Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Costantinopoli

GLI ULTIMI GIORNI

[Le moschee]

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[Le moschee]

Eppure alcune immagini rimangono immobili in mezzo alla fuga di persone e di cose, a cui mi sembra d’assistere quando penso a quei giorni.

Ricordo la bella mattinata in cui visitai la maggior parte delle moschee imperiali, e pensandoci, mi pare ancora che si faccia intorno a me un immenso vuoto e un silenzio solenne. L’immagine di Santa Sofia non scema affatto la meraviglia che si prova al primo entrare in mezzo a quelle mura titaniche. Anche , come altrove, la religione dei vincitori s’è appropriata l’arte della religione dei vinti. Quasi tutte le moschee sono imitate dalla Basilica di Giustiniano; hanno la grande cupola, le mezze cupole sottoposte, i cortili, i portici; qualcheduna, la forma della croce greca. Ma l’islamismo ha sparso su ogni cosa il colore e la luce propria, in modo che il complesso di quelle forme note presenta l’apparenza d’un edifizio nuovo, in cui s’intravvedono gli orizzonti d’un mondo sconosciuto e si sente l’aura d’un altro Dio. Sono navate enormi, d’una semplicità austera e grandiosa, bianche in ogni parte, e rischiarate da finestre innumerevoli, che mettono per tutto una luce dolce ed uguale, in cui l’occhio vede ogni cosa, da un’estremità all’altra, e riposa, insieme col pensiero, quasi addormentato in una quiete soave e diffusa, che somiglia a quella d’una valle nevosa, coperta da un cielo bianco. Non si crederebbe d’essere in un luogo chiuso se non si sentisse l’eco sonora del proprio passo. Non v’è nulla che distragga la mente: il pensiero va dritto, a traverso quel vuoto e quella chiarezza, all’oggetto dell’adorazione. Non v’è argomento di malinconie di terrori; non vi sono illusioni, misteri, angoli oscuri, in cui brillino vagamente le immagini d’una gerarchia complicata d’esseri sovrumani, che confondon la mente; non v’è che l’idea chiara, netta, abbagliante, formidabile d’un Dio solitario, che predilige la nudità severa dei deserti inondati di luce, e non ammette altro simulacro di stesso che il cielo. Tutte le moschee imperiali di Costantinopoli presentano questo medesimo aspetto di grandezza che solleva la mente, e di semplicità che la fissa in un solo pensiero, e differiscono così poco nei particolari, che è difficile il ricordarle a una, a una. La moschea d’Ahmed, enorme, e pure graziosa e leggera, all’esterno, come un edifizio aereo, appoggia la sua cupola sopra quattro smisurati pilastri rotondi di marmo bianco, nel cui seno si potrebbero aprire quattro piccole moschee, ed è la sola di Stambul che abbia la corona gloriosa di sei minareti. La moschea di Solimano, che è, più che un tempio, una città sacra, nella quale lo straniero si smarrisce, è formata da tre navate, e la sua cupola, più alta di quella di Santa Sofia, riposa sopra quattro colonne meravigliose di granito roseo, che fanno pensare ai fusti dei famosi alberi giganteschi della California. La moschea di Maometto è una Santa Sofia bianca ed allegra; quella di Baiazet gode la primazia dell’eleganza delle forme; quella di Osmano è tutta di marmo; quella di Scià-Zadé ha i due più graziosi minareti di Stambul; quella di Ak-Serai è il più gentile modello del rinascimento dell’arte turca; quella di Selim è la più grave, quella di Mahmud la più capricciosa, quella della Sultana Validè la più ornata. Ognuna ha qualche bellezza sua propria o una leggenda o un privilegio. Sultan-Ahmed custodisce lo stendardo del Profeta, Sultan-Baizit è coronata di colombi, Solimaniè vanta le iscrizioni di Karà-hissari, Validè Sultan ha la falsa colonna d’oro che costò la vita al conquistatore della Canea; Sultan-Mehemet vede «undici moschee imperiali chinar la testa intorno a lei, come davanti al manipolo di Giuseppe s’inchinavano i manipoli dei fratelli». In una s’innalzano le colonne del palazzo imperiale e dell’Augusteon di Giustiniano, che portarono le statue di Venere, di Teodora e d’Eudossia; in altre si ritrovano i marmi delle chiese antiche di Calcedonia, colonne delle rovine di Troia, pilastri di templi d’Egitto, vetri preziosi rapiti alle reggie persiane, materiali di circhi, di fori, di acquedotti, di basiliche: tutto confuso e svanito nell’immensa bianchezza della religione vincitrice. Dentro differiscono anche meno che nella forma esterna. In fondo v’è un pulpito di marmo; in faccia, la loggia del Sultano chiusa da una grata dorata; accanto al Mihrab, due candelabri enormi che sorreggono torcie alte come fusti di palme; e per tutta la navata, lampade innumerevoli formate di grandi globi di vetro, e disposte in una maniera bizzarra, che par più propria a una grande festa di ballo che a una solennità religiosa. Le grandi iscrizioni sacre che girano intorno ai pilastri, alle porte, alle finestre delle cupole, qualche finto fregio dipinto a imitazione del marmo, e i vetri disegnati e coloriti a fiorami, sono i soli ornamenti che risaltino nella nudità bianca di quelle mura monumentali. Tesori di marmo sono profusi nei pavimenti dei vestiboli, nei portici che circondano i cortili, nelle fontane per le abluzioni, nei minareti; ma non alterano il carattere graziosamente sobrio ed austero dell’edifizio, tutto bianco, circondato di verde e coronato di cupole, scintillanti sull’azzurro del cielo. E la moschea non occupa che la parte minore del recinto, il quale abbraccia un labirinto di cortili e di case. E qui ci sono auditorii per la lettura del Corano e luoghi di deposito per i tesori dei privati, biblioteche e accademie, scuole di medicina e scuole pei bambini, quartieri per gli studenti e cucine per i poveri, manicomi, infermerie, ricoveri per i viaggiatori, sale da bagno: una piccola città ospitale e benefica, affollata intorno alla mole altissima del tempio, come ai piedi d’una montagna, e ombreggiata da alberi giganteschi. Ma tutte queste immagini si sono oscurate nella mia mente; e non vedo più, in questo punto, che la piccola macchietta nera della mia persona, quasi smarrita, come un atomo, nelle enormi navate, in mezzo a lunghe file di piccolissimi turchi prostrati che pregano; e vo innanzi abbagliato da quella bianchezza, stupito da quella luce strana, sbalordito da quella immensità, strascicando le mie babbuccie sdruscite e il mio orgoglio schiacciato di descrittore; e mi par che una moschea si confonda coll’altra, e che mi si stenda d’intorno, in tutte le direzioni, una successione interminabile di pilastri e di volte, e una folla bianca infinita, nella quale il mio sguardo si perde.

 


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