Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Costantinopoli

IL GRAN BAZAR

[Le memorie]

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[Le memorie]

 

In nessun’altra città d’Europa i luoghi e i monumenti leggendarii o storici muovono così vivamente la fantasia come a Stambul, poichè in nessun’altra città essi ricordano avvenimenti così recenti ad un tempo e così fantastici. Altrove, per ritrovar la poesia delle memorie, bisogna tornar indietro col pensiero di parecchi secoli; a Stambul, basta retrocedere di pochi anni. La leggenda, o ciò che ha natura ed efficacia di leggenda, è di ieri. Sono pochi anni che nella piazza dell’At-meidan fu consumata l’ecatombe favolosa dei Giannizzeri; pochi anni che il mar di Marmara rigettò sulla riva dei giardini imperiali i venti sacchi che racchiudevano le belle di Mustafà; che nel castello delle Sette torri fu scannata la famiglia di Brancovano; che due capigì-basci trattenevano per le braccia gli ambasciatori europei al cospetto del Gran Signore, del quale non appariva che mezzo il viso, rischiarato da una luce misteriosa; e che fra le mura dell’antico serraglio cessò quella vita così stranamente intrecciata d’amori, d’orrori e di follie, che ci pare già tanto lontana. Girando per Stambul con questi pensieri, si prova quasi un sentimento di stupore al veder la città così quieta, così ridente di vegetazione e di colori. Ah perfida! – si direbbe, – che cos’hai fatto di que’ monti di teste e di quei laghi di sangue? Possibile che tutto sia già così ben nascosto, spazzato, lavato, che non se ne ritrovi più traccia? Sul Bosforo, in faccia alla torre di Leandro che sorge dalle acque come un monumento d’amore, sotto le mura dei giardini del Serraglio, si vede ancora il piano inclinato per cui si facevano rotolare nel mare le odalische infedeli; in mezzo all’At-meidan la colonna serpentina porta ancora la traccia della sciabolata famosa di Maometto il Conquistatore; sul ponte di Mahmut si segna ancora il luogo dove il sultano focoso freddò con un fendente il dervis temerario che gli scagliò in volto l’anatema; nella cisterna dell’antica chiesa di Balukli, guizzano ancora i pesci miracolosi che vaticinarono la caduta della città dei Paleologhi; sotto gli alberi delle Acque dolci d’Asia si accennano ancora i recessi dove una Sultana dissoluta imponeva ai favoriti d’un istante un amore che finiva colla morte. Ogni porta, ogni torre, ogni moschea, ogni piazza, rammenta un prodigio, una strage, un amore, un mistero, una prodezza di Padiscià o un capriccio di Sultana; tutto ha la sua leggenda, e quasi per tutto gli oggetti vicini, le vedute lontane, l’odore dell’aria e il silenzio, concorrono a portar l’immaginazione dello straniero, che s’immerge in quei ricordi, fuori del suo secolo e della città dell’oggi e di stesso; tanto che accade sovente, a Stambul, di riscotersi improvvisamente alla strana idea di dover tornare all’albergo. Come? – si pensa, – c’è un albergo?


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