Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
L'idioma gentile

PARTE PRIMA.

A QUELLI CHE NON VORREBBERO LEGGERE.

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A QUELLI CHE NON VORREBBERO LEGGERE.

Vedo parecchi lettori, che dopo avere scorso la prefazione, fanno l’atto di chiudere il libro.

Un momento, signori.

Chiedo il permesso di rivolgere poche parole a ciascun di loro.

Poi ritornerò a te, giovinetto.

 

A chi dice che la lingua si sa.

 

– Che bisogno c’è di studiar la lingua? La lingua si sa!

– È un’opinione di molti. Ella la saprà meglio di molti altri, non ne dubito; ma si lasci dire che, se non l’ha studiata, non la può sapere, non solo come dovrebbe, ma neppure quanto i suoi bisogni richiedono. Ella possiede un materiale di lingua che non è la terza parte di quello che le sarebbe necessario per parlar bene, un piccolo corredo di vocaboli e di frasi, che le servono a dire impropriamente e a un di presso una grande quantità di cose, ciascuna delle quali può esser detta con una parola o una frase [11] propria, che dice per l’appunto quella cosa sola. Nel parlare come nello scrivere, a ogni tratto, ella gira intorno al proprio pensiero, non lo esprime che a mezzo, ed è costretta ad aggiungere e a correggere per compiere e chiarire l’espressione che non le riuscì compiuta e chiara alla prima. E, confessi la verità: molte cose ella non le dice per non mettersi in un impaccio. Vuol vedere che io le nomino subito venti, trenta oggetti, operazioni, qualità o particolari d’oggetti, che a tutti occorre di rammentare quasi ogni giorno, e che ella designa sempre con una perifrasi o con una parola sbagliata? Vuol che le dica per una filza di modi della lingua viva, usatissimi in tutta l’Italia, e che non hanno sinonimi, ma che lei non ha mai usati e che le riuscirebbero nuovi come modi d’un’altra lingua? Ella conosce il francese? Non molto. Vuole scommettere che se mi racconta in italiano l’aneddoto più semplice, io, che non sono un linguista un pedante, ci trovo altrettante improprietà quante ce ne troverebbe un francese s’ella gli raccontasse l’aneddoto in francese? E mi sostiene che la lingua si sa? Capisco come non si sappia d’ignorare le cose che non si sa che esistano. Ma ella somiglia a chi credesse di saper la botanica perchè conosce i legumi che gli portano in tavola e i nomi dei fiori che coltiva sul terrazzino.

 

A chi dice: – Che cosa importa?

 

– È uno studio di parole, insomma; che cosa importano le parole?

– Che cosa importano le parole? Questa è grossa, mi perdoni. È come dire: – Che cosa [12] importa parlare e scrivere con chiarezza e con efficacia? Che cosa importa l’usare, invece d’una parola o d’una frase propria, un’altra parola o un’altra frase che, non esprimendo per l’appunto il nostro pensiero, può farlo frantendere e costringerci perciò ad esprimerlo un’altra volta in un’altra maniera, che può esser peggiore della prima? Che cosa importa, parlando e scrivendo, inciampare ogni momento in una difficoltà, essere arrestati a ogni passo da un dubbio, lasciare a mezzo una frase per cercare un vocabolo, doversi spiegare coi gesti come i bambini e gl’idioti, e qualche volta urtare, non volendolo, e offendere una persona, non per altro che per non saper scegliere, nel farle un’osservazione o un rimprovero o nel dirle una verità sgradita, la parola o la frase che esprimerebbe lo stesso pensiero senza ferirla nell’amor proprio? Che cosa importano le parole? Ma infiniti malintesi, risentimenti, diverbi dolorosi nascono di continuo fra gli uomini da una parola usata a sproposito, non per mal animo, ma per pura ignoranza o mancanza di finezza nel sentimento della lingua. Ma mille volte nella vita il primo giudizio che facciamo dell’ingegno, della cultura, del grado d’educazione d’una persona, si fonda (e sia pure a torto sovente, chè questo cresce valore all’argomento) sopra il suo modo di parlare, e anche su poche parole che le abbiamo udito dire, sopra una sgrammaticatura, sopra un’espressione ridicola, sopra l’ignoranza d’una parola comune. Ma ella stessa, signore, ella che dice che le parole non importano, quando le occorre di parlar la prima volta con una persona che le ispira reverenza, e di cui le preme [13] d’acquistarsi la stima e la simpatia, ella stessa, sempre, anche inconscientemente, s’ingegna di parlar meglio del solito, scegliendo i vocaboli con cura e filando i periodi con garbo! O come si può dire: – Che cosa importano le parole?

 

A un uomo d’affari.

 

– Quanto a me, consentirà che non ho bisogno di studiar l’italiano. Sono un uomo d’affari!

– Mi scusi. È forse il dialetto la lingua ufficiale degli affari? E in ogni modo, non pare a lei che un uomo d’affari che ha studiato e parla e scrive correttamente e facilmente la lingua, valga, a parità d’ingegno e d’esperienza, qualche cosa di più d’un altro, il quale la scriva come un barbaro e la balbetti come un ragazzo? Ma gli uomini d’affari hanno soventissime volte da esporre, da dimostrare, da discutere gl’interessi propri, con la penna o di viva voce, a quattr’occhi e in riunioni private o pubbliche, in lingua italiana. Ma se c’è gente al mondo a cui sia utile, necessaria nell’espressione del proprio pensiero la lucidità, la brevità, l’esattezza del linguaggio, son loro, che hanno molte cose da dire e importanti e non facili, e le hanno da dire alla lesta, a gente che non ha tempo da perdere; cose nelle quali il non farsi bene intendere produce ben più gravi inconvenienti che nei discorsi ordinari. Ma gli uomini d’affari vivono pure fuor del giro dei propri interessi, fra amici d’altre professioni, con signore, con artisti, con gente di varia cultura, in mezzo ai quali portano il loro amor proprio, non solo d’uomini d’affari, ma d’uomini di mondo, l’ambizione di contar [14] qualche cosa anche fuor delle faccende e dei numeri, il desiderio di farsi ascoltare, di divertire, di piacere, e se non altro la cura di non far ridere parlando rozzamente e lasciandosi scappare strafalcioni. E in fine, signor uomo d’affari, vale per lei, come per tutti, questa ragione: che la lingua nazionale, in certe classi della società, si deve imparare non soltanto per , ma per i propri figliuoli; i quali ad impararla, almeno fin che son piccoli, debbono essere aiutati dal padre e dalla madre. Che figura farebbe un padre che dicesse al suo figliuolo: – Caro mio, tu hai dieci anni; in materia di lingua io non son più in grado d’insegnarti nulla perchè.... sono un uomo d’affari!

 

A chi non ci ha attitudine.

 

– Lo credo anch’io una buona cosa; ma allo studio della lingua non ci ho attitudine.

– Oh bella! Che risponderebbe lei a chi le dicesse: – Non son fatto bene, son di complessione debole: per questo non faccio ginnastica? – Ma il non aver attitudine allo studio della lingua è una ragione di più per istudiarla. Chi non è dotato di buona memoria, e non ha facilità d’esprimersi, un vivo sentimento naturale della lingua, deve e può supplire alla deficienza di queste qualità con lo studio. Un’attitudine particolare ci vuole per diventare scrittore o linguista; ma per imparar la lingua quanto lo richiedono il dovere, l’interesse e la dignità di qualunque cittadino colto, basta la volontà. Ci si provi un poco. Ella non immagina quanto possa acquistare in materia di lingua anche chi [15] non ci ha disposizione di natura, in un periodo di tempo anche breve, e senza far grande fatica. Mi dirà: – Non ci avendo disposizione, non ci ho amore, e senza questo non si riesce a nulla. – Ma l’amore viene a poco a poco, man mano che dello studio si riconoscono i profitti, come viene all’erborizzatore esordiente, che, dopo aver classificato nella sua mente un certo numero di piante, prosegue con più alacrità, per il piacere d’accrescere il suo patrimonio di cognizioni, e perchè il lavoro gli riesce sempre più facile. Può ella affermare che se stèsse chiusa un mese fra quattro pareti senz’altri libri che di lingua, non prenderebbe amore a questo studio quanto uno che ci avesse disposizione? No, non è vero? E ci prenderebbe amore per il solo fatto che sarebbe costretta, per cacciar la noia, a vincere la prima riluttanza, insistendo su quella materia col pensiero, come non ha fatto mai. Provi dunque a insistervi col pensiero una volta, a fare una volta di proposito ciò che farebbe in quel caso per forza, e vedrà che il difficile non sta che nel principiare. E poi: – Non ci ho attitudine! – E come lo sa? La mente umana è piena di sorprese; certe attitudini vi stanno nascoste; scavi un po’; anche nel cervello, chi cerca trova.

 

A chi non ci ha tempo.

 

– Ci ho pensato molte volte, mi ci metterei; ma ho altro da fare, mi manca il tempo.

– Non le può mancare. Non c’è altra materia che si presti meglio a uno studio frammentario, fatto nei ritagli di tempo libero, e anche nei momenti di riposo; a uno studio [16] somigliante a quelle occupazioni fra intellettuali e meccaniche, a cui si dànno molti per isvago. Se non chiuderà il mio libro alle prime pagine, vedrà che può studiare la lingua senza togliere un’ora alle sue faccende quotidiane, anzi facendo servire queste a quello scopo, imparando qualche cosa a ogni proposito, raccogliendo le cognizioni quasi senza far deviare il suo pensiero dall’andamento abituale. Ella mi dirà: – Ma ho mille pensieri, mille cure; quando ci avrei tempo, non ci ho testa; per codesto studio ci vuol l’animo tranquillo. – Ma appunto, ella ci troverà quiete e sollievo, perchè non c’è altro studio che giovi quanto questo a distrarci dalle passioni che ci turbano, che occupi e svaghi la mente, come questo fa, con una serie continua di curiosità nascenti l’una dall’altra, contentando ad un tempo l’animo con molte piccole conquiste quotidiane determinate, con infinite piccole compiacenze prodotte dal continuo ripetersi delle occasioni in cui si può spendere quello che s’è guadagnato. E non mi dica neppure che è uno studio per i giovani, ai quali è stimolo l’idea di ricavarne un vantaggio per l’avvenire, non per gli uomini maturi, a cui quello stimolo manca. No; bisogna pure che ci si trovi un piacere indipendente da ogni concetto d’utilità futura, poichè per tanti uomini, anche non letterati e scrittori, è uno studio amoroso e costante, un conforto nella vecchiaia e nella solitudine, l’ultima forma d’attività della loro mente, come è per altri lo studio della natura. Col quale, infatti, ha questo di comune lo studio della lingua: che è infinitamente vario, e che i suoi confini s’allontanano dinanzi a chi vi procede.

 

[17]

A chi dice che ci avrà tempo.

 

A lei, signorino, che mi dice: – Ci avrò tempo! – darei volentieri una tiratina d’orecchio. Se c’è studio che un ragazzo non debba rimandare a poi, è questo della lingua. Non t’hai per male ch’io paragoni la tua memoria a un foglio di carta asciugante? Vedi, quando questo è fresco e pulito, come vi s’imprimono nette tutte le parole dello scritto su cui lo premi, e vedi poi, quando è un pezzo che l’usi ed è già nero in gran parte, come le parole vi s’imprimono confuse, o non vi restano, o se ne perde l’impressione in quella dello scritto che già lo ricopre. La tua bella età è quella in cui la mente vergine e chiara è più atta ad appropriarsi il materiale della lingua, non soltanto per virtù della memoria ancor fresca, ma anche perchè, essendo tu spettatore più che attore della vita, dalle parole non ti distraggono ancora le cose così fortemente come faranno più tardi, quando avrai mille cure, faccende e pensieri. Per questo tu hai inteso dire mille volte che i ragazzi imparano le lingue più facilmente degli uomini. Via via che s’allargherà il campo e crescerà la difficoltà dei tuoi studi, ti mancherà sempre più il tempo di dedicarti alla lingua e dovrai fare uno sforzo sempre maggiore per impararla. E non pensare che sia uno studio puramente letterario, che a te, chiamato a questa o a quella scienza, non possa giovare. È un errore madornale. Nel campo di qualunque scienza il possesso della lingua, la facoltà di esprimersi con chiarezza e con proprietà è parte della scienza [18] stessa. Vedi che differenza c’è nel profitto che fanno fare ai giovani gl’insegnanti che parlano bene e quelli che parlano male. E non credere d’imparar la lingua con quel tanto che te ne insegnano: la scuola non ti può che mettere sulla via d’impararla: al modo particolare che ha ciascun di noi di sentire e di pensare, noi soli possiamo trovar la lingua che lo esprima. E poi, che logica è questa? Dici che a studiar la lingua ci hai tempo, ossia, che è uno studio che non preme; ma d’ogni sproposito o anche piccolo errore di lingua che sfugga a chi che sia, se tu lo avverti, ne fai un carnevale. Non ti dar la zappa sui piedi, dunque; mettiti all’opera; per qualunque via tu abbia da fare il tuo cammino nel mondo, benedirai le fatiche che avrai dedicate a questo studio nei tuoi primi anni.

 

A un giovane d’ingegno.

 

– Lo studio della lingua è per le teste piccole, che, non avendo idee, hanno bisogno d’imparar parole....

– Lo crede davvero? Veda come andiamo d’accordo. Io penso l’opposto. Credo che le teste piccole abbian meno bisogno di studiar la lingua che le teste grandi, perchè, avendo poche idee, basta a loro un ristretto materiale di lingua ad esprimerle; perchè, pensando meno profondamente e meno sottilmente, non occorre loro grande efficacia e finezza di linguaggio per rendere il proprio pensiero. Ma chi ha vero ingegno, se non sa la lingua bene, si trova tanto più impacciato a farsi valere quanto ha più ingegno. Come non lo comprende? Non è verità evidente [19] che deve posseder la lingua meglio degli altri chi ha idee originali e sentimenti vivi e delicati da esprimere, chi sa, intuisce e ricorda molte cose, e in ogni cosa vede particolari che la maggior parte non vedono, chi dalla forza del proprio ingegno e del proprio sentimento è portato più degli altri ad analizzare, ad argomentare, a raccontare, a descrivere, e nel descrivere, a scolpire e a colorire le proprie immagini? E tanto più se il suo ingegno è di quella natura particolare che si chiama spirito, inclinato a coglier delle cose il lato ridicolo, e le relazioni riposte di affinità e di contrasto comico intercedenti fra di esse, e a giocare coi significati diretti e traslati dei vocaboli, tanto più avrà bisogno di maneggiar con destrezza la lingua, che appunto nel campo dello scherzo è ricchissima. Se si paragona la lingua al danaro, si può dire che chi non ha ingegno è rispetto ad essa come un uomo quieto e assestato, senza vanità e senza desidèri, che campa con pochi soldi, e chi ha molto ingegno è un uomo pien di vita e d’ambizione, di raffinatezze aristocratiche e di voglie giovanili, che ha bisogno di spendere e di spandere. Studi dunque la lingua anche lei, che è un gran signore intellettuale, per non ridursi poi a campare come un pitocco.

 

A chi studia le lingue straniere.

 

Mi dice un giovinetto, con accento d’alterezza: – Io studio le lingue straniere. – Vuoi dire con questo che ti preme più di saper le lingue straniere che la tua? Non me ne maraviglierei più che tanto. C’è degli italiani [20] che, volendo fare un viaggio di piacere e d’istruzione, vanno prima a Parigi che a Roma; ce n’è altri, i quali dicono sorridendo, con l’aria di darsi un vanto, che della più parte dei propri pensieri s’affaccia loro alla mente l’espressione francese o inglese prima che l’italiana; e conobbi anche un tale, che a un esame di geografia, dopo aver detto benissimo i confini della Persia, mise Firenze a settentrione di Bologna. No? Tu non sei di quel numero? E tanto meglio. Ma non sarai mai abbastanza persuaso di questa verità: che non si studia con amore, che non s’impara bene nessuna lingua straniera, se non s’è prima studiato con amore e imparato bene la propria; poichè, se imparare una lingua straniera non è altro che imparare a tradurre in questa i nostri pensieri da quella che usualmente parliamo, come si può fare una buona traduzione d’un cattivo testo? Come riuscire a dir con esattezza e con garbo in un’altra lingua quelle cose che non sappiamo dire se non confusamente e senza garbo nella nostra? E in che maniera intendere e sentire le qualità degli scrittori stranieri, se queste, in qualunque lingua, non s’intendono e non si sentono se non paragonando le parole, le frasi, le forme a quelle che loro corrispondono nella lingua che ci è famigliare? E ti seguirà anche questo: che mentre non imparerai che male altre lingue, ti si corromperà e confonderà nella mente quel poco che sai della tua, perchè, essendo poco e mal fermo, non reggerà il materiale straniero che gli verserai sopra, e ti troverai così ad aver acquistato varie mezze lingue, senza possederne una intera; sarai come chi a un vestito tutto [21] buchi ne sovrapponga un altro pieno di strappi, che riman mezzo nudo a ogni modo. Dammi retta: fatti prima un buon vestito italiano.

 

A chi dice che basta leggere.

 

– La linguadicon molti – s’impara leggendo.

Lo crede davvero, signor mio? Ma se anche ella non legga che libri, dai quali la lingua si possa imparare, le dico che ella vive in una grande illusione, salvo che li legga principalmente con quello scopo, ossia badando più alla forma che alla sostanza; cosa ch’ella non fa, senza dubbio, o che può far tanto meno quanto più la sostanza dei libri l’attrae e la diverte. Della ricchezza e della proprietà della lingua, leggendo, ella sentirà qua e , e complessivamente, l’effetto; ma provi, finita la lettura d’un libro, a cercar quante parole e frasi le sian rimaste nella mente, in maniera da diventar sue, e da venirle poi sulla bocca o alla penna nel parlare o nello scrivere, e vedrà che poco o nulla le sarà rimasto. La memoria della lingua non si rafforza che con l’esercizio, e nella lettura essa non si esercita. S’impara la lingua anche leggendo, ma leggendo pochi libri molte volte e attentamente, non già molti una volta sola e di corsa, come dai più si suol fare; e l’avrà esperimentato ella pure non scoprendo che alla terza o alla quarta lettura, in libri scritti bene, una quantità di bellezze di lingua, d’effetti particolari che fanno certi vocaboli collocati in un certo punto, di ragioni profonde e sottili per cui certe espressioni, e non cert’altre, furono usate. E se anche [22] leggendo soltanto per ispasso, s’imparasse molta lingua, come si potrebbe imparare la nomenclatura d’innumerevoli cose, di cui solo una parte minima, in un certo numero di libri, può ritrovarsi? Come apprendere la lingua viva e famigliare che, fuor d’un certo genere di letteratura, manca nei libri quasi affatto? E come acquistare l’agilità e la prontezza della mente che occorrono per maneggiare il materiale linguistico e farlo servire con garbo al pensiero? Tenga per fermo che leggendo libri per vent’anni non imparerà tanta lingua quanto studiandola di proposito un anno solo. Legga e rilegga senza studiare, e verserà dell’acqua in un crivello.

 

A chi dice che s’impara la lingua dall’uso.

 

Qui sento un coro d’italiani settentrionali che esclamano: – Studiare la lingua! Ma la lingua s’impara dall’uso!

Da qual uso l’imparate voi, cari signori? In casa voi parlate quasi tutti e fuor di casa quasi sempre il vostro dialetto, e quando non parlate questo, parlate e sentite parlare un italiano povero e scorretto, pieno zeppo d’idiotismi e di francesismi. In materia di lingua s’usa fra noi non toscani, perchè parliamo tutti male, una grande tolleranza reciproca, per effetto della quale nessuno studia di correggersi, e ognuno sèguita per tutta la vita a ripetere gli stessi spropositi, senz’arricchire il proprio linguaggio di dieci parole in un anno. Anche quei pochi che hanno studiato la lingua e che, scrivendo, sono corretti e sfoggiano una certa ricchezza di vocaboli e di frasi, quando parlano, parlano poco meno [23] scorrettamente e poveramente degli altri, appunto perchè della lingua non hanno l’uso, perchè delle frasi e dei vocaboli, che cercano e trovano nello scrivere, non vien loro alla bocca, non avendoli essi famigliari, che una minima parte. Come si può dunque imparare la buona lingua da un uso cattivo? Come imparare centinaia e centinaia di voci e locuzioni che intorno a noi nessuno dice mai? V’è mai occorso di sentir degli stranieri che credono d’aver imparato l’italiano dall’uso in dieci anni di soggiorno in una città dell’Alta Italia? V’avranno fatto scappare. Dall’uso, fra noi, si può imparare a parlar con scioltezza; ma con proprietà, con varietà, con colorito, con grazia! Corbellerie. Perdonatemi: m’è scappata dalla penna.

 

A una signorina.

 

O signorina, anche lei? Ma come? Metterà tanta cura ad abbigliare la sua graziosa persona e non ne vorrà metter punto a vestire i suoi pensieri? Porrà tanto studio a camminare con grazia e nessun impegno a parlar con garbo? Cercherà con tant’arte di modular dolcemente la sua voce e non le importerà di pronunziare con dolcezza parole spurie e frasi barbare? E le parrà che non abbia a studiar la lingua la donna, che per ragione di natura e per gli uffici a cui è destinata, di madre, di consigliera, d’educatrice, di consolatrice della famiglia, avrà tanti sentimenti amorosi e pensieri gentili da esprimere, tante cose da dire, delle più difficili a dire e a sentire, e che può e sa dire essa sola, e che da lei sola si vogliono udire! E [24] come farà, se non avrà studiato la sua lingua, a compiere con la voce e con la penna questi uffici, per i quali occorre conoscer della lingua tutte le grazie e le sfumature, possedere tutte quelle parole e locuzioni proprie, morbide, agili, sottili, che entrano quasi inavvertite nella coscienza e nel cuore, persuadono e commovono, accarezzano e consolano? Non è uno studio per la donna? Ma direi che è il primo studio che ella ha da fare, poichè la madre è la prima maestra dei suoi figliuoli, e perchè in ogni società colta sono, e non possono esser che le donne quelle che insegnano ed impongono nella conversazione la dignità del linguaggio, la finezza dello scherzo, l’urbanità della contraddizione. E come si può far questo non conoscendo la lingua? Ah, ella scuote il capo, con un sorrisetto: ho capito. È bella, ed ha vanità femminea, non ambizione letteraria, e pensa che un viso come il suo basterà, senza il sussidio del vocabolario e della grammatica, ad attirarle da per tutto l’ammirazione e l’ossequio. Ma s’inganna, signorina. Se sapesse che peggior effetto fa una parola brutta sur una bocca bella, e com’è più ridicola la sgrammaticatura detta con un sorriso vanitoso! E se sentisse con che barbara compiacenza le belle amiche commentano e portano in giro il piccolo sproposito dell’amica bella! Andiamo, mi confessi che ha torto, e mi conforti anche lei, almeno per un tratto di strada, della sua cara compagnia.

 


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