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Tutto andò sempre più a traverso, in
quei giorni, anche per don Celzani. Egli non vide i padrini dello studente,
perché l'ingegnere aveva rigorosamente proibito al figliuolo di dar corso alla
cosa; ma, incontrando due giorni dopo la signora Ginoni, ch'era sempre stata
gentile con lui, fino a fargli portar qualche volta a braccetto su per le scale
la sua magrezza indolente, ebbe il dolore di non vedersi restituito il saluto.
E sarebbe stato offeso anche di più dell'affronto se avesse saputo che quella
brava signora non l'aveva diretto all'offensore del figliolo, ma all'innamorato
della maestra, come quello che intralciava al suo adorato Alfredo una conquista
galante, sulla quale ella sarebbe stata lieta di chiudere i suoi occhi materni!
Ebbe poi il colpo di grazia quello stesso giorno, ricevendo il medesimo
affronto dall'ingegnere Ginoni, che gli passò accanto in via San Francesco,
senza neppur voltarsi a guardarlo. Era dunque rotta ogni relazione con tutta la
famiglia, e questo crebbe ancora lo stato d'eccitamento morboso della sua
passione.
Ebbe altri dispiaceri il giorno di poi. Fra l'altre
ragazze che salivano a prender lezioni private di ginnastica al terzo piano,
v'era una specie di zingarella coi capelli corti, figliuola d'una venditrice di
pomate e di saponette, e maestra di ginnastica essa pure, la quale andava dalla
Pedani a farsi fare delle «combinazioni» di passi ritmici, che poi dava per
sue; ed essendo molto appassionata per l'arte, e un po' stramba, faceva
continui esperimenti, dovunque fosse, con le gonnelle alla mano, come se avesse
il ballo di San Vito. Ora le signorine divote del primo piano, avendola
sorpresa due volte sul pianerottolo, mentre dava dei saggi a calze scoperte a
un'altra allieva della Pedani, scandalizzate e furiose, mandarono a chiamare il
segretario perché impedisse quelle indecenze, e gli dissero che «non si sapeva
più che cosa, per causa della Pedani, fosse diventata la casa». Il segretario,
punto nel suo amore, e già mal disposto, rispose con male parole, quelle lo
rimpolpettarono, egli alzò la voce, e allora lo misero all'uscio, minacciando
di ricorrere al padrone, e ordinandogli di non salutarle mai più.
Gli seguì anche di peggio nei giorni seguenti. Il
professor Padalocchi lo incaricò di andar a pregare in nome suo il maestro
Fassi, che a una cert'ora cessasse di far saltare e giocar coi manubri la sua
figliuolanza, perché lo disturbavano nei suoi studi di lingua. Il segretario,
già irritato, non fece l'imbasciata coi riguardi dovuti, e si lasciò sfuggire
la parola baccano. Il maestro andò su tutte le furie. Chiamar baccano
degli esperimenti scientifici, le preparazioni pratiche e ragionate ch'egli
faceva delle proprie lezioni, torturandosi il cervello per il bene
dell'umanità, gli pareva il non plus ultra dell'audacia, e, spalleggiato
dalla moglie, rimbeccò il segretario in tutte le regole, alludendo con
impertinenza alla Pedani; poi lo mise all'uscio, minacciandolo, e s'andò a
lagnare col professore; il quale, accusando don Celzani d'aver adempito male
l'incarico e compromesso un professore con un marrano, lo redarguì, si offese delle
sue risposte e non lo guardò più in faccia.
Era dunque in rotta con tutti, oramai, su quella scala.
Ma c'era di più. Delle sue distrazioni e della sua irritabilità avevano motivo
di lagnarsi da un pezzo anche gl'inquilini dell'altra parte della casa; e
poiché la notizia del suo innamoramento, causa di quella gran mutazione, s'era
diffusa, tutti parlavano alto e basso di lui, senza riguardi. Insomma,
l'ostinatezza di quel pretucolo fallito a voler una ragazza che non lo voleva,
pareva una petulante pretensione, un indizio d'orgoglio ridicolo, o
d'imbecillimento addirittura. E non gli facevan neppure l'onore di chiamarlo
amore il suo: doveva essere una brutta passionaccia di seminarista invecchiato,
e gli si leggeva negli occhi; raccontavano anzi di tentativi brutali ch'egli
aveva fatto con la signorina su per le scale, gli davan del porco, lo guardavan
per traverso; poi cominciarono a fargli dei piccoli sgarbi, a cui egli rispose
con altri sgarbi; lo inasprirono fino al punto che diventò egli stesso
provocatore. Allora vari inquilini si lagnarono per lettera al commendatore,
alcuni di essi accennando all'amore scandaloso, alla persecuzione sfacciata che
faceva alla maestra, a scene che seguivan per le scale e sotto il portone,
tali, che le madri di famiglia non potevan più uscire con le loro ragazze,
senza correr rischio di doversi coprire il viso col ventaglio. Fecero tanto,
fra tutti, che un giorno il commendatore perdette finalmente la pazienza, e
decise di far al nipote l'ultima intimazione, quando fosse rientrato pel
desinare. Non avrebbe non di meno usato le parole più gravi perché era disposto
al buon umore da una letterina della Pedani, che lo invitava per due giorni
dopo a un saggio ginnastico delle Figlie dei militari, nel quale si
riprometteva di far delle osservazioni profonde. Ma s'indispettì al veder
comparire il segretario colla fronte fasciata, pallido e impolverato. Gli
domandò che cosa aveva. Egli lo disse. Alla Palestra (dove continuava a andare,
anche dopo persa ogni speranza, per domare i suoi nervi) essendosi lanciato
(per disperazione) a un esercizio troppo ardito sulla trave d'equilibrio, gli
era fallito un piede, ed era caduto giù, picchiando del capo in una delle travi
di sostegno. Il commendatore s'irritò anche di quello, che chiamò una
pagliacciata. Poi gli disse fuor dei denti, con una severità che non aveva mai
mostrata con lui, che era stanco della sua negligenza, della sua vita
disordinata e indecorosa, e delle lagnanze che gliene venivan da ogni parte, e
che lo scandalo doveva avere una fine, e che se nello spazio d'una settimana
non avesse visto radicalmente mutata la sua condotta, egli l'avrebbe cacciato
fuori di casa. Aveva già messo gli occhi sopra un altro. Detto questo, e
avvisatolo che voleva desinar solo, lo piantò.