Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Amore e ginnastica

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    Ora egli avea trovato quest'ideale nella maestra Pedani, lombarda, venuta tre mesi prima, sul cominciar di dicembre, ad abitare con la sua collega Zibelli in un quartierino al terzo piano di quella casa, di fronte all'uscio del maestro Fassi, il quale l'aveva tirata per assicurarsi meglio la sua cooperazione preziosa al «Nuovo Agone». Quell'alta e robusta giovane di ventisette anni «larga di spalle e stretta di cintura» modellata come una statua, che spirava da tutto il corpo la salute e la forza, e che sarebbe stata bellissima se non avesse avuto un nasino non finito e un'espressione di viso e un'andatura un po' troppo virili, gli aveva fatto, fin dal suo primo apparire, l'effetto d'una persona lungamente desiderata e aspettata. Era il tipo che aveva accarezzato nei suoi sogni ardenti di seminarista, la figura che aveva vagheggiato confusamente per tutto il corso della sua calda gioventù castigata. La prima volta che era salito in casa sua a prender da lei la pigione anticipata del trimestre, non gli era riuscito di contare i biglietti da cinque ch'essa gli aveva messo in fila sul cassettone. Da quel giorno la sua passione era andata crescendo a vampate. E appena egli ebbe compreso, dal contegno di lei, il suo carattere vigoroso e calmo, repugnante a ogni civetteria, che quasi non le lasciava avvertire l'impressione prodotta dalla propria persona, e non dava speranza alcuna né di leggerezze né di capricci, il pensiero di lui andò diritto e risoluto al matrimonio, come all'unico modo possibile di conseguire la soddisfazione dei suoi desideri. Non ostante il suo ardore, per altro, egli prevedeva le difficoltà che avrebbe ragionevolmente opposto lo zio al suo matrimonio con una maestra sola e senza fortuna; ma a sperare che il no non sarebbe stato assoluto lo confortava in parte il fatto d'una passione singolare di cui pareva acceso il commendatore, la sola ch'ei gli conoscesse: uno spirito attivissimo di propaganda in favore della ginnastica educativa, ch'egli aveva promosso in tutti i modi durante il suo breve vice-assessorato dell'istruzione, dalla qual propaganda s'era poi sdato, ma serbando una viva e costante simpatia per tutti gli spettacoli ginnastici di scuole, collegi, istituti, accademie ed esami, di cui non perdeva uno solo, essendo invitato a tutti come uno dei primi e più benemeriti fondatori della Palestra di Torino. Era appunto questa simpatia per la ginnastica che gli aveva fatto ridurre d'un terzo la pigione al maestro Fassi, conosciuto da lui alla Palestra molti anni prima, e accordar lo stesso favore alla signorina Pedani, maestra di ginnastica in vari istituti, nota per la sua valentìa d'insegnante e per i suoi articoletti vivaci nei giornali tecnici. Il segretario pensava che lo stesso sentimento che gli aveva fatto calar la pigione all'inquilina gli avrebbe fatto scemar l'opposizione alla sposa. Da questa parte, dunque, non era la difficoltà più terribile. La più terribile era quella di arrischiarsi a dichiarare aperto a lei la sua passione; al che s'era formidabilmente opposta per tre mesi la sua invincibile timidità, cagionata sopra tutto dalla considerazione della grande inferiorità ch'egli riconosceva in sé, rispetto alla maestra, dal lato dei pregi esteriori della persona. Da tre mesi, conoscendo appuntino l'orario di tutte le sue lezioni, egli s'ingegnava ogni giorno e più volte al giorno, d'uscire o di rientrare in casa in quei dati momenti, per incontrarla per le scale ed aprirle il suo cuore; e cento volte l'aveva incontrata, ma non una gli era venuto fatto di cacciar dalla bocca altro che le più usuali e scipite parole. E non gli serviva prepararsi prima la frase, inghiottire in furia due bicchierini di Caluso, o cercare il coraggio nel sentimento della onestà dei suoi fini: quando si trovava di fronte a quell'alta e forte ragazza, che o stesse sullo scalino di sopra o su quel disotto, gli pareva sempre che lo dominasse come una figura colossale, tutto il suo ardimento fittizio cadeva senza che il più delle volte egli osasse nemmeno di staccare lo sguardo di torno alla sua bella vita o dalle sue spalle stupende per sollevarlo fino al suo viso. Non era forse neppur riuscito a farle indovinare la propria passione, tanto era tranquilla e sempre uguale la disinvoltura di giovanotto con la quale essa lo salutava e gli parlava. E così egli viveva ruminando il suo amore, aggiungendo ogni giorno l'eccitamento d'una nuova immagine a una interminabile collezione di atteggiamenti, di suoni della voce, di mosse, di guizzi della persona, ch'egli aveva in capo e che passava a rassegna di continuo, meditandoli ad uno ad uno e assaporandoli con una voluttà e con un tormento crescenti, che non gli davan più pace. Finalmente, non ci potendo più reggere, aveva scritto la lettera.


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