Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Ricordi di Parigi

VITTOR HUGO

IV.

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IV.

 

V'è una considerazione però, che rende titubanti molti ammiratori che desiderano di visitare Vittor Hugo; ed è l'accusa che gli si fa d'avere un immenso orgoglio. Certo è che egli sente altissimamente di , e non lo nasconde. Tutti sanno quello che disse, ancor giovane, all'attrice Mars, che si permetteva, alle prove dell'Hernani, di criticare i suoi versi. - Signorina, voi dimenticate con chi avete da fare. Voi avete un grande ingegno; non lo nego; ma ho un grande ingegno. anch'io, e merito qualche riguardo. - Io lascio ad altri il risolvere questa quistione: se, in qualche caso, uno smisurato sentimento di non sia un elemento del genio: quello che l'impulso ai grandi ardimenti; e se, ammessa la indole artistica di Vittor Hugo, sia possibile concepire un Vittor Hugo modesto. Mi ristringo a considerare il fatto. Si, Vittor Hugo dev'essere sovranamente orgoglioso. Si riconosce da mille segni. Egli, per esempio, - è cosa notissima, - non ammette la critica. Il genio, dice, è blocco. Bisogna accettarlo intero o respingerlo intero. L'opera del genio è un tempio in cui si deve entrare col capo scoperto, e in silenzio. On ne chicane pas le génie. Ammirate, ringraziate e tacete. Il genio non ha difetti. I suoi difetti sono il rovescio delle sue qualità. Ecco tutto. Egli lo ha detto a chiare note nel suo libro sullo Shakespeare, nel quale s'è servito del tragico inglese per dire al mondo quello che pensa di se stesso. Il ritratto ch'egli traccia dello Shakespeare è il ritratto suo; quella deificazione che egli fa del genio, la quale per un uomo che creda in Dio è quasi sacrilega, è, insomma, la sua apoteosi; in quell'oceano a cui paragona i grandi poeti, si vede riflessa, prima d'ogni altra, la sua grandezza; quella montagna che ha tutti i climi e tutte le vegetazioni, è Vittor Hugo. In quegli elenchi, ch'egli fa ad ogni pagina, dei genii di tutti i tempi e di, tutti i paesi, da Giobbe al Voltaire, si capisce, si giurerebbe che, arrivato all'ultimo nome, è stato, sul punto d'aggiungervi il suo, e che non lo fece, non per modestia, ma per salvare, come, suol dirsi, le convenienze. Egli tratta tutti quei grandi da pari a pari. Tutti i genii, d'altra parte. - è una sua idea, - sono uguali. La regione dei genii è la regione dell'eguaglianza. Egli parla di Dante come d'un fratello. Ma oltre a queste ci sono mille altre manifestazioni della coscienza ch'egli ha della sua grandezza: l'ardimento, superbo con cui mette le mani nella scienza e con cui affronta, passando, i più alti problemi della filosofia; la baldanza con cui ostenta le sue licenze letterarie, come se fosse certo che, coniate da lui, saranno moneta corrente e ricchezza comune; l'intonazione solenne delle sue prefazioni, che, annunziano l'opera come un avvenimento sociale; la cura scrupolosa con cui raccoglie o fa raccogliere tutte le sue minime parole e gli atti più insignificanti della sua vita. Quando vuol fare il modesto riesce all'effetto opposto, tanto inesperto è in quell'arte, e tanto è abituato a passar la misura in ogni cosa. Come quando comincia una lettera: «Un oscuro lavoratore.» E così, sotto la forzata pacatezza con cui risponde alle osservazioni di Lamartine sui Miserabili, si sente il ruggito soffocato del leone ferito. La sua stessa prodigalità nella lode tradisce l'uomo che crede di gettarla tanto dall'alto, da non aver da temere l'orgoglio che ne potrà nascere, se anche crescesse smisurato. E poi egli rivela l'animo suo candidamente. In un'occasione in cui non volle lasciar rappresentare un suo dramma perchè un altro aveva trattato lo stesso soggetto, disse: - Non voglio esser paragonato, - A un editore che gli proponeva di pubblicare una scelta delle sue poesie, rispose: - Voi mi avete l'aria d'un uomo che, mostrando in una mano dei sassi raccolti sul Monte Bianco, creda di poter dire alla gente: Ecco il Monte Bianco. - Egli si considera al di sopra d'ogni confronto possibile con qualunque scrittore contemporaneo. Non piglia, infatti, alcuna parte in quella guerra continua che si movono gli scrittori di Francia a motti arguti e maligni, che scorticano senza far stridere, e fanno il giro di Parigi. Se ne sta in disparte, muto. E non sarebbe atto, d'altra parte, a questa specie di guerra. Dicono: perchè non ha «spirito.» Egli ha risposto acerbamente a questa critica. - Dire che un uomo di genio non ha spirito, è una gran consolazione per i moltissimi uomini di spirito che non hanno genio. - Ma la critica è giusta forse, benchè si trovino nei suoi discorsi parlamentari dei mirabili esempi di risposte improvvise a botte inaspettate. Il suo scherno ha spesso il conio del grande ingegno; ma non provoca il riso salato e pepato della vera arguzia francese. Lo stiletto sottile dell'ironia sfugge dalle sue mani di colosso; egli non è atto che a dare i grandi colpi di mazza che sfracellano il casco e la testa. E poi oramai si ritiene quasi al di sopra della letteratura. Si riguarda quasi come un sacerdote di tutte le genti, sopravvissuto, per decreto della Provvidenza, a mille prove e a mille sventure, per vegliare sull'umanità. Questo apparisce lucidamente dalle sue apostrofi ai popoli, dalle sue intimazioni ai monarchi, dal tono di profezia che ai suoi presentimenti, dalla forma di responso che alle sue sentenze, dal carattere di minaccia che ai suoi rimproveri, da tutto il suo linguaggio spezzato in affermazioni altiere e in giudizii assoluti, come se ogni sua proposizione fosse un decreto, da incidersi sul bronzo o nel marmo per le generazioni avvenire. Tutte queste cose, o sapute prima o intese dire, fanno lungamente esitar lo straniero che vuol andare a battere alla sua porta. Certo che, dopo la prima esitanza, si fanno delle riflessioni incoraggianti. Si pensa, per esempio, che il sentimento che ci trattiene dal presentarci a un uomo orgoglioso che ammiriamo, non è, in fondo, che un sentimento d'orgoglio. Poi si pensa a quanti scrittorelli miserabili di mente e di cuore, a quanti pedanti fradici e impotenti, a quanti imbrattacarte sconosciuti di villaggio non si sentono da meno di Vittor Hugo. E infine ci si dice che è una pazza presunzione la nostra, di credere che a noi, messi in luogo suo, non darebbe punto al capo la gloria di primo poeta d'Europa. E allora si ripiglia coraggio. Ma pure è una cosa che spaventa quel presentarsi sconosciuti, senz'altra scusa che l'impulso del cuore, davanti a un uomo famoso nel mondo, nella grande città che lo festeggia, in casa sua, in mezzo a una folla di ammiratori, per dirgli... che cosa? Voglio vedervi!

 

 

 


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