Edmondo De Amicis: Raccolta di opere
Edmondo De Amicis
Amore e ginnastica

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    Don Celzani fu felice. La via, dunque, era interamente libera, e dopo quella visita la maestra doveva essere anche meglio disposta di prima. Egli contava di far avanti una domanda di prova, con le debite cautele, e poi la mossa suprema, quando la prima fosse stata bene accolta. Questa la poteva far dove si fosse. Cercò dunque l'occasione per le scale. Ma fu sfortunato. La Zibelli aveva rifatto con l'amica la sua centesima riconciliazione, provocata da una delle cause solite. Lo studente Ginoni, visto respinti i suoi assalti successivi dalla Pedani, in parte per far rappresaglia, in parte per certa grossa malizia di ragazzone, con la quale credeva di spremer l'amore dal dispetto, s'era messo a far delle piccole cortesie alla Zibelli: non una corte spiegata, ma una specie di «asineggiamento» semiserio, delle conversazioni amichevoli, qualche mazzetto, delle strette di mano espressive, quando la incontrava sola. E pure senza dar gran peso a quelle dimostrazioni, la Zibelli, non sospettandone il perché, le gradiva come una carezza al suo amor proprio, una ricreazione, un pascolo piacevole dato alla sua fantasia. Per questo, ritornata in buona con la Pedani, ogni volta che sapeva di non incontrare il giovane, le si riaccompagnava uscendo e rientrando, come per l'addietro. Don Celzani fallì dunque per cagion sua varie appostature.
    Una volta, mentre egli stava per cogliere la bella tutta sola, uscì di casa il professor Padalocchi e la fermò, per lagnarsi della solita difficoltà di respiro, e dirle che la rotazione delle braccia suggeritagli da lei lo affaticava troppo. Dopo aver un po' pensato, la maestra gli consigliò la lettura ad alta voce, dicendogli che l'acceleramento della respirazione in questo esercizio era calcolato in 1,26: badasse però di leggere con una cravatta larga: ne avrebbe risentito un vantaggio. Il segretario sperò che fosse finita; ma il terribile vecchio chiese degli schiarimenti sui movimenti di flessione della ginnastica Schreber, e allora egli rinunciò al suo proposito.
    L'aveva un'altra volta quasi raggiunta, sola, a piè della scala, rientrando in casa, quand'eccoti dietro l'ingegner Ginoni, che rientrava pure. Dopo che don Celzani era ricascato nella sua passione, quegli aveva ripreso a far con lui la sua parte di protettore, tra benevolo e canzonatorio. Ma questa volta gli diede un dispiacere.
    - Signorina Pedani, - disse con la maggior serietà, mettendo una mano sulla spalla al segretario, - le faccio la presentazione d'uno dei più assidui e valenti acrobatici della Palestra di Torino.
    Don Celzani fremé, negò, arrossendo, acceso di dispetto; si sarebbe voluto nascondere, e augurò il malanno in cuor suo all'impertinente. Ma la maestra fece un'esclamazione di lieta maraviglia, guardandolo, come per cercare i cambiamenti che la ginnastica aveva prodotti nella sua persona. In quel momento, appunto, egli stava nel solito atteggiamento pretesco; ma a lei parve di vedergli un che di più vivo negli occhi. Nondimeno, dubitò d'uno scherzo.
    - Vede che non lo può negare due volte, - disse l'ingegnere. - Creda, signora maestra, che il fatto d'aver mandato don Celzani alla Palestra sarà la più maravigliosa delle sue prodezze!
    Quel don ferì un'altra volta nel vivo il Celzani. Ma egli vide in viso della ragazza un sorriso così sincero di compiacenza, senz'ombra di canzonatura, che si racconsolò. Sì, il momento era giunto, egli avrebbe fatto bene a non tardare nemmen più d'un giorno. E la sera stessa, infatti, prima di notte, all'ora in cui sapeva che la Zibelli era fuori, preso il pretesto d'andar a vedere se s'era fatto un certo guasto nel tubo dell'acqua potabile, salì in casa della Pedani.
    Sperava d'esser ricevuto nella sua camera. Essa lo ricevette invece nel salotto, in piedi. Vestiva la «blusa» da ginnastica, di rigatino turchino, che le disegnava mirabilmente le spalle, e una gonnella bianca, con una macchietta d'inchiostro sopra il ginocchio. Aveva per la prima volta l'aspetto un po' imbarazzato, ciò che stupì don Celzani; ma l'imbarazzo non derivava tanto dalla visita di lui, della quale indovinava lo scopo, quanto dalla certezza assoluta ch'ella aveva, come se la vedesse, che la donna di servizio, appostata dietro all'uscio, non avrebbe perduto una sillaba dei loro discorsi. Fu quindi costretta a esser breve e quasi dura nelle parole, cercando di temperare quella durezza coll'espressione del viso.
    - Signorina, - disse piano don Celzani, tremando, dopo aver parlato ad alta voce del tubo, -... vengo per l'ultima volta a domandarle... se è sempre della stessa idea.
    Essa lo guardò con aria benevola, diede un'occhiata all'uscio, e ripeté, con leggero accento di rammarico, le sue stesse parole: - Sempre della stessa idea...
    Don Celzani impallidì. E domandò più piano: - ir... removibile?
    La maestra tornò a guardar verso l'uscio, e chinando un poco il viso in atto di pietà, rispose: - Sì.
    Il segretario si passò una mano sulla fronte e sbarrò gli occhi. Quella risposta l'aveva paralizzato: non trovava parole. Il silenzio si prolungava. Non si poteva restar così. La maestra, che neppure sapeva che cosa dire, fece un atto d'inquietudine, che egli notò.
    -... Allora - disse - me ne vado...
    Essa non rispose. Egli si mosse, e quando fu vicino all'uscio, voltando indietro il viso stravolto, con un accento disperato che avrebbe fatto scoppiar dal ridere uno spettatore indifferente: - Dunque - disse - nel tubo dell'acqua potabile non c'è niente da fare!
    Quel contrasto ridicolo tra la voce e la parola toccò nel cuore la ragazza più di qualunque supplicazione: ella fu tentata di dirgli qualche cosa per consolarlo. Ma la coscienza le vietò d'illuderlo. E disse soltanto, con un sorriso affettuoso e pietoso ch'egli non vide: - No, signor Celzani... non c'è nulla da fare.
    Quegli rispose con un singhiozzo nella gola: - Tanti rispetti! - ed uscì.


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