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IV.
agli operai.
Ringrazio l'Associazione generale dell'invito onorevole che m'ha rivolto, e mi affretto a dire che, accettandolo, ho compreso l'intento a cui era ispirato e il dovere che quell'invito m'imponeva. Ho compreso che questa grande Associazione, la quale non ha carattere politico, ed è composta di operai d'opinioni e di tendenze diverse, intendeva di esprimere il suo consenso, in questo giorno, a quel che v'è di comune nelle aspirazioni di tutti i lavoratori, a qualunque partito appartengano; e che perciò, nel commemorare qui il 1.° Maggio, - pure dichiarando e spiegando la mia ferma fede socialista, condizione sottintesa della mia accettazione, - avrei dovuto, non solo non offendere in alcun modo gli uditori d'opinione contraria, ma mantener l'animo a un'altezza, così serena, esporre il mio pensiero con parola così cauta e pacata, da render accetto il mio modesto discorso anche a coloro che avessero giudicato inopportuno l'invito di cui ero onorato.
Parlare serenamente! Non mi costerà alcuno sforzo, lo potete credere. Come si può aver l'animo inclinato alla violenza e al rancore in un giorno di festa? Tale, infatti, è oramai il 1.° Maggio. Festa singolare, non di meno, che desta tanti pensieri, tanti sentimenti diversi ed opposti! Pochi anni sono, prima che il Congresso internazionale dei lavoratori, tenutosi a Parigi nell'89, accettando la deliberazione già presa dalla «Federazione americana del lavoro» nel Congresso di San Luigi, fissasse alla data del 1.° Maggio la grande manifestazione per la giornata d'otto ore, ognuno, svegliandosi in questo giorno, rivolgeva la mente, come sempre, ai propri affari quotidiani: era questo un giorno come gli altri per tutti. Ora, non v'è più cittadino di paese civile, a qualunque classe o condizione sociale appartenga, il quale, aprendo gli occhi la mattina del 1.° Maggio, non volga i suoi pensieri sul nuovo significato che questa data ha assunto nel mondo.
Sono, in milioni d'uomini, pensieri d'allegrezza e di speranza; sono, in altri milioni, pensieri inquieti e tristi; è, in molti ancora, un sentimento irragionevole di terrore; è, anche negli spiriti più leggieri e più scettici, questo pensiero: che v'ha in tutti i paesi una quistione, più importante d'ogni avvenimento politico, la quale abbraccia tutti gli interessi dello Stato e degli individui, e che può a quando a quando e per varie cause esser dimenticata, mascherata, sopita; ma che incessantemente, fatalmente, anno per anno, giorno per giorno, si dilata, s'inalza, soverchia ogni altra quistione, attira a sè tutti gli sguardi e tutte le menti come un grande fenomeno della natura. Ed è già questo un effetto benefico, che nessun lavoratore può disconoscere, della festa del 1.° Maggio. E noi più che gli altri siamo indotti a meditare, noi che abbiamo una visione più larga e più netta di quello che accade in questo giorno sulla faccia della terra. Noi pensiamo che in quest'ora stessa, in centinaia di città, in villaggi innumerevoli, altre migliaia d'oratori stanno dicendo, in dieci lingue diverse, ad altre migliaia d'adunanze come questa, le stesse cose ch'io sto per dire a voi; noi vediamo nei grandi sobborghi di Berlino, di Parigi e di Bruxelles, nell'Hyde-Park a Londra, nel Prater a Vienna, nel Buen Retiro a Madrid, nel parco Cismigiu a Bucarest, nello square dell'Unione a Nuova York, nelle vaste piazze delle nuove città dell'Australia, dove il 1.° Maggio è già una festa ufficiale in più Stati, vediamo per tutto legioni di lavoratori, che in forma d'assemblee, di processioni, di cortei simbolici, di feste campestri e di canti solenni esprimono tutti una sola idea e una sola speranza; e a questa visione ci si commove l'anima come davanti a uno degli spettacoli più maravigliosi di cui ci dia esempio la storia.
E quale anima potrebbe rimaner chiusa e fredda all'udir le parole che s'alzano da quei milioni di cuori? - Sia affrancato e onorato il lavoro e diventi una legge per tutti - Siano confederati gli uomini nella lotta contro la natura e abbia tregua la lotta feroce per l'esistenza fra uomo e uomo - Cadano le barriere che dividono ogni nazione in due popoli, e si diffondano egualmente nelle moltitudini, come la luce nell'aria, i benefizi della civiltà, che sono frutto dell'opera comune - Cessi lo spargimento del sangue, cessino gli odi fra le nazioni, perchè l'ultima meta di tutte è una sola, e occorrono a raggiungerla gli sforzi concordi della razza umana. - Belle e sante utopie! - ci rispondono, - e la prova che sono utopie è che sono antiche quanto la vita sociale e non sono ancora diventate realtà. - Ah! v'ingannate. Erano aspirazioni solitarie degli umili, erano aspirazioni sparse e divise, che assumevano nelle menti incolte forme indeterminate o mostruose, e prendevano forza in una gente quando cadevano oppresse in un'altra; ma ora sono il proposito fermo di moltitudini d'ogni paese, ordinate e alleate, che operano concordemente e ad un tempo: la scienza le formola e le sostiene, le forze che le comprimevano si sfasciano, la coscienza universale le accetta; erano chiarori di lampo che solcavano la notte, e ora sono l'alba che rischiara l'orizzonte; erano soffi di vita che scotevano a quando a quando un'atmosfera morta e ora sono la primavera che risveglia il mondo.
A queste aspirazioni consente, in fondo, chiunque abbia senso d'umanità e di giustizia. Nasce il dissenso quando s'entra a discuterle fino a che punto e in qual forma esse possano tradursi in realtà. Studiando i fenomeni sociali e economici, noi osserviamo l'accentrarsi progressivo delle industrie e delle ricchezze, e il conseguente estendersi del proletariato, il trasformarsi continuo dei mezzi privati di lavoro in mezzi che non possono più essere impiegati che socialmente, l'incremento del principio di cooperazione e dello spirito di solidarietà e d'eguaglianza, e da questi e da altri cento fatti che a questi si collegano deduciamo certe leggi, per forza delle quali crediamo che si verrà necessariamente ad un ordinamento nuovo, in cui, diventati proprietà collettiva della nazione tutti i grandi mezzi di produzione, i membri tutti della società produrranno direttamente per la società medesima; la quale, accentrando i prodotti, li ripartirà equamente fra i lavoratori, in ragione della qualità e della quantità del loro lavoro. I dissenzienti ci dicono di no, affermano che un tale ordinamento non s'attuerà mai, che è impossibile ad attuarsi perchè vi si oppongono altre leggi, che essi ritengono, sopra tutte le trasformazioni sociali, immutabili. Ebbene, noi non stimiamo questa una ragiona sufficiente perchè debba avversare il grande moto della nostra idea chi concorda con noi nella critica della società presente e nel sentimento della necessità d'una riforma fondamentale. Ci pare un errore il combattere il socialismo nel suo disegno compiuto di ricostruzione sociale, invece di considerarlo - come riconosce che si dovrebbe anche un nostro illustre avversario - «nella sua intima ispirazione e nell'obbiettivo generale a cui tende, nel che esso risponde innegabilmente all'evoluzione umana»; nel che, aggiungiamo noi, è riposta la sua vera forza. Noi, sull'ordinamento della società futura, potremmo ragionevolmente rifiutare ogni discussione. E anche in questo ci danno ragione molti dei nostri più autorevoli avversari. Potremmo rispondere con le parole loro che: «intorno ai fenomeni sociali non sono possibili se non previsioni e predizioni generali: riguardanti cioè l'avviamento e l'andamento generale dei fenomeni stessi, non speciali, particolari, individue». Potremmo domandare, come domandò il Bebel al Reichstag, se, nel dar la mossa alla grande rivoluzione, la borghesia francese poteva prevedere quale sarebbe stata in tutti i particolari la struttura intima della società che ne doveva sorgere. Potremmo dire che il pretender questo da noi è pretender cosa superiore alla potenza della mente umana. - E nondimeno - ci si può rispondere - voi mostrate al mondo, come una bandiera, un programma di ricostruzione sociale compiuta. - Ma questo è logico. Noi abbiamo scritto sulla nostra bandiera un ideale, perchè nessun grande moto sociale è possibile intorno a un programma di riforme circoscritte e parziali; perchè è istinto dell'anima umana, in ogni sua più nobile aspirazione, il mirar più alto e più lontano della possibilità immediata di conseguire il suo fine; perchè soltanto una grande riforma, che oltre ad includere un riordinamento del lavoro e della proprietà, porta con sè un profondo rinnovamento morale, sociale e politico, e abbraccia tutte le quistioni che agitano l'umanità, soltanto l'idea d'una riforma simile può raccogliere intorno a sè le moltitudini e suscitar gli entusiasmi e le forze per combattere la lotta enorme a cui siamo chiamati. Domandiamo dunque ai nostri avversari benevoli: - Perchè non venite con noi, voi che pure volete grandi miglioramenti, poichè la nostra bandiera è la sola intorno a cui si possa raccogliere l'esercito per combattere anche le battaglie minori, per compiere anche le conquiste parziali, da noi volute? Una sola cosa può trattenervi, ed è il timore che la tentata attuazione d'un'idea da voi giudicata inattuabile produca nella società uno sconvolgimento funesto. Ma è un timore infondato. I fatti economici e sociali, che, a nostro giudizio, debbono condurre la società all'ordinamento da noi presagito, noi possiamo assecondarli, ma non farli nascere. Se le leggi che deduciamo da quei fatti sono erronee, il nostro ideale non s'attuerà. Se, giunto il proletariato socialista al potere, non fosse ancora pronta nei suoi elementi la organizzazione nuova che deve sostituirsi all'antica, esso si troverebbe impotente non diciamo a compiere, ma nemmeno a tentare una sostituzione precipitata, e dovrebbe restringersi a una serie di riforme preparatorie e graduali. Noi primi siamo persuasi che una trasformazione economica così profonda non si potrà mai attuare prematuramente e con la violenza. È una verità riconosciuta anche dai nostri più fieri oppositori che «parallelo al presente movimento sociale corre un movimento scientifico e razionale che lo trattiene nella giusta misura e impedisce alla società moderna di precipitare nelle catastrofi che hanno ucciso la civiltà antica».
Vedete dunque - ripetiamo ai nostri avversari trattabili - che quel timore non dovrebbe trattenervi dal venire a noi. Avversando il nostro moto, invece, non per altro che perchè non consentite nel nostro programma ideale, voi ritardate anche il conseguimento delle riforme vostre; voi v'opponete anche alla vittoria di quel nostro programma minimo, che in gran parte approvate, e di cui molte idee - di quelle, in specie, che si riferiscono alla politica sociale dei comuni - sono già attuate o in via d'attuarsi in molte grandi città d'Europa e d'America; voi ingrossate il numero di coloro che respingono, come nel parlamento francese, le più eque, le più logiche imposte, come quella progressiva sul reddito, per la sola ragione che il socialismo le propugna, e che condannano a morte qualunque più benefica riforma dicendo che v'è in essa «un germe di socialismo»; voi, finalmente, perchè credete che non si possa giungere fin dove noi vogliamo andare, voi, che pur volete procedere, v'arrestate all'imboccatura della strada e crescete forza alla schiera di quegli «immobili» che voi stessi condannate; i quali, alla loro volta, proteggono e incoraggiano, pur non volendolo, tutti quegli altri che voltano le spalle all'avvenire e tentano di risuscitare il passato. Dice il senatore Pasquale Villari che non ci saranno più tra poco in Italia che tre partiti: i socialisti, i loro avversari intransigenti, e gli iniziatori audaci di riforme pratiche a vantaggio dei lavoratori. Ma egli mostra di dubitare che questi iniziatori sorgano in tempo. Ebbene, se non sorgeranno, sarà quanto abbiam detto finora ampiamente giustificato e provato, e se sorgeranno, sarà un negare la luce del sole il negare che sia un terror salutare del socialismo, e non altro, che li ha fatti sorgere. Ma sarebbe troppo tardi, temiamo. Per ciò, se anche la nostra ragione ripudiasse la dottrina socialista, noi, con piena e ferma coscienza d'operare il bene, ci raccoglieremo egualmente sotto la nuova bandiera; lo faremmo non foss'altro che per ottenere il primo e necessario risultato della prevalenza delle classi lavoratrici nella rappresentanza legale della nazione. E questo è un punto su cui tutti quei nostri avversari, che desiderano sinceramente un salutare rinnovamento sociale, non possono dissentire da noi, perchè non possono non esser persuasi che fin che gli interessi della classe proletaria non saranno direttamente rappresentati da cittadini appartenenti o legati al proletariato, questi interessi non avranno mai una rappresentanza sincera e feconda; perchè è illogico il pretendere o sperare che una maggioranza di rappresentanti della classe superiore possa consentire a riforme gravemente lesive degli interessi della sua classe; perchè nessuna classe sociale votò mai volontariamente, per puro spirito d'altruismo, la propria decadenza; perchè ogni vantaggio, ogni conquista importante nel campo economico non potrà mai essere che l'opera della classe che n'ha bisogno e che v'ha diritto; perchè siamo in un momento della civiltà umana - ed è un dotto statista conservatore che lo disse, - in cui nessuna classe è difesa dall'altra e bisogna che ciascuna si difenda da sè. - Ora noi vediamo che il socialismo soltanto - lo vediamo in Francia, in Germania e nel Belgio, - è riuscito, dopo tanti anni di regime rappresentativo, a mandare nei Parlamenti una schiera di rappresentanti diretti del proletariato, sufficiente per numero e per unità d'intenti a far sentire l'azione propria sull'andamento della cosa pubblica. Supponete pur dunque che il programma socialista non si possa attuare mai, - ripetiamo ai nostri avversari ragionevoli, - ma il moto socialista produrrà pur sempre l'effetto desiderato di togliere il monopolio del potere alla minoranza, - ostacolo precipuo ad ogni grande progresso sociale - o, se non altro, di mettere in faccia al potere un sindacato potente, che ne moralizzi la funzione, ne stimoli le energie e ne allarghi gli orizzonti. Non fosse che per ottenere questo fine, ripetiamo, se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista, noi diremmo a chi l'annunzia: - Siamo con voi. In presenza dei fatti, quello che v'è d'utopistico nel vostro programma, cadrà. Ma resterà questo grande fatto compiuto, necessario e benefico: lo spostamento dell'asse sociale da una piccola classe, serrata nel cerchio dei propri interessi, a quella grande maggioranza, i cui interessi si confondono con quelli della nazione.
Ho detto: se anche noi credessimo un'utopia l'ideale socialista.... Non debbono dar luogo a dubbi queste parole. Certo, la persuasione non può essere nella più parte di noi così scientificamente fondata come è in quei molti dei nostri compagni di fede, dotti cultori delle scienze economiche, i quali, profondamente compresi della dottrina marxista, ne hanno dedotto con lunghi studi tutte le conseguenze teoriche e pratiche, trovando a tutte le obiezioni una risposta difficile a confutarsi. Si fonda principalmente la nostra persuasione su questo: che i vizi organici più gravi attribuiti all'ordinamento da noi voluto ci appaiono meno gravi di quelli inerenti all'ordinamento attuale; i quali sono gravi tanto da renderne impossibile, anche a giudizio dei suoi difensori, una lunga durata, senza profonde modificazioni; modificazioni che noi giudichiamo insufficienti a salvarlo. E ci fondiamo anche più saldamente sulla ragione vittoriosa che crediamo di poter opporre a quella che è l'obiezione capitale messaci innanzi da tutti i nostri avversari: l'insufficienza, cioè, del sentimento dell'interesse pubblico a sostituire come stimolo al lavoro il sentimento dell'interesse privato, in quel tanto che questo secondo interesse verrebbe ad essere, in una società collettivista, diminuito. E questa ragione vittoriosa è una verità ammessa in parte dagli avversari medesimi: che in una società in cui tutti fossero obbligati al lavoro, e il lavoratore fosse direttamente interessato alla distribuzione della ricchezza, la repugnanza istintiva al lavoro stesso sarebbe grandemente scemata; e che questa repugnanza scemerebbe ancora (e noi crediamo che si muterebbe in propensione) quando per effetto della cooperazione di tutti, della cessata concorrenza, del riscatto della macchina dalla speculazione privata, fosse ancora del lavoro quotidiano abbreviata la durata e alleggerita la fatica. Ci rispondono che noi esageriamo con l'immaginazione la grandezza di questi effetti. Ma questa è una quistione di fede, sulla quale non giova discutere; di quella fede nella natura umana, senza la quale non si sarebbe mai fatto nè tentato nulla d'ardito e di grande nel mondo, e che basta per sè sola a render possibili molti di quei fatti che sono considerati come sue proprie illusioni. Una prevalenza relativa del sentimento collettivo sull'individuale (della quale, in occasioni straordinarie, si vedono pur tanti esempi anche nella società nostra) noi non dubitiamo che avverrebbe in un ordinamento sociale in cui la sua necessità apparisse evidentissima, come è ora in una piccola associazione, e in cui gli animi non fossero più offesi e scoraggiati dallo spettacolo dell'agiatezza oziosa, delle smisurate disuguaglianze economiche e delle mille ingiustizie e degli infiniti privilegi presenti. Noi attendiamo da un mutamento così grande di cose un mutamento psichico meraviglioso. Ecco il punto da cui nessun ragionamento avversario ci può smovere, il fondamento su cui posiamo il nostro edifizio. Per quali vie, poi, e a traverso a quali vicende si perverrà alla meta che ci par sicura; se il socialismo, continuando a estendersi nel mondo civile, serberà un tipo unico o s'informerà allo spirito e ai bisogni particolari di ciascun popolo; se s'attuerà «mediante una produzione collettiva nazionale, parziale o regionale» diventando il comune trasformato, per esempio, un nuovo e potente organismo economico; o se pure la società, prima di giungere all'ordinamento socialista, passerà per uno stadio cooperativo di grandi associazioni, che andranno scemando di numero, fino a ridursi ad una sola, la quale fonderà insieme i vari sistemi di collettivismo; ed anche «qual criterio misuratore del valore finirà con trovar l'esperienza aiutata dalla scienza, se la durata media del lavoro richiesto o il medio consumo delle forze che esso esige» o altri concetti che non può afferrar per ora la nostra mente, perchè preoccupata e quasi compressa dai fatti presenti; questo noi non possiamo dire, nè altri ci deve chiedere. Quello che è evidente alla nostra ragione, certo nella nostra coscienza è che in fondo a tutte le vie convergenti del progresso economico e del progresso civile sta, inevitabile, l'organismo sociale che è nei nostri voti, ossia: la nazione costituita in una cooperativa gigantesca di produzione, di provvisione e di assistenza.
Questa fede si ravviva in noi in questo giorno, nel quale sogliamo riandar col pensiero l'opera della nostra già vasta famiglia, e rallegrarcene fra di noi, fraternamente. Ciò che ci rallegra non è tanto il duplicato numero dei nostri rappresentanti entrati da due anni nel Parlamento e il numero notevolissimo di quelli che entrarono nelle Amministrazioni comunali, quanto la prova d'altera fermezza data dal nostro partito in un periodo di persecuzione implacabile; durante il quale, su migliaia di nostri compagni tratti in giudizio, non furono che rarissime eccezioni quelli di cui non abbiano attestato la specchiata onoratezza cittadini d'ogni classe sociale e d'ogni parte politica. Quello che ci conforta non è tanto la valorosa costanza con cui il partito tenne viva per tre anni l'agitazione pubblica in favore di una amnistia che era nel desiderio di tutti gli animi onesti, quanto l'esempio di dignità civile dato nelle dimostrazioni di gioia e di affetto ai liberati, non turbate neppur da un principio di quei disordini, il cui timore era servito di pretesto a ritardare un atto di giustizia solenne. E ci compiacciamo non meno che sia venuto dal partito nostro il primo e più forte impulso a una grande manifestazione pubblica contro una politica coloniale forsennata e nefasta, alla quale egli solo - il partito socialista - antiveggente pur troppo, - fu sempre fieramente, implacabilmente nemico. Ma anche più di questo ci è grato l'osservare come le nostre idee, per effetto d'una propaganda razionale, si vadano sempre più chiarendo e ordinando anche nella mente dei meno colti lavoratori intorno al concetto fondamentale della conquista graduale e legale dei poteri pubblici. Ci è anche più grato il riconoscere come l'idea socialista diventi in molti di essi il principio impulsivo d'un'auto educazione intellettuale, che li mette in grado in breve tempo d'intervenire a discutere d'interessi cittadini anche in riunioni d'altri partiti, dove si comincia ad ascoltare e a rispettare la loro parola. Ci è un'alta soddisfazione, finalmente, il veder costituirsi da ogni parte, sotto la nuova bandiera, nuovi corpi elettorali concordi e disciplinati che spiegano nella lotta un'operosità così appassionata e sagace ad un tempo, da destar l'ammirazione anche dei più inconciliabili avversari, e che mettono in evidenza, non solo nelle occasioni straordinarie, ma nel lavoro, nell'organizzazione, nella vita socialista d'ogni giorno, tanti caratteri virili, tante fibre infaticabili, tanta gioventù coraggiosa e generosa, ardente d'entusiasmo e di fede.
Davanti a questi fatti, molti pregiudizi sono caduti, molte calunnie non hanno più eco. Non son più che i ciechi di mente e i malvagi d'animo quelli che ardiscono ancora di far risalire al partito socialista la colpa di delitti individuali, atroci per sè e insensati per il fine a cui mirano, funesti a noi, più che agli altri per le reazioni liberticide che provocano, commessi in nome d'un ideale che non è il nostro, e che noi combattiamo senza tregua, e a cui strappiamo proseliti ogni giorno. Ma quanti altri pregiudizi persistono, propagati dall'interesse, mantenuti dall'astuzia, accolti facilmente dall'ignoranza e dalla paura! Voi sapete quali siano, ed io non esco dall'argomento confutandoli, poichè è naturale che a noi prema di dimostrare a quanti, pur non accettando la nostra dottrina, festeggiano il 1° Maggio, che il concetto di questa festa, cara anche a loro, non è nato in mezzo a sentimenti e a propositi che possano gettare un'ombra sulla sua ideale bellezza.
Nemici della civiltà! Così fummo chiamati, anche ufficialmente, perchè il progresso della civiltà - a quanto si afferma - sarebbe dall'ordinamento socialista ritardato o impedito. Ma vediamo. Doppio è il movimento della civiltà: l'uno è d'avanzamento, l'altro è di diffusione, e nello stato attuale delle cose il secondo è così incerto e tardo da render vano in gran parte anche il primo. Idee, cognizioni, agi della vita, varietà e raffinatezza di godimenti sensuali e intellettuali, tutto procede; ma rimanendo circoscritto in un così piccolo numero d'uomini! La società è come un esercito disordinato, mal nutrito, gravato di pesi enormi, al quale va dinanzi, precedendolo di una distanza smisurata, un'avanguardia di cavalieri brillanti e armati di tutto punto, che vincono delle battaglie, a cui il grosso dell'esercito non partecipa, e di cui non raccoglie quasi alcun frutto. Lo disse anche in Francia, ora è poco, uno dei più eloquenti interpreti del nostro pensiero. «L'umanità fu finora obbligata a riservare alla minoranza la cura di condurre a suo vantaggio la civiltà e di creare delle forme nuove d'esistenza a cui la moltitudine non poteva arrivare che più tardi». Ebbene, sarà impedire il cammino della civiltà il volere che, per mezzo d'un impiego più razionale degli sforzi umani, ora antagonisti, la società tutta insieme compia il suo progresso in pro della società tutta intera? O come mai? Sarà nemico della civiltà chi, alleggerendo il peso opprimente del lavoro meccanico, vuol sollevare le moltitudini a una vita più spirituale, che è quanto dire più umana; chi, attenuando la lotta per la vita con l'organizzazione del lavoro e una miglior distribuzione dei beni, vuol che sian volte al progresso vero le infinite forze che si sperperano ora per la conservazione dell'esistenza e in conflitti infecondi; chi a una civiltà disprezzata e odiata dai più come un privilegio dei meno vuol sostituita una civiltà amata da tutti come un bene e una gloria comune? Sarà nemico della civiltà chi vuole che cessi finalmente questa miseranda finzione di dir con orgoglio: - Noi, nazione civile.... - mentre nella nazione a cui s'accenna, in mezzo alle glorie della scienza e agli splendori del lusso e delle arti, perdurano in milioni d'uomini superstizioni di medio evo, ignoranze di selvaggi, miserie di paria, condizioni e forme di vita che ci fanno rivivere davanti agli occhi la prima età della pietra? Sarà nemico della civiltà chi vuole che questo cessi e amico della civiltà chi consente che questo duri?
Negatori della patria! Ecco un'altra accusa, contro la quale ogni fibra del nostro cuore si rivolta. Se il concetto della patria s'identifica col concetto della sua unità e della sua indipendenza, con qual coscienza si possono chiamar «negatori della patria» i socialisti, per i quali è un assioma storico la sentenza dell'Engels, uno dei loro grandi maestri: che senza la autonomia e l'unità restituite a ciascuna nazione, nè l'unione internazionale del proletariato, nè la tranquilla e intelligente cooperazione delle nazioni a un fine comune si potrebbero compiere? Avversari del concetto di patria non siamo; ma di coloro che le patrie mirano a dividere per giovarsi della loro divisione, primo impedimento necessario alla vittoria di quell'ideale comune a tutte le moltitudini proletarie, che non può essere l'ideale loro. Essi fanno una cosa sola dell'amor di patria e dell'orgoglio nazionale. E anche noi abbiamo il nostro orgoglio nazionale. Ma il nostro è di natura diversa: è un orgoglio nazionale che vorrebbe che dalla nazione non fossero costretti a esulare ogni anno, per cercare un pane straniero, duecento mila dei suoi lavoratori, mentre nella terra che essi abbandonano, capace di tutti i prodotti di tutte le terre più fertili, rimangano ancora, o per incuria dei proprietari o per mancanza d'opere di bonificamento, quasi cinque milioni di ettari di suolo incolto, e altri dodici milioni che potrebbero fruttare il doppio di quanto fruttano. È un orgoglio nazionale il nostro, il quale vorrebbe che fossero purgate della malaria la metà almeno delle nostre provincie, che fosse tolta alla patria la vergogna lacrimevole dei suoi centomila pellagrosi, che il nostro paese non fosse fra gli ultimi d'Europa sulla via della legislazione sociale, che vi fossero sacri e inviolabili i diritti politici conquistati coi sacrifizi e col sangue di tutti, che per vane ambizioni di grandezza, calpestando i principii in nome dei quali siamo risorti, non si sperperassero a migliaia di miglia dai suoi confini le carni e le ossa dei suoi figliuoli. Coloro che, sentendo nel più profondo dell'anima la pietà di queste miserie e lo sdegno di queste vergogne, combattono con tutte le loro forze perchè le une e le altre abbiano fine, e credono che dinanzi all'orgoglio patriottico debba andare la carità fraterna, no, costoro non rinnegano la patria, costoro sono i soli che l'amino e la servano sapientemente. L'immagine della patria, per essi, è una madre amorosa, equanime con tutti i suoi figli, non ambiziosa che della loro prosperità e del loro affetto, e della fama di onesta, di civile e di benefica; non un'amazzone gonfia di boria, stoltamente fastosa in pubblico e crudelmente pitocca in casa, che si benda gli occhi con la bandiera e cerca la gloria nel sangue.
Un'altra accusa è di eccitare all'odio una classe sociale contro l'altra. Ebbene, no, non lo credete, non è vero. Certo, in ogni grande famiglia di propagatori d'un'idea, anche delle più sante idee, vi sono i violenti di natura, a cui nessuna considerazione del comune interesse, nessun consiglio dei compagni di fede può moderar la parola. Vi sono gl'immoderati anche nel partito moderato, vi sono i provocatori anche fra i predicatori del Vangelo, vi furono i violenti anche fra i Santi. E noi non neghiamo, d'altra parte, che dinanzi a certi abusi mostruosi del potere e della fede pubblica, e quando vediamo all'oppressione dei deboli aggiungersi l'inganno e la derisione, ci prorompono dall'animo parole amare e iraconde. Nè di questo noi ci scusiamo. Ma accusarci d'istigare all'odio, solitamente e per proposito, una classe contro l'altra, è un assurdo, è accusarci d'operare coscientemente contro gl'interessi della nostra causa. Il detto che «la miseria nasce non dalla malvagità dei capitalisti, ma dal vizioso ordinamento della società» sta scritto in fronte, come una parola d'ordine, al più antico e più popolare dei giornali socialisti d'Italia. - «Se voi foste al posto dei vostri padroni, fareste com'essi fanno, perchè non potreste fare in altro modo» è la frase più sovente ripetuta da chi fa propaganda della nostra idea, appunto per persuadere i lavoratori che il rimedio ai mali non è da attendersi dagli individui, perchè questi non vi potrebbero porre rimedio neanche se avessero tutti le intenzioni più generose. E come sarebbe altrimenti? Noi miriamo a conquistar la coscienza e la volontà del gran numero per via della persuasione, e a render atti gli uni a persuader gli altri. È dunque nostro interesse di spegnere, non di attizzare gli odî sociali; perchè se in cuore all'uomo incolto noi suscitiamo l'odio, gli oscuriamo l'intelligenza, ossia lo distogliamo dalla riflessione, e ritardiamo il progresso del suo pensiero, senza del quale è vano lo sperare di farne un proselito utile e sicuro; e perchè la passione si spegne con la stessa facilità con cui s'accende, o consumando sè stessa o estinguendosi per effetto d'un conseguito miglioramento delle condizioni individuali; e perchè essa è un costante pericolo per tutti, spingendo l'individuo ad avventatezze, di cui su tutti ricade la colpa. No, noi non vogliamo far dei violenti: questi sono la nostra debolezza, non la nostra forza; noi vogliamo far dei convinti, dei risoluti, dei tenaci. No, noi non siamo seminatori d'odio, noi che portiamo fra gli uomini la parola della fratellanza e della pace. La nostra forza non è l'odio nè l'ira; la nostra forza è la ragione, la volontà, la fede, l'entusiasmo, l'amore.
- Nemici della proprietà - siamo anche chiamati, e questa definizione, così nuda e assoluta, è piena d'astuzia, perchè include, senza esprimerla, una vaga accusa di meditato latrocinio universale. Ma esprime falsamente il nostro concetto perchè sostituisce l'idea di «soppressione» a quella di «trasformazione» d'un istituto che si modificò variamente nel corso dei tempi, e che è per natura sua soggetto a trasformarsi secondo le condizioni e i bisogni della società che l'ha fondato. È una definizione falsa perchè nega tacitamente il carattere di proprietà alla forma collettiva, che fu la prima forma di proprietà del consorzio sociale, e di cui sussistono e si riproducono mille esempi parziali anche nei tempi presenti. È una definizione falsa perchè estende il nostro concetto della proprietà collettiva dai grandi mezzi di produzione a tutti gli altri oggetti di proprietà, che sono naturalmente esclusi dal collettivismo; il quale non impedisce nè il risparmio, nè l'accumulamento, nè la trasmissione del risparmio, nè il possesso, nè la trasmissione di tutto quanto non serva a produrre ricchezza. È ancora una definizione ingiusta perchè esclude l'idea della presa di possesso mediante un equo risarcimento; ammesso il quale, essa non riesce una violenza più che tale non sia l'attuale espropriazione legale per fini d'utilità pubblica; e perchè tace che l'appropriazione collettiva, come nel campo della proprietà industriale, per esempio, così in altri campi, non si opererebbe che in quei rami di produzione in cui la concentrazione dei capitali ha già distrutto la piccola proprietà fondata sul lavoro; e anche perchè è in contraddizione formale con la ragione prima del collettivismo, fondato appunto sul concetto «conservatore» che la proprietà è indispensabile al pieno e compiuto svolgimento della personalità umana; svolgimento che è possibile soltanto in una società in cui posseggano tutti una parte del bene comune, e che non è possibile se non a pochissimi nella società attuale, dove nove decimi della popolazione nulla possiedono, nè sperano, nè quasi possono sperare di mai possedere. È una definizione insidiosa, infine, e un'accusa che ci offende perchè tende a convertire nell'animo di chi possiede l'idea d'una lontana, legale e necessaria trasformazione della proprietà in quella d'un imminente pericolo di spogliazione tumultuaria. E ripetiamo che è una definizione astuta perchè con questo terrore d'una grande ladreria collettiva, che si potrebbe commetter domani, storna l'attenzione pubblica dalle grandi ladrerie individuali, che si commettono oggi.
Anche «nemici della famiglia» sono chiamati i socialisti. E in questo, come in altri argomenti, si vuol considerare come articolo del nostro programma un'idea di pochi o di molti, contro la quale ogni socialista, che non l'accetti, si può ribellare con ogni sua forza senza cessar perciò d'esser socialista; un'idea che non è propria del socialismo, poichè, per non citare che un solo esempio, è il nostro avversario più formidabile quell'Erberto Spencer, il quale dice che verrà tempo che l'unione per l'affetto sarà considerata come più importante di quella per la legge, e saran fatte segno alla riprovazione pubblica quelle unioni coniugali in cui il legame dell'affetto sarà spezzato. Con questa espressione corrente: vogliono abolir la famiglia, l'idea socialista è snaturata e capovolta. No, non è voler «abolire la famiglia» il vituperare il matrimonio mercantile per cui s'avviliscono le anime e degenera la razza; il voler il matrimonio «fondato sulla spontanea scelta affettiva e sopra una libertà limitata dal dovere morale rispetto al coniuge e dal dovere positivo rispetto ai figliuoli»; il voler fatta alla donna nella famiglia una più equa condizione legale; il volere un più efficace intervento sociale nella famiglia stessa per assicurare lo svolgimento integrale e l'educazione del fanciullo; lo sperare, infine, che venga un tempo in cui il sentimento della dignità propria, il rispetto della dignità altrui e un'alta coscienza del dovere possano costituire nei matrimoni e nella famiglia vincoli e garanzie anche più forti di quelle che esige e assicura la società presente. O come saranno nemici della famiglia quelli che più strenuamente combattono lo sfruttamento industriale della donna, appunto perchè alla famiglia è funesto? quelli che più ardentemente propugnano la redenzione del fanciullo dal lavoro precoce, appunto perchè alla famiglia non sia strappato e nella promiscuità con gli adulti corrotto? quelli che più altamente invocano sollievi e rimedi alla grande piaga della miseria, appunto perchè la miseria corrode gli affetti domestici, avvelena l'infanzia, dissolve la famiglia? Domandate se vogliono abolir la famiglia a quei buoni lavoratori che per soccorrer la moglie e i bambini del compagno cacciato in carcere per reato di pensiero smungono senza rammarico la loro povera borsa; domandate se vuole abolir la famiglia a quell'onesto operaio che affronta lietamente pericoli e sacrifici per la nostra Idea, non con la fede di migliorare la propria sorte, ma con la sola vaga speranza di preparare al suo sangue un avvenire migliore! Andate a domandare a quella povera madre rediviva, che soffocò contro il suo seno il grido di gioia e d'amore di Garibaldi Bosco liberato, andatele a domandare se il suo figliuolo adorato vuole «abolir la famiglia!»
Vogliono distruggere la religione, - dicono ancora. E in qual programma del partito socialista di qualsiasi paese s'è mai trovato iscritto questo proposito? O meglio: in qual programma socialista non è detto esplicitamente che per il socialismo la religione è «un affar privato» ossia un affar di coscienza, in cui la comunità non ha diritto d'intervenire? E sarà il partito, che vuole una libertà assoluta di pensiero, quello che vorrà sopprimere la libertà della fede? Sarà il partito che dice a tutti gli infelici: - Sperate! - quello che vorrà segnare un confine alla speranza umana? No, in questo, come in altri argomenti, si scambiano opinioni individuali con un articolo di dottrina. A me, come ad ogni altro socialista fermamente credente nella dottrina economica e politica del socialismo, tutti i socialisti della terra raccolti insieme non potranno mai far dire che non credo in Dio, se ci credo, nè impedire di far propaganda, in mezzo a loro stessi, della mia fede. No, le ragioni del dubbio e le ispirazioni della fede stanno al di fuori d'ogni sistema di idee politiche e sociali; la speranza in una vita immortale sta al di sopra d'ogni concetto che si possa avere dei destini terreni dell'umanità, come il mistero della creazione sta al di sopra della scienza; e n'è una prova che in tutti i partiti politici, in tutti gli ordini della scienza, in tutti i cerchi della società si trovano credenti ed increduli. No, buone madri, non siamo noi che vorremo mai soffocare nel cuor vostro quella fede in cui noi stessi siamo nati e cresciuti. Noi diciamo invece a ciascuna di voi: - Educa alla tua fede il tuo fanciullo, infondigli nel cuore la tua santa speranza, fagli giunger le mani davanti all'immagine di colui che è morto per l'ideale della giustizia, della pace e dell'uguaglianza fra gli uomini. Ma insegnagli pure - soggiungiamo subito - che è falsa religione quella che non è accompagnata da una operosa pietà della miseria e da un amore intrepido della giustizia, e che se nello spirito del credente entra la persuasione che un nuovo ordinamento sociale possa prevenir la povertà, attenuare i dolori, scemare gli odî, le violenze e i delitti, che funestano e disonorano l'ordinamento presente, è empio, è assurdo il credere che Iddio gli vieti di prepararlo e di affrettarlo con la parola e con l'opera, e possa dirgli un giorno: - Tu fosti buono, pietoso e generoso; ma fosti socialista, e io ti danno. - E ditegli ancora che il buon Dio non può amare il credente che, in mezzo a tanti bisogni e conflitti umani, incrocia le mani oziose, fissando gli occhi nel cielo per non vedere la terra; ditegli ch'Egli dice a costui: Disgiungi quelle mani inerti: stendine una a soccorrere gli oppressi ed arma l'altra per combattere chi opprime; il grido di giubilo dei consolati e dei redenti è la miglior preghiera che possa far salire a me l'anima tua.
Ci si può dire: - Codesta è la vostra difesa, e noi sospettiamo che sia piena di concessioni e di cautele. Ciò che vorremmo conoscere è quello che voi dite nella vostra propaganda individuale, e che forse non ripetete a noi, in un giorno come questo. - Ebbene, e noi vi chiamiamo ad analizzare il sottile veleno che distilliamo nella propaganda d'ogni giorno, e non quello soltanto che riserbiamo al lavoratore, ma anche quello che tentiamo di versare nell'animo di gente d'ogni classe, d'ogni età e d'ogni stato sociale; poichè non ci rivolgiamo soltanto ai più facili a conquistarsi per insufficienza di cultura o per predisposizioni di interessi individuali; ma anche a quelli che son più difficili e per ragioni di cultura e per ragioni d'interesse.
Noi diciamo al lavoratore: - Bada: a questo grande movimento sociale che si svolge in tuo favore non basta che tu assista con animo favorevole; tu lo devi aiutare. Il primo impulso alla redenzione del lavoro deve venire da te. Se vuoi che il mondo ti saluti devi portar alta la fronte; ma per portar alta la fronte bisogna levar l'animo in alto. Se vuoi entrar nell'esercito della nuova Idea, devi sacrificare a questa una parte del tuo riposo e della tua pace; devi compiere con più caldo zelo i tuoi doveri di operaio, ma resistere a chi vuol soggiogare la tua coscienza di cittadino; devi soffocare sotto la disciplina del partito rancori e gelosie; fare uno sforzo intellettuale faticoso per appropriarti gli argomenti ed acquistar la parola con cui si giustificano e si dimostrano appagabili le tue aspirazioni; devi imparare, migliorarti, dare esempio di dignità di vita, di equità, di bontà d'animo, non soltanto in cospetto alle classi superiori, ma fra i tuoi compagni e nella tua famiglia; devi fare quanto è in poter tuo per far rispettare ed amare in te la santa bandiera a cui consacri il cuore e affidi il tuo diritto e la tua speranza.
Diciamo alla moglie del lavoratore: - Non trattenere tuo marito, per vane paure, dal venire con noi, se la coscienza lo muove. Raccomandagli la prudenza, ma non gli consigliare la viltà. Sono innumerevoli donne paurose come te che in tutti i tempi ritardarono il cammino delle idee più grandi e benefiche. Non temere; non in mezzo a noi egli troverà gli amici scioperati che lo possono traviare: non siamo noi, povera donna, che vorremmo strapparlo al tuo cuore. Rinunzia a qualche ora della sua compagnia e lascia ch'ei venga; egli tornerà a te più contento per la coscienza d'un dovere compiuto, e con la mente rischiarata di nuove idee, e anche col cuore meglio disposto all'affetto, perchè nella compagnia che tu temi gli si apre lo spirito alla vita del pensiero, gli s'insegna il rispetto della donna, gli s'inspira l'amore pei deboli e la pietà per tutti i dolori umani. Non contrastarlo, perchè gli turberesti l'animo senza farlo più tuo; fa ch'egli si confidi con te, accogli le sue speranze, sostieni la sua fede, e una nuova forza stringerà insieme le anime vostre, e tu sarai una seconda volta sua sposa.
Diciamo alla madre del giovane studente: - Perchè t'affanni per il tuo figliuolo, come se la via per cui s'è messo con noi fosse la via della perdizione? Se tu gli leggessi dentro all'animo, saresti lieta e altera del tesoro ch'egli vi chiude. Il sentimento che lo muove è quello stesso che spinge te a metter l'obolo della carità nella mano del vecchio e del fanciullo abbandonato: è lo stesso sentimento ingrandito, esteso a milioni di creature umane, illuminato dalla speranza di bandire dalla società tutte quelle miserie e quei mali da cui sei commossa tu pure: ma soltanto quando li vedi personificati in un infelice che mendica. Vedi: il suo ingegno e i suoi studi, prima che utili a lui, sono già utili agli altri. Nella lotta che combatte con noi egli matura precocemente il suo senno, innalza il suo carattere, fortifica le sue facoltà. Lascia che vada fra i lavoratori, dove acquista un concetto austero della vita, e si spoglia del suo egoismo di classe, e impara il rispetto della povertà e del lavoro. Lascia che mescoli il suo soprabito signorile con quelle rozze giacchette, sotto a cui battono dei cuori che lo amano. Non gli contrastare il passo quando va a cercarle; bacialo in fronte e digli: - Va. - È la voce del tuo buon Dio che lo chiama.
Diciamo al modesto borghese, sia egli un piccolo proprietario di terre, oppresse dall'imposta e destinate a ingrandire prima o poi il latifondo, o un piccolo industriale, ogni giorno più impotente a sostener la concorrenza della grande industria, o un piccolo commerciante, condannato a cader vittima presto o tardi dell'accentramento dei commerci, diciamo a ciascuno di costoro che, per un'ambizione scusabile nella società presente, avviano con grandi sacrifici i loro figliuoli alle professioni liberali: - O tu, che ti dichiari nostro nemico, considera un lato solo della grande quistione: vedi se, perdurando questo furore d'innalzarsi nella gerarchia sociale, - effetto delle troppo dure condizioni materiali e morali della vita del lavoratore, - vedi se i figli dei tuoi figli non si troveranno ridotti a lottare con una concorrenza così formidabile, da render la lotta disperata. Vedi se per prevenire questo danno ci sia altro modo che quello di stabilire l'equilibrio fra i due fattori, intellettuale e meccanico, della produzione sociale, mettendo il lavoro propriamente detto in tali condizioni da non esser più sfuggito da quanti possono come un castigo di Dio; ciò che è il primo intento del socialismo. Vedi se, non giungendo a questo, la società non sia condannata a morire d'una pletora di laureati famelici e di spostati rabbiosi. Fa tacere per poco la tua ambizione, fissa lo sguardo nell'avvenire e ti persuaderai che, pure avendo l'aspetto di tuoi nemici, siamo veri amici dei tuoi figli e dei figli loro.
Diciamo allo scienziato e all'artista: - Come puoi tu, uomo di scienza, sospettar nemica tua una dottrina che sopra una fede illimitata nel progresso della scienza in larga parte si fonda, che dal perfezionamento della macchina, dalla prevalenza dell'agricoltura razionale, dallo sfruttamento scientifico di tutte le forze della natura attende ad un tempo e una diminuzione dello sforzo umano e una raddoppiata produzione? Come puoi tu, scrittore e artista, temere il trionfo d'una dottrina che vuole estendere a tutti, nella maggior misura possibile, i godimenti dello spirito, e centuplicare con questo il numero degli uomini atti a comprendere l'opera tua? E se la società futura chiedesse a te, scienziato, il sacrifizio di volgere la tua scienza a fini più direttamente umani, e a te, artista, quello di scendere più spesso dall'altezza del tuo lavoro libero all'ufficio di educatore delle moltitudini, come non vi parrebbe dolce un tal sacrifizio, ricompensato da una tanto più diffusa ammirazione e più vasta gratitudine? E come non sentite che un più alto dovere di generosità e di sacrifizio è imposto ai privilegiati dell'intelletto, a coloro che portano sulla fronte dalla nascita questo segno luminoso della predilezione del destino?
Diciamo all'umanitario, al filantropo: - O tu che combatti l'opera nostra, perchè credi la carità sufficiente a risolver la gran quistione che affanna il mondo, disingannati in faccia all'evidenza dei fatti, e vieni con noi. No, non si scioglie la quistione con la beneficenza. Non si feconda una vasta terra portandovi l'acqua ad orciòli; ma spandendovi per una rete di larghi canali l'onda inesauribile della montagna. La tua carità non può nulla per i milioni d'uomini a cui è intercettata legalmente, per forza delle cose, una troppo gran parte dei frutti del loro lavoro; è impotente davanti al grande fatto della disoccupazione, prodotto dalle crisi disastrose, che derivano dall'anarchia della produzione; e può far meno ancora per quella grande moltitudine lavoratrice, alla quale il pane non manca, ma che domanda una diminuzione di fatica, un'educazione civile, un posto più onorato nel mondo, a cui non ha meno diritto che al pane. No, i rimedi che ti consiglia il cuore non bastano; occorre che tu dia l'opera della tua ragione. Vieni con noi, poichè il tuo cuore è buono; e senza lasciare l'opera della carità, domanda con noi la giustizia; solleva i miseri, ma lavora tu pure a sradicar la miseria; conforta i vinti, ma aiutaci a preparare una società, in cui, per quanto lo concedono la natura e la fortuna, non ci siano più nè vinti nè vincitori.
Diciamo al ricco: - Se ti dice la ragione che è giusta la nostra causa, e ti trattiene dall'abbracciarla il timore di affrettare per te e pei tuoi figli la perdita della ricchezza, tu vivi in un inganno. Proseguendo così le cose, non sarà il socialismo che ti toglierà il tuo bene; saranno le catastrofi politiche e finanziarie a cui conducono inevitabilmente il militarismo, la guerra, il debito, il disordine, inseparabili dall'ordinamento sociale che difendi. La caduta lontana della tua fortuna non sarà effetto della dottrina socialista; ma delle grandi necessità sociali e economiche da cui la dottrina è nata, e per cui si diffonde. Tu temi rivoluzioni, sconvolgimenti, rapine! Ma se è tutto questo appunto che il socialismo mira a impedire, contenendo le passioni violente che soffocano il germoglio delle idee feconde, prevenendo le rivoluzioni col sollecitar l'evoluzione, scomponendo e rifacendo l'edificio a mano a mano, perchè la società non abbia a rimanere mai sconvolta e atterrita in mezzo a un campo di macerie. Come non comprendi che questo movimento immenso tende al bene di tutti? Abbraccia la nostra causa, e combattendo per essa, tu che hai la ricchezza, darai un esempio, tu che hai l'indipendenza, sarai una forza, e ti sentirai libero dai due peggiori tormenti della tua vita, che sono la smania d'acquistare e il terrore di perdere, perchè la coscienza d'esser giusto e magnanimo varrà per te il più prezioso dei tesori, sarà la sola, vera felicità che nessun evento, nessuna forza potrà strappar dal tuo cuore.
E al fanciullo del ricco, finalmente, noi rivolgiamo questo discorso: - Tu sei nato nell'agiatezza. Se vorrai conquistarti un posto onorato nel mondo, ti costerà assai men fatica che agli altri, perchè sarai come un uomo armato in una lotta in cui quasi tutti gli altri sono inermi. Sei sicuro fin d'ora che non avrai mai da patir privazioni, mai da umiliarti per non perdere il pane, che potrai essere facilmente buono, onesto, rispettato, contento. Ora, vedi quanta miseria v'è intorno a te, quante dure fatiche che danno appena da vivere, quanti milioni di fanciulli lasciati nell'ignoranza e nell'abbandono, quante famiglie ridotte all'indigenza senza colpa, quante disuguaglianze ingiuste, quanti dolori senza speranza, e quante ire e quanti odî. Ebbene, se ti dicessero che v'è modo di far sì che tutte queste miserie siano scemate, che il lavoro non manchi a nessuno e sia reso men duro a tutti, che tutti i fanciulli possano istruirsi e educarsi, che le disugaglianze ingiuste scompaiano, che gli odî di classe si spengano, che la società diventi come una grande famiglia, in cui, se non la felicità regni almeno la pace; ma che per ottener tutto questo bisogna che tutti i ragazzi come te rinunzino alla loro sorte privilegiata, rientrino nelle condizioni comuni, e si rassegnino a lavorare e a lottare per vivere modestamente come tutti gli altri, consentiresti tu al sacrifizio? E il fanciullo ci risponde immediatamente, irresistibilmente: - Oh, sì, vi consentirei! E come si potrebbe non consentirvi? - E noi non gli diciamo più altro: gli abbiamo messo il buon germe nel cuore.
Questi sono i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Se non sono ogni giorno dell'anno così benevoli, nè espressi sempre con parole così miti, non è perchè tacciano nel nostro cuore: è perchè siamo uomini, ossia per natura deboli, soggetti all'orgoglio, facili a irritarci della calunnia, e anche perchè è troppo sovente offesa in noi quella libertà di pensiero e di parola, che è una sacra eredità lasciataci dai nostri padri e dovrebbe essere una condizione inviolabile del nostro patto nazionale. Ma ogni anno, in questo giorno, noi rinnoviamo sinceramente il proposito di mantener sempre l'animo e la parola alti come la nostra Idea. Non è questo l'ultimo degli effetti benefici della festa del 1° Maggio. E noi confidiamo che questa festa sarà celebrata ogni anno con più serena dignità. Oh certo, essa sarà ben più splendida e più solenne nell'avvenire! E non sarà celebrata soltanto nelle strade e nelle assemblee; ma anche nelle famiglie, nelle quali tutte l'idea socialista finirà con lo stringere quei vincoli, che ora in molte rallenta, e spezza in alcune. Sarà il giorno in cui le coscienze e i cuori restii, vinti da lento lavoro della ragione e dalla forza degli avvenimenti, faranno atto di dedizione e di riconciliazione con le persone amate; il giorno in cui il padre dirà al figliuolo: - Sì, figliuol mio, sei tu che hai ragione, sei più buono e più giusto di me, non son più soltanto tuo padre, sono un tuo compagno; - il giorno in cui la moglie dirà al marito: - T'ho contrariato, perdonami; non ti comprendevo, ora ti comprendo; e tutta l'anima mia è con te e per la tua causa; - il giorno in cui la madre dirà a suo figlio: - Mi arrendo; vedo ora dov'è la verità e la giustizia; la tua festa del 1° Maggio sarà d'ora innanzi anche la festa di tua madre. - Sì, sarà forse lontano, ma questo giorno verrà. Noi lo crediamo come crediamo che la terra germina sotto il raggio del sole. Crediamo che il 1° Maggio resterà e ingrandirà negli anni e nei popoli, e che dopo aver redento il lavoro ucciderà la guerra, e che dopo aver confuso le classi affratellerà le nazioni, e che sarà benedetto dalle generazioni venture come una delle date più fauste e più gloriose della storia del mondo.