Eduardo Scarpetta
Tetillo

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Felice e detti, poi Attanasio.

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SCENA TERZA

 

Felice e detti, poi Attanasio.

 

DOROTEA: Ah! Eccolo ccà. (S’alzano.)

FELICE (esce mangiando con le 2 mani in tasca): Mammà, buongiorno. Oh, D. Pasquale Afflitto.

DOROTEA: Lo conosci?

FELICE: Sicuramente che lo cunosco. (Sempre mangiando.)

PASQUALE: Sissignore, l’ho visto qualche volta in casa di Arturo, ma non sapeva che chisto era Tetillo, è nu Tetillo nu poco gruosso, e voi m’avete detto ch’era sicco, invece lo trovo che sta bene.

DOROTEA: Pare accussì... va Tetì, senza faticà, rispunne a chello che t’addimanna lo maestro.

FELICE: Prontissimo. (Mangiando.)

PASQUALE: E finite di mangiare.

FELICE: Socastagne spezzate, maestro, ne volete una?

PASQUALE: Grazie tanto, io tengo na mola che me tuculeia.

FELICE: Somolle.

PASQUALE: Grazie.

FELICE: Sospugnate.

PASQUALE: Tetì, non ne voglio.

DOROTEA: Nun se mangia na cosa si nun la mette mmocca a n’ato.

PASQUALE: Effetto di buon cuore. Dunque mettetevi .

FELICE (si situa di fronte a Pasquale e Dorotea che seggono vicino).

PASQUALE: Accorto alle risposte.

FELICE: (Seh, staje frisco).

DOROTEA: (Maestro non le dimandate cose difficili).

PASQUALE: (Va bene non ve n’incarricate). Ditemi una cosa, quanti sono gli articoli del Codice Civile?

FELICE (subito): 8 mila.

PASQUALE: (Mbomma! Ha menato la prima cagliosa!).

DOROTEA: (Maestro, sochiù assaje?).

PASQUALE: (Signò, nun somanco la terza parte). D. Felì, io credo che voi scherzate, da 4 anni che studiate la legge e dite questo sproposito eh!

DOROTEA: (Maestro, piano piano).

PASQUALE: (Signò, io aggia lo maestro, abbiate pazienza). Dunque che mi dite? (Felice perché mangia, pronunzia parole che non si capiscono.) Seh, simme arrivate, chillo sta magnanno castagne spezzate.

DOROTEA: Tetillo e che significa ciò?

FELICE: E che , ne trovo sempe, non finiscono mai.

DOROTEA: Allora, aspettammo che fenessero.

PASQUALE: Sicuro, io me ne vaco stasera da ccà.

FELICE: Mammà, sofinite.

PASQUALE: Meno male. Dunque, gli articoli del Codice Civile sono?

FELICE: Sono?

PASQUALE: E ditelo voi.

FELICE: E ditelo prima voi, voglio vedere se lo sapete.

PASQUALE: me fa scola isso a me.

DOROTEA: (Maestro, quanto è spiritoso).

PASQUALE (Sicuro, è acitoso). Gli articoli del Codice sono 2147.

FELICE: 2147. Bravissimo.

PASQUALE: (Io l’aggio. ditto che isso è lo maestro, e io so’ lo scolaro). Dunque voi volete fare l’avvocato?

FELICE: Sissignore... , subito la risposta.

PASQUALE: E già, comm’avesse sciolto n’articolo de legge. Ditemi una cosa: se nce fosse uno che frusciasse troppo denari, e che le sue uscite fossero più dell’entrate, voi che consiglio gli dareste?

FELICE: Lo consiglierei d’andarsene da quella casa, e trovarne un’altra con una sola porta d’uscita.

DOROTEA: Bravissimo, una sola porta d’uscita.

PASQUALE: E già, se n’esce pe la porta carrese. Signò, chillo ha capito na cosa pe n’ata. Basta, passammo appriesso: se voi accettate l’eredità di un parente che ha lasciato soltanto debiti, questi chi li paga?

FELICE: Io no certo.

PASQUALE: E chi li paga?

FELICE: Voi.

PASQUALE: Io? Io so’ lo maestro de scola.

FELICE: Me metteva a pagà li diebete de uno che nun conosco, nce nu poco de logica.

PASQUALE: Di che tratta l’articolo 221 del Codice Civile?

FELICE: L’articolo 221 tratta... l’articolo 221 tratta di molte cose...

PASQUALE: No, tratta di una cosa. Il figlio può abbandonare la casa paterna?

FELICE: Sissignore!

PASQUALE (forte): Nonsignore!

FELICE: Nonsignore.

PASQUALE: Ci vuole il permesso del padre.

FELICE: Ci vuole il permesso del padre.

PASQUALE: E per quale ragione il figlio se ne può andare, anche senza il permesso del padre?

FELICE (risoluto): Perché il figlio forse deve andare a fare qualche servizio necessario.

PASQUALE: Eh! Va bene, ho capito tutto. (Chisto è proprio na rapesta!) (S’alzano.)

DOROTEA: Basta maestro, basta . Tetì, avisse sudato? Te vuò cagnà.

FELICE: No, per me queste non sono fatiche.

PASQUALE: (E già, chillo ha tirato la sciaveca!).

DOROTEA: Dunque maestro, quanno lo primmo esame?

PASQUALE: (Dimane lo ). Eh, vedremo, quando più presto può essere, domani a mezzogiorno verrò a dargli la prima lezione.

DOROTEA: Troverete qua pure Arturo, faranno lezione assieme.

PASQUALE. Bravissimo, bravissimo. (Hanno combinato nu bello ambo tutte duje.) Signora, signor Tetillo... (Salutando.)

FELICE: Maestro riverito.

PASQUALE: Studiate, e preparatevi per la prima lezione, e vi prego a non dire corbellerie. Di nuovo... (Salutando:) (Chisto è proprio nu turzo del carcioffele!) (Via fondo a destra.)

DOROTEA: Comme te pare sto maestro?

FELICE: Dalle domande che m’ha fatto ho visto che non dev’essere uno dei buoni, m’ha domandato certe cose accossì facile.

DOROTEA: Anzi, io so’ stata informata ch’è nu buono maestro.

FELICE: Basta. Mammà, parlammo d’ato, mammarella mia cara cara.

DOROTEA: Sciascillo mio.

FELICE: Mammà, tengo nu brutto dulore.

DOROTEA (spaventata): Addò, addò, figlio mio.

FELICE: Mammà dinto a sacca.

DOROTEA: Bricconciello, m’haje fatto mettere na brutta paura.

FELICE: Mammà, stongo senza manco nu soldo.

DOROTEA: Figlio mio bello, che ne faje de li denare, dinto a casa nun te manca niente.

FELICE: Eh, dinto a casa, capisco, nun me manca niente, ma quanno esco, qualche cosa de denare nce , per tutte le combinazioni che ponno nascere quacche povero pezzente te cerca l’elemosina e aggia piglià nu soldo e nce l’aggia , passo pe nnanze a quacche libreria, vedo qualche libro buono, istruttivo, mi viene il desiderio di comprarlo, me vene la seta, voglio vevere, che io... me può venire qualche convulzione...

DOROTEA: Nun voglia maje lo Cielo.

FELICE: Me vene nu dolore nella gamba, nun me fido de cammenà, me piglio na carrozzella.

DOROTEA: Haje ragione, haje ragione, figlio mio, ma stammatina nun tengo niente. (Guarda a sinistra.) Aspetta, vene pateto a chesta parte, dincello a isso.

ATTANASIO (uscendo): Neh, se n’è ghiuto lo maestro?

DOROTEA: Sissignore, proprio.

ATTANASIO: Bravo, pozzo stà nu poco cujeto. (Siede al tavolino, prende un giornale e legge. Dorotea fa segno a Felice di parlare al padre.)

FELICE: Papà, buongiorno, bacio la mano. (Esegue.)

ATTANASIO: Beneditto figlio mio, beneditto.

FELICE: Papà, avete dormito bene stanotte?

ATTANASIO: Bene, figlio mio, grazie.

(Pausa.)

FELICE: Papà.

ATTANASIO: (Ah! aggio na stuccata). Figlio mio che buò?

FELICE: Papà, dateme 5 lire.

ATTANASIO: 5 lire! E che n’haje da ?

FELICE: Tengo lo Codice sporco, me vorrei comprare lo nuovo.

ATTANASIO: Ma comme, la mesata già l’haje fernuta?

FELICE: Sta gran mesata... 50 lire!

ATTANASIO: E già, 50 lire, comme si fossero niente, all’età tua avevo 15 canine a lo mese da patemo, e saglievo e scennevo la grotta ogni ghiuorno cu 20 o 30 sopressate ncuollo.

FELICE: Ma allora faciveve lo casadduoglio, oggi io faccio l’avvocato vaco cu li sopressate ncuollo...

DOROTEA: Va buono, dancelle 5 lire, come anticipo sulla mesata.

FELICE: Io dimane nun ve cerco niente.

ATTANASIO: E sì, tu cercammelle pure dimane. Va bene, ogge se ne parla.

 


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