Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
L'idioma gentile

PARTE TERZA.

CON LA PENNA IN MANO

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CON LA PENNA IN MANO

 

Scena ideale.

Personaggi: Un giovinetto che scrive. – Il genio amico. – Il Buon gusto. – Il Buon senso. – Idee, frasi, parole. – Un’idea velata. – L’Ambizione.

 

Una frase. – Eccomi.

Lo scrittore (guardandola). – Le rassomigli; ma non sei per l’appunto quella che cerco.

La frase. – Ma son bella.

Lo scrittore. – Lo vedo, e mi tenti. Ma non puoi vestir la mia idea, le faresti addosso delle pieghe, e parresti un abito preso a nolo.

La frase. – Ma poichè non n’hai altre alla mano! Chi sa quanto avresti a cercare, e forse senza trovare! Pigliami. I lettori, colpiti dal mio color vivo, non baderanno alle pieghe.

Il buon gusto. – Non le dar retta: le vedrebbero, come si vedono le rughe anche in un bel viso. Rifiutala.

La frase. – Farai vedere se non altro che mi possiedi, sarò un segno di più della tua ricchezza.

[382]

Il buon gusto. – E del tuo cattivo gusto e della tua improprietà e della vanità per giunta. Mandala via e cerca ancora.

Lo scrittore dopo aver un po’ pensato, fa un atto d’impazienza e si rimette a pensare.

Il genio amico. – Non la trovi?

Lo scrittore non risponde.

Il genio amico. – Se non la trovi, non insistere. Forse è già nella tua mente, ma nascosta, e uscirà di sorpresa. Forse è già passata, e non l’hai colta a volo, ma ritornerà. Prosegui.

Lo scrittore (rimettendosi a scrivere). – “Le contrarietà e le lotte, le fatiche e gli stenti, le amarezze e le angosce, i disinganni....„

Il genio. – La durerai un pezzo?

Il buon gusto. Codesto si chiama sfilar la corona del rosario.

Il buon senso. – Tu dài il tuo pensiero a sgoccioli....

Il buon gusto. – Sei pagato a un tanto la parola?

Il genio amico. Dacci un bel frego, figliuolo.

Lo scrittore cancella, arrossendo e sorridendo leggermente, e continua a scrivere.

Il genio (leggendo di sopra alle spalle dello scrittore). – Codesto è buono. (Un minuto dopo). E ora perchè t’impunti?

Lo scrittore. È arrivato a un punto dove il pensiero gli manca; egli vede un vuoto davanti a , come un fosso profondo, di dal quale gli appare nettamente il sentiero per cui potrà continuare il cammino. Ma come riempire quel vuoto per passare di ?

Una folla di parole che accorrono da tutte le parti. – Siamo qui noi, al tuo servizio. Comanda.

[383]

Lo scrittore. – Ma voi non dite nulla.

Le parole. – Ma possiamo colmare il fosso.

Lo scrittore le guarda, titubando.

Il genio (alle parole). – Sgombrate, fannullone impostore! (Allo scrittore). Non ti servire di questa mala genìa. Lascia il vuoto piuttosto, e fàtti coraggio a spiccare il salto. Al lettore riuscirà meno ingrato lo scomodarsi a saltare con te che il passare sopra il mucchio di ciarpame, col quale lo vorresti ingannare, facendoglielo parer terra salda.

Lo scrittore spicca il salto e si rimette in cammino.

Una idea ravvolta in un velo, gli si presenta in atto grazioso. Egli le sorride e le fa cenno di venire innanzi.

Il buon senso. Bada. Non ti lasciar ingannare. Non la riconosci? (Strappa il velo all’Idea). La riconosci ora? È la seconda volta che ti si presenta. Le hai già fatto troppo onore la prima. Mettila alla porta. (L’Idea svanisce). Guàrdati da queste seccatrici vanitose e sfacciate che ritornano anche dieci volte in abiti diversi per farsi ritrarre in tutti gli atteggiamenti e con tutti i giochi di luce. Sono la perdizione degli scrittori che cascano nelle loro reti. Scrutale bene in viso prima di riceverle.

Lo scrittore dopo aver scritto un altro poco, un’esclamazione di contentezza, che significa chiaramente: – Ecco un pensiero! – e fa correre più lesta la penna.

Il genio (si china a leggere, sorride, e dopo un breve silenzio). – È un pensiero originale, ed espresso bene; ma.... non è tuo!

Lo scrittore si riscote, rimane pensieroso [384] qualche momento, come cercando, poi fa un atto di rammarico e abbassa il capo.

IL genio. – Oh! l’hai ritrovato il proprietario legittimo. È vero? Sono illusioni frequenti. L’ha detto un valentuomo, che pensava sempre col suo capo: un pensiero ci par nostro e nuovo, alle volte, nel punto in cui è ancora confuso nella nostra mente, perchè, così essendo, non rassomiglia a nulla; ma quando si determina nell’espressione e assume la sua vera faccia, riconosciamo che è d’un altro. Codesto tu l’avresti forse riconosciuto da te, rileggendo. Non rubare: è il settimo comandamento. Un freguccio. Bravo. È da giovine onesto.

Lo scrittore (si rimette a scrivere. Dopo un poco, lascia cader la penna). – È inutile! È un pensiero che non mi riesce d’esprimere. Ci rinunzio.

Il buon senso. – Eh, via! Io ne intuisco la ragione, poichè ti leggo in mente il pensiero. Tu hai in capo una bella frase preconcetta, nella quale vuoi far entrare quel pensiero, e non ti riesce, perchè non son fatti l’uno per l’altro, e t’ostini, perchè vuoi mettere in mostra la frase. Rinunzia alla forma elegante e impropria che ti sta a cuore, supponi di aver da dire quello che pensi a un amico, in una conversazione famigliarissima, senz’altra cura che di farti capire; e vedrai che ti riuscirà di dirlo. Espresso che ti sarai in quel modo, se l’espressione non ti finirà, ti sarà facile ridurla, con qualche mutamento, a maggior perfezione. Fanne la prova, e ne sarai persuaso.

Lo scrittore dopo avere un po’ pensato, rimane immobile, con gli occhi fissi sul foglio, in [385] atto di fare uno sforzo intenso; ma gli occhi sono senza vita.

Il genio. – Ecco il momento in cui l’occhio della mente si vela. Smetti, amico. Non faresti più uno sforzo utile. Alzati e muovi.

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Lo scrittore si rimette al lavoro e scrive di lena, senza interrompersi, per un buon tratto. Poi alza il viso, come cercando qualcosa con gli occhi, impaziente.

Il genio. – Che cosa cerchi? Un legame fra l’idea che hai espressa nel periodo finito e quella che vuoi esprimere nel periodo che segue? Ma se un legame naturale non c’è, perchè ce lo vuoi mettere?

Il buon gusto. – Per eleganza? Ma come potrà essere elegante un legame non naturale?

Il buon senso. – Non è meglio uno stacco inelegante che una bella attaccatura forzata?

Il buon gusto. – Che sarebbe un anello di latta dorata?

Il buon senso. – E che in ogni modo congiungerebbe le parole, ma non le idee?

Il genio (dopo un poco). – Ah, ti ci colgo ora! Ti colgo in flagranti a raccattare un pensiero superfluo per metterci addosso una bella frase!

Il buon senso (dopo un altro poco). – E a cercar dei cavilli per giustificare a te stesso codesta espressione che la coscienza ti rimprovera!

Il buon gusto (due minuti dopo). – E a metter la barba finta a un pensiero già espresso, per farlo parere un personaggio nuovo!

Lo scritt. (lavora altri dieci minuti; poi guarda alla finestra, sospirando). – Oh che bel sole di [386] primavera e che bell’aria limpida! Come cantano allegramente gli uccelli! Che fragranza deliziosa mandano le acacie fiorite dei viali! Come sarebbe piacevole a quest’ora correre fra il verde e l’azzurro, col pensiero libero, bevendo a grandi sorsi la vita! E che dura cosa è questa fatica, quest’affanno della mente prigioniera, segregata dal mondo vivente, questo torturarsi il capo con la penna come con la punta d’uno stile!

L’ambizione (sbucando d’un salto di dietro a una libreria). – Ah! è una dura cosa, è un affanno, è una prigionia, è una tortura! Ah, credeva il signorino che fosse una cosa facile l’arte, l’arte a cui diceva di voler consacrare la vita! Ma non ci si riesce senza incredibili fatiche, dice il poeta della Ginestra. Ma bisogna sudare e gelare, dice Orazio. Ma convien farsi per moltanni macro, dice Dante. Ma tutti gli scrittori che tu ammiri sudarono, vegliarono, si torturarono, ci rimisero la salute e ci si logorarono l’anima. E il signorino ambizioso, che vuol arrivare alla gloria, crede che sia come prendere la via dell’orto!

Lo scritt. china la fronte e si rimette all’opera.

Il genio (passata un’ora, dopo aver letto l’ultima pagina). – Sta bene. Eccoti col vento in poppa. Non dare all’immaginazione il tempo di raffreddare. Non cercar la frase, chè non ti sfugga il pensiero. Segna di volo le idee che ti incalzano. Non ti soffermare a scegliere fra le varie parole che ti s’offrono: notale in margine, come faceva il Leopardi: sceglierai più tardi la più calzante. Non insistere su nessun concetto secondario. Non lasciar deviare in rigagnoli, [387] tieni raccolta la corrente del tuo pensiero; scaccia le idee intruse che romperebbero l’onda; e va’ spedito, ma non ti lasciar travolgere. Fa’ un ultimo sforzo, e pianterai la bandiera sulla riva.

Lo scritt. tira un grande respiro, e posa la penna, col viso rasserenato e sorridente.

Il genio (dopo aver letto). – Tutto codesto è ben pensato e ben detto. Hai vinto le cattive tentazioni. Non hai tradito il tuo pensiero. La tua coscienza dev’esser contenta. Che sentimento di serenità e di leggerezza, non è vero? E come ti è dolce ora la libertà dello spirito! E come benedici la tua fatica!

 

[388]


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