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Quanto è difficile riconoscere a occhio l’armeno, altrettanto è facile riconoscere il greco, anche non badando al vestire; tanto egli è diverso di natura e d’aspetto dagli altri sudditi dell’Impero, e principalmente dal turco. Per rendersi ragione di questa diversità, o piuttosto di questo contrasto, basta osservare un turco ed un greco, che si trovino seduti l’uno accanto all’altro in un caffè o in un piroscafo. Hanno un bell’essere press’a poco della stessa età e dello stesso ceto, e vestiti tutt’e due all’europea, ed anche somiglianti di viso; non è possibile sbagliare. Il turco è immobile, e tutti i suoi lineamenti riposano in una specie di quiete senza pensiero, che somiglia a quella d’un animale satollo; o se il suo viso rivela un pensiero, pare che debba essere un pensiero immobile come il suo corpo. Non guarda nessuno, non dà segno d’accorgersi d’esser guardato; il suo atteggiamento mostra una profonda noncuranza di tutti coloro e di tutto quello che ha intorno; il suo viso esprime qualcosa della tristezza rassegnata d’uno schiavo e dell’orgoglio freddo d’un despota; un che di duro, di chiuso, di cocciuto, da far disperare alla prima chi si proponesse di persuaderlo di qualche cosa o di rimoverlo di una risoluzione. Ha, insomma, l’aspetto d’uno di quegli uomini tutti d’un pezzo, coi quali pare che non si possa vivere altrimenti che obbedendoli o comandandoli; e che per quanto tempo ci si viva insieme, non si debba mai poterci prendere una famigliarità intera. Il greco invece è mobilissimo, e rivela con mille sfuggevoli guizzi dello sguardo e delle labbra tutto quello che gli passa nell’anima; scuote la testa con movimenti di cavallo indomito; il suo volto esprime un’alterezza giovanile, e qualche volta quasi fanciullesca; se si vede guardato, s’atteggia; se non è guardato, si mette in mostra; par sempre che desideri o che fantastichi qualche cosa; spira da tutta la persona l’accorgimento e l’ambizione; e inspira simpatia, anche se ha la faccia d’un cattivo soggetto, e gli si darebbe la mano anche quando non si vorrebbe affidargli la borsa. Basta veder vicini questi due uomini, per capire che l’uno deve parere all’altro un barbaro, un orgoglioso, un prepotente, un brutale; che questi deve giudicar quello un uomo leggiero, falso, maligno, turbolento; e che debbono disprezzarsi e detestarsi reciprocamente con tutte le forze dell’anima; e non trovar la via di vivere d’accordo. La stessa differenza si osserva tra le donne greche e le altre donne levantine. In mezzo alle turche e alle armene belle e floride, ma che toccan quasi più i sensi di quello che parlino all’anima, si riconoscono alla prima, con un sentimento di grata meraviglia, i visi eleganti e puri delle greche, illuminati da due occhi pieni di pensiero, dei quali ogni sguardo fa venir sulle labbra il verso d’un ode; e i bei corpi maestosi insieme e leggeri, che ispirano il desiderio di stringerli fra le braccia, piuttosto per metterli sopra un piedestallo, che per portarli nell’arem. Se ne vedono di quelle che portano ancora i capelli cadenti, all’antica, in lunghe ciocche ondulate, e una grossa treccia ravvolta intorno alla testa in forma di diadema; così belle, così nobili, così classiche, che si piglierebbero per statue di Prassitele e di Lisippo, o per giovanette immortali ritrovate dopo venti secoli in qualche valle ignorata della Laconia o in qualche isoletta dimenticata dell’Egeo. Sono però rarissime queste bellezze sovrane anche tra le greche, e oramai non se ne trova più esempio che fra la vecchia aristocrazia dell’impero, nel quartiere silenzioso e triste del Fanar, dove s’è rifugiata l’anima dell’antica Bisanzio. Là si vede ancora qualche volta una di quelle donne superbe affacciata a un balcone a balaustri, o all’inferriata d’una finestra altissima, cogli occhi fissi nella strada solitaria, nell’atteggiamento d’una regina prigioniera; e quando il servidorame dei discendenti dei Paleologhi e dei Comneni, non sta oziando dinanzi alle porte, si può, contemplandola di nascosto, credere per un momento di veder per lo squarcio d’una nuvola il viso d’una dea dell’Olimpo.
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