Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
L'idioma gentile

PARTE PRIMA.

*FQ*IL MALANNO DELL’AFFETTAZIONE.

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*FQ*IL MALANNO DELL’AFFETTAZIONE.

Vi son due modi di parlar male: la sciatteria e l’affettazione. Ma questo è peggior di quello, perchè chi parla sciatto è soltanto ridicolo, e chi parla affettato è ridicolo e insopportabile. Non occorre ch’io ti dica che cos’è l’affettazione. Te lo dicono i modi proverbiali che la deridono: – Star sul quinci e sul quindi. – Parlare in punta di forchetta. – Parlar come un libro stampato. – È un misto di pedanteria e di leziosaggine. È la consuetudine di scegliere fra i modi della lingua i meno comunemente usati, credendo che il parlar bene consista nel parlar diversamente dagli altri; è il servirsi di vocaboli e di frasi poetiche, anche nei discorsi famigliari, per dir le cose più usuali e più semplici; è l’usar locuzioni e costrutti del bello stile letterario, per isfoggio di cultura e d’eleganza, in luogo d’altre locuzioni e d’altri costrutti alla mano, che si sdegnano come volgari, e che paiono volgari per la sola ragione che tutti li sanno.

Hai visto mai dei bellimbusti che fanno il [57] bocchino e par che sorridano continuamente alla propria immagine, o tengon la bocca sempre aperta per mostrare i denti bianchi; che pigliano atteggiamenti d’Apolli, gestiscono coi gomiti stretti al busto e camminano in punta di piedi, dondolandosi come le anitre e guardando intorno con gli occhi socchiusi o dilatati o languenti! Sono caricature buffe e antipatiche, non è vero? E lo stesso effetto producono quelli che parlano affettato. Ci dispiacciono perchè, parlando diversamente da noi, hanno l’aria di dirci che noi parliamo male e che dovremmo parlare come loro; non ci paiono sinceri perchè la sincerità parla semplicemente, ed essi parlano con artificio; e non li possiamo prender sul serio perchè, lambiccando a quel modo il proprio linguaggio, mostrano di dar più importanza alle parole che alle cose e di parlar soltanto per farci sentire che parlan bene.

Senti un po’. Se uno t’annunzia la morte d’un suo amico dicendoti: – Ieri, dopo una malattia lunga e dolorosa, morì il tal dei tali, mio carissimo amico; morì fra le mie braccia; le sue ultime parole furono per raccomandarmi i suoi poveri bambini, che stavano accanto al letto –, tu sei preso da un sentimento di pietà. Ma se ti dice invece: – Ieri, dopo un lungo e fiero morbo, mancò ai vivi il tal de’ tali, amico mio dilettissimo; spirò sul mio seno, e i suoi supremi accenti furono per commettere alle mie cure i suoi sventurati pargoletti, che stavano all’origliere lacrimando; – tu, invece di commoverti, non credi al suo dolore, e gli dài del buffone.

L’affettazione falsa l’espressione d’ogni affetto, [58] spunta l’arguzia, toglie forza alla ragione, vela la verità, distorna la confidenza, getta il ridicolo su ogni cosa, rende uggiose e moleste, e qualche volta anche odiose, facendole apparire sotto un falso aspetto, persone dotate di eccellenti qualità d’animo. Ed è un difetto terribile, che guai a chi s’attacca, perchè diventa in lui come una seconda natura, della quale egli perde la coscienza, e non se ne libera più per la vita. Ed è un difetto disgraziatissimo, che il mondo deride e flagella anche nelle persone più rispettabili, senza tregua e senza pietà, fino alla morte.

 

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In quest’affettazione eccessiva e ridicola non c’è pericolo che tu cada. Ma ti devi guardare anche dall’ombra dell’affettazione, anche da quel difetto, nel quale quasi tutti cadiamo, di usare, parlando, una quantità di parole e di locuzioni non proprie del linguaggio parlato; fra le quali e le proprie, che non ignoriamo, e che usiamo anche spesso, ci siamo avvezzati a non far differenza. Di tali parole e locuzioni non ti posso fare un elenco compiuto, che sarebbe troppo lungo; ma ti do qualche esempio in un dialogo nel quale un Tizio mi racconta una sua avventura, ed io faccio il pedante della naturalezza sui fiori della sua letteratura.

 

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