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A CIASCUNO IL SUO.
(A una schiera di ragazzi di diverse regioni d’italia).
Avete riso dei piemontesismi, non è vero? E non ci ho a ridire. Ma non ne ridete troppo forte, vi prego, perchè quello che dissi della famiglia piemontese, dove si parla un italiano piemontizzato, si può dire a un di presso di migliaia di famiglie d’altre regioni, badando soltanto a sostituire a quelli che citai altri dialettismi e idiotismi; dei quali ciascuna serie vi farebbe rider pure tutti quanti, fuori che uno. Volete che ne facciamo la prova? Desiderate ch’io vi persuada con gli esempi? E io vi contento, nel miglior modo che m’è possibile, così alla lesta.
E comincio da te, piccolo milanese. Ce n’è così anche a Milano di famiglie per bene, nelle quali i ragazzi credon mica di parlar male dicendo porsi giù per “mettersi a letto„ e menar su per “condurre in prigione„ e su e giù a ogni proposito; e qui dietro per “qui attorno„ e andar addietro a fare per “continuare a fare„ e aver [50] una cosa addietro per “averla con sè„ e si può no, e morir via, e mangiarsi fuori e smaniarsi, e che bello! e che caro! e con più ne vuoi, più te ne metto. Ti basterà questo piccolo saggio, m’immagino.
A noi, piccolo veneziano. A te pure, quando che parli italiano, vien fatto di ficcare il che da per tutto, e non sei buono da liberartene, e dici: non so cosa che voglia dire, non so cosa che ci vorrebbe; e ti scappa detto lasciarsi tirar giù per “lasciarsi indurre„ e incapricciarsi in una cosa, e non s’indubiti, e l’aspetta un momento; e ti sfugge ben sovente scampare per “scappare„ e balcone per “finestra„ e altana per “terrazza„ e sgabello per “comodino„. E che dire del tuo in fatti che usi così spesso nel senso di “in somma„, mettendo nella frase una contraddizione di termini che mi fa spalancare la bocca? – Sarà un capolavoro, come tutti dicono; ma in fatti non mi piace. – Hai ragione di burlarti degli idiotismi altrui; ma in fatti ne dici tu pure.
Sono da lei, caro bolognese. Pensava ch’io la potessi dimenticare? Mo’ ci pare! Venga qua, s’accomodi bene. Godo di trovarla in buona salute. E il padre suo di lei? E la ragazzola? E quel bazzurlone di suo cugino, come sta? Fa sempre l’ammazzato con la signorina del terzo piano? Ella riconosce certamente che anche ai bolognesi ne scappano di carine, che è frequentissimo fra di loro il si per il ci, e il faressimo e il diressimo e il questa cosa che qui e che lì; e che non è rarissimo il sentir da loro, anche da gente colta, ghignoso per “antipatico„, gnola per “seccatura„, benzolino per “panchetto„, zucca per “fiasco„, chiarle per “ciarle„. E, mi perdoni, intesi anche [51] dire qualche volta “ubbriaco patocco„ per ubbriaco “fradicio„. Questa è patocca! Ma ne ride ella pure, e tutti contenti.
E tu, bel garzonetto genovese, non ti dar l’aria d’impeccabile, se dunque sciorino anche a te una bella lista di dialettismi comici che raccolsi a casa tua.... e in casa mia. Se dunque per “se no„ è uno dei più preziosi, non lo puoi negare. Non me ne capisco per “non me n’intendo„ non è men peregrino. Scorrere per “rincorrere o inseguire„ è un’altra bella perla. E uomo di sua obbligazione per “uomo che sa il fatto suo„ è poco bello? Certo, tu non dirai mai mugugnare, frusciare, frugattare, camallare, dar recatto alla casa, in luogo di “brontolare, infastidire, frugacchiare, portar sulle spalle, mettere in ordine„, come da non pochi concittadini tuoi intesi dire. Ma sii sincero: non t’è mai scappato angoscia per “nausea„ e angoscioso per “molesto„ e inversare per “rovesciare„? Non ti scappa proprio mai bugatta per “puppattola„, rango per “zoppo„, marsina per “giubba„? Pensaci un po’, figgio cäo....
Cittadino romano, ti saluto, e mi fo lecito di dirti, rispettosamente, che spesso sento dire dai tuoi concittadini: ce sto, me dài, ve prometto, te parlo, se dice, e io so’ contento, e il tale non vo’ venire, e troncare gl’infiniti: anda’, sta’, di’, e dire andiedi e stiedi, e li fiori e li cavalli, e le mela e le pera, e subito che per “poichè„ e al contrario per “d’altra parte„ e apposta per “appunto per questo„ o imbottatore e tiratore e spogliatore e lavatore per “imbuto, cassetto, armadio, acquaio„: una quantità d’ore e d’altri idiotismi d’altre desinenze, che si volessi citartene mezzi [52] no me basterebbe du’ ora. Lascio stare il magnassimo e il bevessimo per l’indicativo, che a te non c’è caso che sfugga; ma chi sa quante volte tu pure, parlando italiano, esclami: – Guarda sì che bellezza! – o dici che hai rifame o che un Tizio t’ha fatto una vassallata o che non sai se quanto una certa cosa ti convenga. A ciascuno il suo. Non ti stranire, figliolo.
Partenopeo carissimo! Conosco un bravo avvocato napolitano, che tiene due cari figlioli, i quali, parlando italiano con me, chiamano qualche volta, senz’avvertirsene, gradinata la scala, coppola il berretto, cartiera la cartella, borro la brutta copia, spiega la traduzione; che dicono cacciar l’orologio per “tirarlo fuori„, abbiamo rimasto per abbiamo “lasciato„ l’ombrello a casa, nostro padre è andato a parlare una causa a Salerno, voglio essere spiegato, esser levata questa difficoltà, essere aperto il portone, e non mi fido per “non mi sento„ e vado trovando per “vado cercando„ e nel contempo per “nello stesso tempo„. Stesso il padre, dispiaciuto di quel modo di parlare, li avverte sovente che dicon troppi napolitanismi; ma non serve: lo voglion bene, ma non dànno retta a lui più che a me, e tiran via. Non ho detto per canzonare a te, bada bene; ma vedi un po’ se dei modi citati non ne scappa qualcuno a te pure. Potrebb’essere. Se te ne scappa, sei prevenito; colpisci l’occasione per correggerti, e stammi buono.
O piccolo abruzzese, e tu, non ancor baffuto figliolo della Calabria, non vi fate corrivi se vi dico che sfuggono allo spesso dei provincialismi a voi pure; e il senso lor m’è duro, potrei aggiungere. Come v’ho da intendere quando mi [53] dite scolla, andito, versatoio, coppino, ceroggeno, raschio, quartino, pizzo del tavolino per “cravatta, ponte, acquaio, cucchiaione, candela, sputo, quartiere, canto del tavolino„? e lento per “magro„ e sofistico per “discolo„ e fanatico per “vanesio„? Quando vi sento di parlare in quella maniera, sospetto che vogliate scherzarmi, e non tanto mi piace. E vada quando vi scappa detto che vi siete imprestato (per “fatto imprestare„) un vocabolario, che avete donato gli esami, fatto maturare un compagno permaloso, liberato un pugno a un insolente, o che in mezzo al vostro giardino ci vorrebbe piantato un bell’albero, o che vi par mill’anni di giungere il ferio di Natale: si sorride, e null’altro. Ma che si possa scoprire un canuto nella barba d’un uomo, è incredibile, e mettersi un calzone solo non è decente, e sparare gli uccelli alla caccia è feroce, e dire: – Mio fratello ha picchiato, vado ad aprirlo – è orrendo. Vi raccomando a porre attenzione a questi errori; e perdonatemi la franchezza, perchè, se ve n’avreste per male, ne fossi troppo dolente.
Son da te, caro siciliano. Molte volte, nel tuo bel paese, un ospite gentile mi disse sull’uscio: – Entrasse, signore, s’accomodasse; mi facesse il piacere.... – Lo dici qualche volta tu pure, non è vero? E accoppii non di rado il condizionale col condizionale: se avrei tempo, v’andrei, o: se avessi tempo, v’andassi; dico giusto? E per voi è fare un complimento anche il regalare un orologio d’oro, e dite spesso buono per “bello„ e bello per “buono„ e più meglio e più peggio, e insegnarsi la lezione per “impararla„ e mi scanto per “mi perito„ e accudire per “rivolgersi„ [54] e qualche volta la prima del mese, e questa, senz’altro, per “questa città„ e anche casa palazzata per “palazzo„. Chiamate bevanda il caffè e latte, come se non beveste altro nell’isola, o zuppa ogni minestra, e galantuomo ogni signore; e così fosse, che sotto un bel sopratutto e dentro una camicia arricamata non si nascondesse mai una birba! Te n’ho da metter fora dell’altre? No? Queste bastano? E dunque, come dice il tuo Meli,
dunca ascuta a lu patri, e teni accura
a sti pochi e sinceri avvirtimenti.
E anche a te, bruno Sardignolo, poichè ti vedo ridendo dei sicilianismi, dirò amorevolmente il fatto tuo, quantunque del tuo bel dialetto latineggiante io sia un po’ innamorato: a te che qualche volta, parlando italiano, alzi le scale invece di salirle, e culli il tuo fratellino per dormirlo, e non pigli caffè perchè non ti prova, e chiami cotti i fichi d’India maturi, e occhi cattivi gli occhi malati; a te che parti al villaggio, e torni da campagna, e vai al braccetto con gli amici, e a chi ti domanda l’ora alle dodici e dieci rispondi che è assai ora che è sonato mezzogiorno, e a chi ti rivolge domande indiscrete dici che non entri il naso negli affari tuoi, e se non la smette subito, che finisca da una volta d’importunarti. Per farla corta, non t’ho citato che una dozzina d’esempi; mi dispiace d’esser troppo pochi; ma te ne potrei pienare più pagine. A si biri, piseddu.
– Come? A me pure? – Sì, signorino, a lei pure, e spero che me lo permetta, poichè sa che le voglio un gran bene. Per insegnar la lingua [55] ai tuoi fratelli d’Italia, che ti riconoscono maestro dalla nascita, devi guardarti anche tu dai dialettismi, non con altrettanta, ma con maggior cura degli altri; non devi lasciarti sfuggir mai, neppure una volta l’anno (e ti sfuggono non di rado) voi dicevi, voi facevi, voi andavi, e dichino e venghino, e leggano per leggono, temano per temono, e lo stai e il vai imperativi, e il dove tu vai? e il che tu vuoi? e nemmeno sortire per uscire, e bastare per durare, e tornar di casa per “andar a stare„ in un luogo dove non s’è mai stati. E sebbene Dante abbia detto “lascia dir le genti„ è meglio che tu non dica genti in quel senso per non farmi pensare che tu parli di tutti i popoli della terra; e che suoi per “loro„ abbia esempi classici, non toglie che sia più corretto il far concordare l’aggettivo col sostantivo; e m’ammetterai che a dire ignorante per “maleducato„ si corre pericolo di calunniare dei sapientoni; e una “minestra diaccia„ se vuoi esser giusto, non s’è mai portata in tavola da che mondo è mondo. A rivederci, bocca fortunata, e porta un bacio alla torre di Giotto.
E ora che giustizia è fatta, tiriamo innanzi.
[56]