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II
La sua storia letteraria è una delle più curiose di questi tempi. I suoi primi lavori furono i Contes à Ninon, scritti a ventidue anni e pubblicati molto tempo dopo. Lì c'è ancora lo Zola imberbe, con una lagrima negli occhi e un sorriso sulle labbra, appena turbato da una leggera espressione di tristezza. Non tiene affatto a questi racconti, e s'arrabbia coi critici che, o sinceramente o malignamente, dicono di preferirli ai suoi romanzi. A un tale che gli espresse tempo fa questo giudizio, rispose: - Vi ringrazio; ma se venite a casa mia vi farò vedere certi miei componimenti di terza grammatica, che vi piaceranno anche di più. - I suoi primi romanzi furono quei quattro arditissimi, fra cui Thérèse Raquin, ora un po' dimenticati, che vennero definiti da un critico «letteratura putrida.» C'era già lo Zola uomo; ma solamente dalla cintola in su. Le sue grandi facoltà artistiche, già spiegate, ma non ancora sicure, sentivano il bisogno di reggersi sopra argomenti mostruosi, che attirassero per sè soli l'attenzione. Si vedeva però già in quei romanzi uno scrittore imperterrito, ch'era risoluto a farsi largo a colpi di gomito, e che aveva il gomito di bronzo. Uno di quei romanzi, Madeleine Férat, che s'aggira sopra un fatto osservato dall'autore, d'una ragazza la quale, abbandonata dall'uomo che ama, ne sposa un altro; ed ha parecchi anni dopo un figliuolo che somiglia al primo, gli suggerì l'idea di scrivere quella serie di romanzi fisiologici, che intitolò Histoire naturelle et sociale d'une famille sous le second Empire; e fin dal primo giorno gli balenò alla mente tutto il lavoro, e tracciò l'albero genealogico che pubblicò poi nella Page d'amour. Credevo che fosse anche questa una delle tante ostentazioni di «un disegno vasto ed antico» con cui gli autori cercano d'ingrandire nel pubblico il concetto delle proprie opere; ma i manoscritti, ch'ebbi l'onore di vedere, mi disingannarono. Fin dal primo principio egli stese l'elenco dei personaggi principali della famiglia Rougon-Macquart, e destinò a ciascuno la sua carriera, proponendosi di dimostrare in tutti gli effetti dell'origine, dell'educazione, della classe sociale, dei luoghi, delle circostanze, del tempo. I primi romanzi di questo nuovo «ciclo» non ottennero molto successo. I linguisti, gli stilisti, tutti coloro che sorseggiano i libri con un palato letterario, ci sentirono della forza, ci trovarono del bello e ci presentirono del meglio; ma non sospettarono che ci fosse sotto un romanziere di primo ordine. Lo Zola se ne indispettì, e gettò allora un guanto di sfida a Parigi, pubblicando quella famosa Curée, in cui è manifesta la risoluzione di levar rumore a ogni costo; quello splendido e orrendo saturnale di mascalzoni in guanti bianchi, in cui il meno turpe degli amori è l'amor d'un figliastro per la matrigna e la donna più onesta è una mezzana. Il romanzo, infatti, fece chiasso; si gridò allo scandalo, come si grida a Parigi, per educazione; ma si lesse il libro avidamente, e quel nome esotico di Zola suonò per qualche tempo da tutte le parti. Ma non fu nemmen quello un successo come egli aspettava o desiderava. E fu anche minore per i romanzi posteriori. Lo spaccio era scarso; la cerchia dei lettori, ristretta, e lo Zola, che sentiva in sè l'originalità e la forza d'un romanziere popolare, se ne rodeva. Ma non si perdeva d'animo. - Non sono abituato, - scriveva, - ad aspettare una ricompensa immediata dai miei lavori. Da dieci anni pubblico dei romanzi senza tender l'orecchio al rumore che fanno cadendo nella folla. Quando ce ne sarà un mucchio, la gente che passa sarà ben forzata a fermarsi. - La sua fama, non di meno, andava allargandosi, benchè lentamente, In Russia, dove si tien dietro con simpatia a tutte le novità più ardite della letteratura francese, era già notissimo, e tenuto in gran conto. Ma questo non gli bastava. Egli aveva bisogno d'un successo clamoroso e durevole, che lo sollevasse d'un balzo, e per sempre, dalla schiera degli «scrittori di talento» che si salutano confidenzialmente con un atto della mano. E ottenne finalmente il suo intento coll'Assommoir Cominciarono a pubblicarlo in appendice nel Bien public; ma dovettero lasciarlo a mezzo, tante furono lo proteste che lanciarono gli abbonati contro quell'«orrore.» Allora fu pubblicato tutto intero in un giornale letterario, e prima che fosse finito cominciarono quelle calde polemiche, che divennero ardenti dopo la pubblicazione del volume, e che saranno ricordate sempre come una delle più furiose battaglie letterarie dei tempi presenti. Queste polemiche diedero un impulso potente al successo del romanzo. Fu un successo strepitoso, enorme, incredibile. Erano anni che non s'era più sentito, a proposito d'un libro, un fracasso di quella fatta. Per lungo tempo tutta Parigi non parlò d'altro che dell'Assommoir; lo si sentiva discutere ad alta voce nei caffè, nei teatri, nei club, nei gabinetti di lettura, persino nelle botteghe; e c'erano gli ammiratori fanatici, ma erano assai di più gli avversati acerrimi. La brutalità inaudita di quel romanzo parve una provocazione, una ceffata a Parigi, una calunnia contro il popolo francese; e si chiamava il libro una «sudicieria da prendere colle molle», un «aborto mostruoso,» un'«azione da galera.» Si scagliarono contro l'autore tutte le litanie delle ingiurie, da quella di nemico della patria, a quella d'«égoutier littéraire» e di porco pretto sputato, senza giri di frase. Le riviste teatrali della fin dell'anno lo rappresentarono nei panni d'uno spazzaturaio che andava raccattando le immondizie colla fiocina per le vie di Parigi. Ce n'ètait plus de la critique, com'egli disse: c'ètait, du massacre. Gli negavano l'ingegno, l'originalità, lo stile, persino la grammatica; c'era chi non lo voleva nemmeno discutere; poco mancò che non gli si facessero delle provocazioni personali per la strada. E si spandevano intorno alla sua persona le più stravaganti e più odiose dicerie: che, era un sacco di vizi, un mezzo bruto, un uomo, senza cuore come Lantier, un beone come Coupeau, un sudicione come Bec-Salé, una brutta faccia come il suo père Bezougue, il becchino. Ma intanto le edizioni succedevano alle edizioni; i buongustai spassionati dicevano a bassa voce che il romanzo era un capolavoro; il popolo parigino lo leggeva con passione, perchè ci trovava il suo boulevard, la sua buvette, la sua bottega, la sua vita dipinta insuperabilmente, con colori nuovi e tocchi di pennello, in confronto ai quali tutti gli altri gli parevano sbiaditi; e i critici più arrabbiati erano costretti a riconoscere che in quelle pagine tanto bersagliate c'era qualche cosa contro cui si sarebbero rintuzzate eternamente le punte delle loro freccie. Il grande successo dell'Assommoir fece ricercare gli altri romanzi, e si può dire che lo Zola diventò celebre allora. La sua celebrità vera non data che da tre anni. Egli stesso scrisse poco tempo fa a un suo ammiratore d'Italia: - On ne m'a pas gâté en France. Il n'y a pas longtemps qu'on m'y salue.È però una celebrità singolare la sua. Un immenso «pubblico» lo ammira, ma d'un'ammirazione in cui c'è un po' di broncio e un po' di diffidenza, e lo guarda di lontano, come un orso male addomesticato. Ha un grande ingegno, non c'è che fare; bisogna pure rassegnarsi a dirlo e a lasciarlo dire. Egli è ancora a Parigi il lion du jour, e non ha che un rivale, il Daudet, che non è però della sua tarchiutura; ma si trattano coi guanti, reciprocamente, per non destare sospetti. Lo Zola però non si vale, e par che non si curi della sua celebrità. Non si fa innanzi; vive raccolto, nel suo cantuccio, con sua moglie, con sua madre e coi suoi bambini. Pochi lo conoscono di vista ed è raro il trovare un suo ritratto. Non frequenta la società, se non quando ci deve andare per studiarla, e quando non ci va con questo scopo si secca: non va che dall'editore Charpentier, che ha una splendida casa, e dà delle feste splendide a cui interviene anche il Gambetta. Non appartiene a nessuna consorteria. Non sta a Parigi che l'inverno; l'estate va in campagna per lavorare tranquillo. Una volta stava all'estremità dell'Avenue Clichy, luogo opportunissimo per studiare il popolo dell'Assommoir; ora sta in via di Boulogne, dove stava il Ruffini, poco lontano dalla casa del Sardou.