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Ma don Celzani, ostinato e
intrepido, continuava a colorire il suo disegno, cercando di guadagnarsi la
buona amicizia di lei. Le fece un giorno un vero piacere portandole un numero
del «Ginnasta triestino», venutogli a mano per caso, che conteneva un articolo
sulla danza pirrica. Le portò un'altra volta un numero della «Tribuna»,
che riceveva lo zio, nella quale era riferita la risposta negativa data
dall'ufficio d'igiene del municipio di Roma a tutte le direzioni delle scuole,
che l'avevano interrogato intorno alla maggiore o minor convenienza di tener
gli alunni nella posizione di braccia conserte. La maestra gradì molto
l'offerta, dicendo che aveva già trattato l'argomento in un articolo. Ma il
segretario le preparava ben altre sorprese. Era tentato da un po' di tempo
d'intavolare con lei certi discorsi, ai quali s'andava apparecchiando; ma non
osava. Un giorno osò. Avendogli essa detto che frequentava un corso d'anatomia,
egli le rispose timidamente: - L'anatomia... Lei fa bene, perché, senza quello
studio, non si può conoscere il valore... fisiologico dei singoli esercizi, e,
senza di questo, gli esercizi non si possono classificare... fisiologicamente,
che è l'ordine più utile.
La maestra lo guardò con stupore, e approvò. Era un
primo passo. Un altro giorno si fece anche più animo e le domandò che cosa
pensasse sulla quistione degli attrezzi.
Anche questa domanda la stupì gradevolmente. E gli
rispose: non stava con coloro che ne volevano abusare, mirando a convertire le
palestre in circhi acrobatici, ciò che spaventava le famiglie, ed era veramente
un pericolo; ma dava torto anche agli esageratori della parte opposta, che li
volevano addirittura abolire. Dove si sarebbe andati per quella via? A una
ginnastica bambinesca, con cui non sarebbe stata punto educata nei fanciulli
quella facoltà speciale, che è il coraggio fisico, a tutti necessaria;
senza la quale non si riesce più tardi in nessun esercizio civile e
arrischiato, se non a prezzo di sforzi penosi e di figure ridicole.
Don Celzani approvò con ripetuti cenni del capo. - Sono
persuaso anch'io - disse, cercando le parole che l'intero sviluppo di tutte le
membra non si può ottenere se non con l'aiuto degli attrezzi. Si posson
lasciare da parte quelli di cui si può contestare l'utilità; ma quelli che
hanno un'utilità... antropologica... dimostrata, secondo me, sono
indispensabili.
- Alla buon'ora! - esclamò la maestra, guardandolo con
curiosità. - E non è di parere che riguardo al numero e al modo degli attrezzi
sarebbe bene di lasciar libero ogni insegnante di seguire il proprio genio e la
propria persuasione?
- Non ci può esser dubbio, - rispose don Celzani, con
gravità. - Se non si fa questo, si toglie all'insegnante ogni incoraggiamento a
studiare per farsi delle combinazioni da sé in ordine alle varie
classificazioni... - e le contò sulla punta delle dita -... anatomica, pedagogica,
collettiva, individuale, e via dicendo; e allora chi farebbe più esperienze e
ricerche?...
La maestra tornò a guardarlo con maraviglia e con
piacere ad un tempo. E punta da maggior curiosità, soffermandosi per la scala:
- Quali sarebbero - gli domandò gli attrezzi che lei giudicherebbe
indispensabili?
- Gli attrezzi che io giudicherei indispensabili -
rispose don Celzani col tono d'un ragazzo catechizzato, rimettendosi a contar
sulle dita - sarebbero... le pertiche d'ascensione... la trave d'equilibrio,
non troppo elevata da terra, che è inutile... la sbarra fissa... s'intende le
parallele e il piano inclinato... Tutt'al più, lascerei da parte qualche
esercizio... l'altalena di salvataggio, per esempio.
- Come? - domandò con vivacità la maestra - anche lei è
di quelli che trovan pericolosa l'altalena di salvataggio?
- No, ho sbagliato, - rispose il segretario -
l'altalena di salvataggio, veramente, si dovrebbe lasciare. Infatti, che
pericolo c'è?... Qualche piccolo storcimento, alla peggio. Siamo d'accordo
anche su questo.
- Siamo dunque d'accordo su tutto! - esclamò la
maestra, soddisfatta. - Dico bene, che non si può aver buon senso e pensarla
altrimenti. - Poi, ripresa dalla curiosità, mentre eran già sotto il portone,
gli domandò con un sorriso singolare: - È un pezzo che s'è dedicato a questi
studi?
Il segretario arrossì e fece un gesto indeterminato
senza dir nulla. Ma dopo quel giorno ritornò sull'argomento ad ogni incontro.
Il commendatore possedeva dei libri di ginnastica, avuti in dono dagli autori,
durante il suo vice-assessorato dell'istruzione pubblica,
dei pacchi di numeri del «Ginnasta aretino», che gli aveva mandato anni
addietro un amico toscano: don Celzani leggeva ogni cosa, per prepararsi certe
domande e certe risposte, e così poteva sostener la conversazione. Aveva
finalmente trovato il gancio e ammirava la perspicacia dell'ingegnere. Ora, quand'eran
su quei discorsi, la maestra si soffermava ogni quattro scalini, ed egli aveva
così un agio delizioso di ammirarla, come non l'aveva mai avuto, e imparava a
memoria tutte le pieghe, tutti i bottoni, tutte le fettucce di quel terribile
vestito color marrone; scopriva dei piccoli movimenti abituali di lei, che non
aveva mai osservati, studiava i suoi denti bianchi uno per uno, faceva con
l'occhio dei veri viaggi d'esplorazione intorno alle sue forme, così
profondamente assorto alle volte in quelle indagini amorose, che dimenticava di
rispondere, o rispondeva a casaccio. Senonché, in questo gioco, egli perdette
ben presto quella padronanza di sé, che era necessaria ai suoi fini. A poco a
poco, cominciò a pensare che fosse rivolta a lui la simpatia ch'essa mostrava
per l'argomento delle loro conversazioni; gli pareva d'esser salutato,
guardato, ascoltato in tutt'altro modo da quello di prima; risentiva dei
fremiti sotto lo sguardo ch'ella gli fissava negli occhi, nell'esporgli le sue
ragioni; fu due o tre volte sul punto di tradirsi, di afferrare il suo bel
braccio per aria, quando accennava un movimento alla trave di sospensione. Si
contenne, però. Ma prese tanto coraggio da decidersi a una nuova prova, più
accortamente preparata dell'altra, da tentare il primo giorno di maggio, quando
ella fosse tornata in casa sua a portar la pigione. Credeva che questa volta
non gli avrebbe più potuto dare una ripulsa assoluta. Un legame c'era fra loro.
L'idea che, sposando lui, ella avrebbe avuto un conlocutore intelligente per le
sue conversazioni predilette, uno specchio riflettore perpetuo della sua
passione dominante, una specie di segretario intellettuale, gli pareva che
dovesse avere un gran peso sulla sua determinazione. Ed egli aveva in serbo,
per darle l'ultima spinta, la rivelazione d'un piccolo secreto, che, per certa
vergogna, teneva gelosamente nascosto, da un po' di tempo, a tutta la casa.
Ma, ahimè! non era più un segreto per tutti. Il giorno
prima di quello fissato da lui per far la sua terza dichiarazione, lo studente
Ginoni, entrando in casa all'ora di desinare, diede una notizia che fece
prorompere tutti in una risata.
- Papà, - disse, incrociando le braccia sul
petto, - ne vuoi sapere una incredibile?... Don Celzani va alla Palestra!
Ma alla risata succedettero esclamazioni d'incredulità.
Eppure, egli l'aveva visto entrare alla Palestra, sul corso Umberto, all'ora
dell'entrata degli altri soci. Non c'era ombra di dubbio.