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[29]
E allora egli cadde nell'ultima
disperazione, la quale non lasciò più che un dubbio nella sua mente sconvolta:
se dovesse partir per Genova e imbarcarsi per l'America, o rimanere a Torino e
profondere il suo piccolo patrimonio in bagordi e pazzie, per istupidirsi e
dimenticare. In ogni modo, se ne doveva andar subito da quella casa, dove la
vita non era più tollerabile. In silenzio, apparecchiò le sue robe fino a notte
inoltrata. Poi si buttò vestito sul letto. Ma non poté dormire. Acceso dalla
febbre, tese l'orecchio per l'ultima volta ai rumori usati. E quella notte i
rumori furon continui. Il tanto aspettato Congresso dei maestri s'era aperto da
una settimana: il giorno dopo era appunto quello fissato per la discussione del
quesito della ginnastica, sul quale la Pedani doveva pronunciare il suo
discorso: essa era agitata, scendeva da letto a ogni poco, vi risaliva, tornava
a scendere, girava per la camera. Egli sentiva i suoi piedi nudi. E fu quella per
lui una tortura dei sensi atrocissima; ma sopraffatta da un grande sentimento
di tenerezza, da un rammarico profondo di dover abbandonar per sempre quella
camera, di non avere a udir mai più quei rumori familiari al suo orecchio, che
egli amava oramai, perché gli ricordavano tante notti insonni, tanti desideri,
tante fantasie, tante tristezze, e che non avrebbe mai più dimenticato, n'era
certo. Riandò nella mente il passato, si levò ritto sul letto per sentir meglio
i suoi passi e i suoi sospiri, la invocò, le parlò, pianse, si morse i pugni,
passò una notte di condannato a morte. All'alba si levò stanco e sbattuto: la
ferita al capo gli doleva. Stette incerto tutta la mattina se dovesse
accomiatarsi da lei con una lettera o andare in persona. Decise d'andare in
persona. E al tocco e mezzo salì le scale.
La maestra era sola in casa, e un po' triste. Dopo la
scenata che aveva fatto per lo studente, la Zibelli le rendeva la vita amara
con una nuova stranezza: pareva che volesse sfogare la sua passione sulla
tavola: voleva spendere e spandere in ghiottonerie, metteva le spese di cucina
per una via, sulla quale non si poteva andare avanti; e pure mangiando con
l'avidità d'uno struzzo, si lagnava d'ogni cosa, attaccava liti indiavolate per
una salsa andata a male, per il pane troppo cotto, per la carne troppo dura,
per l'aceto senza gusto. La Pedani non ne poteva veramente più. Quel serpente
le aveva avvelenato anche quella mattinata, nella quale avrebbe avuto tanto
bisogno di serenità di spirito, per prepararsi al suo discorso. Morsa, oltre
che dall'altra, anche dalla gelosia del suo prossimo trionfo, la Zibelli non
aveva potuto resistere al supplizio di vederla fino all'ultimo momento, e dopo
averle fatto una delle scene solite, sferzando la sua ambizione e presagendole
un fiasco, se n'era andata senza desinare. La Pedani stava nel salottino, dando
l'ultima passata al suo manoscritto, già abbigliata per il Congresso, che
cominciava alle due e mezzo. Aveva un vestito nero senza guarnizioni, che la
stringeva come una maglia, e la faceva parer più bianca di carne e più alta di
statura; e l'agitazione dell'animo dava al suo viso una espressione di
sensitività, che non aveva mostrata mai. Era sola, e non ostante l'aspettazione
dell'ora desiderata e il bel sole che le empiva d'oro la stanza, era
malinconica. Alcune amiche che la dovevan venire a prendere per farle animo,
non eran venute. Quella solitudine le pesava: ella non aveva mai tanto
desiderato la compagnia. Fece dunque un atto quasi d'allegrezza quando le fu
annunziato il segretario.
Questi entrò col cappello in mano, notò il vestito nero
e mise un sospiro. Con quella fronte bendata, pallido, avvilito, triste come
una cassa da morto, era veramente una figura da far compassione.
Non si volle sedere.
La maestra gli domandò subito che cos'avesse al capo.
Caduto alla Palestra - rispose. E soggiunse che veniva a salutarla per l'ultima
volta.
La Pedani credette che partisse, come ogni anno, per la
campagna. E gli domandò: - Non viene neppure al Congresso?
Il segretario, che aveva visto il biglietto d'invito
dallo zio, se n'era dimenticato. Ebbene, sì, sarebbe andato prima al Congresso,
l'avrebbe vista ancora una volta nella piena luce della sua bellezza e del suo
trionfo, e sarebbe partito poi, con quell'ultima immagine davanti agli occhi.
Ma non disse questo; la ringraziò soltanto del biglietto ch'essa gli porse.
- Parto... - disse poi, con voce commossa. - Son venuto
a salutarla... per sempre.
La maestra lo guardò, e capì ogni cosa. Ma non trovò
parola da dirgli. Infatti, che gli poteva dire? Ella sentiva che qualunque più
lieve esortazione a rimanere sarebbe stata una lusinga, quasi una promessa, e
la sua schietta natura non le consentiva di farla, perché non l'avrebbe potuta
fare che con la determinata intenzione di mantenerla. Scansò i suoi occhi,
guardò verso la finestra, imbarazzata. Poi, vedendo che teneva lo sguardo
basso, tornò a guardar lui, meditando. Essa sapeva tutto e tutto le tornò alla
mente in quel punto. L'aveva trovato in quella casa assestato, operoso,
tranquillo, buono, benvoluto da tutti. Egli aveva cominciato a perder la pace per
lei. E tutto era derivato di lì. La maestra Zibelli s'era inimicata per la
prima con lui, il maestro Fassi l'aveva preso in odio, i Ginoni gli avevan
voltate le spalle, lo studente lo voleva sfidare, il professor Padalocchi non
lo salutava più, le signorine del primo piano l'avevan messo alla porta, tutti
gl'inquilini gli avevan dichiarato guerra, il commendatore lo voleva cacciar di
casa, l'aveva cacciato forse, ed egli se n'andava solo e ramingo. E quanto
doveva aver sospirato prima ch'ella se ne avvedesse, e poi sofferto dei
disinganni e delle umiliazioni, e quanto la doveva amare per ostinarsi a quel
modo, dopo tanti rifiuti di lei, e a dispetto di tutti, e con tanto danno
proprio! E infine, per lei, s'era rotto la testa. E guardò la sua fasciatura. E,
come avviene sovente, fu ciò che v'era di comico in quel povero capo fasciato,
e nell'immagine che le si presentò di lui ruzzolante giù dalle travi
d'equilibrio, quello che diede l'ultima mossa alla sua pietà, e la spinse per
la prima volta fino a un sentimento di tenerezza. Ma il povero don Celzani, che
non le leggeva nell'animo, non vide che il sorriso che esprimeva il penultimo
dei suoi pensieri, e lo credette una canzonatura. E quello fu il suo colpo di
morte.
- Ah! - esclamò con accento d'angoscia disperata,
alzando gli occhi e allargando le braccia - questo poi non dovrebbe...! Lei mi
fa troppa pena in questo momento!
- Oh, signor Celzani, che cosa crede? - domandò con
slancio la maestra, balzando verso di lui.
Ma una musica di voci allegre risonò in quel punto
nell'anticamera, e un drappello di maestre vestite in gala e ridenti irruppero
nel salotto, e dato appena uno sguardo al segretario, s'affollarono intorno
alla Pedani, facendo un coro di saluti e d'esclamazioni. Erano le compagne che
venivano a prenderla per condurla al Congresso, erano la sua passione, il
mondo, la gloria, che gliela strappavano per sempre, che gli rapivano anche la
consolazione dell'ultimo addio.
Don Celzani diede ancora un ultimo sguardo
d'adorazione, pura in quel momento, a quella bella creatura a cui non avrebbe
parlato mai più, e ribevendosi le lacrime, usci, non veduto.