Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
L'idioma gentile

PARTE PRIMA.

UNA CORSA NEL VOCABOLARIO.

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UNA CORSA NEL VOCABOLARIO.

P.

P.Quattordicesima lettera dell’alfabeto. Che novità! Un momento. Nota che è in generale maschile; più spesso maschile che femminile, dicono altri. Ma sul genere delle lettere bisogna fissarsi bene perchè occorre spesso di rammentare questa o quella vocale o consonante per canzonare errori d’ortografia o di pronunzia del prossimo, ed è ridicolo, nell’atto stesso che si canzona un errore d’altri, sbagliare o mostrare incertezza riguardo al genere della lettera a cui s’accenna. Nota anche quel P. C., per congratulazioni o condoglianze. Siccome le condoglianze si fanno quasi sempre per morti, non ti pare che quel p. c., usato da molti, sia un po’,... villanamente asciutto, salvo che si tratti della morte d’un cane? Chi, per condolersi con me d’una disgrazia qualsiasi, mi scrive un semplice p. c., m’ha l’aria di voler dire per canzonatura o per cavarmela. Ed è veramente canzonatura il fare un atto di gentilezza con un’avarizia così spilorcia d’inchiostro.

[127]

Pacca, pacchina. Colpo della mano aperta. – Non m’occorre, dirai; ci sono tant’altre parole per dir la stessa cosa! Adagio un po’. Se tu dici a un bambino, per ischerzo: – Bada che ti do una manata o uno scapaccione –, all’orecchio della mamma può sonar male lo scherzo. Se dirai una manatina o uno scapaccioncino, dirai una parola che non è d’uso corrente. Pacchina è la parola che fa al caso. Inezie! Ma, nel parlare come nello scrivere, si manifesta appunto in queste inezie il senso della convenienza e della finezza.

Hai ragione, invece, se mi dici che si può far di meno della parola Pacchéo, che vien dopo, per dir baggeo, uomo stupido. È da notarsi che di queste parole che suonano scherno o disprezzo, come di quelle che designano percosse, il vocabolario è mirabilmente ricco: se lo leggerai tutto, ci troverai una miniera di modi d’ingiuriare il prossimo e di termini relativi all’arte di menar le mani; ciò che non è un segno consolante della gentilezza della natura umana. Non c’è forse altra famiglia di modi più numerosa, se non è quella che si riferisce alla “noia di mangiare e bere„.

E a proposito, ecco la parola , mangiare, che molti lombardi stupirebbero di trovar nel vocabolario italiano: è il loro paciáa, donde paciada, mangiata, d’uso volgare. E tu, piemontese, troverai, andando innanzi, un gran numero di parole del tuo dialetto, che credi non siano della lingua. Rideresti, per esempio, se sentissi dire in italiano: Pacchiuco, che è il piemontese paciocc; fango, mota e simili. Ed eccolo qua, seguito da Pacchiucone, pasticcione, che è il [129] piemontese paccioccon. E c’è poco sotto Pacioccone, più somigliante dell’altro al vocabolo dialettale, ma che in italiano ha significato diverso, cioè di persona grassa, e par che dica la cosa anche col suono.

Questo pacioccone anonimo ci conduce nel regno della pace.

Il pane è la pace della casa. Che profonda verità! A quante cose fa pensare questo semplice proverbio, in cui balenano tutte le tristezze e le tempeste domestiche che derivano dalla miseria! E nota l’esempio: – Viene avanti con tutta la sua pace. – Non c’è l’immagine viva dell’indole, dell’aspetto, dell’andatura d’una persona?

Paciere. Ebbene? Niente. Sorrido a un ricordo mio, d’un’antica edizione del Conte di Carmagnola del Manzoni, che ebbi tra mano da ragazzo, nella quale all’ultima scena, dove il Conte dice di sperare che la propria morte riconcilierà il duca Visconti con la figliuola, in vece di: è un gran pacier, era stampato: è un gran piacer la morte; ed è quasi mezzo secolo che ogni volta ch’io trovo quella parola mi ricordo d’essermi scervellato un bel pezzo a pensare come fosse potuta sfuggire ad Alessandro Manzoni quella stramberia.

Pacificone. Ecco una parola comunissima che in venti volumi che ho sulla coscienza sono ben sicuro di non aver usata mai, benchè mi sia occorso chi sa quante volte d’esprimere l’idea ch’essa esprime; ciò ch’io feci senza dubbio con più d’una parola, o con un’altra meno propria. Dunque, memento.

– Come? – mi domanderai –; anche alla Padella ci dobbiamo fermare? – Sì, signore, e [130] c’è il suo perchè; sono anzi due. Lo sai che si chiama occhio il foro che è nel manico dell’utensile benemerito, per attaccarlo al chiodo? E sai che si chiama padella il piattello di latta, di cristallo o d’altro, che si mette sotto il lume o sul candeliere per riparar l’olio o la cera? – Ma son minuzie, – mi rispondi –; o se m’occorrerà due volte o tre nella vita di nominar quelle cose! – E batti! Ma siccome (e già lo dissi) ci sono altre migliaia di piccole cose, che nella vita avrai da nominar poche volte, se tu trascurerai d’impararne i nomi perchè son cose di poco conto, ti troverai migliaia di volte impacciato. Ti capaciti? E nota il vantaggio che ti la lettura del Vocabolario, dove, essendo detti tutti i significati di ciascun vocabolo, tu puoi imparare insieme i nomi di diversi oggetti, ciascun dei quali ti rammenterà l’altro. Vedi, per esempio, più avanti, la parola Pala. Pala, attrezzo comune, pala del remo, pala del timone, pala delle ruote dei molini. – Vedi Palco. I palchi fronzuti d’una quercia, i palchi delle corna, i palchi delle pine, un vestito di seta con trine a tre palchi; palco morto, quello che si dice in piemontese sopanta. – Poi Pallino. Pallino da caccia, pallino delle bocce, della sella, della balaustrata, della chiave maschia; soprannome d’un cane, d’un cavallo, ecc.; bambino grassoccio. Più sotto, dietro Paracadute, una filza di cose che parano: Paracamino, Parafoco, Parafumo, Paramosche, Paraocchi, Paratasche, Paracenere, Paracielo d’un pulpito, d’una carrozza, d’un tetto, ecc. Si piglia la lingua a retate.

Rifacciamoci indietro. Ecco una bella parola per dire una cosa che ci occorre di dire [131] spessissimo: Padreggiare, d’un figliolo o d’una figliola che somiglia al padre, o, come si dice famigliarmente, che tira dal padre. – Per solito le figliole padreggiano, i figlioli madreggiano. – Ecco la parola Paesano, che noi dell’Italia settentrionale non adoperiamo quasi mai nel senso di contrapposto a forestiero o a militare: – Vino paesano, ufficiale vestito da paesano. – Ecco alle parole Paga e Pagare una serqua di modi quasi tutti relegati fuor del nostro vocabolario parlato. – Pagaccia, un cattivo pagatore. – Essere il Paga della compagniadar le paghe, le busse. – Pagare a sgocciolo, alla stracca, coi gomiti, a chiacchiere, a respiro, sul tamburo, sulla cavezza, alla banca dei monchi, il giorno di San Mai, pagar di schiena. – E alla parola: Paglia: aver altra paglia in becco(un altro amore) – mangiarsi la paglia di sotto i piedi (rifinire ogni cosa) – batter la paglia (vagar col discorso) – rompersi il collo in un fil di paglia – per ogni fuscello di paglia (per un nonnulla)....

Segue una serie di nomi di cose utili a sapersi. Paliotto, l’arnese di stoffa o altro che si mette davanti all’altare; Palla, il quadretto di tela per coprire il calice, e il globo di vetro che si mette ai lumi; Palmento, la grande cassa dove casca la farina che esce dalle macine (donde il modo: mangiare a due palmenti); Pedana, tappeto per sotto i piedi; Pedagnólo, il fusto dell’albero ancor giovane; Pedale, il fusto dell’albero da terra all’inforcatura; Pellética, pelle della carne da mangiare, o pelle floscia o cascante della persona; Pelo, di marmi o pietre o vasi, fenditura sottilissima somigliante ad un pelo. Sapevi tu i nomi di tutte queste cose? No? [132] Ebbene, ti dico nell’orecchio che parte gl’ignoravo anch’io, e parte li avevo dimenticati. E Palandra, per abito d’uomo a lunga falda? Che cosa dice il Sor Palandra? Mi par di vederlo.

 

Una sosta.

 

Sostiamo un poco, e voltiamoci indietro. Vedi, nel breve tratto percorso, quante parole abbiamo trovate, che ci hanno destato un ricordo storico, portato l’immaginazione in ogni parte del mondo, a cose remotissime di spazio e di tempo, dalle palafitte lacustri dell’età preistorica alle architetture palladiane, dai paleosauri fossili ai bacilli del Pacini! Abbiamo visto passare la paggeria pomposa delle Corti, i principi orientali portati in palanchino, i trionfatori romani in veste palmata, i giovani greci lottanti al Pancrazio, e dame e sonatori di lira e poeti tragici e ninfe cacciatrici di Diana ravvolte nella palla, e i lottatori delle feste panatenée in onor di Pallade, e i Bolognesi antichi plaudenti alla battaglia d’ova e di porci della Pachetta. Ci son balenati dinanzi Attilio Regolo, che con le palpebre arrovesciate, spasimando, guarda il sole, e Carlomagno circondato di Paladini, e i Palleschi e i Piagnoni, partigiani e avversari dei Medici, e i Francesi caduti nel sangue delle Pasque Veronesi, e Paisanetto, la maschera genovese, e Pantalone, la maschera veneziana, e Pantagruele, figlio di Gargantua; e di da questa maravigliosa processione, una fuga di palazzi famosi, i palmizi ridenti di Liguria e di Sicilia, e il Palatino e il Panteon e le paludi Pontine e l’orizzonte immenso della Pampa. Pensasti mai, leggendo [133] altri libri, a tante cose e così diverse in così breve tratto di lettura? E quante n’ho tralasciate! Ma

 

Rimettiamoci in cammino.

 

Panacèa. Tu non sei di quelli che pronunziano panácea, non è vero? Non t’aver per male della domanda: non di rado io sento dire stentoréo per stentóreo, e qualche volta anche Satìro per Sátiro, santissimi numi! E come sono efficaci le maniere: – Levar di pan duro –, per mangiar molto, non lasciar che il pane diventi duro in casa; – mangiare il pan pentito finir di mangiar pane, per morire, e – pan di ricatto – che si dice quando uno rifà agli altri quello che hanno fatto a lui. E rimbrontolare il pane a uno non è più espressivo di rimproverare e rinfacciare? E com’è ben significato e quasi effigiato l’ipocrita untuoso in Bocca pari, poichè far la bocca pari vuol dire accomodar la bocca per ipocrisia! Un’altra parola, Pari, che non s’usa quasi punto fuor di Toscana, benchè serva a dire molte cose che non si possono dire altrimenti che meno bene, o con più parole, ciò che in fondo è il medesimo. Per esempio, come diresti tu in altre parole: camminar pari pari o portar una cosa pari pari, perchè non si spanda l’acqua che v’è dentro?

Parare. È una di quelle tante parole comuni alla lingua e al dialetto, le quali noi non usiamo in certe forme perchè, essendo queste anche dialettali, non le crediamo forme italiane. Di’ la verità: oseresti dire che una stanza è buia perchè c’è la casa di faccia che para? para, senz’altro, sottintendendosi il sole, la luce? E dire: – [134] Escimi davanti che mi pari? E: un pastrano che para il freddo? E a un bambino, offerendogli qualche cosa: Para bocca? Para mano? Para il grembiule? Para il sacco? – No. Vedi, dunque. Ma di queste parole e locuzioni dialettali e italiane ne abbiamo già trovate parecchie nelle pagine antecedenti, e ne troveremo di più in seguito. – Tirar la paga, per riscuoterla. – Essere una cattiva paga, un cattivo pagatore. – Pagherei che tu provassi il gusto che c’è a far questi lavori – Non pappare d’una cosa, non intenderseneNon aver paura, non temere il confronto. – Pelar gli uccelli, le castagne, pelarsi una mano con un ferro rovente. – Farsi pelare, per farsi tagliare i capelli. – Prendere di qui, di , da questa parte, da questa strada, per avviarsi. – Pigliarsi, per isposarsi. Pare che que’ due si piglino. Lo so da per me, viene da per sé. Piluccare uno (plucchè, piemontese) per pigliargli i denari. – È un piglia piglia (ciapa, ciapa). – E pappino, pastone, pataffione, patatucco, piota, quei pochi, per servo d’ospedale, pasto per le galline, uomo grossolano, uomo stupido e bizzarro, pianta di piede grosso, quattrini. Vedi di quanti vani scrupoli e paure ti puoi liberare leggendo il vocabolario.

Conosci i modi: parlare con le seste, parlucchiare sul conto altrui, passar parola a qualcuno d’un affare, aver passato con alcuno poche parole, entrar in parole, pigliarsi a parole? Provati a trovare un altro modo che equivalga appunto quest’ultimo, e vedi se particolare, nella frase: – Tu sei particolare, veh! – da noi non mai usato, non dice qualche cosa di [135] più di curioso e qualche cosa di meno d’originale o strano, che qualche volta sarebbe troppo. E diciamo mai pascolare in senso attivo, come nell’esempio: – Andò a pascolare le pecore? passatella, di donna avanzata in età, è uno di quei modi riguardosi, da registrarsi nel Galateo della lingua, i quali possono attenuare, in certi casi, il risentimento d’una signora rispettabile. E nota pure, perchè ti può occorrere: – tirare una Passatella, che è mandar la boccia in modo che tocchi quella dell’avversario per rimoverla. – Cantare a paura, che bel modo di dir: cantare per ingannar la paura! E pencolare nel senso di esser dubbio tra il sì e il no? Ricordo un ragazzetto fiorentino che mi disse: – Io volevo che mi lasciassero andar solo a vedere il serraglio: la mamma pencolava, pencolava.... – Nota (e noto anch’io, perchè son parole che imparo con te): – Pecetta, per seccatore (bellissimo): Levami questa pecetta di torno. – Pastranaio, chi alla porta d’un teatro o altro prende e conserva i pastrani. – Pataccone, un orologio grosso e vecchio. – Patate (volgarmente) i calli. – Pecorelle, la schiuma dei cavalloni. – Pedinare, il correre per terra degli uccelli....

 

In confessionale.

 

Qui apro una parentesi, che già volevo aprire alla parola Paleografia, poi a Paleolitico, a Paleontologia, a Palingenesi, a Palinsesto, a Paralipomeni, e che dovrei poi aprire a Pirronismo o a Prammatica e ad altri vocaboli, se non lo facessi in questo punto. Zitto! Non ti domando [136] se di tutti quei vocaboli sai il significato: ti tratto da uomo. Quelle ed altre molte appartengono a una famiglia di parole che si potrebbero chiamare: della scienza sottintesa: parole che si senton dire sovente nelle conversazioni della gente colta o mezzo colta, e che spessissimo si leggono nei giornali; le quali molti non sanno o sanno soltanto per nebbia che cosa significhino, e sarebbero impacciatissimi a dirlo; ma fingono di capirle, perchè hanno coscienza che è alquanto vergognoso il non conoscerne il significato. Fra quanti bravi signori, se fossero sinceri, seguirebbe la scena di quei due giurati del Fucini, i quali, di parola in parola, finiscono col dichiararsi a vicenda di non sapere che cosa voglia dir recidiva, che credevano un delitto snaturato! Ebbene, questo è uno dei tanti vantaggi della lettura del Vocabolario: che tutti, scorrendo le sue pagine, possiamo colmare una quantità di piccole lacune della nostra cultura, le quali non confesseremmo neppure a un amico, aggiustare i conti della nostra coscienza letteraria, di nascosto, senza dover arrossire, come con un maestro fidato, che s’interroga a quattr’occhi, e che le risposte nell’orecchio, e non risponde soltanto alle nostre domande, ma ci svela pure molte nostre ignoranze inconsapevoli, e vi ripara ad un tempo. Cito fra le tante che ci passeranno sott’occhio una sola parola: preconizzare, che quasi tutti sanno, ma che moltissimi non intendono nel suo significato vero, poichè cento volte io l’intesi usare nel senso di presagire, dove significa propriamente: proclamare l’elezione d’un vescovo, e quindi, per traslato, proclamare che che sia. Il Giordani [137] preconizzò all’Italia l’ingegno del Leopardi. E si sente dire: – Io preconizzai la pioggia fin da ieri! – E a proposito di pioggia: una passata d’acqua, una passatina, per piccola pioggia, e che passa presto, come dice bene la cosa!

 

Da “Pencolone„ a “Piaccicone„.

 

Credo che avrò detto cento volte uno che pencola o pende camminando, e non dissi scrissi mai: Pencolone, che m’avrebbe fatto risparmiare parecchie parole. Notiamolo per ragione d’economia. – L’albero cade dalla parte che pende. I timorati della grammatica direbbero: dalla parte da cui o dalla quale pende; ma è un modo che stride come un paletto arrugginito. Penna. Qui c’è un grappolo di modi che ti possono occorrere ogni momento: penna che fa, che intacca, scrive corrente, fa grosso, sottile, stride, schizza, lascia (non finisce il tratto), sbava. Pennata, quanto inchiostro prende in una volta la penna. – Pensiero. Nota la locuzione: Ho fatto pensiero di ritirarmi: è più che ho pensato e meno che ho fatto proposito. – Pensucchiare, pensare meschinamente. Questo scrittore non pensa, ma pensucchia. – Pentolino. È bello il modo: tornare al pentolino, per tornare alla sobrietà, alla vita parsimoniosa di casa, dopo aver scialato. To’: c’è anche un modo per dir l’atto di riunire i cinque polpastrelli della mano. Fa’ pepino, se ti riesce, si dice a chi ha le mani aggranchiate dal freddo. E giusto, mostrami la mano: questa pellicola staccata dalla carne vicino all’unghia si chiama Pepita. Tágliatela, e osserva l’uso del per nei modi seguenti, che [138] per noi sono insoliti: – Si volsero per ponenteAssalirono il nemico per fiancoPer bambino, ha molto giudizio. – Per gobbo, dicono in Toscana, è fatto beneLevò quel ragazzo di per le stradeDare una cosa per di. Gli hanno dato questo quadro per di Raffaello. – E l’uso del perchè in quest’altro esempio: – La cagione perchè io lo cacciai di casapiù svelto che per la quale. Perdove. Volle sapere il perchè, il percome e il perdove. Vedi com’è graziosa la parola personalino per figura: – Quella ragazza ha un bel Personalino –, e com’è espressivo il costrutto: – I facchini la mancia la pesano –; il quale tu usi ogni momento nel dialetto, e non l’useresti in italiano, pensando che sia un errore l’oggetto doppio: corbellerie! Pestare uno di nerbate, un modo vigoroso. Pesucchiare, per pesare abbastanza. Questo bambino non pare; ma pesucchia. Pettata, salita piuttosto forte: fare una pettata. – Pettegolata, azione da pettegoli; bada: non pettegolezzo. Prendere per il petto uno, fargli violenza. Un piacere lo fo; ma non voglio esser preso per il petto. Piaccichiccio. Con questo piaccichiccio di fango, non si cammina. – Piaccicone, piaccicona, chi fa le cose lentamente. – Pipa, per naso grosso.... altrimenti Nappa, che è la napia del nostro dialetto....

A proposito di Piaccicone, è da notarsi il gran numero di parole comprese nella sola lettera P, le quali definiscono il carattere, l’aspetto, il modo di moversi e d’operare d’una persona; tutte occorrenti spessissimo, in special modo nel linguaggio parlato. Per esempio: – Quel pallidone d’Eugenio. – Se tu dici invece: quella faccia [139] pallida, non fai capir così bene che Eugenio è pallido sempre, naturalmente. – Pancetta, chi ha la pancia grossa. Maestro Pancetta; scherzoso, ma non impertinente. – Pappataci, chi soffre, mangia e tace. – Pepino, è un pepino, di ragazzo o donna arguta e frizzante. – Petecchia, uomo spilorcio. – Pidocchio riunto, rivestito, rifatto, rilevato, ignorante arricchito e superbo. – Pispoletta, pispolino (da pispola, uccello cantatore), donnetta vezzosa, o ragazzo o bambino piacente. E ne tralascio molte altre, che vedremo un’altra volta, per finir con Puzzone, persona che puzza, e anche persona superba. – Tìrati in , puzzone, che mi mozzi il fiato. Che si crede d’essere quella puzzona? – E poichè si parla di puzzo, nota, com’è detto bene di persona senza sentimenti e senza idee: – Senza puzzi e senza odori –; che si potrebbe riferire anche a scrittori e a libri corretti, ma vuoti e freddi, che lasciano nel lettore.... il tempo che trovano. E ora, per riprender fiato, un’altra occhiata alla

 

Lanterna magica.

 

Quante cose, oltre la lingua, in quest’altro breve tratto che abbiamo percorso, e in altre poche pagine che possiamo precorrere con lo sguardo! Armati ad ogni passo: Pentacontarchi, Peltasti, Petardieri, Pretoriani; magistrati romani, con la pretesta strisciata di porpora, plaudenti ai gladiatori dal Podio; e poeti e re e numi e genti d’ogni età e d’ogni latitudine, dai Pelasgi ai Lapponi.... che fabbricano pane con la corteccia del pin di Russia. E che strana processione, Pilade, Pilato, Pindaro, Plinio, re Pipino, Petrarca, [140] Platone, Plutone! Abbiamo visto Pegaso trasvolare nelle nubi, passare il pétaso alato di Mercurio, Psiche spiar le forme dell’amante incognito, Ulisse sterminare i Proci, Teseo giustiziare Procuste, Pirra far degli uomini coi sassi, Progne cangiarsi in rondine e Proteo in cento forme, e Perillo fabbricare l’orrendo bue ciciliano, rogo e tomba di bronzo di corpi vivi. Abbiamo visto fender l’acque le piroghe degl’Indiani, scorrer sull’Egeo la nave capitana del Morosini il Peloponnesiaco, errar sul Ponte Eusino l’ombra d’Ovidio; e Aristotele passeggiare nel Peripato e la procuratessa Grimani in piazza San Marco; e meditar sulla pila Alessandro Volta, e fuggire dalle Tuileries la testa a pera di Luigi Filippo; e lontano, verdeggiar nell’azzurro i giardini pensili di Babilonia e la vetta del monte Pimpla, sacro alle Muse. Che fantasmagoria, per gli Dei Penati!

 

Cento pagine di corsa.

 

Di corsa, perchè è ancora lunga la strada, e tu la rifarai da te a più bell’agio. Piaggellare, lodare, dar dell’unto, più discreto di piaggiare, e anche nel senso di ninnolare, divertir con ninnoli. – Piangere. Di un vestito che non si confà a una persona si dice con traslato felicissimo che le piange addosso, perchè fa le grinze d’un viso piangente, e di scarpe tutte rotte: scarpe che piangono a cent’occhi. Dire che ho cercato tante volte il contrapposto di valligiano, colligiano, senza trovarlo, ed eccolo qua: Pianigiano: me lo appiccico sulla fronte. Piantacarote.... Ma questa è una parola comunissima, come l’azione che esprime. Ora, ecco una manciata di modi [141] comuni a vari dialetti, di grande efficacia. – Piantar spropositi. – Piantar uno a un dato posto (in senso canzonatorio). – L’hanno piantato agli arresti. – Piantare una ragazza. – Piantare un amico su due piedi. (Un poeta usò argutamente, in questo senso, la parola Piantagione). – Piantar gli occhi in faccia a uno. – Piantare il discorso, e andarsene. – Piantar casa. – Piare, degli uccelli che cantano in amore, e pío pío; e si dice anche piare delle castagne e delle patate che mettono: – Non lo vedete che queste castagne pìano?Pieno, una delle tante parole che nel vocabolario hanno il sacco: – pieno zeppo, pinzo, colmo, gremitobicchiere pieno raso piatto pieno a cupola – nel pieno invernonel pieno della notte. – e così Pigliare: pigliare a cambio, a chiodo, a calo, e nel senso d’accendersi: – questo lume non piglia – e in altri significati: – vino che piglia d’acetopianta che non piglia mastice che piglia appena.... Ah che miseria! Pensare che io pure, vecchio al mondo, dico quasi sempre queste cose in altri modi tanto meno spicci e meno propri! – Pinzo, pinzare è proprio del morso degl’insetti. – Nota i modi: – Starà poco a piovere. Piove a paesi (in qua e in ). – Píppolo, che è una piccola escrescenza delle piante in forma di bacca, si dice pure d’un’escrescenza della carne: ho un amico al quale una gallina portò via un píppolo dal naso con una beccata. Píttima, per persona noiosa, è anche del nostro dialetto. A pochini a pochini se ne spende tanti, molto più espressivo e garbato che a poco a poco. – Popone fatto, strafatto. – Popone per gobba. Mi ricorda il sonetto del Fucini, dove al [142] prete gobbo che dice che l’uomo è fatto a somiglianza di Dio, Neri risponde: – Con quel popone non me l’ha a dir lei. – O sciocco, va’ a dare il colore ai poponi.

 

Amenità del vocabolario.

 

Da quest’ultimo esempio possiamo prender le mosse a una corsettina allegra, per vedere una quantità di modi proverbiali e di motti e d’esempi lepidi e arguti, che nelle pagine precedenti abbiamo saltato a piè pari. Se leggerai tutto il vocabolario, vedrai che ce n’è a profusione, che alle immagini e ai pensieri tristi vi predominano di gran lunga gli ameni, che il libro della lingua, insomma, è generalmente un libro gaio, gran motteggiatore e burlone; e nei suoi motti non troverai soltanto fiori e vezzi di lingua faceta, ma anche molte sagge sentenze e verità utili e sani consigli. Rifacciamoci un po’ indietro, e spigoliamo alla lesta, senza tralasciarvi certi modi un po’ volgari, ma efficacissimi, che è bene conoscere, benchè non sia bene adoperarli.

Fàtti in , disse la padella al paiolo. – Non si può esprimere più argutamente il concetto d’una persona di cattiva reputazione che ostenta timore d’insudiciarsi nella compagnia d’un’altra della stessa tacca. – Sei come la padella, che tinge e scotta. C’è da rivomitar le palle degli occhi, a mangiar certe bazzoffie delle trattorie. – Ti s’ha a portare il panchetto? A chi non finisce di chiacchierare per la strada. A Parigi, quando due comari stanno a chiacchiera un pezzo davanti a una bottega, esce il bottegaio [143] con due seggiole, dicendo: – Ces dames seront peut-être mieux sur des chaises. Aver della pappa frullata nel cervello, essere un baggeo. Di una cosa nauseante: – Fa venir su la prima pappa. – Soffiar nella pappa, fare la spia. – Da pappardelle (certe lasagne): il condotto delle pappardelle, la gola. – Pappa tu che pappo io (comune, credo, a tutti i dialetti), alludendo a due persone che mangiano d’accordo in un affare. – Eh, non mi pappar vivo! A chi risponde arrogante. – Aspetto che passi la mia, diceva quell’ubbriaco che si vedeva girar intorno le case e non riusciva a trovar la sua porta. – Far passare il vino da Santa Chiara, degli osti che lo annacquano. – Nella sua testa c’è andato a covare un passerotto, di persona senza senno. – Il se, il ma, il forse, è il patrimonio dei minchioni. – Dottor Pausania, a persona che parla con molte pause e con prosopopea. Di una persona magra: – gli si sentono i paternostri nella schiena: – da paternostri, le pallottoline maggiori della corona del Rosario, alle quali somigliano i nodi della spina dorsale. A chi fa il superbo perchè è arricchito, per ricordargli il tempo quand’era povero: – Ti ricordi quando con una pedata ti rifacevi il letto? ossia, quando dormivi sulla paglia. – Il caldo dei lenzuoli non fa bollir la pentola (anche dialettale), la poltroneria non è guadagno. – Pare una pentola di fagioli (si sottintende “in bollore„) di persona catarrosa. – Dio ti benedica con una pertica verde. – Pillole di gallina (le ova) e sciroppo di cantina aiutano a star sani. – Di persona segreta: – Più chiuso delle pine verdi. – Tu fai piovere! A chi parla con affettazione o canta male. – [144] E ponza e ponza e ponza, venne fuori la Monaca di Monza, fu detto del Rosini, che con quel romanzo credeva d’aver ammazzato I Promessi Sposi; e si dice di chi fa un grande sforzo, che poi non degno frutto. – E udendo un suono di quel vento che esce dallo stomaco: – Al tempo dei porci erano sospiri. Proserpina, di donna scarruffata. Vatti a pettinare, che con codesti ciuffi mi pari una Proserpina (la figlia di Giove e di Cerere, rapita da Pluto). – Non esce mai dal bagno: o che ci sta in purgo? Dal mettere una cosa in purgo, o in molle, perchè prenda o perda certe qualità. – È meglio puzzar di porco che di povero, dicono i poveri che si vedon malmenati. Vespasiano a Tito, che gli chiedeva come mai avesse messo un’imposta sull’orina, mise una moneta sotto il naso, e domandò: – Puzza questa?

 

Ultima verba.

 

Poliarchía. Tu capisci la mia strizzatina d’occhio: questa è una di quelle tali parole che è convenuto che tutti intendano, e di cui non è prudente domandare la spiegazione, in presenza d’altri, a una persona che si rispetta. – Polpetta, tu saprai per prova che cosa significhi in traslato: sgridata. Bello il verbo Porgere nel senso di suggerire: – Fa’ quello che la natura ti porge. – Dice il popolo, in Toscana: – Un animo mi porge, il cuore mi porgeva di fare una data cosa. Posare. Nota bene. Noi diciamo troppo spesso deporre, che è ricercato, per posare il cappello sopra una seggiola o il candeliere sul tavolo o altro simile; io intesi anche gridare a un cane: – Deponi quell’osso, come nelle tragedie si dice a un re: – Deponi quel serto. Corbezzoli! – Positivo. Si dice famigliarmente di positivo per sicuramente, senza dubbio. A primavera c’è la guerra di positivo. Posteggiare, far la posta, non si dice soltanto d’un animale alla caccia, ma anche d’una persona: L’ho posteggiato un pezzo all’angolo di via Garibaldi, dove passa ogni giorno; ma non comparve. – Si dice che Può il sole, il vento in un luogo, per dire che ci batte forte, ed è un modo tanto efficace quanto lesto. Eccoci a Pratica. E qui ammonisco me stesso: – Si ricordi bene, signor E. D., che si dice far le pratiche da avvocato, e non la pratica, come dice lei, e far pratiche, non le pratiche, per far quello che occorre a riuscire in un intento. E tu pure, figliuolo, a proposito di Precipizio, avverti, discorrendo, di non precipitar le parole, le sillabe, il racconto, che è un vezzo per cui si dice un precipizio di spropositi; e già fanno tutto male gli uomini precipitosi; e non te la prendere (è un modo anche dialettale) se t’ammonisco con tanta franchezza. Su Presa tiriamo via, perchè tu capisci che cosa significa negli esempi: un muro che non ha fatto ancora presa, una colla, una pasta che non fa presa. Ma facciamo alto a Prestigio, che il vocabolario definisce: influenza, forza abbagliante, ma di cui si fa ora un abuso ridicolo, adoperandolo nel significato più ristretto di stima e d’autorità, e anche di serietà solamente, tanto che tutti credono d’aver del prestigio da perdere, e io intesi dire persino d’un cane da guardia, che aveva perduto ogni prestigio in una fattoria, per averci lasciato entrare [146] i ladri di notte. – Grazioso il verbo prosperare in senso transitivo: – Il Signore vi prosperi! Pugno, ribeccarsi un pugno, mescere fior di pugni. Sentii dire in Toscana: – Quattro pugni bene scolpiti, che è proprio uno scolpire l’idea. – Mi piace Puntare nel senso di fissare con insistenza una persona: La smetta, giovanotto, di puntar quella ragazza; e anche riflessivo, per ostinarsi: – Se si punta, non ottieni nulla. – Ed ecco alla parola Punto un mazzo di modi da ricordarsi: – Far punto e da capo, stare a punto e virgola, ci sono i punti e le virgole (in uno scritto perfetto), capitare in brutto punto, prendere in buon punto (nel momento buono), se s’affatica punto punto s’ammala, non è ancora in punto (all’ordine). Per primo punto ti dirò.... – Pure di, in senso ellittico. Pur di campare, fa di tutto: esprime il concetto con assai più forza che per campare, dicendo l’amor della vita anche più forte del sentimento della dignità e della rettitudine. Puzzare, puzzacchiare. Passa di qui a naso ritto: par che si puzzi tutti! – Il pesce puzza dal capo. Azioni che puzzan di ladro. Diciamo anche noi nel dialetto che una cosa non pagata, ma presa a credito, puzza d’inchiostro, e d’una cosa che si ritrova o si riceve inaspettatamente, e che ci fa comodo: – Un pastrano a questi freddi? Non puzza. – Nota che noi usiamo quasi sempre, in vece di puzzo, puzza, che è del linguaggio letterario. – Un puzzo che assaetta, un puzzo che si schianta, che si scoppia. – Di questo puzzo non ce n’ho mai avuto in casa mia: s’intende di questi peccati, di queste cattive azioni. E per rumore, putiferio: – Per un nulla non importava far tanto puzzo! [147] – E ancora vari nomi di cose, d’uso raro fra noi, ma che è bene aggiungere al nostro vocabolario manchevole: – Posatura, quella che lascia l’acqua nella boccia, e che noi diciamo fondo, che è proprio del caffè, com’è del vino e dell’aceto fondigliólo. – Proda del campo, del tavolino, del letto, del muro, del fosso, che noi diciamo malamente orlo. – Pulcesecca, sinonimo faceto di strizzatura o pizzicotto, o anche il segno che ne rimane. – Mi son fatto una pulcesecca con la fibbia, e in un sonetto del Fucini: e giù na pulcesecca ’n tel nodello. – Pulciaio, un luogo pieno di pulci o sudicio. – Son capitato in un pulciaio di locanda! – Pulcinaio, un luogo pieno di pulcini. – Pulisciscarpe e Puliscipiedi, che si mette all’entrata delle case, e che si chiama Raschino se è di ferro. – Pulsantino, la mollettina degli orologi, che serve, calcandola e girando il gambo, a rimetter l’ore. – Punzone, forte colpo dato con le nocche o con la mano puntata. Gli diede un punzone nel petto che lo mandò con le gambe levate. – E questo è l’ultimo vocabolo della processione del P, che se finisce poco bellamente con due scarpe per aria, non è mia colpa.

 

Per finire.

 

Credo di non averti seccato. Non ti saresti seccato neppure, credo, s’io non avessi fatto molte omissioni per abbreviarti il cammino. Ho detto molte, ma sono moltissime, e in special modo di nomi storici, di termini architettonici, matematici, filosofici, chimici, nautici; ai quali forse, leggendo in luogo mio, tu ti saresti arrestato. [148] Anche ho trascurato un monte di vocaboli con cui ti sarebbe passata dinanzi una varietà grande d’animali rari, di minerali, d’erbe, di fiori, d’alberi, di frutti, di medicinali, d’alimenti, d’abitazioni e di paesaggi, e d’armi e di macchine d’offesa e di difesa antiche e moderne, e di vestimenta e di costumanze e di giochi e di feste dell’età passate e del tempo presente, che alla mia immaginazione presentavano, durante la lettura, un’altra fuga ammirabile d’immagini, di da quella che tu vedevi con me, seguitando le mie citazioni. E ho tralasciato voci imitative, interiezioni, esclamazioni, facezie, proverbi, quanto era necessario che tralasciassi, insomma, per ridurre in una ventina di pagine più di quattrocento colonne di stampa. E queste quattrocento colonne non rappresentano che una lettera. Vedi che vasta e succosa e dilettevole lettura è quella del Vocabolario, e immagina quanto avrai imparato quando su tutte le lettere dell’alfabeto avrai fatto il lavoro che abbiamo fatto insieme sopra una sola, ma con più attenzione, e smettendolo e ripigliandolo a intervalli, dopo ciascun dei quali ritornerai all’opera con maggior curiosità e con più vivo ardore e con la mente meglio esercitata a scegliere, a osservare e a imparare. Sei persuaso? E dopo questo, se qualcuno ti dirà che a leggere il Vocabolario si muor di noia e si sciupa il tempo e il cervello, mandalo.... alla lettera P.

 

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