Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Amore e ginnastica

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    Ma don Celzani, ostinato e intrepido, continuava a colorire il suo disegno, cercando di guadagnarsi la buona amicizia di lei. Le fece un giorno un vero piacere portandole un numero del «Ginnasta triestino», venutogli a mano per caso, che conteneva un articolo sulla danza pirrica. Le portò un'altra volta un numero della «Tribuna», che riceveva lo zio, nella quale era riferita la risposta negativa data dall'ufficio d'igiene del municipio di Roma a tutte le direzioni delle scuole, che l'avevano interrogato intorno alla maggiore o minor convenienza di tener gli alunni nella posizione di braccia conserte. La maestra gradì molto l'offerta, dicendo che aveva già trattato l'argomento in un articolo. Ma il segretario le preparava ben altre sorprese. Era tentato da un po' di tempo d'intavolare con lei certi discorsi, ai quali s'andava apparecchiando; ma non osava. Un giorno osò. Avendogli essa detto che frequentava un corso d'anatomia, egli le rispose timidamente: - L'anatomia... Lei fa bene, perché, senza quello studio, non si può conoscere il valore... fisiologico dei singoli esercizi, e, senza di questo, gli esercizi non si possono classificare... fisiologicamente, che è l'ordine più utile.
    La maestra lo guardò con stupore, e approvò. Era un primo passo. Un altro giorno si fece anche più animo e le domandò che cosa pensasse sulla quistione degli attrezzi.
    Anche questa domanda la stupì gradevolmente. E gli rispose: non stava con coloro che ne volevano abusare, mirando a convertire le palestre in circhi acrobatici, ciò che spaventava le famiglie, ed era veramente un pericolo; ma dava torto anche agli esageratori della parte opposta, che li volevano addirittura abolire. Dove si sarebbe andati per quella via? A una ginnastica bambinesca, con cui non sarebbe stata punto educata nei fanciulli quella facoltà speciale, che è il coraggio fisico, a tutti necessaria; senza la quale non si riesce più tardi in nessun esercizio civile e arrischiato, se non a prezzo di sforzi penosi e di figure ridicole.
    Don Celzani approvò con ripetuti cenni del capo. - Sono persuaso anch'io - disse, cercando le parole che l'intero sviluppo di tutte le membra non si può ottenere se non con l'aiuto degli attrezzi. Si posson lasciare da parte quelli di cui si può contestare l'utilità; ma quelli che hanno un'utilità... antropologica... dimostrata, secondo me, sono indispensabili.
    - Alla buon'ora! - esclamò la maestra, guardandolo con curiosità. - E non è di parere che riguardo al numero e al modo degli attrezzi sarebbe bene di lasciar libero ogni insegnante di seguire il proprio genio e la propria persuasione?
    - Non ci può esser dubbio, - rispose don Celzani, con gravità. - Se non si fa questo, si toglie all'insegnante ogni incoraggiamento a studiare per farsi delle combinazioni da sé in ordine alle varie classificazioni... - e le contò sulla punta delle dita -... anatomica, pedagogica, collettiva, individuale, e via dicendo; e allora chi farebbe più esperienze e ricerche?...
    La maestra tornò a guardarlo con maraviglia e con piacere ad un tempo. E punta da maggior curiosità, soffermandosi per la scala: - Quali sarebbero - gli domandò gli attrezzi che lei giudicherebbe indispensabili?
    - Gli attrezzi che io giudicherei indispensabili - rispose don Celzani col tono d'un ragazzo catechizzato, rimettendosi a contar sulle dita - sarebbero... le pertiche d'ascensione... la trave d'equilibrio, non troppo elevata da terra, che è inutile... la sbarra fissa... s'intende le parallele e il piano inclinato... Tutt'al più, lascerei da parte qualche esercizio... l'altalena di salvataggio, per esempio.
    - Come? - domandò con vivacità la maestra - anche lei è di quelli che trovan pericolosa l'altalena di salvataggio?
    - No, ho sbagliato, - rispose il segretario - l'altalena di salvataggio, veramente, si dovrebbe lasciare. Infatti, che pericolo c'è?... Qualche piccolo storcimento, alla peggio. Siamo d'accordo anche su questo.
    - Siamo dunque d'accordo su tutto! - esclamò la maestra, soddisfatta. - Dico bene, che non si può aver buon senso e pensarla altrimenti. - Poi, ripresa dalla curiosità, mentre eran già sotto il portone, gli domandò con un sorriso singolare: - È un pezzo che s'è dedicato a questi studi?
    Il segretario arrossì e fece un gesto indeterminato senza dir nulla. Ma dopo quel giorno ritornò sull'argomento ad ogni incontro. Il commendatore possedeva dei libri di ginnastica, avuti in dono dagli autori, durante il suo vice-assessorato dell'istruzione pubblica, dei pacchi di numeri del «Ginnasta aretino», che gli aveva mandato anni addietro un amico toscano: don Celzani leggeva ogni cosa, per prepararsi certe domande e certe risposte, e così poteva sostener la conversazione. Aveva finalmente trovato il gancio e ammirava la perspicacia dell'ingegnere. Ora, quand'eran su quei discorsi, la maestra si soffermava ogni quattro scalini, ed egli aveva così un agio delizioso di ammirarla, come non l'aveva mai avuto, e imparava a memoria tutte le pieghe, tutti i bottoni, tutte le fettucce di quel terribile vestito color marrone; scopriva dei piccoli movimenti abituali di lei, che non aveva mai osservati, studiava i suoi denti bianchi uno per uno, faceva con l'occhio dei veri viaggi d'esplorazione intorno alle sue forme, così profondamente assorto alle volte in quelle indagini amorose, che dimenticava di rispondere, o rispondeva a casaccio. Senonché, in questo gioco, egli perdette ben presto quella padronanza di sé, che era necessaria ai suoi fini. A poco a poco, cominciò a pensare che fosse rivolta a lui la simpatia ch'essa mostrava per l'argomento delle loro conversazioni; gli pareva d'esser salutato, guardato, ascoltato in tutt'altro modo da quello di prima; risentiva dei fremiti sotto lo sguardo ch'ella gli fissava negli occhi, nell'esporgli le sue ragioni; fu due o tre volte sul punto di tradirsi, di afferrare il suo bel braccio per aria, quando accennava un movimento alla trave di sospensione. Si contenne, però. Ma prese tanto coraggio da decidersi a una nuova prova, più accortamente preparata dell'altra, da tentare il primo giorno di maggio, quando ella fosse tornata in casa sua a portar la pigione. Credeva che questa volta non gli avrebbe più potuto dare una ripulsa assoluta. Un legame c'era fra loro. L'idea che, sposando lui, ella avrebbe avuto un conlocutore intelligente per le sue conversazioni predilette, uno specchio riflettore perpetuo della sua passione dominante, una specie di segretario intellettuale, gli pareva che dovesse avere un gran peso sulla sua determinazione. Ed egli aveva in serbo, per darle l'ultima spinta, la rivelazione d'un piccolo secreto, che, per certa vergogna, teneva gelosamente nascosto, da un po' di tempo, a tutta la casa.
    Ma, ahimè! non era più un segreto per tutti. Il giorno prima di quello fissato da lui per far la sua terza dichiarazione, lo studente Ginoni, entrando in casa all'ora di desinare, diede una notizia che fece prorompere tutti in una risata.
    - Papà, - disse, incrociando le braccia sul petto, - ne vuoi sapere una incredibile?... Don Celzani va alla Palestra!
    Ma alla risata succedettero esclamazioni d'incredulità. Eppure, egli l'aveva visto entrare alla Palestra, sul corso Umberto, all'ora dell'entrata degli altri soci. Non c'era ombra di dubbio.


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