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Eccolo! – rispose Yunk. Era comparso. Il parapetto del terrazzo lo nascondeva tutto, fuorchè il viso, di cui, per la lontananza, non si distingueva la fisonomia. Stette per qualche secondo immobile; poi si tappò le orecchie colle dita, e alzando il volto al cielo, gridò con una voce lenta, tremula e acutissima, con un accento solenne e lamentevole, le sacre parole, che risuonano, nello stesso punto su tutti i minareti dell’Affrica, dell’Asia e dell’Europa: – Dio è grande! Non v’è che un Dio! Maometto è il profeta di Dio! Venite alla preghiera! Venite alla salute! Dio è grande! Dio è un solo! Venite alla preghiera! – Poi fece un mezzo giro sul terrazzo e ripetè le stesse parole rivolto a settentrione; poi a levante, poi a occidente, e poi disparve. In quel punto ci arrivarono all’orecchio fioche fioche le ultime note d’un’altra voce lontana, che pareva il grido d’uno che chiedesse soccorso, e poi tutto tacque, e rimanemmo anche noi per qualche minuto silenziosi, con un sentimento vago di tristezza come se quelle due voci avessero consigliato la preghiera soltanto a noi, e sparendo quel fantasma, fossimo rimasti soli nella valle come due abbandonati da Dio. Nessun suono di campana mi ha mai toccato il cuore così intimamente; e soltanto quel giorno compresi il perchè Maometto, per chiamare i fedeli alla preghiera, abbia preferito all’antica tromba israelitica e all’antica tabella cristiana, il grido dell’uomo. E su quella scelta fu lungo tempo incerto; onde poco mancò che tutto l’Oriente non pigliasse un aspetto assai diverso da quello che ha ora; poichè s’era scelta la tabella, che poi si cangiò in campana, si sarebbe certo trasformato il minareto, e uno dei tratti più originali e più graziosi della città e del paesaggio orientale sarebbe andato perduto.