuscirono più care di qualunque notizia più peregrina, tanto che prima di andarcene lasciammo un piccolo ricordo d’argento nella manina del monello, e andandocene esclamammo tutti e due insieme: – Ah! una boccata d’Italia, di tanto in tanto, come fa bene!

 

 


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