Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
La quistione sociale

IL PRIMO MAGGIO. (Agli operai.)

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

IL PRIMO MAGGIO.

(Agli operai.)

 

Nel commemorare il primo Maggio, ho compreso che – pure dichiarando e spiegando la mia ferma fede socialista – avrei dovuto, non solo non offendere in alcun modo gli uditori d'opinione contraria, ma mantener l'animo a un'altezza così serena, esporre il mio pensiero con parola così cauta e pacata, da render accetto il mio modesto discorso a tutti.

Parlare serenamente! Non mi costerà alcuno sforzo, lo potete credere. Come si può aver l'animo inclinato alla violenza e al rancore in un giorno di festa? Tale, infatti, è ormai il primo Maggio. Festa singolare, non di meno, che desta tanti pensieri, tanti sentimenti diversi ed opposti! Pochi anni sono, prima che il Congresso internazionale dei lavoratori, tenutosi a Parigi nell'89, accettando la deliberazione già presa dalla «Federazione americana del lavoro» nel Congresso di San Luigi, fissasse alla data del primo Maggio la grande manifestazione per la giornata d'otto ore, ognuno, svegliandosi in questo giorno, rivolgeva la mente, come sempre, ai propri affari quotidiani: era questo un giorno come gli altri per tutti. Ora, non v'è più cittadino di paese civile, a qualunque classe o condizione sociale appartenga, il quale, aprendo gli occhi la mattina, del primo Maggio, non volga i suoi pensieri sul nuovo significato che questa data ha assunto nel mondo.

Sono, in milioni d'uomini, pensieri d'allegrezza e di speranza; sono, in altri milioni, pensieri inquieti e tristi; è, in molti ancora, un sentimento irragionevole di terrore; è, anche negli spiriti più leggieri e più scettici, questo pensiero: che v'ha in tutti i paesi una quistione, più importante d'ogni avvenimento politico, la quale abbraccia tutti gli interessi dello Stato e degli individui, e che può a quando a quando e per varie cause esser dimenticata, mascherata, sopita; ma che incessantemente, fatalmente, anno per anno, giorno per giorno, si dilata, s'innalza, soverchia ogni altra quistione, attira a tutti gli sguardi e tutte le menti come un grande fenomeno della natura. Ed è già questo un effetto benefico, che nessun lavoratore può disconoscere, della festa del primo Maggio.

E noi più che gli altri siamo indotti a meditare, noi che abbiamo una visione più larga e più netta di quello che accade in questo giorno sulla faccia della terra. Noi pensiamo che in quest'ora stessa, in centinaia di città, in villaggi innumerevoli, altre migliaia di oratori stanno dicendo, in dieci lingue diverse, ad altre migliaia d'adunanze come questa, le stesse cose ch'io sto per dire a voi; noi vediamo nei grandi sobborghi di Berlino, di Parigi e di Bruxelles, nell'Hyde-Park a Londra, nel Prater a Vienna, nel Buon Retiro a Madrid, nel parco Cismigiu a Bucarest, nello square dell'Unione a Nuova York, nelle vaste piazze delle nuove città dell'Australia, dove  il I Maggio è già una festa ufficiale in più Stati, vediamo per tutto legioni di lavoratori, che in forma d'assemblee, di processioni, di cortei simbolici, di feste campestri e di canti solenni esprimono tutti una sola idea e una sola speranza; e a questa visione ci si commove l'anima come davanti a uno degli spettacoli più maravigliosi di cui ci dia esempio la storia.

E quale anima potrebbe rimaner chiusa e fredda all'udir le parole che s'alzano da quei milioni di cuori? – Sia affrancato e onorato il lavoro e diventi una legge per tutti. – Siano confederati gli uomini nella lotta contro la natura e abbia tregua la lotta feroce per l'esistenza fra uomo e uomo. – Cadano le barriere che dividono ogni nazione in due popoli, e si diffondano egualmente nelle moltitudini, come la luce nell'aria, i benefizi della civiltà, che sono frutto dell'opera comune. – Cessi lo spargimento del sangue, cessino gli odi fra le nazioni, perchè l'ultima mèta di tutte è una sola, e occorrono a raggiungerla gli sforzi concordi della razza umana.

Belle e sante utopie! – ci rispondono, - e la prova che sono utopie è che sono antiche quanto la vita sociale e non sono ancora diventate realtà. – Ah! v'ingannate. Erano aspirazioni solitarie degli umili, erano aspirazioni sparse e divise, che assumevano nelle menti incolte forme indeterminate o mostruose, e prendevano forza in una gente quando cadevano oppresse in un'altra; ma ora sono il proposito fermo di moltitudini d'ogni paese, ordinate e alleate, che operano concordemente e ad un tempo, la scienza le formola e le sostiene, le forze che le comprimevano si sfasciano, la coscienza universale le accetta; erano chiarori di lampo che solcavano la notte, e ora sono l'alba che rischiara l'orizzonte; erano soffi di vita che scotevano a quando a quando un'atmosfera morta, e ora sono la primavera che risveglia il mondo.

A queste aspirazioni consente, in fondo, chiunque abbia senso d'umanità e di giustizia. Nasce il dissenso quando s'entra a discutere fino a che punto e in qual forma esse possano tradursi in realtà.

Studiando i fenomeni sociali ed economici, noi osserviamo l'accentrarsi progressivo delle industrie e delle ricchezze, e il conseguente estendersi del proletariato, il trasformarsi continuo dei mezzi privati di lavoro in mezzi che non possono più essere impiegati che socialmente, l'incremento del principio di cooperazione e dello spirito di solidarietà e d'eguaglianza, e da questi e da altri cento fatti che a questi si collegano deduciamo certe leggi, per forza delle quali crediamo che si verrà necessariamente ad un ordinamento nuovo, in cui, diventati proprietà collettiva della nazione tutti i grandi mezzi di produzione, i membri tutti della società produrranno direttamente per la società medesima, la quale, accentrando i prodotti, li ripartirà equamente fra i lavoratori, in ragione della qualità e della quantità del loro lavoro. I dissenzienti ci dicono di no, affermano che un tale ordinamento non s'attuerà mai, che è impossibile ad attuarsi perchè vi si oppongono altre leggi, che essi ritengono, sopra tutte le trasformazioni sociali, immutabili.

Ebbene, noi non stimiamo questa una ragione sufficiente perchè debba avversare il grande moto della nostra idea chi concorda con noi nella critica della società presente e nel sentimento della necessità d'una riforma fondamentale.

Ci pare un errore il combattere il socialismo nel suo disegno compiuto di ricostruzione sociale, invece di considerarlo – come riconosce che si dovrebbe anche un nostro illustre avversario, – «nella sua intima ispirazione e nell'obbiettivo generale a cui tende, nel che esso risponde innegabilmente all'evoluzione umana»; nel che, aggiungiamo noi, è riposta la sua vera forza. Noi, sull'ordinamento della società futura, potremmo ragionevolmente rifiutare ogni discussione. E anche in questo ci dànno ragione molti dei nostri più autorevoli avversari. Potremmo rispondere con le parole loro che: «intorno ai fenomeni sociali non sono possibili se non previsioni e predizioni generali: riguardanti cioè l'avviamento e l'andamento generale dei fenomeni stessi, non speciali, particolari, individui».

Potremmo domandare, come al Reichstag domandò il Bebel, se, nel dar la mossa alla grande rivoluzione, la borghesia francese poteva prevedere quale sarebbe stata in tutti i particolari la struttura intima della società che ne doveva sorgere. Potremmo dire che il pretender questo da noi è pretender cosa superiore alla potenza della mente umana. – E nondimeno – ci si può rispondere – voi mostrate al mondo, come una bandiera, un programma di ricostruzione sociale compiuta.

Ma questo è logico. Noi abbiamo scritto sulla nostra bandiera un ideale, perchè nessun grande moto sociale è possibile intorno a un programma di riforme circoscritte e parziali perchè è istinto dell'anima umana, in ogni sua più nobile aspirazione, il mirar più alto e più lontano della possibilità immediata di conseguire il suo fine; perchè soltanto una grande riforma, che oltre ad includere un riordinamento del lavoro e della proprietà porta con un profondo rinnovamento morale, sociale e politico e abbraccia tutte le quistioni che agitano l'umanità, soltanto l'idea di una riforma simile può raccogliere intorno a le moltitudini e suscitar gli entusiasmi e le forze per combattere la lotta enorme a cui siamo chiamati.

Domandiamo dunque ai nostri avversari benevoli: – Perchè non venite con noi, voi che pure volete grandi miglioramenti, poichè la nostra bandiera è la sola intorno a cui si possa raccogliere l'esercito per combattere anche le battaglie minori, per compiere anche le conquiste parziali, da noi volute? Una sola cosa può trattenervi, ed è il timore che la tentata attuazione d'un'idea da voi giudicata inattuabile produca nella società uno sconvolgimento funesto. Ma è un timore infondato. I fatti economici e sociali, che, a nostro giudizio, debbono condurre la società all'ordinamento da noi presagito, noi possiamo assecondarli, ma non farli nascere. Se le leggi che deduciamo da quei fatti sono erronee, il nostro ideale non s'attuerà. Se, giunto il proletariato socialista al potere, non fosse ancora pronta nei suoi elementi la organizzazione nuova che deve sostituirsi all'antica, esso si troverebbe impotente, non diciamo a compiere, ma nemmeno a tentare una sostituzione precipitata, e dovrebbe restringersi a una serie di riforme preparatorie e graduali. Noi primi siamo persuasi che una trasformazione economica così profonda non si potrà mai attuare prematuramente e con la violenza. È una verità riconosciuta anche dai nostri più fieri oppositori che «parallelo al presente movimento sociale corre un movimento scientifico e razionale che lo trattiene nella giusta misura e impedisce alla società moderna di precipitare nelle catastrofi che hanno ucciso la civiltà antica».

Vedete dunque – ripetiamo ai nostri avversari trattabili – che quel timore non dovrebbe trattenervi dal venire a noi. Avversando il nostro moto, invece, non per altro che perchè non consentite nel nostro programma ideale, voi ritardate anche il conseguimento delle riforme vostre; voi v'opponete anche alla vittoria di quel nostro programma minimo, che in gran parte approvate, e di cui molte idee – di quelle, in ispecie, che si riferiscono alla politica sociale dei comuni – sono già attuate o in via d'attuarsi in molte grandi città d'Europa e d'America; voi ingrossate il numero di coloro che respingono, come nel parlamento francese, le più eque, le più logiche imposte, come quella progressiva sul reddito, per la sola ragione che Il socialismo le propugna, e che condannano a morte qualunque più benefica riforma dicendo che v'è in essa «un germe di socialismo»; voi, finalmente, perchè credete che non si possa giungere fin dove noi vogliamo andare, voi, che pur volete procedere, vi arrestate all'imboccatura della strada e crescete forza alla schiera di quegli «immobili» che voi stessi condannate; i quali, alla loro volta, proteggono e incoraggiano, pur non volendolo, tutti quegli altri che voltano le spalle all'avvenire e tentano di risuscitare il passato.

Dice il senatore Pasquale Villari che non ci saranno più tra poco in Italia che tre partiti; i socialisti, i loro avversari intransigenti, e gli iniziatori audaci di riforme pratiche a vantaggio dei lavoratori. Ma egli mostra di dubitare che questi iniziatori sorgano in tempo. Ebbene, se non sorgeranno, sarà quanto abbiam detto finora ampiamente giustificato e provato, e se sorgeranno, sarà un negare la luce del sole il negare che sia un terror salutare del socialismo, e non altro, che li ha fatti sorgere. Ma sarebbe troppo tardi, temiamo.

 

Per ciò, se anche la nostra ragione ripudiasse la dottrina socialista, noi, con piena e ferma coscienza d'operare il bene, ci raccoglieremo egualmente sotto la nuova bandiera; lo faremmo non foss'altro che per ottenere il primo e necessario risultato della prevalenza delle classi lavoratrici nella rappresentanza legale della nazione.

E questo è un punto su cui tutti quei nostri avversari, che desiderano sinceramente un salutare rinnovamento sociale, non possono dissentire da noi, perchè non possono non essere persuasi che fin che gli interessi della classe proletaria non saranno direttamente rappresentati da cittadini appartenenti o legati al proletariato, questi interessi non avranno mai una rappresentanza sincera e feconda; perchè è illogico il pretendere o sperare che una maggioranza di rappresentanti della classe superiore possa consentire a riforme gravemente lesive degli interessi della sua classe; perchè nessuna classe sociale votò mai volontariamente, per puro spirito d'altruismo, la propria decadenza; perchè ogni vantaggio, ogni conquista importante nel campo economico non potrà mai essere che l'opera della classe che n'ha bisogno e che v'ha diritto; perchè siamo in un momento della civiltà umana – ed è un dotto statista conservatore che lo disse, – in cui nessuna classe è difesa dall'altra e bisogna che ciascuna si difenda da .

Ora noi vediamo che il socialismo soltanto – lo vediamo in Francia, in Germania e nel Belgio, – è riuscito, dopo tanti anni di regime rappresentativo, a mandare nei Parlamenti una schiera di rappresentanti diretti del proletariato, sufficiente per numero e per unità d'intenti a far sentire l'azione propria sull'andamento della cosa pubblica.

Supponete pur dunque che il programma socialista non si possa attuare mai, – ripetiamo ai nostri avversari ragionevoli, – ma il moto socialista produrrà pur sempre l'effetto desiderato di togliere il monopolio del potere alla minoranza, – ostacolo precipuo ad ogni grande progresso sociale – o, se non altro, di mettere in faccia al potere un sindacato potente, che ne moralizzi la funzione, ne stimoli le energie e ne allarghi gli orizzonti.

Non fosse che per ottenere questo fine, ripetiamo, se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista, noi diremmo a chi l'annunzia: – Siamo con voi. In presenza dei fatti, quello che v'è d'utopistico nel vostro programma, cadrà. Ma resterà questo grande fatto compiuto, necessario e benefico: lo spostamento dell'asse sociale da una piccola classe, serrata nel cerchio dei propri interessi, a quella grande maggioranza, i cui interessi si confondono con quelli della nazione.

Ho detto: se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista... Non debbono dar luogo a dubbi queste parole. Certo, la persuasione non può essere nella più parte di noi così scientificamente fondata come è in quei molti dei nostri compagni di fede, dotti cultori delle scienze economiche, i quali, profondamente compresi della dottrina marxista, ne hanno dedotto con lunghi studi tutte le conseguenze teoriche e pratiche, trovando a tutte le obiezioni una risposta difficile a confutarsi.

Si fonda principalmente la nostra persuasione su questo: che i vizi organici più gravi attribuiti all'ordinamento da noi voluto ci appaiono meno gravi di quelli inerenti all'ordinamento attuale; i quali sono gravi tanto da renderne impossibile, anche a giudizio dei suoi difensori, una lunga durata, senza profonde modificazioni; modificazioni che noi giudichiamo insufficienti a salvarlo. E ci fondiamo anche più saldamente sulla ragione vittoriosa che crediamo di poter opporre a quella che è l'obiezione capitale messaci innanzi da tutti i nostri avversari: l'insuficienza, cioè, del sentimento dell'interesse pubblico a sostituire come stimolo al lavoro il sentimento dell'interesse privato, in quel tanto che questo secondo interesse verrebbe ad essere, in una società collettivista, diminuito.

E questa ragione vittoriosa è una verità ammessa in parte dagli avversari medesimi: che in una società in cui tutti fossero obbligati al lavoro, e il lavoratore fosse direttamente interessato alla distribuzione della ricchezza, la repugnanza istintiva al lavoro stesso sarebbe grandemente scemata; e che questa repugnanza scemerebbe ancora (e noi crediamo che si muterebbe in propensione) quando per effetto della cooperazione di tutti, della cessata concorrenza, del riscatto della macchina dalla speculazione privata, fosse ancora del lavoro quotidiano abbreviata la durata e alleggerita la fatica.

Ci rispondono che noi esageriamo con la immaginazione la grandezza di questi effetti. Ma questa è una quistione di fede, sulla quale non giova discutere; di quella fede nella natura umana, senza la quale non si sarebbe mai fatto tentato nulla d'ardito e di grande nel mondo, e che basta per sola a render possibili molti di quei fatti che sono considerati come sue proprie illusioni. Una prevalenza relativa del sentimento collettivo sull'individuale (della quale, in occasioni straordinarie, si vedono pur tanti esempi anche nella società nostra) noi non dubitiamo che avverrebbe in un ordinamento sociale in cui la sua necessità apparisse evidentissima, come è ora in una piccola associazione, e in cui gli animi non fossero più offesi e scoraggiati dallo spettacolo dell'agiatezza oziosa, delle smisurate disuguaglianze economiche e delle mille ingiustizie e degli infiniti privilegi presenti.

Noi attendiamo da un mutamento così grande di cose un mutamento psichico maraviglioso. Ecco il punto da cui nessun ragionamento avversario ci può smuovere, il fondamento su cui posiamo il nostro edifizio. Per quali vie, poi, e a traverso a quali vicende si perverrà alla méta che ci par sicura; se il socialismo, continuando a estendersi nel mondo civile, serberà un tipo unico o s'informerà allo spirito e ai bisogni particolari di ciascun popolo; se s'attuerà «mediante una produzione collettiva-nazionale, parziale o regionale», diventando il comune trasformato, per esempio, un nuovo e potente organismo economico; o se pure la società, prima di giungere all'ordinamento socialista, passerà per uno stadio cooperativo di grandi associazioni, che andranno scemando di numero, fino a ridursi ad una sola, la quale fonderà insieme i vari sistemi di collettivismo; ed anche «qual criterio misuratore del valore finirà con trovar l'esperienza aiutata dalla scienza, se la durata media del lavoro richiesto o il medio consumo delle forze che esso esige» o altri concetti che non può afferrar per ora la nostra mente, perchè preoccupata e quasi compressa dai fatti presenti; questo noi non possiamo dire, altri ci deve chiedere.

Quello che è evidente alla nostra ragione, certo nella nostra coscienza, è che in fondo a tutte le vie convergenti del progresso economico e del progresso civile sta, inevitabile, l'organismo sociale che è nei nostri voti, ossia: la nazione costituita in una cooperativa gigantesca di produzione, di provvisione e di assistenza.

Questa fede si ravviva in noi in questo giorno, nel quale sogliamo riandar col pensiero l'opera della nostra già vasta famiglia, e rallegrarcene fra di noi, fraternamente. Ciò che ci rallegra non è tanto il duplicato numero dei nostri rappresentanti entrati da due anni nel Parlamento e il numero notevolissimo di quelli che entrarono nelle Amministrazioni comunali, quanto la prova d'altera fermezza data dal nostro partito in un periodo di persecuzione implacabile; durante il quale, su migliaia di nostri compagni tratti in giudizio, non furono che rarissime eccezioni quelli di cui non abbiano attestato la specchiata onoratezza cittadini d'ogni classe sociale e d'ogni parte politica.

Quello che ci conforta non è tanto la valorosa costanza con cui il partito tenne viva per tre anni l'agitazione pubblica in favore di una amnistia che era nel desiderio di tutti gli animi onesti, quanto l'esempio di dignità civile dato nelle dimostrazioni di gioia e di affetto ai liberati, non turbate neppur da un principio di quei disordini, il cui timore era servito di pretesto a ritardare un atto di giustizia solenne. E ci compiacciamo non meno che sia venuto dal partito nostro il primo e più forte impulso a una grande manifestazione pubblica contro una politica coloniale forsennata e nefasta, alla quale egli solo il partito socialistaantiveggiente, pur troppo, -- fu sempre fieramente, implacabilmente nemico.

Ma anche più di questo ci è grato l'osservare come le nostre idee, per effetto d'una propaganda razionale, si vadano sempre più chiarendo e ordinando anche nella mente dei meno colti lavoratori intorno al concetto fondamentale della conquista graduale e legale dei poteri pubblici.

Ci è anche più grato il riconoscere come l'idea socialista diventi in molti di essi il principio impulsivo di un'auto educazione intellettuale, che li mette in grado in breve tempo d'intervenire a discutere d'interessi cittadini anche in riunioni d'altri partiti, dove si comincia ad ascoltare e a rispettare la parola.

Ci è un'alta soddisfazione, finalmente, il veder costituirsi da ogni parte, sotto la nuova bandiera, nuovi corpi elettorali concordi e disciplinati che spiegano nella lotta un'operosità così appassionata e sagace ad un tempo, da destar l'ammirazione anche dei più inconciliabili avversari, al che mettono in evidenza, non solo nelle occasioni straordinarie, ma nel lavoro, nell'organizzazione, nella vita socialista d'ogni giorno, tanti caratteri virili, tante fibre infaticabili, tanta gioventù coraggiosa e generosa, ardente di entusiasmo e di fede.

 

Davanti a questi fatti, molti pregiudizi sono caduti, molte calunnie non hanno più eco. Non son più che i ciechi di mente e i malvagi d'animo quelli che ardiscono ancora di far risalire al partito socialista la colpa di delitti individuali, atroci per e insensati per il fine a cui mirano, funesti a noi, più che agli altri per le reazioni liberticide che provocano, commessi in nome d'un ideale che non è il nostro e che noi combattiamo senza tregua, e a cui strappiamo proseliti ogni giorno.

Ma quanti altri pregiudizi persistono, propagati dall'interesse, mantenuti dall'astuzia, accolti facilmente dall'ignoranza e dalla paura! Voi sapete quali siano, ed io non esco dall'argomento confutandoli, poichè è naturale che a noi prema di dimostrare a quanti, pur non accettando la nostra dottrina, festeggiano il primo Maggio, che il concetto di questa festa, cara anche a loro, non è nato in mezzo a sentimenti e a propositi che possano gettare un'ombra sulla sua ideale bellezza.

 

Nemici della civiltà! Così fummo chiamati, anche ufficialmente, perchè il progresso della civiltà – a quanto si afferma – sarebbe dall'ordinamento socialista ritardato o impedito. Ma vediamo. Doppio è il movimento della civiltà: l'uno è d'avanzamento, l'altro è di diffusione, e nello stato attuale delle cose il secondo è così incerto e tardo da render vano in gran parte anche il primo.

Idee, cognizioni, agi della vita, varietà e raffinatezza di godimenti sensuali e intellettuali, tutto procede; ma rimanendo circoscritto in un così piccolo numero d'uomini! La società è come un esercito disordinato, mal nutrito, gravato di pesi enormi, al quale va dinanzi, precedendolo di una distanza smisurata, un'avanguardia di cavalieri brillanti e armati di tutto punto, che vincono delle battaglie a cui il grosso dell'esercito non partecipa, e di cui non raccoglie quasi alcun frutto.

Lo disse anche in Francia, ora è poco, uno dei più eloquenti interpreti del nostro pensiero: «L'umanità fu finora obbligata a riservare alla minoranza la cura di condurre a suo vantaggio la civiltà e di creare delle forme nuove d'esistenza a cui la moltitudine non poteva arrivare che più tardi». Ebbene, sarà impedire il cammino della civiltà il volere che, per mezzo d'un impiego più razionale degli sforzi umani ora antagonisti, la società tutta insieme compia il suo progresso in pro' della società tutta intera?

Oh come mai? Sarà nemico della civiltà chi, alleggerendo il peso opprimente del lavoro meccanico, vuol sollevare le moltitudini a una vita più spirituale, che è quanto dire più umana; chi, attenuando la lotta per la vita con l'organizzazione del lavoro e una miglior distribuzione dei beni, vuol che sian volte al progresso vero le infinite forze che si sperperano ora per la conservazione dell'esistenza e in conflitti infecondi; chi a una civiltà disprezzata e odiata dai più come un privilegio dei meno vuol sostituita una civiltà amata da tutti come un bene e una gloria comune? Sarà nemico della civiltà chi vuole che cessi finalmente questa miseranda finzione di dir con orgoglio: – Noi, nazione civile... – mentre nella nazione a cui s'accenna, in mezzo alle glorie della scienza e agli splendori del lusso e delle arti, perdurano in milioni d'uomini superstizioni di medio evo, ignoranze di selvaggi, miserie di paria, condizioni e forme di vita che ci fanno rivivere davanti agli occhi la prima età della pietra? Sarà nemico della civiltà chi vuole che questo cessi, e amico della civiltà chi consente che questo duri?

Negatori della patria! Ecco un'altra accusa, contro la quale ogni fibra del nostro cuore si rivolta.

Se il concetto della patria s'identifica col concetto della sua unità e della sua indipendenza, con qual coscienza si possano chiamar «negatori della patria» i socialisti, per i quali è un assioma storico la sentenza dell'Engels, uno dei loro grandi maestri: che senza la autonomia e l'unità restituite a ciascuna nazione, l'unione internazionale del proletariato, la tranquilla e intelligente cooperazione delle nazioni a un fine comune si potrebbero compiere? Avversari del concetto di patria non siamo; ma di coloro che le patrie mirano a dividere per giovarsi della loro divisione, primo impedimento necessario alla vittoria di quell'ideale comune a tutte le moltitudini proletarie, che non può essere l'ideale loro.

Essi fanno una cosa sola dell'amor di patria e dell'orgoglio nazionale. Ma il nostro è di natura diversa: è un orgoglio nazionale che vorrebbe che dalla nazione non fossero costretti ad esulare ogni anno, per cercare un pane straniero, duecento mila dei suoi lavoratori, mentre nella terra che essi abbandonano, capace di tutti i prodotti di tutte le terre più fertili, rimangono ancora, o per incuria dei proprietari o per mancanza d'opere di bonificamento, quasi cinque milioni di ettari di suolo incolto, e altri dodici milioni che potrebbero fruttare il doppio di quanto fruttano. È un orgoglio nazionale il nostro, il quale vorrebbe che fossero purgate della malaria la metà almeno delle nostre provincie, che fosse tolta alla patria la vergogna lacrimevole dei suoi centomila pellagrosi, che il nostro paese non fosse fra gli ultimi d'Europa sulla via della legislazione sociale, che vi fossero sacri e inviolabili i diritti politici, conquistati coi sacrifizi e col sangue di tutti, che per vane ambizioni di grandezza, calpestando i principii in nome dei quali siamo risorti, non si sperperassero a migliaia di miglia dai suoi confini le ossa dei suoi figli.

Coloro che, sentendo nel più profondo dell'anima la pietà di queste miserie e lo sdegno di queste vergogne, combattono con tutte le loro forze perchè le une e le altre abbiano fine, e credono che dinanzi all'orgoglio patriottico debba andare la carità fraterna, no, costoro non rinnegano la patria, costoro sono i soli che l'amino e la servano sapientemente. L'immagine della patria, per essi, è una madre amorosa, equanime con tutti i suoi figli, non ambiziosa che della loro prosperità e del loro affetto, e della fama di onesta, di civile e di benefica; non un'amazzone gonfia di boria, stoltamente fastosa in pubblico e crudelmente pitocca in casa, che si benda gli occhi con la bandiera e cerca la gloria nel sangue.

Un'altra accusa è di eccitare all'odio una classe sociale contro l'altra. Ebbene, no, non lo credete, non è vero. Certo, in ogni grande famiglia di propagatori d'un'idea, anche delle più sante idee, vi sono i violenti di natura, a cui nessuna considerazione del comune interesse, nessun consiglio dei compagni di fede può moderar la parola.

Vi sono gl'immoderati anche nel partito moderato, vi sono i provocatori anche fra i predicatori del Vangelo, vi furono i violenti anche fra i Santi. E noi non neghiamo, d'altra parte, che dinanzi a certi abusi mostruosi del potere e della fede pubblica, e quando vediamo all'oppressione dei deboli aggiungersi lo inganno e la derisione, ci prorompono dall'animo parole amare e iraconde. di questo noi ci scusiamo. Ma accusarci d'istigare all'odio, solitamente e per proposito, una classe contro l'altra, è un assurdo, è accusarci d'operare coscientemente contro gl'interessi della nostra causa.

Il detto che «la miseria nasce non dalla malvagità dei capitalisti, ma dal vizioso ordinamento della società» sta scritto in fronte, come una parola d'ordine, al più antico e più popolare dei giornali socialisti d'Italia. – «Se voi foste al posto dei vostri padroni, fareste com'essi fanno, perchè non potreste fare in altro modo» è la frase più sovente ripetuta, da chi fa propaganda della nostra idea, appunto per persuadere i lavoratori che il rimedio ai mali non è da attendersi dagli individui, perchè questi non vi potrebbero porre rimedio, neanche se avessero tutti le intenzioni più generose.

E come sarebbe altrimenti? Noi miriamo a conquistare la coscienza e la volontà del gran numero per via della persuasione, e a render atti gli uni a persuader gli altri. È dunque nostro interesse di spegnere, non di attizzare gli odi sociali; perchè se in cuore all'uomo incolto noi suscitiamo l'odio, gli oscuriamo l'intelligenza, ossia lo distogliamo dalla riflessione, e ritardiamo il progresso del suo pensiero, senza del quale è vano lo sperare di farne un proselite utile e sicuro; e perchè la passione si spegne con la stessa facilità con cui s'accende, o consumando stessa o estinguendosi per effetto d'un conseguito miglioramento delle condizioni individuali; e perchè essa è un costante pericolo per tutti, spingendo l'individuo ad avventatezze, di cui su tutti ricade la colpa.

No, noi non vogliamo far dei violenti: questi sono la nostra debolezza, non la nostra forza; noi vogliamo far dei convinti, dei risoluti, dei tenaci. No, noi non siamo seminatori d'odio, noi che portiamo fra gli uomini la parola della fratellanza e della pace. La nostra forza non è l'odio l'ira; la nostra forza è la ragione, la volontà, la fede, l'entusiasmo, l'amore.

 

Nemici della proprietà – siamo anche chiamati, e questa definizione, così nuda e assoluta, è piena d'astuzia, perchè include, senza esprimerla, una vaga accusa di meditato latrocinio universale. Ma esprime falsamente il nostro concetto perchè sostituisce l'idea di «soppressione» a quella di «trasformazione» d'un istituto che si modificò variamente nel corso dei tempi, e che è per natura sua soggetto a trasformarsi secondo le condizioni e i bisogni della società che l'ha fondato.

È una definizione falsa perchè nega tacitamente il carattere di proprietà alla forma collettiva, che fu la prima forma di proprietà del consorzio sociale, e di cui sussistono e si riproducono mille esempi parziali anche nei tempi presenti. È una definizione falsa perchè estende il nostro concetto della proprietà collettiva dai grandi mezzi di produzione a tutti gli altri oggetti di proprietà, che sono naturalmente esclusi dal collettivismo; il quale non impedisce il risparmio, l'accumulamento, la trasmissione del risparmio, il possesso, la trasmissione di tutto quanto non serva a produrre ricchezza.

È ancora una definizione ingiusta perchè esclude l'idea della presa di possesso mediante un equo risarcimento; ammesso il quale, essa non riesce una violenza più che tale non sia l'attuale espropriazione legale per fini d'utilità pubblica; e perchè tace che l'appropriazione collettiva, come nel campo della proprietà industriale, per esempio, così in altri campi, non si opererebbe che in quei rami di produzione in cui la concentrazione dei capitali ha già distrutto la piccola proprietà fondata sul lavoro; e anche perchè è in contraddizione formale con la ragione prima del collettivismo, fondato appunto sul concetto «conservatore» che la proprietà è indispensabile al pieno e compiuto svolgimento della «personalità umana»; svolgimento che è possibile soltanto in una società in cui posseggano tutti una parte del bene comune, e che non è possibile se non a pochissimi nella società attuale, dove nove decimi della popolazione nulla possiedono, sperano, quasi possono sperare di mai possedere.

È una definizione insidiosa, infine, e un'accusa che ci offende perchè nell'animo di chi possiede tende a convertire l'idea d'una lontana, legale e necessaria trasformazione della proprietà in quella d'un imminente pericolo di spogliazione tumultuaria. E ripetiamo che è una definizione astuta perchè con questo terrore d'una grande ladreria collettiva, che si potrebbe commetter domani, storna la attenzione pubblica dalle grandi ladrerie individuali, che si commettono oggi.

Anche «nemici della famiglia» sono chiamati i socialisti. E in questo, come in altri argomenti, si vuol considerare come articolo del nostro programma un'idea di pochi o di molti, contro la quale ogni socialista che non l'accetti, si può ribellare con ogni sua forza senza cessar perciò d'esser socialista; un'idea che non è propria del socialismo, poichè, per non citare che un solo esempio, è il nostro avversario più formidabile quell'Erberto Spencer, il quale dice che verrà tempo che l'unione per l'affetto sarà considerata come più importante di quella per la legge, e saran fatte segno alla riprovazione pubblica quelle unioni coniugali in cui il legame dell'affetto sarà spezzato.

Con questa espressione corrente: vogliono abolir la famiglia, l'idea socialista è snaturata e capovolta. No, non è voler «abolire la famiglia» il vituperare il matrimonio mercantile per cui s'avviliscono le anime e degenera la razza; il voler il matrimonio «fondato sulla spontanea scelta affettiva e sopra una libertà limitata dal dovere morale rispetto al coniuge e dal dovere positivo rispetto ai figliuoli»; il voler fatta alla donna nella famiglia una più equa condizione legale; il volere un più efficace intervento sociale nella famiglia stessa per assicurare lo svolgimento integrale e l'educazione del fanciullo; lo sperare, infine, che venga un tempo in cui il sentimento della dignità propria, il rispetto della dignità altrui e un'alta coscienza del dovere possano costituire nei matrimoni e nella famiglia vincoli e garanzie anche più forti di quelle che esige e assicura la società presente.

Oh, come saranno nemici della famiglia quelli che più strenuamente combattono lo sfruttamento industriale della donna, appunto perchè alla famiglia è funesto? quelli che più ardentemente propugnano la redenzione del fanciullo dal lavoro precoce, appunto perchè alla famiglia non sia strappato e nella promiscuità con gli adulti corrotto? quelli che più altamente invocano sollievi e rimedii alla grande piaga della miseria, appunto perchè la miseria corrode gli affetti domestici, avvelena la infanzia, dissolve la famiglia?

Domandate se vogliono abolir la famiglia a quei buoni lavoratori che per soccorrer la moglie e i bambini del compagno cacciato in carcere per reato di pensiero smungono senza rammarico la loro povera borsa; domandate se vuole abolir la famiglia a quell'onesto operaio che affronta lietamente pericoli e sacrifici per la nostra Idea, non con la fede di migliorare la propria sorte, ma con la sola vaga speranza di preparare al suo sangue un avvenire migliore!

Andate a domandare a quella povera madre rediviva, che soffocò contro il suo seno il grido di gioia e d'amore di Garibaldi Bosco liberato, andatele a domandare se il suo figliuolo adorato vuole «abolire la famiglia»!

Vogliono distruggere la religione, – dicono ancora. E in qual programma del partito socialista di qualsiasi paese s'è mai trovato iscritto questo proposito? O meglio: in qual programma socialista non è detto esplicitamente che per il socialismo la religione è «un affar privato», ossia un affar di coscienza, in cui la comunità non ha diritto d'intervenire?

E sarà il partito, che vuole una libertà assoluta di pensiero, quello che vorrà sopprimere la libertà della fede? Sarà il partito che dice a tutti gli infelici: – Sperate! – quello che vorrà segnare un confine alla speranza umana? No, in questo, come in altri argomenti, si scambiano opinioni individuali con un articolo di dottrina.

A me, come ad ogni altro socialista fermamente credente nella dottrina economica e politica del socialismo, tutti i socialisti della terra raccolti insieme non potranno mai far dire che non credo in Dio, se ci credo, impedire di far propaganda, in mezzo a loro stessi, della mia fede. No, le ragioni del dubbio e le ispirazioni della fede stanno al di fuori d'ogni sistema di idee politiche e sociali; la speranza in una vita immortale sta al di sopra d'ogni concetto che si possa avere dei destini terreni dell'umanità, come il mistero della creazione sta al di sopra della scienza; e n'è una prova che in tutti i partiti politici, in tutti gli ordini della scienza, in tutti i cerchi della società si trovano credenti ed increduli.

No, buone madri, non siamo noi che vorremo mai soffocare nel cuor vostro quella fede in cui noi stessi siamo nati e cresciuti. Noi diciamo invece a ciascuno di voi: – Educa alla tua fede il tuo fanciullo, infondigli nel cuore la tua santa speranza, fagli giunger le mani davanti all'immagine di colui che è morto per l'ideale della giustizia, della pace e dell'uguaglianza fra gli uomini. Ma insegnagli pure, – soggiungiamo subito, – che è falsa religione quella che non è accompagnata da una operosa pietà della miseria e da un amore intrepido della giustizia, e che se nello spirito del credente entra la persuasione che un nuovo ordinamento sociale possa prevenir la povertà, attenuare i dolori, scemare gli odii, le violenze e i delitti, che funestano e disonorano l'ordinamento presente, è empio, è assurdo il credere che Iddio gli vieti di prepararlo e di affrettarlo con la parola e con l'opera e possa dirgli un giorno: – Tu fosti buono, pietoso e generoso; ma fosti socialista, e io ti danno.

E ditegli ancora che il buon Dio non può amare il credente che, in mezzo a tanti bisogni e conflitti umani, incrocia le mani oziose, fissando gli occhi nel cielo per non vedere la terra, ditegli ch'Egli dice a costui: Disgiungi quelle mani inerti: stendine una a soccorrere gli oppressi ed arma l'altra per combattere chi opprime; il grido di giubilo dei consolati e dei redenti è la miglior preghiera che possa far salire a me l'anima tua.

Ci si può dire: – Codesta è la vostra difesa, e noi sospettiamo che sia piena di concessioni e di cautele. Ciò che vorremmo conoscere è quello che voi dite nella vostra propaganda individuale, e che forse non ripetete a noi, in un giorno come questo. Ebbene, e noi vi chiamiamo ad analizzare il sottile veleno che distilliamo nella propaganda d'ogni giorno, e non quello soltanto che riserbiamo al lavoratore, ma anche quello che tentiamo di versare nell'animo di gente d'ogni classe, d'ogni età e d'ogni stato sociale; poichè non ci volgiamo soltanto ai più facili a conquistarsi per insufficienza di cultura o per predisposizione di interessi individuali; ma anche a quelli che son più difficili e per ragioni di cultura e per ragioni d'interesse.

Noi diciamo al lavoratore: – Bada: a questo grande movimento sociale che si svolge in tuo favore non basta che tu assista con animo favorevole; tu lo devi aiutare. Il primo impulso alla redenzione del lavoro deve venire da te. Se vuoi che il mondo ti saluti, devi portar alta la fronte; ma per portar alta la fronte, bisogna levar l'animo in alto. Se vuoi entrar nell'esercito della nuova Idea, devi sacrificare a questa una parte dei tuoi riposi e della tua pace; devi compiere con più caldo zelo i tuoi doveri di operaio, ma resistere a chi vuol soggiogare la tua coscienza di cittadino; devi soffocare sotto la disciplina del partito rancori e gelosie; fare uno sforzo intellettuale faticoso per appropriarti gli argomenti ed acquistar la parola con cui si giustificano e ai dimostrano appagabili le tue aspirazioni; devi imparare, migliorare, dare esempio di dignità di vita, di equità, di bontà d'animo, non soltanto in cospetto alle classi superiori, ma fra i tuoi compagni e nella tua famiglia; devi fare quanto è in poter tuo per far rispettare ed amare in te la santa bandiera a cui consacri il cuore e affidi il tuo diritto e la tua speranza.

Diciamo alla moglie del lavoratore: – Non trattenere tuo marito, per vane paure, dal venire con noi, se la coscienza lo muove. Raccomandagli la prudenza, ma non gli consigliare la viltà. Sono innumerevoli donne paurose come te che in tutti i tempi ritardarono il cammino delle idee più grandi e più benefiche.

Non temere; non in mezzo a noi egli troverà gli amici scioperati che lo possono traviare: non siamo noi, povera donna, che vorremmo strapparlo al tuo cuore. Rinunzia a qualche ora della sua compagnia e lascia ch'ei venga; egli tornerà a te più contento per la coscienza d'un dovere compiuto, e con la mente rischiarata di nuove idee, e anche col cuore meglio disposto all'affetto, perchè nella compagnia che tu temi gli si apre lo spirito alla vita del pensiero, gli s'insegna il rispetto della donna, gli s'inspira l'amore pei deboli e la pietà per tutti i dolori umani.

Non contrastarlo, perchè gli turberesti l'animo senza farlo più tuo; fa ch'egli si confidi con te, accogli le sue speranze, sostieni la sua fede, e una nuova forza stringerà insieme le anime vostre, e tu sarai una seconda volta sua sposa.

Diciamo alla madre del giovane studente: – Perchè ti affanni per il tuo figliuolo, come se la via per cui s'è messo con noi fosse la via della perdizione? Se tu gli leggessi dentro all'animo, saresti lieta e altera del tesoro ch'egli vi chiude. Il sentimento che lo muove è quello stesso con cui lo spingi a metter l'obolo della carità nella mano del vecchio e del fanciullo abbandonato: è lo stesso sentimento ingrandito, esteso a milioni di creature umane, illuminato dalla speranza di bandire dalla società tutte quelle miserie e quei mali da cui sei commossa tu pure: ma soltanto quando li vedi personificati in un infelice che mèndica.

Vedi: il suo ingegno e i suoi studi, prima che utili a lui, sono già utili agli altri. Nella lotta che combatte con noi, egli matura precocemente il suo senno, innalza il suo carattere, fortifica le sue facoltà. Lascia che vada fra i lavoratori, dove acquista un concetto austero della vita, e si spoglia del suo egoismo di classe, e impara il rispetto della povertà e del lavoro. Lascia che mescoli il suo soprabito signorile con quelle rozza giacchette, sotto a cui battono dei cuori che lo amano. Non gli contrastare il passo quando va a cercarle; bacialo in fronte e digli: – Va. – È la voce del tuo buon Dio che lo chiama.

 

Diciamo al modesto borghese, sia egli un piccolo proprietario di terre, oppresse dall'imposta e destinate a ingrandire prima o poi il latifondo, o un piccolo industriale, ogni giorno più impotente a sostener la concorrenza della grande industria, o un piccolo commerciante, condannato a cader vittima presto o tardi dell'accentramento dei commerci, diciamo a ciascuno di costoro che, per un'ambizione scusabile nella società presente, avviano con grandi sacrifici i loro figliuoli alle professioni liberali:

O tu, che ti dichiari nostro nemico, considera un lato solo della grande quistione: vedi se, perdurando questo furore di innalzarsi nella gerarchia socialeeffetto delle troppo dure condizioni materiali e morali della vita del lavoratore, – vedi se i figli dei tuoi figli non si troveranno ridotti a lottare con una concorrenza così formidabile, da render la lotta disperata. Vedi se per prevenire questo danno ci sia altre modo che quello di stabilire l'equilibrio fra i due fattori, intellettuale e meccanico, della produzione sociale, mettendo il lavoro propriamente detto in tali condizioni da non esser più sfuggito da quanti possono come un castigo di Dio; ciò che è il primo intento del socialismo. Vedi se, non giungendo a questo, la società non sia condannata a morire d'una pletora di laureati famelici e di spostati rabbiosi. Fa tacere per poco la tua ambizione, fissa lo sguardo nell'avvenire e ti persuaderai che, pure avendo l'aspetto di tuoi nemici, siamo veri amici dei tuoi figli e dei figli loro.

 

Diciamo allo scienziato e all'artista: – Come puoi tu, uomo di scienza, sospettar nemica tua una dottrina che sopra una fede illimitata nel progresso della scienza in larga parte si fonda, che dal perfezionamento della macchina, dalla prevalenza dell'agricoltura razionale, dallo sfruttamento scientifico di tutte le forze della natura attende ad un tempo e una diminuzione dello sforzo umano e una raddoppiata produzione?

Come puoi tu, scrittore e artista, temere il trionfo di una dottrina che vuole estendere a tutti, nella maggior misura possibile, i godimenti dello spirito, e centuplicare con questo il numero degli uomini atti a comprendere l'opera tua? E se la società futura chiedesse a te, scienziato, il sacrifizio di volgere la tua scienza a fini più direttamente umani, e a te, artista, quello di scendere più spesso dall'altezza del tuo lavoro libero all'ufficio di educatore delle moltitudini, come non vi parrebbe dolce un tal sacrifizio, ricompensato da una tanto più diffusa ammirazione e più vasta gratitudine? E come non sentite che un più alto dovere di generosità e di sacrifizio è imposto ai privilegiati dell'intelletto, a coloro che portano sulla fronte dalla nascita questo segno luminoso della predilezione del destino?

Diciamo all'umanitario, al filantropo: – O tu che combatti l'opera nostra, perchè credi la carità sufficiente a risolvere la gran quistione che affanna il mondo, disingannati in faccia all'evidenza dei fatti, e vieni con noi. No, non si scioglie la quistione con la beneficenza. Non si feconda una vasta terra portandovi l'acqua ad orciòli: ma spandendovi per una rete di larghi canali l'onda inesauribile della montagna. La tua carità non può nulla per i milioni di uomini a cui è intercettata legalmente, per forza delle cose, una troppo gran parte dei frutti del loro lavoro! è impotente davanti al grande fatto della disoccupazione, prodotto dalle crisi disastrose, che derivano dall'anarchia della produzione; e può far meno ancora per quella grande moltitudine lavoratrice, alla quale il pane non manca, ma che domanda una diminuzione di fatica, un'educazione civile, un posto più onorato nel mondo, a cui non ha meno diritto che al pane.

No, i rimedii che ti consiglia il cuore non bastano; occorre che tu dia l'opera della tua ragione. Vieni con noi, poichè il tuo cuore è buono e senza lasciare l'opera della carità, domanda con noi la giustizia; solleva i miseri, ma lavora tu pure a sradicar la miseria; conforta i vinti, ma aiutaci a preparare una società in cui, per quanto lo concedono la natura e la fortuna, non ci siano più vinti vincitori.

 

Diciamo al ricco: – Se ti dice la ragione che è giusta la nostra causa, e ti trattiene dall'abbracciarla il timore di affrettare per te e pei tuoi figli la perdita della ricchezza, tu vivi in un inganno. Proseguendo così le cose, non sarà il socialismo che ti toglierà il tuo bene; saranno le catastrofi politiche e finanziarie a cui conducono inevitabilmente il militarismo, la guerra, il debito, il disordine, inseparabili dall'ordinamento sociale che difendi.

La caduta lontana della tua fortuna non sarà effetto della dottrina socialista; ma delle grandi necessità sociali e economiche da cui la dottrina è nata, e per cui si diffonde. Tu temi rivoluzioni, sconvolgimenti, rapine. Ma se è tutto questo appunto che il socialismo mira a impedire, contenendo le passioni violente che soffocano il germoglio delle idee feconde, prevenendo le rivoluzioni col sollecitar l'evoluzione, scomponendo e rifacendo l'edificio a mano a mano, perchè la società non abbia a rimanere mai sconvolta e atterrita in mezzo a un campo di macerie.

Come non comprendi che questo movimento immenso tende al bene di tutti? Abbraccia la nostra causa, e combattendo per essa, tu che hai la ricchezza, darai un esempio, tu che hai l'indipendenza, sarai una forza, e ti sentirai libero dai due peggiori tormenti della tua vita, che sono la smania d'acquistare e il terrore di perdere, perchè la coscienza d'esser giusto e magnanimo varrà per te il più prezioso dei tesori, sarà la sola, vera felicità che nessun evento, nessuna forza potrà strappar dal tuo cuore.

 

E al fanciullo del ricco, finalmente, noi rivolgiamo questo discorso: – Tu sei nato nell'agiatezza. Se vorrai conquistarti un posto onorato nel mondo, ti costerà assai men fatica che agli altri, perchè sarai come un uomo armato in una lotta in cui quasi tutti gli altri sono inermi. Sei sicuro fin d'ora che non avrai mai da patir privazioni, mai da umiliarti per non perdere il pane, che potrai essere facilmente buono, onesto, rispettato, contento.

Ora, vedi quanta miseria vi è intorno a te, quante dure fatiche che dànno appena da vivere, quanti milioni di fanciulli lasciati nell'ignoranza e nell'abbandono, quante famiglie ridotte all'indigenza senza colpa, quante disuguaglianze ingiuste, quanti dolori senza speranza, e quante ire e quanti odî. Ebbene, se ti dicessero che v'è modo di far sì che tutte queste miserie siano scemate, che il lavoro non manchi a nessuno e sia reso men duro a tutti, che tutti i fanciulli possano istruirsi e educarsi, che le disuguaglianze ingiuste scompaiano, che gli odi di classe si spengano, che la società diventi come una grande famiglia, in cui, se non la felicità, regni almeno la pace, ma che per ottener tutto questo bisogna che tutti i ragazzi come te rinunzino alla loro sorte privilegiata, rientrino nelle condizioni comuni, e si rassegnino a lavorare e a lottare per vivere modestamente come tutti gli altri, consentiresti tu al sacrifizio?

E il fanciullo ci risponde immediatamente, irresistibilmente: – Oh, sì, vi consentirei! E come si potrebbe non consentirvi? - E noi non gli diciamo più altro: gli abbiamo messo il buon germe nel cuore.

Questi sono i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Se non sono ogni giorno dell'anno così benevoli, espressi sempre con parole così miti, non è perchè tacciano nel nostro cuore: è perchè siamo uomini, ossia per natura deboli, soggetti all'orgoglio, facili ad irritarci della calunnia, e anche perchè è troppo sovente offesa in noi quella libertà di pensiero e di parola, che è una sacra eredità lasciataci dai nostri padri e dovrebbe essere una condizione inviolabile del nostro patto nazionale.

Ma ogni anno, in questo giorno, noi rinnoviamo sinceramente il proposito di mantener sempre l'animo e la parola alti come la nostra Idea. Non è questo l'ultimo degli effetti benefici della festa del primo Maggio. E noi confidiamo che questa festa sarà celebrata ogni anno con più serena dignità. Oh, certo, essa sarà bene più splendida e più solenne nell'avvenire! E non sarà celebrata soltanto nelle strade e nelle assemblee, ma anche nelle famiglie, nelle quali tutte l'idea socialista finirà con lo stringere quei vincoli che ora in molte rallenta, e spezza in alcune.

Sarà il giorno in cui le coscienze ed i cuori restii, vinti dal lento lavoro della ragione e dalla forza degli avvenimenti, faranno atto di dedizione e di riconciliazione con le persone amate; il giorno in cui il padre dirà al figliuolo: – Sì, figliuol mio, sei tu che hai ragione, sei più buono e più giusto di me, non son più soltanto tuo padre, sono un tuo compagno; – il giorno in cui la moglie dirà al marito: – T'ho contrariato, perdonami; non ti comprendevo, ora ti comprendo; e tutta l'anima mia è con te e per la tua causa; – il giorno in cui la madre dirà a suo figlio: – Mi arrendo; vedo ora dov'è la verità e la giustizia; la tua festa del primo Maggio sarà da ora innanzi anche la festa di tua madre. – Sì, sarà forse lontano, ma questo giorno verrà.

Noi lo crediamo nome crediamo che la terra germina sotto il raggio del sole. Crediamo che il primo Maggio resterà e ingrandirà negli anni e nei popoli, e che dopo aver redento il lavoro ucciderà la guerra, e che dopo aver confuso le classi, affratellerà le nazioni, e che sarà benedetto dalle generazioni venture come una delle date più fauste e più gloriose della storia del mondo.

 

PER L'INAUGURAZIONE DI UN CIRCOLO UNIVERSITARIO

 

A voi, studenti, domando perdono se non fui abbastanza modesto da rifiutare l'onore immeritato che mi faceste, chiamandomi a inaugurare il vostro Circolo con un breve discorso. Ma v'era nel vostro invito un significato che accarezzava irresistibilmente quel particolare amor proprio, sospettoso d'altri e di , che viene coi capelli grigi; il vostro invito voleva dire che, nonostante la disparità degli anni, non mi credete ancora tanto lontano da voi per calore d'affetti e per fede nei belli ideali della giovinezza, da non poter interpretare il pensiero e l'animo d'un'adunanza di studenti. Io non seppi vincere la tentazione di mostrare pubblicamente l'attestato di gioventù spirituale, di cui mi onoraste.

Ma una ben altra ragione mi spinse: furono due modeste parole ch'io lessi nel secondo articolo del vostro statuto.

In questo tempo in cui un troppo gran numero d'insecutori furiosi della fortuna cerca d'estendere le leggi biologiche della lotta per l'esistenza dai regni inferiori della natura alla società umana, per trarne cagione a sciogliersi da ogni più alto dovere di generosità e di gentilezza, è bello questo vostro intento, col quale voi rinnegate formalmente per parte vostra la prima e più dura di quelle leggi, che è l'egoismo; intento con cui mirate ad attuare, in mezzo a voi, uno dei più arditi concetti degli apostoli della giustizia e dell'uguaglianza assoluta: il diritto di tutti a procacciarsi la vita con la cultura e con l'esercizio delle loro facoltà migliori, nel campo a cui la natura li ha destinati. Mutuo soccorso: è l'espressione con cui avete delicatamente significato il vostro scopo: io la saluto; come l'insegna gentilizia della vostra casa.

Ma anche senza di questo, anche se la vostra Associazione non avesse avuto altro fine che quello di un ritrovo geniale, io sarei stato lietissimo e mi sarei tenuto onorato dell'invito, per queste ragioni. Perchè il corso fortunato di molte fra le idee più feconde degli ultimi tempi, perchè la formazione del primo manipolo dei propugnatori di molte cause elette, diventati col tempo moltitudine vittoriosa, perchè l'autorità e la forza di molti uomini predestinati a grandi opere, ebbero cominciamento, voi lo sapete, in riunioni abituali della gioventù consacrata agli studi, perchè ciascuno di noi, cercando dove si siano aperti prima alla sua mente certi orizzonti, dove siano cadute certe arroganze pericolose del suo orgoglio, dove egli abbia prima imparato il rispetto del pensiero altrui, la sapiente diffidenza del giudizio proprio e il nobile ossequio dell'ingegno alla critica, trova il principio di tutto ciò nel periodo delle sue discussioni ardenti coi colleghi di vent'anni, perchè, infine, l'intrecciarsi degli ordini diversi della coltura, l'azione reciproca delle virtù opposte dei caratteri, la educazione delle facoltà agili e battagliere dell'intelligenza, e la conoscenza degli uomini che è il rincalzo e la scorta di tutte le facoltà, e la generazione spontanea delle amicizie che durano quanto la vita, strette da un legame di memorie senza amarezze, non sono quasi altrimenti possibili che nelle vostre riunioni e all'età vostra, la quale mette nelle sue controversie un ardore, una schiettezza, una fede nella fecondità della lotta che con gli anni scema, pur troppo, o si perde.

Sia dunque bene inaugurato, anche per questo, il vostro Circolo. Fate, come dice il poeta, cozzar i vostri pensieri dalle loro parti sonore; discutetedisputatebattagliate; correte per tutti i versi il vostro campo sterminato in cerca d'avventure e di cimenti dello spirito; affrontate audacemente tutti i problemi con codesta invidiabile facoltà di lampeggiamento dell'intelletto per la quale vi appare tante volte improvviso quello che trovano a fatica la meditazione e l'esperienza; fate fiammeggiare e rombar senza posa la grande fucina delle passioni e delle idee; e siano ben venute le vostre discussioni, anche le più tempestose, anche quelle che vi inaspriscono e v'adirano, se saranno seguite dallo slancio gentile con cui i cavalieri dell'idea vi porgon la mano dopo i duelli della parola, riconoscendo che agli occhi luminosi della Scienza e dell'Arte non deve salire il fumo impuro dei nostri rancori.

Ma perdonatemi se ho rasentato un momento il sermone: tendenza consueta di chi parla a persone di cui desidera il bene ardentemente. E di questo voi non dubitate, ne son certo. Voi non credete a quello che dice un grande poeta malinconico: che lo spettacolo della gioventù è odioso agli uomini maturi.

No, non è vero, per la maturità che lavora e che pensa. Può bene anche un uomo di senno e di cuore risentire, in mezzo a voi, quell'ombra di mestizia che ci suol dare la vista d'un nostro ritratto di vent'anni addietro, il quale ci rammenta affetti morti e illusioni perdute. Ma da questo leggero senso di rammarico si scioglie prontamente il nostro pensiero quando la gioventù che ci sta dinanzi è quella che siede nella più alta scuola d'uno Stato, quella a cui è affidato per l'avvenire l'onore intellettuale d'un popolo.

Dal rimpianto del nostro passato noi ci volgiamo allora all'ammirazione del vostro, o studenti; del passato, voglio dire, della grande famiglia universitaria, giovane eternamente. Poichè questo ci tocca nel vivo dell'animo: che nella classe a cui appartenete sia eguagliato lo splendore delle speranze da quello delle tradizioni; che lungo tutta la via nella nostra storia nuova, dalla prima germinazione oscura dell'idea nazionale fino agli ultimi trionfi dorati dal sole, si ritrovino mille nomi della vostra bella schiera; che non si sia dato da settanta anni a questa volta un momento triste, difficile o solenne, in cui la patria non abbia udito la gran voce sonora delle vostre legioni esprimere prima di lei i suoi entusiasmi più nobili e le sue risoluzioni più audaci.

Questi ricordi ci ridesta la vostra presenza. Voi avete consolato della vostra ammirazione festosa gli ultimi anni travagliati dei grandi vecchi, avete vendicato col grido giovanile ingiustizie memorabili, scosso da inerzie colpevoli classi cittadine troppo paurose d'ogni cosa; avete dato teste eroiche ai patiboli, petti di ferro alle barricate, rigagnoli di sangue ardente fra il Ticino e l'Adige, sui monti di Sicilia e sulle mura di Roma. E la gioia infinita che troviamo in queste memorie viene in gran parte dalla profonda, incrollabile, superba certezza che, se la storia si ricominciasse, essa non avrebbe per cagion vostra un dolore di più una gloria di meno.

Ma v'è un'altra ragione, anche più potente, del nostro affetto per voi. Quando noi ci arrestiamo sgomenti davanti alle affollate e multiformi difficoltà, contro le quali, nel campo della speculazione e dell'opera, urta la fronte la generazione a cui appartengo e quella che la precede, noi ricorriamo con la mente alla gioventù universitaria come in una grande guerra dubbiosa l'esercito di prima linea volge il pensiero al secondo esercito, che si ordina e si addestra nei campi, aspettando la sua ora.

E con un conforto grande ci raffiguriamo nuove forme dell'arte, una più alta sapienza della legge, nuove infermità vinte, nuovi e maravigliosi cooperatori delle braccia umane, qualche idea splendida e semplice, oggi ancora velata, cospirante alla soluzione di quell'enorme problema sociale che ci tormenta la ragione e ci affanna l'anima; e come i contorni incerti di una bella terra lontana, vediamo le somme linee di una società più giusta, più fraterna, più felice della nostra; che, in fondo, è il più santo voto del cuor di tutti.

E allora diciamo in cor nostro: – , in mezzo a loro, tutto questo cova, sputa, s'abbozza, ribolle – sono essi l'avvenire in cui abbiamo fede – le speranze che ci aiutano a vivere son le loro ambizioni – e la luce più viva che scalda il nostro tramonto è quello che c'irradia alle spalle l'aurora della loro gioventù. E allora, quanto v'amiamo! Allora quel sentimento d'orgoglio chiuso che tien poco o molto ogni generazione matura si stacca come scoria vile dall'animo nostro; allora non comprendiamo più perchè ciascun di noi non debba desiderare come una fortuna che voi gli passiate sul corpo per salire a un gradino più alto sulla scala dell'arte e della scienza: allora benediciamo ai vostri studi, alle vostre gioie, alle vostre irruenze con un entusiasmo nel quale è ancora tutta la freschezza della vostra età, con un affetto di cui non vi può dar l'immagine che la stretta dell'amplesso paterno.

Sì, noi v'amiamo come l'avvenire vivente. E seguitiamo i vostri passi con quel sentimento di curiosità pensierosa, col quale si guarda chi parte per un paese sconosciuto e mirabile, come s'egli avesse già sulla sua persona un riflesso delle maraviglie verso cui move.

E infatti, che cosa sia per avvenire di questa mole deforme della società presente, di cui la cima sfolgora e il fondamento vacilla, che cosa sia per nascere dalle condizioni attuali del vecchio mondo, rimasto nell'ombra in mezzo agli opposti crepuscoli degli astri tramontati e di quelli non sorti ancora, battuto dal flutto di moltitudini irritate, delle quali cresce il malcontento con la cultura, e schiacciato dal peso di eserciti immensi, destinati a conflitti che sgomentano l'immaginazione, e a cui la ragione e il cuore dei popoli sempre più minacciosamente repugna; noi lo sappiamo, v'è scienza che lo prevegga.

Ma certo è che il mondo si prepara con vasti e lenti sforzi a una profonda mutazione, e che nell'età che s'apre voi avrete a lottare, come cittadini e come uomini, con difficoltà diverse in gran parte da quelle che a noi contrastarono e contrastano, che altre virtù v'occorreranno, che altri sacrifizi vi saranno chiesti, ai quali noi non fummo chiamati.

Ma a tutto voi andrete incontro con animo ardito, confortati non soltanto dalla fede nella vittoria ultima della giustizia e del bene, ma anche da questo pensiero: che per quanto meravigliose sian le novità che vi vedrete d'intorno, non saranno da meno quelle che sorgeranno dentro di voi, non tanto per effetto naturale del tempo, quanto per virtù delle cose esteriori mutate. Fioriture improvvise e stupende di facoltà latenti, fecondate da nuove passioni, nate alla loro volta da avvenimenti inattesi, svoltate subitanee e corse conquistatrici dell'ingegno per vie son solo non cercate, ma ignorate fino a poc'anzi, forze imprevedute dell'animo, suscitate da pericoli e da dolori comuni, e appassionate consacrazioni di tutte le potenze dell'intelletto e della volontà a ordini di idee a cui per vent'anni non s'era mai affacciata la mente se non forse per combatterle o per dileggiarle: tutto questo avverrà tra voi, e tanto muteranno alcuni, che, ricercando stessi nelle memorie di questi giorni, stupiranno della loro immagine antica.

Tutto questo avverrà. E forse fra quelli che m'ascoltano vi sono già dei fidanzati inconsapevoli dell'era nuova, campioni fortunati di idee benefiche, vittime illustri od oscure, ma egualmente nobili, di grandi passioni, fronti che si alzeranno sopra l'altre come segnacoli, nomi che saranno amati e benedetti.

Noi salutiamo con riverenza in voi questo cumulo di promesse, di predestinazioni e di misteri, e se qualche cosa ci turba nel gridarvi l'evviva della partenza, è il timore di non aver abbastanza lavorato, pensato, sofferto per spianarvi la via su cui vi lanciate, la via dove v'accompagneremo con l'anima fin che ci si velerà l'orizzonte.

Ed ora, che vi potrei dire di più? Finita questa bella serata, voi rimarrete soli alle vostre liete riunioni. Ma noi, di mezzo alle cure e alle fatiche di ogni giorno, ritorneremo spesso con la mente alle poche ore di gioventù che ci avete fatto rivivere, tra queste pareti dove pure vi verrà a ritrovare il desiderio di tanti lontani che v'amano, dove vi verranno a stringer la mano colleghi d'altre provincie e d'altri popoli, dove tanta allegrezza, tanta vita, tanta primavera di pensiero e d'affetto darà fiori e frutti al futuro.

Abbia dunque lunga vita, il vostro Circolo. E non sia soltanto il luogo dove le buone amicizie si cementino; sia anche quello dove, vinti dalla forza della cordialità altrui, i nemici si riconcilino, dove le gelosie dell'ingegno si spuntino, dove le opinioni dei partiti avversi si ricambino l'omaggio della cortesia; in modo che possiate dire: – Emuli negli studi, concorrenti nella vita, sciolti da ogni vincolo nella politica; ma qui – siamo fratelli.

Questo è il mio augurio al vostro Circolo. A voi, avanguardia intellettuale della vostra generazione, a quelli che nella battaglia della vita vinceranno, a quelli che cadranno, a quelli che, crivellati di ferite, dureranno a combattere fino all'estremo, a voi tutti, sangue nuovo e generoso della patria, figliuoli prediletti del nostro pensiero e speranze sacre del nostro cuore, salute, fortuna, gloria!

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License