Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Amore e ginnastica

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    Da vari giorni la Zibelli aveva rifatto la pace con l'amica, ed era seguito nella sua vita un mutamento nuovo. Aveva trovato un giorno sotto il portone un giovane maestro di ginnastica, ex sergente del Genio, biondo e elegante, ch'essa aveva sentito parlare una volta con molto garbo a un'adunanza della Società della Cassa degl'insegnanti. Egli andava dal maestro Fassi, di cui era amico. Le aveva fatto una grande scappellata e le si era accompagnato su per la scala, parlandole con una particolare espressione di rispetto e di simpatia. S'eran poi ritrovati due giorni dopo in casa del Fassi assente, dove la moglie, visto che si conoscevano, non aveva fatto presentazioni; e come il giovane era maestro all'ergastolo La Generala, la loro conversazione aveva preso un certo colore sentimentale, spiegando egli in che maniera fossero cessate in quella casa le risse sanguinose, le ribellioni e altre violenze, per virtù della istituzione della ginnastica, la quale serviva di sfogo all'esuberanza di vita ed all'orgoglio dei forti, diventati sdegnosi, dopo la vittoria pubblica degli esercizi, di opprimere i deboli riconosciuti. E continuando il discorso, le aveva chiesto spiegazioni e consigli, e l'aveva ascoltata con così viva e gentile attenzione, ch'essa n'era rimasta commossa. Da questo, con l'usata prontezza, le era rinata l'illusione d'un amore, e insieme l'allegrezza, la cordialità, l'amicizia; s'era rappattumata con la Pedani, soffocando anche l'invidia, che la incominciava a mordere, delle sue glorie ginnastiche; s'era rifatta buona alla scuola, aveva buttato la cappa nera della pedagogia, nella quale stava rinchiusa da un pezzo, e ricominciato a leggere libri di letteratura e a scrivere perfino dei versi di nascosto, trascurando l'amministrazione della casa, di cui soleva addossarsi tutte le cure. A questa nuova disposizione d'animo dovette la Pedani di esser incaricata, il primo giorno del mese, di portare essa medesima i denari della pigione al segretario; ciò che entrava nelle incombenze della sua amica. Essa ne rimase un po' stupita, appunto perché si trattava d'andare da don Celzani. Ma la Zibelli, benché l'avesse sempre amara con lui, non n'era più gelosa. - Va', - le disse anzi scherzando, dopo dato i denari nella busta, - lo farai felice.
    La Pedani prese nello scaffale la Ginnastica medica dello Schreber, che aveva promesso al cavalier Padalocchi, ed uscì. Sonò all'uscio di questo: il quale la ricevette con molti complimenti, e, preso il libro, le disse di risentire qualche miglioramento dopo che faceva le inspirazioni e le espirazioni, e allora la maestra gli consigliò di provare la rotazione delle braccia, spiegandogli anatomicamente l'azione speciale dell'esercizio ginnastico delle estremità superiori sulle funzioni degli organi del petto.
    Mentre ella dava queste spiegazioni, il segretario, solo in casa, seduto a tavolino nello scrittoio del commendatore stava cercando da un pezzo, con la penna in mano, le frasi più importanti della sua domanda solenne, parlata o scritta che dovesse essere. E dava del capo in difficoltà serie, poiché si trattava di armonizzare bellamente una dichiarazione d'amore appassionato con la gravità d'una richiesta di matrimonio, la quale dimostrasse d'esser stata preceduta da una lunga meditazione e decisa con intera e tranquilla coscienza; e occorreva pure di farci entrare, con molta delicatezza, un cenno delle sue condizioni di fortuna, non dispregevoli, e balenar la speranza d'una futura eredità dello zio, benché questi avesse a Genova e a Milano una falange di nipotini. Egli cercava, scriveva, cancellava, non mai soddisfatto, turbato anche un poco dal pensiero che, essendo il primo del trimestre, sarebbe venuta da lui la Zibelli, ch'era la factotum, a portar la pigione: visita che lo avrebbe messo nell'impiccio, dopo che quella gli aveva levato il saluto. Nondimeno, la prima frase era assicurata oramai, ed immutabile. Cominciava: - Signorina, vengo a fare un passo decisivo nella vita d'un uomo... - ed egli finiva appunto di arrotondare il primo periodo, quando il campanello sonò. - Ecco la Zibelli, - disse tra sé, con dispetto, e preparò un viso contegnoso per riceverla.
    In quel momento s'affacciò all'uscio la vecchia serva, e disse: - Signor segretario, c'è la maestra Pedani per la pigione.
    Don Celzani saltò in piedi, con le fiamme al viso. Non gli riuscì di dire: - Fate entrare; - non poté fare che un gesto.
    La Pedani entrò, e la serva richiuse l'uscio.
    L'apparizione della maestra gli produsse l'effetto come d'un mutamento improvviso d'ogni cosa intorno a sé: la stanza cambiò luce, i mobili si spostarono, i contorni degli oggetti si confusero, tutto s'alterò ai suoi occhi, come segue ai paurosi nei duelli. Corse qua e in cerca d'una seggiola, balbettando: - S'accomodi, s'accomodi, e andò a pigliare la più lontana: la mise accanto al tavolo, gli parve troppo vicina, la scostò, gli parve messa di sbieco, la voltò, accennò a lei di sedersi senza guardarla, sedette lui di traverso, e, presa la busta dalla sua mano, non trovò altro di meglio, per avere il tempo di ricomporsi, che prendere a contare i biglietti con grandissima attenzione, come se sospettasse d'esser truffato.
    Poi disse con le labbra tremanti: - Va bene, - e prese un foglio di carta bollata per scrivere la ricevuta.
    Ma nel cominciare a scrivere, gli cozzarono con una tal tempesta nel capo la tentazione di coglier quel momento per far la domanda, e il timore che il momento fosse inopportuno e pericoloso, che invece di scriver sul foglio le parole solite, scrisse: - Signorina, vengo a fare un passo decisivo...
    Se n'accorse, arrossì, stracciò il foglio, ne prese un altro, ricominciò a scrivere, sempre con quella tempesta nel capo; la vista gli si velava, la mano gli ballava, le parole gli sfuggivano, la fronte gli si bagnava di sudore.
    La maestra lo guardava, tranquilla e seria. Essa non rideva di nulla; non aveva senso comico. S'egli l'avesse osservata in quel punto, non le avrebbe visto negli occhi che una leggera espressione di curiosità compassionevole, come quella con cui si guarda un malato d'alienazione mentale.
    Quando alla fine riuscì a metter la firma, la sua risoluzione era già presa.
    Piegò il foglio, e ritenendolo in mano per trattener lei, s'alzò in piedi, e di rosso si fece pallido. Poi cominciò: Signorina!...
    Che cosa seguì allora nella sua mente? Forse una sincope improvvisa del coraggio, forse il pensiero improvviso che sarebbe stato meglio avviar prima il dialogo sopra un altro argomento, perché la dichiarazione non paresse troppo repentina ed ardita. Fatto sta che invece di dire quello che aveva preparato, mutato tuono tutt'a un tratto, mandando giù la saliva per la gola secca, mormorò umilmente: Signorina... se ha bisogno di qualche riparazione...
    Questa volta alla ragazza sfuggì un sorriso. Rispose di no, tutto era in ordine nel suo quartierino; lo ringraziò della cortesia. E, alzandosi, tese la mano per prendere la ricevuta.
    Il momento era giunto: o subito o non più. Il segretario tirò indietro il foglio, e rinunziando a dir le parole preparate perché la confusione non glie le lasciava ritrovare, si slanciò con disperato coraggio contro al pericolo.
    - Signorina! - ripeté...
    Accade qualche volta anche ai non timidi, quando parlan dominati da una forte commozione, e tanto più se in una lingua che non hanno familiare, che il loro linguaggio, il tono, il gesto, tutto devia involontariamente dal sentimento che vogliono esprimere, in modo che mentre questo è sincero, semplice, umile, l'espressione esce enfatica, tormentata, predicatoria, stonata, falsa, come se un altro parlasse in luogo loro, senza comprenderli, e quasi col proposito di farli fallire al loro scopo. Questo avvenne al povero don Celzani. Battendosi una mano sul petto, gonfiando troppo la voce, facendo la ruota con lo sguardo intorno alla maestra come per seguire il volo circolare d'una farfalla, e movendo in cento modi strani le grosse labbra come se le avesse intorpidite dal freddo:
    - Signorina! - declamò. - Io ho una cosa da dirle. Mi permetta. Mi perdoni. So che questo non è il luogo. Ma vi sono dei momenti, vi sono dei sentimenti, nei quali l'uomo onesto, quando è un affetto onesto, sia pure davanti a Dio, è impossibile, tutto si deve dire, tutto si può scusare, è un dovere lasciar dire. Io già mi sono spiegato. Lei conosce il mio sentimento. Mai, mai fu leggerezza, fin dal primo giorno. Mai. Sempre ho coltivato quel pensiero. Giammai nella mia coscienza, se ho ardito, Dio m'è testimonio la più pura intenzione, il più sacrosanto scopo, l'affezione di tutta la vita, se anche non l'ho scritto, eccomi a dirlo, signorina. La sua mano!... Forse non è il modo; ma parlo a un'anima bella. Il frutto è maturo. Meditai. È un galantuomo che parla. Concorde è lo zio. Creda a questo cuore. Non è più vita la mia. Non domando che la sua mano. Una sola parola! Pronuncia la mia sentenza.
    (Pronuncia fu un lapsus linguae.)
    Detto questo, ansando, piantò gli occhi dilatati in viso alla maestra, con un'espressione quasi di terrore.
    La maestra, che aveva sorriso alle prime parole e ascoltato con serietà le ultime, corrugò la fronte quando egli ebbe finito, suffusa d'un leggero rossore, che sparve subito. Poi, fissando lo sguardo sopra un almanacco appeso alla parete, con una intonazione naturalissima che faceva un curioso contrasto a quella del segretario, e con una voce che, abbassandosi, diventava baritonale: - Veda, signor segretario, - rispose. - Io non so trovar giri di parole per dir certe cose... come si dovrebbero dire. Dico franco il mio pensiero: lei perdonerà. Non ho che a ringraziarla delle sue buone intenzioni. Anzi, mi tengo onorata. Ma... se avessi avuto una idea, l'avrei manifestata subito, dopo la sua lettera, perché avevo capito quel che c'era sottinteso. Le dico che mi tengo onorata, sinceramente. Però, ecco la cosa: davvero io non ho vocazione pel matrimonio. Per le mie occupazioni ho bisogno d'esser libera; ho deciso d'esser libera. E poi... ho ventisette anni: se avessi avuto altre inclinazioni, le avrei secondate da un pezzo. Cosicché... Insomma, io non so trovar delle frasi. Mi rincresce, la ringrazio: ecco tutto. Favorisca la ricevuta.
    A quelle parole l'amore trafitto urlò, e la naturalezza gli venne.
    - Ah no, signorina, no! - esclamò don Celzani agitandosi. Lei dice così perché non sa. Non sono come gli altri, io; cosa crede? Io le voglio bene sul serio è un pezzo che peno, non vedo altro, io: come si fa? Dice: voglio esser libera. Che m'importa, a me? Non sarei mica un padrone. Ah, lei non mi capisce: io sarei il suo servitore, non pretenderei nulla, non son niente, starei sotto i suoi piedi, sarei troppo felice, matto! Lei non mi conosce, come sono, che mi fa perder la testa, che le darei il mio sangue e la salute dell'anima... Dio grande! Non mi dica di no! Abbia misericordia d'un galantuomo!
    E ciò dicendo allargò le braccia e sì chinò davanti a lei, sollevando il viso supplichevole, come il Sant'Antonio del Murillo davanti al Bambino.
    La maestra, maravigliata di tanto calore di passione in quell'uomo, lo guardò un momento, diede un'occhiata all'uscio, e lo tornò a guardare, con una vaga espressione di rammarico. Pareva che pensasse: - Peccato ch'egli non sia un altro! - Ma capì subito che il suo silenzio poteva essere male interpretato, e s'affrettò a dire, col tuono più amichevole che le fu possibile: - Basta così, signor Celzani. Io le ho già detto il mio sentimento. Lei ha buon cuore. Troverà un'altra che corrisponderà al suo affetto, come merita. Lei s'inganna sul conto mio: io non sono come forse s'immagina. Io non son tenera. Ho il cuore d'un uomo, io. Non sarei una buona moglie. Veda che son sincera. Si faccia una ragione... e mi dia il foglio. Non è conveniente che mi fermi un momento di più.
    Don Celzani restò come pietrificato. Ma il terrore di rimaner solo in casa, con la disperazione di quel rifiuto nel cuore, lo riscosse subito, e gli fece fare un ultimo tentativo sconsolato di preghiera: - Pigli tempo a rispondere, almeno! Ci pensi ancora! Non mi dica di no per sempre!
    La Pedani fu presa da un principio d'impazienza, e facendo un passo avanti, allungò la mano per pigliar la ricevuta. Per istinto il segretario le afferrò la mano, e fu come una vertigine: cadde ginocchioni d'un colpo e, accecato, supplicando, s'avviticchiò furiosamente alle ginocchia di lei, strofinando il viso convulso contro la sua veste. Fu un baleno però: due mani gagliarde sciolsero le sue dita incrocicchiate, e con una spinta virilmente impetuosa lo misero in piedi d'un balzo, sbalordito.
    - Signor Celzani, - disse veramente la maestra, ma con accento più di fastidio, che di sdegno, - queste cose con me non si fanno. - E soggiunse dopo una pausa: - Sia detto una volta per sempre.
    Ma il segretario quasi non sentì. Il dolore immenso del rifiuto, la vergogna, il terrore dell'avvenire erano per un momento soffocati in lui dalla sensazione profonda e violenta di quell'abbraccio, rivelatore misterioso di tesori che superavano le sue fantasie, e che gli lasciavano come lo stupore d'un contatto sovrumano.
    Si risentì vedendo la Pedani avvicinarsi all'uscio e a passi vacillanti e impetuosi la raggiunse; ma si fermò a un passo da lei. Essa aveva già la mano sulla maniglia dell'uscio: la ritirò guardando lui con un sorriso d'indulgenza, e poi gliela porse con un atto rigoroso di camerata, per togliere a quella concessione ogni senso di tenerezza. Il segretario capì, e le diede la sua, morta.
    Essa si rifece seria, e disse: - Siamo intesi, dunque... Mai più.
    Egli ripeté macchinalmente, come uno stupido: - Mai più.
    E non l'accompagnò. Attraversando l'anticamera, la maestra sentì un lamento lungo e sordo, come un gemito soffocato tra i pugni, e uno strepito precipitoso di piedi, simile allo scalpitìo d'un giumento imbizzarrito; e uscì scrollando il capo, pietosamente.


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