Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
L'idioma gentile

PARTE SECONDA.

LA LINGUA FACETA.

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LA LINGUA FACETA.

Questa tu devi studiare in particolar modo se sei di natura tagliato al faceto, ossia inclinato a osservare e a rappresentare ad altri il lato ridicolo delle cose, e a esprimere molti dei tuoi pensieri, anche non lepidi in , in forma scherzosa; poichè per noi, che non abbiamo imparato la lingua dalla balia, non c’è cosa più difficile che scherzare con garbo e ottener con la parola l’effetto del riso.

Perchè sia difficile lo spiega con grande evidenza il Leopardi nei Pensieri che furono pubblicati dopo la sua morte; nei quali troverai un tesoro d’osservazioni acutissime sulla lingua italiana.

Egli dice che il ridicolo (per quanto si riferisce al linguaggio, non alla sostanza) “nasce da quella tal composizione di voci, da quell’equivoco, da quella tale allusione, da quel giocolino di parole, da quella tal parola appunto, di maniera che se sostituite una parola in cambio d’un’altra, il ridicolo svanisce„.

Ora, per questa ragione appunto noi otteniamo [229] difficilmente il nostro intento nei discorsi faceti che facciamo in italiano: perchè ci manca la maggior parte di quelle parole e locuzioni, dalle quali nasce il ridicolo, e quasi sempre usiamo in luogo di quelle gli stessi modi che useremmo per dire sul serio le cose che diciamo per far ridere.

 

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È una verità che non occorre di dimostrare. L’avrai osservata molte volte tu stesso nei discorsi tuoi e in quelli degli altri. Tu devi sentire alla prima qual maggior effetto comico si possa ottenere in certi casi dicendo invece di “tremar dal freddo„: – batter la diana o pigliar le pispole; invece di “dar poco da mangiare a uno„: tenergli alta la madia; invece di “ridurgli il vitto„: alzargli la mangiatoia; invece di “non ha la testa a segno„: gli va male l’oriolo; invece di “picchiare, dar lo busse a uno„: pettinarlo, rosolarlo, tamburarlo, fargli una tamburata, dargli le croste o le paghe o le briscole. – E senti che più facilmente farai ridere se invece di “scappare, indebitarsi, dire l’opposto di quello che s’è detto, far le occorrenze sue, tirar calci, andar tutto d’un pezzo e impettitodirai: – spronar le scarpe, inchiodarsi, rivoltar la frittata, far gli offici di sotto, lavorar di pedate, aver mangiato la minestra o lo stufato di fusi. – E non c’è bisogno di farti notare che diversità d’effetto comico corra fra le espressioni: un abito che “si comincia a scucire„ e che comincia a fischiare; fra “abito lungo e largo o logoro o scarso o mal fatto„ e palandrana, biracchio, paraguai, saltamindosso; [230] fra “brodo allungato„ e brodo di carrucola, fra “cattiva minestra„ e sbroscia o basoffia, fra “miseria„ e trucia, “paura„ e battisoffia, cattivo quadro„ e cerotto; persona acciaccosa e di malumore„ e deposito: Andiamo a far visita a quel deposito del signor Gaudenzio! – Molte di queste parole e locuzioni sono ridicole per medesime, e bastano da in molti casi a destar l’ilarità, dove non gioverebbe a destarla un particolare o un’osservazione arguta aggiunta alla frase o alla descrizione e all’aneddoto.

 

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Per dimostrarti quant’è ricca in questo campo la nostra lingua, ti cito ancora una serie di modi d’uso comune in Toscana, che noi non usiamo se non raramente; di alcuni dei quali è evidente il significato; e d’una parte degli altri lascerò che cerchi il significato tu stesso, perchè ti resti meglio impresso nella memoria.

Affogare nel cappello, nelle scarpe, nel soprabito – Aver roba in corpo o in manica – Aver paglia in becco – Avere il baco (con qualcuno; avercela, senza dimostrarlo, o volerlo dimostrare) – Avere i bachi (essere inquieto o di malumore) – Aver famiglia in capo Aver la fregola (di fare una cosa) – Aver messo il tettoAlzare i mazziAndare, darsi ai caniAndare in dolcitudineAttaccare il lucignolo Bastonare la messa (dirla in furia), una cosa qualunque (abborracciarla e venderla a vil prezzo) – Batter la solfaBattere il trentunoCampare con uno stecco untoDar le pereDare fune o spagoDare una lunga a uno [231] (intrattenerlo, senza spedirlo) – Dare un’untatinaDar nelle girelle o nelle girandoleEssere al lumicino, al moccolino, al moccolettoEssere uno spianto (una rovina: quell’affare è stato un vero spianto per il tale) – Essere in pernecche – Fare un bollo (vuol prender moglie quello spiantato? Farebbe un bel bollo!) – Far polvere (sollevare scompigli: non faccia tanta polvere: abbia un po’ più di prudenza) – Fare una buca (un cassiere nella cassa) – Fare un passio (una cosa lunga di cosa che dovrebbe esser breve) – Far baciabasso (per umiliazione, per adulazione, sottomettersi) – Girare a uno la cuccuma, la còccola, il boccinoGrattar gli orecchiLevar le replicheMangiare a maccaMacinarsi il patrimonioMettere in purgo (una notizia non sicura) – Non mondar nespole (S’egli lavora, l’altro non monda nespole)Pagar con le gomitaPiantare un meloPiantare un porroPrendere al bacchio (alla cieca, alla ventura) – Prender peloPrendere una lùcia, una briaca, una bertucciaRidursi all’accattolicaSpianare il gobbo, le costureScuotere la polvereSonarla a uno – Sonare a mattanaSbarbare (Non riuscire in una cosa: s’è messo a tradurre Orazio; ma non ce la sbarba)Tagliare le calze – Venir le cascaggini (d’una cosa che ci annoia: mi fa venir le cascaggini). E soltanto per esprimere facetamente l’idea del mangiare con avidità, o molto, o soverchio: diluviare, digrumare, dipanare, scuffiare, sgranocchiare, dimenare le ganasce, ungere, sbattere, far ballare il dente, far ballare il mento, ingubbiarsi, rimpippiarsi, rimbuzzarsi, spolverare, dar ripiego a quant’è in [232] tavola, mangiare a scoppiacorpo, macinare a due palmenti, mangiar con l’imbuto, divorare a quattro ganasce. E fermiamoci qui, per non fare un’indigestione.

 

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Certo che le parole non hanno per tutti la stessa faccia. Molte che hanno effetto comico per alcuni, per altri non l’hanno, e questo non è soltanto delle parole di tal genere, ma, in generale, di tutte; e deriva dall’aver ciascuno un suo particolare sentimento della lingua, che è la ragione per cui della lingua stessa ciascuno tende ad appropriarsi certe forme a preferenza d’altre, o ad usarle in un significato più o men lievemente diverso da quello in che altri le usano. Ma il senso comico delle parole, in special modo, è un senso che si affina grandemente con l’osservazione, coi raffronti, e via via che, avanzando con gli anni, si scoprono negli uomini, e nelle cose, nuove e più intime sorgenti di ridicolo; e quand’è affinato, nello studio della lingua mille diletti. Sono ben lontano dal credermi in questo più fine di Caio o di Tizio; e non di meno, m’accade di ridere o sorridere di molte parole, ogni volta che le leggo o le sento, come di certe forme e di certi atteggiamenti del viso umano, versi buffi o mosse allegre o burattinesche. Per esempio: – BriachiteBriachella (uno che piglia spesso piccole sbornie). – Non è briaco: ha soltanto un po’ d’accollo (l’inclinazione del collo come sotto un peso) – Sbiobbo (d’uno rachitinoso e con gran bazza) – Musceppia (bambina o ragazzetta saputella) – Patìto (l’innamorato) – Pateracchio (per [233] conclusione spiccia, specialmente di matrimonio: si videro, si piacquero e fecero subito il pateracchio) – Un tient’a mente (uno scapaccione) – Stanga, stangato (per bulletta, un uomo in bulletta) – Pispilloria (discorso a carico di qualcuno, o lungo e noioso) – Scarpata (pedata) – Ciucata (cavalcata con gli asini) – Cacheroso (svenevole) – Bacherozzolo (per bambino) – Frittura (di molti bambini) – Sguerguente (uno che fa atti strani o sgarbati) – Squarquoio (di vecchio cascante) – Rubapianete (ladro di chiesa) – SpulcialettiSquarciaventoSpiantamondiStrizzalimoni PicchiapettoFrustamattoniSottaniere ReligionaioMiracolaioPretaio (uno che bazzica preti) – Mogliaio (che non esce mai d’attorno a sua moglie) – Fantajo (dilettante d’ancelle, direbbe la signora Piesospinto); e di verbi non cito che pissipissare, indragonire, rinfichisecchire, insatanassare, sfanfanare (struggersi d’amore), cicisbeare, matrimoniarsi, rivogare.... Giusto, mi vengono in mente due versi di Neri Tanfucio:

Povera truppa, quanti serviziali
T’ho visto rivoganel deretano!

 

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Ho citato quasi tutti modi dell’uso vivo toscano. Ma il linguaggio del ridicolo non può essere circoscritto dall’uso, perchè a chi scherza e vuol far ridere tutto è lecito, pur che rimanga nei confini più vasti della lingua. Nascendo anche il ridicolo da contrasti e dissonanze tra la parola e l’idea, da parole usate in senso insolito, inaspettate, strane o anche fuor d’ogni [234] proposito ragionevole, e dalla stessa affettazione o pedanteria voluta del vocabolo o della frase, ne segue che qualsiasi modo vieto o tronfio o poetico o arcaico, il quale, usato sul serio, stonerebbe intollerabilmente, e farebbe ridere alle spese di chi lo dice, ottiene invece l’effetto che si propone chi scherza, ed è quindi legittimo se a quest’effetto è adoperato opportunamente e con garbo. È come di certi gesti e impostature e alterazioni del viso e dell’accento, che riescono leziosi, sconvenienti e anche odiosi quando in una persona sono abituali e inconsapevoli o affettazioni di dignità e d’eleganza; ma che all’opposto riescono piacevoli quando son fatti con l’intenzione di far ridere, contraffacendo qualcuno, per esempio. Gli esempi sono così frequenti negli scrittori, che non mette conto di citarne; e sono frequentissimi anche nelle conversazioni della gente colta. Noi tutti abbiamo conosciuto o conosciamo certi belli umori che hanno la consuetudine di rallegrar la gente dicendo cose comunissime o lepide con parole gravi e lambiccate e in stile magniloquente. Io ebbi un amico, professore di lettere, il quale faceva sbellicar dalle risa gli amici raccontando aneddoti faceti, e parlando anche delle cose più ovvie con parole e giri di frase del Decamerone, ch’egli sapeva quasi a memoria. Seriamente diceva d’esser rimasto in una trattoria attirato dalla piacevolezza del beveraggio; descriveva un desinare suntuoso a cui era stato invitato, con grandissimo e bello e riposato ordine servito, dove lui, vago di vini solenni, aveva trovato il fatto suo bevendo del Caluso e del Barolo in certi graziosi bicchieri, che d’ariento pareano; [235] e chiamava un avvocato: armario di ragione civile, e una ragazza afflitta da pene amorose: – sventurata in amadore; e diceva d’un farabutto: – Testimonianze false con sommo diletto dice, chiesto e non richiesto, e a un amico incontrato per la strada: – Dammi un fiammifero, se tu hai in te alcuna favilluzza di gentilezza; e: – Grazie, cuore del corpo mio! – e adoperava il con ciò sia cosa che con tanto garbo, e qualche volta così all’impensata, e con un così forte contrasto col significato e con l’intonazione del discorso, che strappava risate da mandarsi a male.

Non trascurare dunque, leggendo gli scrittori e i dizionari, neppure quella parte della lingua che è fuori d’uso, perchè certe voci e locuzioni muffite, che tu quasi ributti dalla tua mente, ti possono servire in certi casi a dare un vivo effetto comico a uno scherzo, il quale altrimenti riuscirebbe sciapito, a far ridere con un gioco di parole semplicissimo, con una sola parola, con un nonnulla. Nulla nella lingua è disprezzabile, tutto può giovare. La lingua giocosa è infinita come le sorgenti del riso.

 

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